Il carcere analfabeta
di Vincenzo Andraous
Siamo davvero alla frutta, per giunta, nella disattenzione e nell’indifferenza
più colpevole. A tal punto da affermare che in carcere non ci sono innocenti, e
se ci sono perche’ scandalizzarsi, in fin dei conti si tratta di eventi critici del tutto sopportabili. Sul
carcere i plotoni di esecuzione, pronti a destabilizzare qualsiasi innovazione
stanno sempre in agguato, sempre addosso a chi non può reagire.
In galera ci si ammazza, si rimane di lato, piegati contro i muri insanguinati, nel
tentativo di colmare il vuoto all’intorno, nella mancanza di riferimenti certi,
di valori condivisi, stritolati dall’emarginazione, dalla violenza,
dall’illegalità. A chi pensa che in carcere non ci sono persone innocenti,
occorre rammentare che invece può finirci chiunque, anche tuo figlio, tua
madre, tuo padre, tua sorella, e dunque sarà meglio imparare ad avere rispetto
delle persone, e non soltanto dei numeri, delle cose, degli oggetti disordinatamente
accatastati all’intorno, occorrenti la propria carriera professionale o
politica. Il castigo è una cosa, la punizione anche, la tortura e l’induzione
al suicidio è ben altro. Se i maestri, i conduttori, gli esempi sono
questi, c’è un carcere privo di autorevolezza, premeditatamente privo di allenatori alla vita, perché dispersi dalla
delegittimazione. Le teorie si sprecano nei riguardi di questa terra di
nessuno, un dispendio inusitato di tautologie inconcludenti, di dottrine pedagogiche
che adottano la cattedra per ri-educare solamente gli altri, negando la
necessità di doversi formare e rinnovare a un nuovo “sentire educativo “. Molto
più semplice affidarsi al disamore istituzionale che permette fughe in avanti a
quanti pensano di aggiustare le cose con
la prepotenza degli atteggiamenti saccenti che mettono in “sicurezza “ i pochi rispetto
ai tanti inconsapevoli. Il rispetto è la prima forma d’amore tra gli esseri
umani, se viene a mancare quello, c’è il rischio di arrogarsi il diritto di
giudicare sbrigativamente la presenza altrui, sminuirla, offenderla o
degradarla, tutti comportamenti che azzerano sul nascere l’instaurarsi di una relazione
significativamente educativa. Il carcere, il suicidio, la recidiva
infantilizzante, la rieducazione parola spoglia scarabocchiata sulla carta
costituzionale e il più potente agente educativo: il rispetto, trucidato
dall’indifferenza di chi invece dovrebbe costitutivamente promuoverlo. Qualcuno
ha detto che in carcere non ci sono innocenti, come a voler sputare sulla fossa
dei tanti incolpevoli massacrati dall’ingiustizia, proprio per questo penso che
non si può insegnare il valore del rispetto continuando a azzoppare la dignità
altrui, anche dentro un carcere, dentro una cella.