Diario di una prof. I tre mesi che hanno cambiato la nostra scuola

da Corriere della Sera

di Chiara Gobbi

21 febbraio: durante la personale rassegna stampa on line che accompagna la mia colazione, scopro che a venticinque chilometri da me c’è un paziente affetto da Corinavirus. Non capisco la portata della notizia, ma a scuola le mie studenti sono agitate: dopo l’intervallo, in cui hanno potuto prendere i cellulari e leggere i messaggi allarmati delle mamme (ah, le mamme!), quelle di terza non le tengo. Molte di loro abitano in quella che tra poche ore sarà la zona rossa. Giù in sala prof, all’una, c’è già il panico. Alle 14 ho una riunione in un comune vicino alla Bassa. Ci vado? Mi faranno tornare, se ci vado?

Bastano pochi giorni e il mondo da noi cambia. Il fine settimana di Carnevale serve a organizzare le idee, dal mercoledì mi arrovello per ristrutturare il lavoro. Penso alle mie studenti bloccate in casa con un cordone di polizia attorno al paese, ad ascoltare le sirene delle ambulanze e le notizie al telefono dei nonni con la febbre. Scrivo alle classi, mando qualcosa da fare, ma so che non basta: fisso lezioni via Meet. La prima volta che ci vediamo è passata una settimana dalla chiusura. Sembra un anno. Le ragazze si salutano commosse, vengono a lezione in pigiama, con il gatto in braccio e la tazza di latte davanti. Non è ancora scuola, è per ora la prova che siamo ancora vivi, che siamo ancora una classe. M’intenerisco a vedere sullo sfondo le loro camerette rosa con i peluches e la foto della comunione: a scuola sembrano così emancipate… Spiego un po’ di latino: adesso se volete ci salutiamo e gli esercizi li fate voi? No, prof, non li possiamo fare insieme? Poi mi mandate i compiti? Ma prof, non possiamo far lezione normale, anche mercoledì: così li correggiamo insieme! Sì prof, per favore, che io so già che poi non ho capito, almeno le facciamo le domande!

Le prime settimane vanno così: faccio lezione on line in alcune classi io sola, in altre io e la collega di matematica. La scuola non ha ancora mandato i tutorial sull’uso di Meet, la maggior parte dei colleghi mandano link e compiti e power point: la mattina è mia. Mettiamo le lezioni a metà mattina, i ragazzi cominciano ad arrivare più composti, senza gatto e senza pigiama. Dopo una settimana chiedo alla preside se posso interrogare. In quarta avevo chiuso un argomento e non ha senso che spieghi. Ho colleghi diffidenti sulle interrogazioni a distanza, ma io che sono nemica delle domande mnemoniche e chiedo sempre rielaborazioni, sintesi, collegamenti, so che non è un problema che abbiano davanti schemi, glieli lascio anche in classe: studiare non è un esercizio di memoria, ma di comprensione. La preside mi dice che posso, e interroghiamo.

Una delle mie seconde a scuola la vedo sempre nell’ora dopo l’intervallo, alle 11, ed è un’ora impossibile: già più corta delle altre (per l’intervallo, appunto) con loro diventa mezz’ora (sedetevi! Finisco la merenda, prof! Vado al volo in bagno che prima c’era coda! Faccio una corsa a riempire la bottiglietta che ho mangiato e adesso ho sete! Due secondi prof, mi lavo le mani che ho finito adesso le patatine!) anche perché per due volte su tre è la loro ultima ora (cosa state facendo: mancano 10 minuti? Cominciamo a metter via prof, abbiamo il treno al pelo e se non corriamo sulle scale c’è traffico! Prof posso tornare in bagno che ho bevuto tutta la bottiglietta all’intervallo e adesso non resisto fino a casa tra il pullman e tutto ci vuole un’ora e mezza?). E in questa mezz’ora hanno la testa altrove, brontolano, si danno sulla voce, non capiscono, non seguono, si rispondono male a vicenda. Ecco, a scuola questa seconda in latino è un disastro.

Adesso, le tre ore dalle 11 alle 12 sono ore perfette. Gli studenti, che si alzano dopo le nove, sono freschi e concentrati. Ognuno nella sua stanza (spegnete i microfoni!), tutti attenti e devoti. Le infinitive le hanno capite tutti. Tutti. Mai successo. I ragazzi di quarta, che la collega di pedagogia allena alle riflessioni metacognitive, mi dicono che mi vengono dietro di più perché non hanno distrazioni, forse la necessità stessa di usare un mezzo la cui connessione può essere fragile li costringe all’attenzione massima. Chi vuole mi manda i compiti per avere una correzione personalizzata. Vale farli a gruppi: hanno imparato a lavorare su un documento condiviso. Chi non ha capito qualcosa mi può scrivere, tanto sono sempre al pc, e organizziamo un Meet veloce per una spiegazione mirata.

Sono stremata: tra le lezioni, i documenti da compilare, i consigli di classe on line, i compiti da correggere, gli audio da registrare per le lezioni di storia, i power point da preparare la sera ho sempre come un leggero mal di mare, ma so che questo strano anno non è perso per niente, che abbiamo imparato tutti qualcosa di grande, che il rapporto coi miei studenti non sarà più lo stesso.

Fine marzo: è passato un mese. Un mese in cui pensavo di perdere molte lezioni per le gite, il teatro, le uscite didattiche, il PCTO (gli stages, in italiano corrente) invece ho avuto tutte le mie ore. Ora che è chiaro che a scuola non torneremo a breve — e chissà se torneremo — tutti i colleghi si sono messi a occupare le ore. Dobbiamo organizzarci e incastrarci. Qualcuno di noi teme di non riuscire ad avere abbastanza voti, qualcuno sa che non tratterà molti argomenti. Io allento la presa, riduco le ore. Lascio un po’ il tavolo della cucina a mio figlio minore, che con me e suo fratello e mio marito in videochiamata perenne dovrebbe seguire lezione di matematica dal corridoio.

Ho annunciato alle classi che per fine aprile potremo rilassarci. Ho tanti voti e un sacco di elementi di valutazione in più: la loro presenza, le loro domande, le loro mail. A maggio darò dei lavori di approfondimento a gruppi, anticiperò argomenti che pensavo di trattare a settembre e che interrogherò l’anno prossimo. I ragazzi sono increduli e grati, ma se non capiamo qualcosa la lezione di sabato la possiamo rimettere?

Ecco, la cosa peggiore che potrebbe succedere è che qualcuno ci chiedesse di tirare una riga su tutto questo, che non riconoscesse tutta questa fatica, tutto questo lavoro, nostro e loro, dei ragazzi che si fanno interrogare anche alle sei di pomeriggio, tanto prof non abbiamo niente da fare, dei miei figli che seguono con la stessa dedizione le lezioni di italiano e i tutorial di scienze motorie. Che qualcuno proponesse un’impietosa sanatoria pensando che siamo in vacanza da un mese.