Ma che musica nuova, maestro!

Ma che musica nuova, maestro!

di Melina Bianco *

Da sempre la musica scandisce il ritmo delle società, raccogliendo ogni tipo di “vivibile” emozione.

Il più popolare e universale dei linguaggi, l’arte dei suoni appunto, veicola infiniti significati e suggestive rievocazioni, che poi abilmente trasfigura e conserva in atomi di memoria cristallizzati, in appunti emotivi ammassati, imbrigliati, compenetrati nel già vissuto. Spesso comune e accomunante.

Analgesica miscela, in cui ogni dolore sfuma, mentre il ricordo s’impregna del sapore ammuffito del tempo trascorso, ridisegnandone architetture e prospettive d’insieme.

Potere della musica! Sinfonia dei sensi!

Ma adesso? Adesso non più! Almeno per il momento. Adesso è il virus a scandire il tempo, in “battere” e (soprattutto) in “levare”, riscrivendone canto, controcanto, pause e accentazioni.

Ed è sempre lui (il virus) a paralizzare i sensi “sorpresi” e ad impadronirsi di ogni più intima stanza, e di ogni “battuta” stantìa (ritualizzata oltremodo), sprovveduta e inadatta ad accogliere l’assolo dell’ospite inatteso, non confidente, discordante. Refrattario alla parola.

Composizione forestiera, che schiaccia l’ascolto dell’ignaro viandante, e lo rimbalza, e lo inchioda, ad un fascio malinconico di note struggenti. Di risposte sospese. Di indugi inconsumabili.

Ma che musica è quella nuova che giunge? E qual è il suo senso.

E’ musica virale, dall’apparente “non senso”.

Ma qual è il suo “tempo”?

E’ il tempo del lockdown, delle incertezze, delle paure.

Un nuovo maestro!

E’ il tempo che scivola tra le dita. Inesorabile. Lento. Interminabile.

Non è un allegro, né un allegretto. No, non lo è.

Nè un vivace, o un moderato. No, non lo è.

E’ un grave. Si, eccome.

E’ un presto/prestissimo. Si, si spera.

Ma forse, più di ogni altra cosa, è un andante sincopato, che interrompe e inquieta, che sconquassa scienza e coscienza, fisica e metafisica, fede e ragione.

Senza metronomo, nè orologio, né timesheet.

Un tempo che sposta continuamente l’accento, dal flusso pseudoregolante della routine giornaliera, alla costernazione dell’umanità trafitta, che barcolla dinanzi allo scandalo dis-occultato delle vacue certezze, dubitando (nel farlo) financo della presenza di un Dio.

Un tempo che convoca e provoca insieme, che invita (sprezzante) ad appuntamenti cadenzati e severi, su palcoscenici conturbanti in cui attori “non protagonisti “si abbandonano, velati, a movimenti isteriformi. Del grido. Sempre meno del sospiro.

Con fraseggi, legature e punti di valore (e di dolore)nazionali ed internazionali.

Bulimie di sensazioni forti che non generano sentimenti forti. No!

Generano discontinuità, lacerazioni affettive e relazionali, in illusori “non luoghi” in cui ogni partecipante si riscopre, d’un tratto, vittima e carnefice, e si rivede (e magari ravvede) in una dimensione smarrita, sperduta, che l’ha travolto, e che ha travolto (insolentemente), “altezze” e “durate”.

Astuzia di una ragione umana. Miope. Sorda!

Pulviscolo di nuove miserie. Di gabbie anguste. Di ipocrisie e di invidie. Di egoismi e malevolenze.

In spirito e in carne.

Ma che musica è, maestro? Da dove arriva. Dove si tiene nascosta. Dove albeggia e dove tramonta.

E’ musica ecumenica, errabonda, che abbraccia tutte le terre abitate, che non reclama diritto d’accesso. Irrompe e basta. Ad libitum, ad abundantiam, dal di fuori e dal di dentro.

Che pervade e che accompagna, in full time, giornate convulse e notti insonni. Di tutti e di ciascuno.

E nessuno sforzo, di “non ascolto esterno”, ne garantisce il riverbero dall’incomodo silenzio interno.

Strana e straniera la musica nuova che giunge, maestro.

Nei giorni travagliati ed epocali dell’emergenza sanitaria.

Eppure arriva. Si, arriva. E chiede di essere ascoltata, maneggiata con cura. Nella sua vera intimità.

E si concede. Per essere apprezzata nella sua veste celata. Amabile, piacente, benigna.

E si traduce. In appelli corali. Insilenzi prosperi di preghiera. In lamenti pietosi, carezzati da spartiti freschi e da scritture improvvisate e consolanti. Apposta concepiti, con fidente speranza.

Ovunque e da più parti.

Arriva. Si, arriva. La nuova musica inattesa, non cercata. Col suo nuovo tempo.

Un tempo maestro e paterno, che con sforzo maestoso e sudato, tenta il ristoro di anime vestite di cenci. E arriva premurosa e totalizzante. Che quasi si commuove e commuove.

E si propone. Per cammini interrotti e per ripartenze.

Strana musica! Straniera e zelante ad un tempo.

E se non fosse né strana,straniera?

E chiedesse semplicemente nuove grammatiche dell’ascoltare e sfaccettature differenti del sentire, finora sacrificate e costrette all’assenza di contemplazione e di raccoglimento, in favore di misure e di battute distanti, impassibili, cerebrali. Fin troppo.

E se rivendicasse l’affrancamento da ogni voce inautentica e inessenziale, da ogni parola chiacchierata e acconciata sulle increspature di spiriti complici, corrotti e ruffiani, per diventare adesso, nella sua evoluzione più piena, semplicemente franchezza espressiva, sincerità radicale, bianchezza di sentimenti e di azioni, dove comunque nulla è garantito, ma dove tutto viene ri-letto con occhi premurosi e attenti, e tutto ri-ascoltato, a microfoni spenti, con orecchi ri-seminati di avvedutezza, di vincoli di responsabilità, di patti “d’onore” (pacta sunt servanda).

L’onore di chi (e solo di chi), trascendendo la paralisi dell’altrui giudizio si costituisce. Felice, perchè libero di esprimersi. Garante, di pensieri discordanti, e di idee non concordi e non conformi, perchè non diventino alibi e impedimento per ogni pacifico e legittimo raffronto.

Forse ci trasformeremo. Forse ci trasformerà. Si.

La nuova musica ci trasformerà, assieme al suo maestro.

In rigenerate fertilità e verso nuove diramazioni. Dalle singole unità interagenti e sugli indugi del deserto domestico. Oltre la palude dell’isolamento diffidente. Ci aiuterà.

Ad avviare la ripartenza, da altre salite esistenziali, a piedi nudi e con le ossa rotte, verso nuovi estremi temporali, verso più ambiziose compenetrazioni cosmiche e spaziali, al riparo (si spera) da tempeste relazionali di facciata, da gesti e cerimoniali nevrotici e compulsivi. Ripetuti, reiterati.

Da rituali repliche di intrecci affettivi “non affettuosi”, finti, di mero opportunismo (a distanza e in presenza), baluardo di estenuanti fallimenti familiari, sotto l’egida di carriere “al cortisolo” (comunque e a tutti i costi), che feriscono, che tradiscono. E che distruggono.

Ci resta la speranza.

Per un ri-conquistato tempo, per ripristinati accordi, inter-personali, inter-soggettivi.

Più distesi e duraturi. Meno stressanti e più maturi. Persino, forse, più onesti.

E magari resistenti come una volta, (e anche più), con un retrogusto amaro e indisponente verso i legami deboli e il disimpegno sociale. Verso la dignità svenduta e le libertà negate, ancorchè esibite. Sulle piazze e nei palazzi di giustizia.

E ancora indisponente, si. Verso la frantumazione dei sentimenti importanti.

Per noncuranza, per mancanza (mancanza?) di tempo. Per codardia.

E alla fine, per pigra rassegnazione.

Non più figli contesi da sbadata quotidianità, fatta di scampoli d’amore bruciato, di relazioni aride e frammentate, frustrate e violente. Ma stoffe resistenti!

Trasportate subinari finalmente scambiati, dalle linee trasgressive e disobbedienti.

Si, disobbedienti. Verso ogni amicizia “profittata”, ogni amore ingannato, ogni impegno genitoriale tradito. E ogni vincolo morale truffato.

Ci resta la speranza.

Per nuovi alfabeti degli affetti. Nuovi spazi sociali e temporali, tutti da riscrivere, riavvolgendo non più all’indietro, il nastro dei pensieri e delle relazioni, e riscrivendo, sulle note del tempo vissuto, altre territorialità spirituali, dalle tonalità emotive ri-verniciate, per una vita meglio sintonizzata.

Su noi stessi. Sugli altri. Sul mondo. Verso una totalità che abbraccia e che seduce.

In un monologo non più solo esteriore, che si fa suono-verbo, chiamata, “call”.

Che si ri-scopre intimo a se stesso, prima di ri-aprirsi all’altro, con connessioni e propositi offline,

non esibiti, protetti e al riparo. Custoditi con elegante riserbo e con prudente parsimonia.

Per la sopravvivenza (almeno) mediatica.

Nuove ricchezze cromatiche dell’interiorità creativa, poliedrica e non più distratta.

In un cammino impervio ma convinto, che avanza, cerca e s’incanta, davanti alla bellezza di un sorriso, alla dolcezza di uno sguardo, al calore di un abbraccio. Al bisogno di una carezza.

E nuovi arcipelaghi pedagogici. E nuove visioni educative.

Di dimensioni comunitarie, di convergenza di prospettive, e di sguardi non personali o spersonalizzanti. E nuovi pescatori di uomini. E di donne. E di volti.

Volti che scrutano, fin dentro le voragini. Le nostre. E non solo.

E che impegnano a più definite responsabilità, come pre-condizioni di ogni etico nuovo agire.

Skills più umane, oltre che digitali. Più verdi, oltre che tecnicistiche ed omologanti.

Da trasmettere, da in-segnare e con-segnare alle bambine e ai bambini del tempo nuovo, come chiavi segrete dell’apprendimento vero, quello della vita, a partire dalle giuste pause e dai necessari silenzi, che ogni buona musica sa propagare e diffondere.

Dove ogni nota diventa battito. Battito dell’anima.

Che fa librare le coscienze, in una nuova aritmetica dei suoni.

Per un presente tutto da riscrivere e un futuro ancora da immaginare.

Al tempo della vita. Delle vite. Vere, personali. In-carnate.

E il mondo che ne pensa?

Rimane l’incognita. Omnia tempus habent.

S’invocano soffi di poesia.

E fluide note, in acque non “chete”, ribollenti.  Che rompono i ponti e squarciano gli argini, della transitorietà degli applausi, della “liturgia” dell’apparenza, dell’esteriorità “svenduta”.

Fin troppo complice. Fin troppo consapevole.

Armonia metafisica, di nuove architetture senza edifici. Ombra e luce insieme.

Musica di pace, di essenze, di fecondità “speculative”.

Sabbia e spuma nuova.

All’epoca dell’ancora possibile.

Dove il tempo lenisce ma non cancella.

E dove la musica guarisce e cicatrizza.

Ogni animo ulcerato. Ogni respiro mozzato.

Ogni bacio interrotto.

Ma che bella è questa musica, maestro.

Ciò che l’emergenza impedisce, la nuova musica, adesso, consenta!


* Dirigente Ministero Istruzione – Professore Università Lumsa