La scuola ai tempi del… colera

La scuola ai tempi del… colera

di Maurizio Tiriticco

Si parla tanto di scuola, oggi, ai tempi del colera, pardon, del corona virus, in effetti una sorta di peste nera che si è abbattuta su di un pianeta fortemente industrializzato! Ma forse non dappertutto! Speriamo! Scuole chiuse, oggi! E non solo in Italia! A quando la riapertura? Mah! Comunque, qui da noi “ce la caviamo” con la dad, questa didattica a distanza con cui si misurano oggi insegnanti ed alunni! Con tutti limiti del caso! Perché la presenza, com’è ovvio, è un’altra cosa! Soprattutto perché c’è il “gruppo”! Ed il gruppo è altra cosa rispetto al “singolo”. E non solo: oggi si tratta di un singolo in immagine, non in carne e ossa, come si suol dire! Che si confronta con un altro singolo!

Va quindi detto che questo status di insegnamento/apprendimento indotto dal corona virus è altra cosa rispetto a quello a cui da secoli siamo ormai abituati. Perché in effetti la scuola, quella che conosciamo da sempre nella sua struttura portante, l’aula, il magister che tutto sa e che tiene la sua dotta lezione che, appunto, non può che essere magistrale, agli alumni che, in quanto tali, devono essere alimentati di conoscenze e di saperi! Nonché di quei comportamenti che un dato assetto sociale comporta! Quand’ero piccolo, la mia aula scolastica era corredata sempre, sopra la cattedra, del crocifisso e delle immagini del Re – o meglio Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia – e di Benito Mussolini. Era la scuola “rinnovata” da Giovanni Gentile nel 1923, scuola che Mussolini definì con orgoglio come la più fascista delle riforme. “I bimbi d’Italia son tutti Balilla”; “Libro e moschetto, fascista perfetto”! Erano le parole d’ordine più gettonate. E noi alunni scattavamo tutti in piedi all’ingresso dell’insegnante e lo salutavamo con l’opportuno e necessario saluto romano! Scuola di “liberazione” o scuola di “indottrinamento? Al lettore la risposta.

Per farla breve, nessun discorso sulla funzione della scuola, che pur ha sempre interessato filosofi e pedagogisti, da Socrate a Benedetto Croce. E come non ricordare il grande Comenio, che in pieno Seicento con il suo Orbis sensualium pictus, ovverso con il suo mondo Illustrato, di fatto pubblicò il primo sussidiario – diremmo noi oggi – per l’infanzia, arricchito per di più di pregevoli illustrazioni! Quanti secoli erano passati dai tempi in cui i magistri insegnavano a suon di nerbate! Orazio ricordava quel plagosus Orbilius che proprio a suon di nerbate fece di un inquieto ragazzino quell’Orazio che tanto lustro ha dato alla cultura latina.

Ma bando alle ciance! Occorre fare qualche altra considerazione. In primo luogo mi chiederei se, come e perché il sistema scolastico – non dico l’istruzione in sé che è, o potrebbe essere un’altra cosa, implementata dall’educazione e dalla formazione – cioè quello organizzato nei diversi Paesi più o meno avanzati, possa essere veramente un’istituzione “liberatrice” o, al contrario, “livellatrice”. Nel primo caso, si tratterebbe di una istituzione promozionale di conoscenze, cultura, professionalità a diversi livelli di competenza: livelli che procedono, ad esempio, per quanto riguarda il nostro Paese, dall’avviamento al lavoro, di lontana memoria, al liceo classico, con tutte le “implicazioni classistiche” che comunque sono sottese. Nel secondo caso, si tratterebbe di una istituzione “livellatrice”, tesa soltanto ad omologare i nuovi nati al sistema socioeconomico di un dato Paese: per farla breve, al “sistema capitalistico” che teorizza e realizza forti divisioni sociali.

Nel primo caso il riferimento può condurci alla teoria della “liberazione”, a Paulo Freire, e nel secondo, invece, a quella della “riproduzione” ai valori e alla cultura di un dato assetto/sistema socioeconomico. Ti ricordo Émile Durkheim, “Education et sociologie”, a cui sono poi seguiti i cosiddetti “descolarizzatori”, Illich, Reimer, Bourdieux e Passeron. Erano tutti convinti, con diverse argomentazioni, che la scuola “assimila” e “non libera”, menti e persone! Possiamo anche ricordare il nostro Don Milani con la sua “Lettera a una professoressa”. La quale boccia, esclude invece di promuovere ed includere! E potrei anche aggiungere “Le vestali della classe media” di Marzio Barbagli e Marcello Dei.

Lo so! Sono tutte “cose” datate! Anni Sessanta! Spesso mi chiedo: ma i nostri dirigenti politici scolastici – intendo i livelli politici decisionali – hanno mai tenuto conto di quelle analisi? Io non so rispondere! So solo che l’attuale nostro sistema di istruzione (e non so se sia anche di formazione e di educazione, come recita quel dpr 275, varato al termine dello scorso secolo dal nostro Luigi Berlinguer, anche in forza delle tante suggestioni di cui sopra) nella sua struttura organizzativa – le tre C di cui parlo da sempre, la Classe d’età, la Cattedra e la Campanella – non è cambiato molto dai tempi lontani in cui io, oggi ultranovantenne, frequentavo la scuola!

Ma oggi pare che – in questa situazione di crisi – si stia scoprendo l’istruzione a distanza! Che in effetti ha una lunga storia! Le prime dispense ad hoc – se non erro – risalgono al periodo postrivoluzionario dell’URSS, quando in un Paese di migliaia di chilometri quadrati, occorreva raggiungere migliaia di contadini che dovevano essere “riciclati” in quadri operai. Ed ha avuto una certa fortuna anche in Italia. Ricordo “Radio Elettra” di Torino, “Accademia”, oggi non più attiva, e il Baicr, Cultura della Relazione, ambedue di Roma. Di altre non so. Simona Bontempelli ha scritto recentemente “Dall’istruzione per corrispondenza all’E Learning: le tre generazioni della formazione a distanza”. Caro lettore, te lo consiglio. Altro dirti non non vo’… sperando che non ti sia grave la lettura di questo mio scritto.