Verso il passato
di Antonio Stanca
Uno degli ultimi brevi volumi di racconti della ormai conclusa serie settimanale “I Libri della Domenica” promossa da “Il Sole 24 ORE” è stato dedicato allo scrittore americano John Updike. S’intitolava Bicchiere pieno e altri racconti. Era tratto dalla raccolta Le lacrime di mio padre del 2009, anno della morte dello scrittore avvenuta a settantasette anni . Nato nel 1932 a Reading, era vissuto a Shillington. Studierà presso l’Harvard College, qui si laureerà ed in seguito si trasferirà in Inghilterra dove nel 1955 inizierà a collaborare col “ The New Yorker”. Sul settimanale compariranno i suoi primi racconti, le prime poesie oltre ad articoli di critica letteraria. Tornato in America nel 1957 si dedicherà esclusivamente alla scrittura e nel 1959 uscirà il primo romanzo, Festa all’ospizio. Sarà un successo ma per far diventare stabilmente noto Updike serviranno i romanzi della “serie del Coniglio”, iniziata nel 1960 e conclusa nel 1990. In essa la condizione di amarezza, inquietudine, insofferenza verso l’ambiente, nostalgia del passato, vissuta dal protagonista del primo romanzo, un campione di pallacanestro che abbandona l’attività per pensare ad una vita diversa e alla fine rifugiarsi nei ricordi, si estende fino a diventare quella di un’intera comunità. In un’altra serie di romanzi, compresa tra il 1970 e il 1982, nel protagonista Bech sarà possibile riconoscere tratti della figura e della vita dell’autore. Altri romanzi ancora scriverà Updike, altri racconti, altre poesie, altra critica letteraria. Sorprenderà la sua vasta produzione, sarà premiata col Premio Pulitzer per i romanzi e due volte col Premio O. Henry per i racconti brevi. Updike è stato più volte candidato al Nobel per la Letteratura. Molto ha scritto, lo ha fatto fino alla morte. In particolare sono stati i romanzi e i racconti ad impegnarlo. Per i contenuti di entrambi ha attinto alla vita dei piccoli centri della provincia americana, a quella della media borghesia, per la forma espressiva è stato capace di riuscire sempre ordinato, chiaro, di dire dell’interiorità dei personaggi, della loro vita esterna e di qualunque situazione da essi vissuta senza mai perdere la compostezza. Facile, naturale appare l’espressione di questo scrittore, è tanto sicuro, tanto padrone della sua lingua Updike da poterne fare la voce di ogni circostanza. Scrive egli della vita che scorre ai margini delle grosse metropoli americane, nei paesi di provincia, nelle campagne, delle persone che la conducono e che, avanzate negli anni, si sono stancate di essa, dei suoi posti. Avevano sperato altro per il futuro e non avendolo ottenuto si rivolgono al passato come per recuperare l’entusiasmo, la fiducia che allora le avevano animate. Sono questi i temi ricorrenti nella produzione narrativa dell’Updike compresi i quattro racconti del recente breve volume. Anche in essi si muovono persone alla ricerca di altra vita senza riuscire a trovarla. Nel primo, Marocco, è una famiglia americana che gira a vuoto nella regione nordafricana, non scopre i luoghi, il clima, la gente che aveva pensato e trova rifugio nel ricordo di esperienze passate.
Nel secondo, I guardiani, il maturo Lee ricostruisce gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza vissuti i primi con i nonni nella campagna americana, i secondi insieme ai genitori nella piccola città dove aveva studiato. Ripercorre le difficili condizioni economiche della famiglia, i contrasti tra i genitori, le ambizioni della madre e le sue proprie che lo portavano ad isolarsi e ad immaginare un mondo, una vita soltanto suoi. Ora deve constatare che niente di quanto sperato era avvenuto e tutto era rimasto come prima.
Nel terzo racconto, L’espansione accelerata dell’universo, il vecchio Martin Fairchild pensa di non dover mai finire, di essere escluso dalla morte e non crede nelle moderne teorie astronomiche che prevedono la fine dell’universo a causa della sua “espansione accelerata”. L’idea di fine non è sua e sconvolto rimane di fronte alla morte della madre. Cerca, recupera quanto di lei, oggetti, immagini, è rimasto credendo di far continuare con essi la sua vita. Così fa pure con quel che della sua casa, della sua famiglia era stato rifiutato perché vecchio, inutile. Nella rimessa dove era stato accantonato, a contatto con i mobili, gli attrezzi disusati egli ritrova il suo passato, non lo fa finire.
Nell’ultimo racconto, Bicchiere pieno, un ottantenne che ha fatto diversi mestieri, ha avuto diverse esperienze e diverse residenze, ricorda i momenti che nella vita gli sono sembrati i migliori, che ha vissuto con maggiore intensità compreso quello recente del “bicchiere pieno” d’acqua che beve la sera d’un fiato per ingoiare le diverse pillole che ha messo in bocca e con le quali cura i suoi malanni. In questo e in altri momenti precedenti si ritrova e per quelli soltanto gli sembra di essere vissuto visto che nient’altro è riuscito a colmare le sue aspettative.
Di vite che non si sono completate scrive Updike in questi racconti e nelle altre narrazioni, di tempi che sono trascorsi senza concedere niente alle aspirazioni, di esistenze rimaste sospese tra quanto hanno avuto e quanto avrebbero voluto. E ovunque scopre che così è stato, ovunque giunge a vedere scontenti e volontà di recuperare il passato quasi fosse l’unico elemento sicuro, l’unica fase certa della vita poiché ancora lontana da quel futuro che l’avrebbe delusa. Una dimensione quotidiana è quella vissuta dai suoi personaggi, da essa, dai suoi modi, dai suoi luoghi avrebbero voluto staccarsi.
Pur nella vita di ogni giorno c’è un aspetto nascosto, pur persone comuni hanno segrete ambizioni: Updike le coglie, coglie quanto di quella vita rimane sconosciuto, non realizzato, dice dei problemi dello spirito e questo fa diventare opere di letteratura le sue narrazioni.
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