Uno sfregio al sacro rito della Maturità
di Giovanni Fioravanti
Non sono capace di celebrare l’esame di “Stato” né tanto meno quello di “Maturità” come il ministro Valditara promette di tornare a chiamarlo. Non amo i riti di passaggio che considero una esclusiva tribale. Non mi piacciono gli adulti che stabiliscono cosa sia positivo o negativo per i giovani, che sentenziano che mettersi alla prova aiuta a formare alla vita.
Specie se questi adulti politicamente e professionalmente si occupano di scuola e non hanno alcun pudore nel manifestare la loro mancanza di equilibrio e di razionalità nel relazionarsi con le condotte, per loro sempre sorprendenti, dei giovani.
Persistono nell’assurda reazione di punire l’impegno nell’apprendimento a causa di un comportamento riprovevole, inaugurata con l’introduzione del cinque in condotta e della conseguente bocciatura.
Ti castigo nell’apprendimento dove invece meriteresti, anziché a conseguenza dei tuoi comportamenti per i quali hai demeritato, finendo per penalizzare una buona condotta al posto di quella oggetto di riprovazione. In questo modo gli adulti educatori della scuola riescono a toccare il vertice dell’assurdità, pretendendo semmai che i giovani poi comprendano la lezione impartita. Ti avvilisco, non riconosco le tue capacità, i tuoi risultati, ti umilio, ti abbasso, ti faccio ripetere l’anno, come se questo potesse migliorare il tuo comportamento anziché inasprirlo, con quale nesso logico resta inesorabilmente inspiegato.
Su tutto prevale la sindrome del peccato da espiare, il valore morale della pena, l’annullarti, il cancellarti, insieme alla più eclatante irrazionalità di sommare le mele con le pere.
Così, anziché il rigore razionale che la scuola dovrebbe praticare come luogo di istruzione, si persiste senza vergogna un’inquietante irrazionalità anche di fronte allo studente che si rifiuta di rispondere all’orale dell’esame di Stato perché lo ritiene uno strumento inadeguato a valutarlo.
E il ministro non esita a rassicurare che dal prossimo anno chi ancora osasse farlo sarà bocciato a prescindere dagli esiti del suo percorso scolastico.
Ancora una volta ci si ostina convinti a punire la preparazione dello studente, il suo impegno nello studio anziché la condotta per le conseguenze che, a detta del stesso ministro, consisterebbero nella mancanza di rispetto verso l’autorità dell’istituzione, rappresentata dalla commissione esaminatrice, e in una manifestazione inaccettabile di indisciplina.
Tutto ciò nonostante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, DPR 24 giugno 1998, n. 249, all’articolo 4, comma 3 prescriva che “Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto”.
Se il non rispondere all’orale dell’esame già di per sé comporta non poter sommare altro punteggio a quello già totalizzato per effetto del proprio curricolo, dei crediti acquisiti e della valutazione delle prove scritte, quale altra conseguenza deve essere pagata?
Solo chi è ispirato dalla logica che un affronto va lavato con il sangue dell’avversario può pensare ad una punizione esemplare, di fronte a una condotta del resto già contemplata dalla normativa e che attiene alla libera determinazione del candidato o della candidata.
Ed è sempre il DPR richiamato che al comma 4 dell’articolo citato recita: “In nessun caso può essere sanzionata, né direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità”.
Allora qui entra in causa la suscettibilità degli adulti che di fronte al silenzio o alle ragioni del candidato si sentirebbero sminuiti, “lesi nella loro personalità”, offrendo un terreno su cui sarebbe il caso di cogliere l’opportunità di riflettere seriamente, anziché lasciarsi andare a comportamenti irrazionali, scavando un baratro tra adulti e giovani generazioni che per di più giungono all’esame di stato già maggiorenni.
Deve trattarsi di un virus che affligge la nostra scuola quello di punire i suoi studenti sul profitto a causa della loro condotta. Ricordate il caso di Daniele Doronzo, 17 anni di Barletta? Studente brillante, ma che dal punto di vista del comportamento lasciava a desiderare e che i suoi insegnanti punirono con un sette in condotta e soprattutto abbassandogli il voto in fisica dove eccelleva, impedendogli così di anticipare l’esame di Stato e mettendo a rischio il suo sogno di andare al Cern.
Ma sull’obiettivo di raddrizzarti la schiena per la tua insolenza, ancora una volta prevale l’irrazionalità per effetto della paura che una condotta disdicevole possa restare impunita.
È un segno di debolezza imporre l’autorità attraverso il meccanismo della punizione anziché come effetto dell’autorevolezza dell’istituzione per la sua significatività, è evidente a tutti che, nel caso della scuola, luogo di apprendimento, di formazione e di pretesa educazione, è una solenne dichiarazione di fallimento.
Così, invece di interrogarsi sullo stato del nostro sistema scolastico, ormai fuori dal tempo, soprattutto fuori dal tempo presente e futuro dei giovani che pretenderebbe di formare, si spara al piccione, si colpisce il più debole, precludendo ogni dialogo, ogni atteggiamento di riflessione da parte dell’istituzione stessa.
Come in una sorta di crociata contro gli eretici e l’eresia si starnazza alla dissacrazione dell’ufficio celebrativo, alla condotta sacrilega di quattro giovani che hanno avuto l’ardire di osare di mettere in discussione il sacro rito dell’esame di Stato, che adulti immaturi ora vorrebbero riportare a strumento di valutazione della “maturità” delle giovani generazioni. Semmai brandendo la Costituzione che all’articolo 33 prescrive l’esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi, dimenticando che lo stesso comma non ha impedito a suo tempo che si procedesse all’abolizione dell’esame di quinta elementare e, ancora prima, quello di ammissione nel passaggio da un ordine scolastico all’altro.
Ma a colpire l’opinione pubblica è lo scoop che la stampa ha fatto dando risonanza alla lesa maestà dell’esame di Stato, anziché denunciare la preoccupante inadeguatezza, per tacere d’altro, di quanti a cui questo paese ha affidato le sorti del suo sistema formativo.