Cittadinanza e Costituzione: a che punto siamo?

Cittadinanza e Costituzione: a che punto siamo?

di Giancarlo Cerini[1]

 

Istruire per la cittadinanza

Si è svolto nei giorni 27 e 28 settembre 2018, a Firenze, il seminario nazionale del MIUR dedicato ai temi dell’educazione alla cittadinanza nel primo ciclo. L’iniziativa fa parte del trittico che il Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni realizzerà nel corso dell’anno scolastico 2018-19 in collaborazione con reti di scuole[2]. I temi si riferiscono a “Cittadinanza e Costituzione”, “Cittadinanza e digitale”, “Cittadinanza e Sostenibilità” e vogliono riattualizzare nuclei pedagogici già presenti nelle Indicazioni Nazionali (DM 254/2012) così come sono stati rilanciati nel documento del MIUR su “Indicazioni nazionali e nuovi scenari” (primavera 2018) [3].

Ma quali sono stati gli esiti di questo primo seminario? Come ne esce la scuola di base nel suo impegno per assicurare a tutti gli allievi una efficace educazione alla cittadinanza?

 

La resilienza della scuola di base

La scuola di base italiana, quella che va dalla scuola dell’infanzia fino ai 14 anni, rappresenta una grande rete sociale e culturale, di incontri, di lavoro quotidiano, di relazioni di fiducia. Le tante, piccole e grandi scuole (oltre 35.000 sedi: 13.326 scuole dell’infanzia, 14.960 scuole primarie, 7.229 scuole secondarie di I grado, cui si devono aggiungere le 11.097 scuole paritarie del primo ciclo) rappresentano un patrimonio prezioso per l’intero paese. La scuola di base è “resiliente”. Anche quando fuori le parole correnti sembrano diverse, quando prevalgono il risentimento, la richiesta di protezione difensiva, la chiusura, la scuola italiana continua ad accogliere, accompagnare, integrare. E’ un grande luogo di pacificazione sociale (C.Scurati), di contatto tra generazioni e culture (allievi e insegnanti, ma anche genitori), per capire e affrontare insieme trasformazioni che sembrano più grandi di noi, che ci tolgono sicurezza e identità. La globalizzazione ci trascina anywhere, mentre noi vorremmo essere somewhere (M.Lazar).

La scuola come spazio pubblico per costruire coesione e sicurezza non è “buonismo”, ma un rigoroso compito culturale e pedagogico, di natura costituzionale:

  • 3 – La Repubblica rimuove gli ostacoli che si frappongono alla piena uguaglianza tra i cittadini…;
  • 34 – La Scuola è aperta a tutti…

Nel DNA della scuola italiana questi principi fondamentali sono molto solidi e trovano conferma anche nelle pagine dei documenti ufficiali, in questo caso nelle Indicazioni/2012, ma ad un livello ben più alto nella Costituzione.

 

Il richiamo alla Costituzione

Di fronte ad un compito così gravoso, la scuola non è solo; o meglio, non può essere lasciata sola. Ci sono delle fonti giuridiche che le danno una mano. E’ una scuola secondo Costituzione, una Carta da interpretare nella sua dinamica evolutiva, come documento che guarda al futuro perché costruito su valori forti, tra di loro diversi eppure fondativi della nostra identità. La nostra Costituzione afferma diritti universali della persona, diritti di libertà, di rispetto delle diversità, di autonomia dei soggetti individuali e sociali; ma richiama anche ai doveri di solidarietà, di impegno e responsabilità sociale, di costruzione del bene comune, di gestione del conflitto.

C’è una “pedagogia della Costituzione” che richiede di far vivere la Costituzione nella vita delle classi, nei quartieri, nelle città.

 

La scuola del curricolo

Questo disegno costituzionale, per non restare una petizione di principio, ha bisogno di cultura, di strumenti, di professionalità, di buone esperienze; è dunque questione di curricolo. Significa fornire gli strumenti, gli alfabeti cognitivi, emotivi e sociali affinché la cittadinanza attiva possa muovere i suoi primi passi anche grazie alla scuola, una esperienza che non può essere banale, ma che deve lasciare un segno nella vita delle persone. Passare da suddito a cittadino: alla fine dell’ottocento si chiedeva “pane e grammatica”. Quale sarà il pane e grammatica per il terzo millennio?

Non possiamo considerare i progetti di educazione alla cittadinanza come una bolla d’aria, la sospensione di un curricolo che magari procede con i suoi ritmi accademici. Fare curricolo tenendo il punto fermo sulla cittadinanza, facendola diventare lo “sfondo integratore” (cfr. Nuovi scenari, 2018) [4], non significa seguire un generico approccio olistico, ma uscire dalla logica dei progetti e dei percorsi per “far bene” le discipline, mettere in rilievo il loro valore formativo, che troviamo più esplicito nelle premesse delle diverse discipline, piuttosto che nelle tavole dei traguardi e degli obiettivi.

Non è solo un problema di didattiche partecipate, innovative, dialogate, operative, costruttive. Questioni importanti, ma questo lessico va comunque ripulito, per riscoprirne gli elementi fondamentali, che rimandano alla capacità del docente di promuovere il buon apprendimento.

E’ piuttosto questione di senso: ogni disciplina presenta un campo semantico e sintattico, che offre qualcosa di diverso e significativo: conoscenze, abilità, strumenti per capire la realtà; per pensare, ragionare, confrontare, scegliere, ipotizzare, verificare… In questa prospettiva possiamo ancora essere “bruneriani”[5], comprendere il valore antropologico dei saperi, come discipline dal volto umano, che acquistano senso attraverso discorsi e narrazioni condivise tra grandi e piccoli.

 

Le competenze, non in superficie

Quello sulle competenze non può diventare un dibattito stucchevole, un lessico di superficie utile per scrivere documenti politicamente corretti (PTOF, PdM, ecc.). Il concetto è un costrutto che dà valore profondo al buon apprendimento, quello sicuro degli alfabeti di base (ivi compresi i ruvidi richiamo di un linguista come F.Sabatini alla “sicura padronanza del gesto grafico della scrittura”), che vanno mesi alla prova in situazioni significative, per non rimanere natura morta.

Le competenze non sono, dunque, una precoce anticipazione di capacità operative, funzionali al lavoro e all’occupabilità, ma riguardano il modo di pensare, le persone, i valori[6]. Anche la recente revisione delle competenze chiave europee (maggio 2018)[7] può essere interpretata in questa chiave: non un algido e tecnocratico elenco di abilità, ma il sale della cittadinanza europea. Sì perché c’è un’Europa della cultura, della società aperta, della coesione sociale, dei diritti, molto più affascinante di quella dei parametri e dei vincoli economici. Si diventa cittadini europei (e oggi planetari) se si condividono, anche attraverso l’istruzione, l’arte, i musei, le cattedrali, i viali, gli opifici della nostra “cara e vecchia” Europa.

 

La saggezza professionale

C’è una condizione per inverare tutto ciò da parte dei docenti: vivere l’esperienza dell’insegnamento con curiosità, passione, professionalità, empatia, nella scoperta della relazione educativa “maieutica” e dei modi più efficaci dell’insegnare ad apprendere.

La saggezza professionale è frutto di un lavoro collaborativo, di ricerca, di scambio, di autoformazione. E allora le riforme? Nei casi migliori le novità legislative, come le Indicazioni per il primo ciclo (2012), le nuove modalità di certificazione (2015), i temi forti della cittadinanza, del digitale e della sostenibilità (2018), possono diventare uno stimolo per questo indispensabile lavorìo nel “cantiere aperto” della scuola. E’ l’obiettivo che si è dato il Comitato Scientifico Nazionale per le indicazioni, fin dalla sua costituzione nel 2013 e che si è via via arricchita di suggerimenti e orientamenti per le attività di ricerca delle scuole, la formazione in servizio, la documentazione delle buone esperienze, fino alla recente CM 16616 del 25 settembre 2018, che rilancia azioni sull’intero territorio nazionale, anche attraverso la strategia dei convegni nazionali. Non si tratta di eventi puramente celebrativi, ma di seminari ove mettere a confronto attraverso work-shop e momenti di scambio le esperienze delle scuole e le riflessioni degli esperti, per costruire una cultura condivisa dell’innovazione[8].

 

Come andrà a finire?

Il compito del Comitato Scientifica Nazionale (CSN), dopo un sessennio, si concluderà nell’estate del 2019. L’obiettivo che la norma gli attribuisce è quello (ambizioso) di contribuire al miglioramento della qualità dell’insegnamento, attraverso azioni di ricerca, formazione, documentazione, anche nel rapporto con le associazioni professionali degli insegnanti. Al termine di questo percorso, il CSN potrebbe rilasciare un memorandum in cui inserire le questioni aperte, di evoluzione ed eventuale adattamento delle Indicazioni del 2012. Quel testo appare del tutto attuale ed in grado di essere generativo di una buona didattica, tuttavia lo scenario si sta rapidamente modificando e potrebbe essere utile puntualizzare nuove esigenze, nel dialogo aperto con il mondo della scuola. In fondo, l’arte della “manutenzione”[9] è molto più convincente ed efficace degli effimeri cambiamenti. Due sono le questioni che si stanno imponendo all’attenzione dell’opinione pubblica (e non solo degli operatori scolastici): il tema dell’educazione alla cittadinanza e la presenza pervasiva del digitale nell’esperienza delle giovani generazioni.

Per far fronte a queste emergenze, spesso si auspica l’inserimento di nuove discipline nel nostro ordinamento, con un pacchetto di ore assicurato, una specifica valutazione e, forse, una cattedra per un docente “specializzato” nel settore. Una prospettiva assai impervia, visto il carattere già bulimico dei nostri curricoli scolastici. E’ pur vero che proposte in tal senso sono state depositate in Parlamento (con riferimento all’educazione civica e alla cittadinanza) ed una è alla ricerca di firme “popolari” per il suo inoltro alle Camere.

Sulla cittadinanza e sul digitale, due dovrebbero essere i rischi da evitare: sia quello di trasformare i due insegnamenti in due materie, alla stregua di tutte le altre, con il rischio di vanificarne l’impatto formativo; sia quello di rifugiarsi in un evanescente approccio trasversale (un po’ di cittadinanza e di digitale in tutte le discipline) con il rischio della marginalità e dell’occasionalità.

I due saperi dovrebbero essere ben evidenziati e strutturati, anche con un loro statuto epistemologico, in un quadro cogente di obiettivi formativi, di indicazioni metodologiche, di possibili contenuti da esplorare, in una ottica di curricolo verticale.[10] Ma il loro concreto insegnamento dovrebbe essere affidato ai team docenti delle diverse classi, attraverso una precisa assunzione di responsabilità che individui – anno scolastico per anno scolastico – i temi da approfondire, il tempo destinato ad essi, l’assegnazione a uno o, meglio, più docenti (con competenze e motivazioni appropriate) la gestione delle attività didattiche relative, le modalità di valutazione. Si tratterebbe di una scelta fortemente innovativa.

In questa prospettiva si potrebbe così tener fermo il principio che la migliore cittadinanza è l’attitudine all’apprendimento permanente e quindi la padronanza delle competenze chiave; ma anche che c’è bisogno di affrontare contenuti specifici (ad esempio, la conoscenza “viva” della nostra Costituzione) che fanno parte della nostra storia e della nostra identità civile e sociale.

 


[1] L’articolo di G.Cerini sarà pubblicato nel numero monografico di Rivista dell’istruzione, n. 6/2018, novembre-dicembre 2018, dedicato ai temi dell’educazione alla cittadinanza, con interventi di Flick, Corradini, Mion, Casadei, Bortone, Da RE, Marostica, Pedrizzi, Sarfatti, Siena e altri,

[2] Informazioni e documenti circa le iniziative del Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni si trovano nel sito dedicato: http://www.indicazioninazionali.it/

[3] G.Cerini, Tra cittadinanza e Costituzione… le competenze chiave, in “Scuola7.it”, n. 94, 18 giugno 2018.

[4] Il documento, unitamente a numerosi commenti, è pubblicato in G.Cerini, S.Loiero, M.Spinosi, Le competenze chiave per la cittadinanza, Tecnodid, Napoli, 2018.

[5] G.Fioravanti, Rileggendo Bruner. Saggi per la mano sinistra, in “Rivista dell’istruzione”, n. 5, settembre-ottobre 2018, Maggioli, Rimini.

[6] Fondazione Agnelli, a cura di Luciano Benadusi e Stefano Molina, Le competenze. Una mappa per orientarsi, Il Mulino, Bologna, 2018.

[7] F.Marostica, Le nuove competenze chiave europee, in “Scuola7.it”, n. 92, 4 giugno 2018, Tecnodid.

[8] I seminari nazionali svolti tra il 2014 ed il 2018 sono stati sei: Abano Terme, San Benedetto del Tronto, Bologna, Rovereto, Vibo Valentia, Firenze. Uno di questi (Bologna, 2015) è stato dedicato alla scuola dell’infanzia: MIUR-CSN, Infanzia e oltre. Indicazioni per il curricolo e identità della scuola dell’infanzia, USR ER, Tecnodid, Napoli, 2017.

[9] G.Cerini, Una manutenzione straordinaria per le Indicazioni, in “Scuola7.it”, n. 79, 26 febbraio 2018, Tecnodid.

[10] Ci riferiamo alla proposta elaborata per le scuole della Repubblica di San Marino (2018), nel cui quadro curricolare rinnovato appaiono le aree della competenza di cittadinanza e della competenza digitale. Segreteria di Stato Istruzione e Cultura, Una scuola per le ragazze e i ragazzi che avranno 20 anni nel 2030. Linee Guida per i nuovi curricoli, Repubblica di San Marino, 2017. I curricoli sono poi stati resi definitivi nel corso del 2018.

Contratti pubblici: forse ci sono i soldi per impedire il taglio degli stipendi

da La Tecnica della Scuola

Contratti pubblici: forse ci sono i soldi per impedire il taglio degli stipendi
Di Reginaldo Palermo

In poco meno di 48 ore la questione degli stipendi dei dipendenti pubblici è stata risolta, stando almeno a quanto dichiarato sia dal ministro Marco Bussetti sia dallo stesso vice-presidente Luigi Di Maio.

La questione dell’ “elemento perequativo”

L’elemento perequativo che scadrà a dicembre 2018 e che ha consentito agli stipendi più bassi di essere aumentati di 80-85 euro lordi rispetto a quelli previsti dal precedente contratto nazionale verrà confermato anche per il 2019.
In un primo momento pareva che la conferma dovesse valere solo per la scuola grazie a risorse da recuperarsi all’interno dello stesso comparto, per esempio con una riduzione delle spese per l’alternanza scuola-lavoro o dell’importo del bonus della carta del docente o ancora con la cancellazione definitiva degli stanziamenti per il cosiddetto “bonus premiale”.
Quasi certamente, però, una soluzione del genere non sarebbe stata accettabile per le organizzazioni sindacali che richiedono che la misura riguardi tutto il pubblico impiego con risorse “fresche” e non con tagli al bilancio dei rispettivi ministeri.

Servono 7-800 milioni di euro

Il fatto è che, per garantire il risultato, i soldi necessari sono tanti: a conti fatti ci vogliono almeno 300 milioni di euro per la sola scuola e 7-800 milioni per l’intero comparto pubblico.
Ma, nelle ultime ore, il vicepresidente Di Maio ha assicurato che nella legge di bilancio è previsto un apposito stanziamento per affrontare il problema.
Difficile, però, che i sindacati si accontentino perché questo significa comunque lasciare irrisolta la questione del rinnovo dei contratti nazionali che scadono il prossimo 31 dicembre.
Nel mese di aprile, quando venne siglato il CCNL della scuola, i sindacati dichiararono che si trattava di un “contratto ponte” che sarebbe dovuto servire per far ripartire una nuova stagione contrattuale.
A tutt’oggi non risulta che nella legge di bilancio siano state inserite risorse per i nuovi contratti; nella migliore delle ipotesi ci saranno forse i soldi per evitare che gli stipendi diminuiscano.
Ma per averne la certezza è bene aspettare di leggere il testo del disegno di legge che il Governo dovrà depositare in Parlamento nei prossimi giorni.

Pensioni, il Miur promette tempi rapidi per circolare su dimissioni dal servizio

da La Tecnica della Scuola

Pensioni, il Miur promette tempi rapidi per circolare su dimissioni dal servizio
Di Andrea Carlino

Durante l’informativa del 9 ottobre tra Miur, Inps e sindacati, il ministero ha comunicato alle parti di aver inviato all’Ente di previdenza l’elenco dei lavoratori della scuola nati dal 1952 al 1957 e si è, anche, impegnato a predisporre una circolare con l’Inps, per stabilire le date sia per la presentazione delle domande, prevedendo un anticipo rispetto allo scorso anno, sia per la verifica dei requisiti da parte dell’ente.

L’Amministrazione si è dichiarata disponibile a rivedere il sistema informatico e ha invitato le organizzazioni sindacali ad inviare proposte.

Requisiti per andare in pensione

Il 4 aprile 2018 l’Inps ha pubblicato la circolare n.62 che fissa l’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita.

Ad oggi, è bene ricordare, dal 1° gennaio 2019, quindi, si andrà in pensione più tardi.

  • pensione di vecchiaia: da 66 anni a 7 mesi a 67 anni per tutti. L’anzianità contributiva richiesta sarà sempre pari a 20 anni;
  • pensione di vecchiaia contributiva: da 70 anni e 7 mesi a 71 anni di età. L’anzianità contributiva sarà sempre di 5 anni;
  • pensione anticipata contributiva: da 63 anni e 7 mesi di età a 64 anni. L’anzianità contributiva resta pari a 20 anni;
  • pensione anticipata uomini: da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e 3 mesi;
  • pensione anticipata donne: da 41 anni e 10 mesi si passerà a 42 anni e 3 mesi;
  • pensione anticipata lavoratori precoci passa da 41 anni a 41 anni e 5 mesi di anzianità contributiva.

Salve le categorie usuranti

L’aumento dell’età pensionabile, però, non sarà valido per tutti. Ci sono delle categorie di lavoratori, infatti, che potranno accedere alla pensione di vecchiaia all’età di 66 anni e 7 mesi, purché però abbiano maturato un’anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni (e non 20).

Si tratta dei lavoratori che per almeno metà della abbiano svolto un’attività considerata usurante, tra cui ricordiamo gli insegnanti della scuola dell’infanzia, cioè i lavoratori che lavorano nel sistema integrato 0-6.

La categorie dei lavoratori inserite tra quelle usuranti, dunque, sono:
  • operai dell’industria estrattiva,
  • operai dell’edilizia e della manutenzione degli edifici,
  • conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni,
  • conciatori di pelli e pellicce,
  • conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante,
  • conduttori di mezzi pesanti e camion,
  • personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni,
  • addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza,
  • insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori degli asili nido,
  • facchini e addetti allo spostamento merci,
  • personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia,
  • operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti,
  • operai agricoli,
  • marittimi, pescatori
  • operai siderurgici di seconda fusione.

Risulta indispensabile ricordare, che non basta avere svolto un lavoro usurante per ottenere la pensione anticipata, ma bisogna avere un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e avere 61 anni e 7 mesi.

Inoltre tali lavoratori devono avere almeno sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa, compreso l’anno di maturazione dei requisiti, per le pensioni che hanno decorrenza entro il 31 dicembre 2017 e almeno la metà della vita lavorativa per le pensioni con decorrenza dall’1 gennaio 2018 in avanti.

Il governo Conte, però, punta a modifiche del sistema.

Ecco un riepilogo in tema di previdenza:

QUOTA 100 si potrà andare in pensione a 62 anni avendo però almeno 38 anni di contributi. Il numero minimo di contributi sarà lo stesso anche a un’età più avanzata, quindi se si esce a 66 anni e 38 anni di contributi lo si farà con quota 104. La quota sarà ancora più alta se si sono maturati più anni di contributi ma non abbastanza per accedere alla pensione anticipata. Si potrà arrivare a 109 se si hanno quasi 67 anni di età e quasi 42 e 10 mesi di contributi.

PENSIONE VECCHIAIA: si andrà a riposo con 67 anni di età e minimo 20 di contributi, così come previsto attualmente per il 2019, ma si studia il blocco dell’aspettativa di vita per gli anni successivi (invece di rivedere l’età ogni due anni collegandolo alla speranza di vita).

PENSIONE ANTICIPATA: l’accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall’età anagrafica sarà possibile anche l’anno prossimo con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne) senza ulteriori incrementi della speranza di vita. Si studia però l’abbassamento a 42 anni (41 per le donne) anche se sarà difficile che l’opzione passi.

APE SOCIALE: la misura del precedente Governo per un reddito ponte per gli over 63 in condizione di bisogno (disoccupati con almeno 30 anni di contributi, lavoratori con lavori gravosi, tra i quali figurano anche le operatrici dei nidi e le maestre della scuola d’infanzia, però con almeno 36 anni di contributi) che sarebbe scaduta a fine anno sarà prorogata fino alla fine del 2021.

OPZIONE DONNA: Si lavora all’estensione della cosiddetta “opzione donna” ma il requisito iniziale (oltre alla finestra di un anno e all’aspettativa di vita) dovrebbe aumentare di un anno passando da 57 a 58 anni (59 per le autonome). Di fatto la possibilità di uscire ricalcolando tutti i propri contributi con il metodo contributivo sfiorerà per le lavoratrici dipendenti i 60 anni (58 anni, più un anno di finestra mobile più sette mesi di aumento di aspettativa di vita) avendo almeno 35 anni di contributi.