Nota di aggiornamento al DEF e Alternanza scuola-lavoro

Nota di aggiornamento al DEF e Alternanza scuola-lavoro: passi in avanti ma ancora molto da fare

Roma, 8 ottobre – La Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2018 prevede una serie di interventi in tema di Alternanza scuola-lavoro che si aggiungono al già deciso rinvio di un anno dell’obbligo dell’effettuazione del monte ore previsto dalla Legge 107 ai fini dell’ammissione agli esami di stato conclusivi della scuola secondaria di II grado.

Nel particolare: viene ridefinito il monte ore globale, che precedentemente era fissato in 400 ore negli Istituti Tecnici e Professionali e 200 nei Licei, in base al percorso didattico.

Vengono ridefiniti i documenti tecnici di accompagnamento all’attuazione delle attività di Alternanza secondo l’orientamento della valorizzazione delle competenze trasversali.

Viene prevista una coerenza tra l’attività di Alternanza e il percorso di apprendimento.

Si tratta certamente di interventi che vanno nella giusta direzione e che sono il frutto anche della forte mobilitazione contro questa misura cardine dalla Legge 107 che ha visto tra i protagonisti la nostra Organizzazione e il movimento degli studenti. Tuttavia riteniamo che essi non siano ancora sufficienti.

E’ necessario intervenire sulla Legge 107/15 soprattutto riguardo le finalità dell’alternanza, che non possono certamente riguardare il tema dell’occupabilità. Occorre eliminare definitivamente, e non solo rinviare di un anno, l’obbligo difrequenza del monte ore per l’accesso all’esame di stato. E’ necessario affermare con nettezza che l’ASL deve restare nella piena prerogativa gestionale delle autonomie scolastiche che devono definirne tempi, durata, modalità di svolgimento, in cooperazione con i soggetti esterni. Occorre individuare meccanismi certi ed esigibili in tema di sicurezza, affidabilità, correttezza di tali soggetti.

Solo un intervento organico su questa materia può riportare serenità nelle scuole italiane in cui l’Alternanza della 107 si è abbattuta come un autentico “tsunami” e in questo senso, la battaglia della FLC CGIL continuerà senza sosta.

Scuola-lavoro, alternanza dimezzata Si torna indietro di almeno 15 anni

da Il Sole 24 Ore

Scuola-lavoro, alternanza dimezzata Si torna indietro di almeno 15 anni

di Claudio Tucci

Almeno 90 ore di alternanza scuola-lavoro per gli studenti dell’ultimo triennio dei licei, tutti gli indirizzi dal classico allo scientifico (meno della metà visto che oggi l’obbligo per i liceali è di 200 ore). Asticella minima più alta per i periti degli istituti tecnici: 150 ore complessive da distribuire nelle classi terze, quarta e quinta, al posto delle attuali 400. Le stesse dei professionali che scenderebbero invece a 180, sempre nell’ultimo triennio. A prevederlo è il restyling della formazione on the job che il ministero dell’Istruzione sta studiando per “smussare” l’obbligatorietà prevista dalla “Buona Scuola” del 2015. E che, se confermato, riporterebbe l’Italia indietro di 15 anni. Al 2003 quando è stata introdotta in via sperimentale e consisteva in media in 96 ore dalla terza superiore in su.

Le modifiche in vista

Le novità dovrebbero confluire in una norma da inserire in legge di bilancio, su cui l’ultima parola spetterà al Parlamento. Accanto alla revisione del numero minimo di ore in vista c’è anche la correzione della Carta con i diritti e doveri degli studenti: un regolamento ministeriale potrebbe rivedere gli aspetti “più marcatamente lavoristici” e burocratici, per garantire che l’esperienza formativa resti in una cornice coerente maggiormente in linea con il percorso didattico e con specifica finalità di orientamento. Concetti ripetuti a più riprese, in queste settimane, dal ministro Marco Bussetti (anche su Facebook, parlando direttamente con gli studenti). Non dovrebbero essere in discussione, spending review permettendo, i finanziamenti: 100 milioni l’anno, strutturali, più altri 100 milioni di fondi Ue, una tantum, per le best practice.

Le conferme

A giugno 2019 è confermato che l’alternanza non costituirà requisito d’accesso all’esame di Stato, e probabilmente non si dovrà neppure portare la tesina durante il colloquio. Fermi restando i nuovi tetti sarà confermata la flessibilità organizzativa offerta dall’autonomia scolastica. Ciascun istituto potrà proseguire a offrire ai ragazzi percorsi on the job superiori alle “nuove” 90, 150, 180 ore obbligatorie, e fuori dall’orario scolastico (estero, estate, vacanze di Natale e Pasqua). Già oggi, del resto, gli istituti tecnici superano ampiamente le 100 ore. «L’obiettivo è avere, da Milano a Palermo, esperienze di scuola-lavoro di assoluta qualità e coerenza con il percorso di formazione svolto in classe dallo studente – spiega Carmela Palumbo, cap dipartimento Istruzione del Miur -. L’alternanza non è un contratto di lavoro, come l’apprendistato, e deve quindi avere una finalità squisitamente orientativa».

Il tema è delicato. I primi tre anni di obbligatorietà dell’alternanza hanno mostrato luci e ombre. Dalla meccanica alla chimica, dal tessile al farmaceutico, sono migliaia i progetti di formazione “on the job” eccellenti. Certo, per le scuole è stata una mini-rivoluzione e non sono mancati i ragazzi che la scuola-lavoro l’hanno sentita solo raccontare (per gli ostacoli messi da professori e burocrazia). Al momento le imprese sembrano spiazzate: «Serve buon senso da parte dell’esecutivo – incalza il vice presidente di Confindustria per il Capitale umano, Gianni Brugnoli -. Per le aziende l’alternanza non è, e non è mai stata uno strumento per sostituire lavoratori semmai per affascinare i giovani. Per questo l’idea di ridurre le ore, specie nei tecnici, non ci convince. Si penalizza la possibilità, sia per i docenti che per gli studenti, di conoscere l’impresa. E conoscere aiuta a scegliere. La manifattura ha bisogno di quasi 300mila tecnici nei prossimi anni. Se il legame scuola-azienda si indebolisce, il rischio è rendere incolmabile questo gap».

La scuola prima vittima dei tagli 100 milioni in meno, sale la protesta

da la Repubblica

La scuola prima vittima dei tagli 100 milioni in meno, sale la protesta

La rabbia dei sindacati: servono fondi per il contratto. E i precari della ricerca scendono in piazza

Corrado Zunino

L’istruzione torna bancomat per altri ministeri, altre riforme. Nelle penultime stagioni — da Berlusconi IV a Letta — scuola e università con i loro 56 miliardi di euro di bilancio annuale sono state oggetto di diverse spending review. Ora, ai tempi del governo gialloverde, subiscono nuovi tagli che, per ammissione dello stesso ministero, « potranno contribuire a finanziare le altre importanti misure annunciate dal Governo». Gli uffici di Viale Trastevere calcolano, alla fine degli aggiustamenti, una perdita di 100 milioni di euro.

Sessantacinque milioni vale il forte ridimensionamento della cosiddetta Alternanza scuola lavoro. Inaugurata con la Legge 107 di Renzi- Giannini, prevede per gli studenti del triennio superiore un periodo scolastico trascorso in un’azienda, un ente no profit, un museo. Il ministro Marco Bussetti, che da provveditore di Milano definiva l’Alternanza “un’ottima legge”, ha deciso di abbattere le ore previste obbligatoriamente: erano 200 per i licei, 400 per gli istituti tecnici e 400 per i professionali. La “quota minima” ora chiesta alle scuole è meno della metà: 90 ore per gli studenti liceali, 150 per i ragazzi dei tecnici, 180 per gli iscritti al professionale.

La riduzione oraria partirà dall’anno scolastico 2019- 2020. Il ministro dell’Istruzione assicura: «Ogni scuola potrà, autonomamente, aumentare il numero di ore dedicate all’Alternanza » . E gradisce sottolineare: « Questo non è un taglio al settore scolastico, ma un risparmio, conseguenza di un cambiamento annunciato da tempo. Potrà essere reinvestito nel settore scolastico o contribuire a finanziare le altre misure del Governo » . Altre misure. Il reddito di cittadinanza, per esempio. L’ex sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi, patrocinatore storico dell’Alternanza, commenta: « Mettere meno risorse sull’Alternanza scuola lavoro vuol dire semplicemente farla peggio».

Gli altri 35 milioni di risparmi arriveranno, dicono al Miur, « da fondi non spesi » . E comunque destinati ad attività scolastiche. Il pacchetto di governo scuola-università prevede — qui siamo ancora al livello del Documento di economia e finanza (Def) e di promesse nelle interviste — l’allargamento della no tax area per gli universitari non abbienti, l’aumento dei fondi di finanziamento per atenei ed enti di ricerca e, in quest’ultimo caso, risorse aggiuntive per assumere ricercatori precari.

Il viceministro Lorenzo Fioramonti ha confermato che i nuovi fondi per la ricerca saranno vincolati alla stabilizzazione di duemila precari, ma già la precedente Finanziaria ne aveva tirati dentro 727 nel 2018 e annunciati 1.500 per il 2019. Non si vedono sostanziali passi in avanti. Sul salario accessorio per i ricercatori ( voci aggiuntive sulla busta paga) Fioramonti ammette, poi: « La norma è stata dichiarata inammissibile nel Decreto dignità, dovremo riproporla».

La Cgil denuncia: non ci sono soldi per il nuovo contratto della scuola. Il vecchio, appena rinnovato, scade a dicembre. Scrive la Federazione lavoratori della conoscenza: « Nel Def, in una manovra da 21 miliardi, non vi sono neanche le risorse per garantire il potere d’acquisto delle retribuzioni rispetto all’inflazione » . Piuttosto è scritto che i redditi da lavoro dipendente della pubblica amministrazione si ridurranno dello 0,4 per cento, in media, nel 2020- 2021. Anief, sindacato vicino al Movimento 5 Stelle, sottolinea: « Solo per salvaguardare gli stipendi di 1,3 milioni di docenti e amministrativi servirebbero 4 miliardi ». Non se ne parla.

Nel peggior avvio dell’anno scolastico dai tempi della Gelmini, con 32 mila mancati ruoli su 57.322 assunzioni, il ministro Bussetti si è fatta imporre da Matteo Salvini il teorico del sovranismo di governo, Giuseppe Valditara, alla guida dell’università. Valditara da senatore di Alleanza nazionale accompagnò tutto il percorso della riforma Gelmini con i suoi tagli (solo al Fondo ordinario) di quasi un miliardo.

Sui gruppi social, gli stessi che fecero crescere l’onda anti- Renzi a partire proprio dall’approvazione della ” Buona scuola”, si scorgono le prime retromarce degli elettori del Movimento 5 Stelle: « Avevate promesso più soldi a scuola e università » . La prossima settimana sono previste due manifestazioni nazionali contro la manovra: mercoledì 10 i precari degli enti di ricerca, venerdì 12 gli studenti.

Docenti dipendenti regionali e non più statali

da La Tecnica della Scuola

Docenti dipendenti regionali e non più statali
Di Reginaldo Palermo

“Tra pochi giorni, probabilmente il 22 ottobre, il Consiglio dei ministri varerà il disegno di legge sull’autonomia del Veneto, cui seguirà a breve quello della Lombardia, dell’Emilia Romagna e di altri territori del centro e del Nord”: lo annuncia, sulla propria pagina Facebook, Enrico Panini, assessore al Bilancio, al Lavoro e alle Attività Produttive del Comune di Napoli e già segretario della Cgil-Scuola dal 1998 al 2004 e della Flc-Cgil dal 2004 al 2008.
“Le materie di cui si parla nell’autonomia – aggiunge Panini – sono 23, troppe anche solo per elencarle. Ma una sola è decisiva: l’istruzione. La scuola italiana insomma da funzione statale diventerà a breve una funzione regionale, al pari degli orari dei mercati rionali”.
“Programmi scolastici, organizzazione, assunzioni e trasferimenti – spiega l’assessore – saranno solo locali. Nessuno potrà impedire a un aspirante insegnante di partecipare in quanto cittadino europeo a un concorso in Veneto, ma quell’insegnante dovrà sapere che è stato assunto dalla Regione Veneto e potrà chiedere di trasferirsi da Padova a Treviso, ma non potrà lasciare il Veneto se non dimettendosi e partecipando a un nuovo concorso regionale”.

Il Master Plan del Governo Prodi

Per la verità di regionalizzazione dell’istruzione si parla da almeno 15 anni e cioè dall’indomani dell’entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001.
E già all’epoca del Governo Prodi del 2006/2008 era stato aperto un tavolo di confronto fra Stato e Regioni che aveva dato vita ad un Master Plan che era giunto ad un buon livello di elaborazione e di condivisione.

La legge delle Regione Veneto prevede tra l’altro:
a) l’ottimale governo, la programmazione, inclusa la programmazione dell’offerta formativa e della rete scolastica, compresi l’orientamento scolastico, la disciplina dei percorsi di alternanza scuola-lavoro e la programmazione dell’offerta formativa;
b) la regionalizzazione dei fondi statali per il sostegno del diritto allo studio e del diritto allo studio universitario;
c) la regionalizzazione del personale della scuola, compreso il personale dell’ufficio scolastico regionale e delle sue articolazioni a livello provinciale.

Dal Governo: i tempi saranno lunghi

Da ambienti governativi si getta acqua sul fuoco e si lascia intendere che il progetto c’è (riguarderebbe non solo il Veneto ma anche la Lombardia e l’Emilia-Romagna) ma che la sua realizzazione non è affatto imminente, anche perché, per andare avanti su questa strada è necessario che le due forze di Governo trovino un’intesa.
E’ invece ormai certo che a breve il Parlamento sarà chiamato ad esaminare un disegno di legge del senatore leghista Mario Pittoni in materia di “domicilio professionale”: per partecipare al concorso in una determinata regione sarà necessario eleggere il proprio domicilio professionale esattamente in quella regione con un vincolo di permanenza per un certo periodo di tempo.

Contratto: il Governo del cambiamento vuole ridurre gli stipendi

Contratto: il Governo del cambiamento vuole ridurre gli stipendi

Per gli interventi nei settori della conoscenza, la nota di aggiornamento del DEF (Documento economia e finanza) licenziato dal Governo non prevede nuove risorse nella prossima legge di bilancio del 2019 e neppure per il prossimo triennio.

Un arrampicarsi sugli specchi per dire che, se si potrà, si interverrà su questo o quel segmento ma senza alcuna spesa. La ormai famosa locuzione che imperversa nei documenti ministeriali, “nell’ambito delle risorse previste a legislazione vigente”, viene ripetuta ossessivamente ad ogni manifestazione di buoni propositi: per incrementare l’inclusione, per aumentare il tempo pieno e prolungato nelle scuole, il diritto allo studio, la crescita professionale del personale e così via.

È particolarmente grave che il “Governo del cambiamento” non abbia previsto risorse contrattuali per la crescita dei salari dei dipendenti pubblici. Anzi, si dimentica perfino di fare cenno alle risorse per l’assegno perequativo che, nel contratto 2016-2018, ha consentito la salvaguardia salariale delle fasce stipendiali più basse.

Per i lavoratori della pubblica amministrazione e della conoscenza, dunque, si prevede una riduzione degli stipendi, ma noi saremo in campo per rivendicare un vero cambiamento già nella legge di stabilità.