Scacco alla scuola

Scacco alla scuola

di Maurizio Tiriticco 

Nonostante le perplessità espresse da tante parti della scuola, l’amministrazione uscente ci ha voluto regalare il pacchetto “valutazione di sistema”. Non ripeto tutte le osservazioni fortemente critiche che sono state formulate da associazioni di categoria, sindacati, movimenti politici e non, e tanti tanti insegnanti. Mi limito soltanto a sottolineare fortemente l’errore metodologico che caratterizza l’iniziativa. La valutazione è un’operazione estremamente seria e complessa, che investe soggetti, oggetti e procedure diverse. Il suo esercizio nasce da una vera e propria disciplina di ricerca che, però, nel nostro Paese e nella nostra scuola è sempre stata affrontata con il massimo della improvvisazione, per non dire addirittura ignorata. Il che ha una sua precisa origine storica.

Quando, dopo l’Unità nazionale, provvedemmo alla diffusione dell’insegnamento elementare obbligatorio almeno per le prime due classi, non potevamo guardare troppo per il sottile, stante la necessità che le abilità minime del leggere, scrivere e far di conto, a fronte di un analfabetismo dell’80% della popolazione, diventassero, nel giro di qualche decennio un consolidato patrimonio nazionale. Occorreva creare uno Stato con un’amministrazione diffusa sul territorio, dai ministeri alle prefetture; occorreva anche formare dei quadri tecnici per avviare la nostra rivoluzione industriale. E così procedemmo per decenni fino al secondo dopoguerra! E per valutazione si intendeva soltanto l’attribuzione ai nostri alunni dei dieci fatidici voti: che poi con i più e con i meno diventarono e sono tuttora, molto più di dieci!

Ci rendemmo conto dell’assoluta insufficienza di questa procedura valutativa scorretta e casareccia soltanto quando nel ’62 innalzammo l’obbligo di istruzione da cinque ad otto anni! E ce ne rendemmo conto perché, con le procedure valutative di sempre, fioccavano solo le bocciature e non avremmo mai promosso cultura e conoscenze in una popolazione che ormai diveniva sempre più esigente a fronte di un “miracolo economico” che ci collocava tra i Paesi avanzati.

Ci rendemmo conto della insufficienza dei voti e delle pagelle e nel ’77 avemmo il coraggio di sostituirli in tutta la fascia dell’obbligo di istruzione con il sistema dei giudizi e delle schede di valutazione. E fu anche necessario adottare quella “valutazione di criterio”, per la quale non valgono tanto le conoscenze in astratto, che possono anche essere ripetitive nozioni, quanto quelle concrete abilità che conoscenze veramente acquisite consentono. Il che da un lato costituì un nuovo modo di fare scuola in tutta la fascia dell’obbligo, dall’altro permetteva di dare l’avvio ad una vera e propria “cultura della valutazione” che investisse contestualmente non solo le scuole e gli insegnanti, ma anche gli stessi organi di governo della scuola. In tale direzione si muovevano anche quei “decreti delegati” del ’74 che intendevano avviare un rinnovamento profondo di tutta la gestione del sistema di istruzione e della sua valutazione. E i programmi del ’79 della scuola media, quelli dell’85 della scuola elementare e gli Orientamenti del ’91 della scuola dell’infanzia andavano tutti in quella direzione.

Furono anni in cui imparammo che la valutazione è una disciplina… che si chiama docimologia! Che comunque rinvia pur sempre ad altre discipline e circolavano i testi di Noll, o di Bacher o di Reuchlin, o di Mialaret, o dei De Landsheere, dei nostri Gattullo, Pontecorvo, Vertecchi, Visalberghi, Domenici, Pellerey, Calonghi. E, con un pizzico di vanità, mi ci metto anch’io! Capimmo che la valutazione non è solo quella conclusiva, che c’è una valutazione iniziale e una formativa e che non si può insegnare se non in relazione a un progetto, la programmazione educativa e didattica. Insomma, una temperie di ricerca e di sperimentazione investì tutta la fascia dell’obbligo e una serie di sperimentazioni interessò anche il secondo grado di istruzione. E il concetto stesso di valutazione si ampliò fino a chiederci: chi valuta chi valuta? E’ l’interrogativo che conduce direttamente al concetto di valutazione di sistema. Ma…

Dopodiché il diluvio! Quello slancio in avanti verso un nuovo modo di “fare scuola”, che implicava una nuova didattica, una nuova organizzazione, un’amministrazione diversa, una diversa politica scolastica è andato via via scemando. Così, mentre da un lato con il lento ma inarrestabile processo dell’autonomia si venivano attribuendo alle istituzioni scolastiche poteri e responsabilità sempre nuovi, dall’altro l’amministrazione si andava liberando di compiti che solo con un ampio e convinto respiro nazionale poteva affrontare con successo. Non è sufficiente scrivere all’articolo 4, c. 4 del Regolamento sull’autonomia – siamo nel ’99 – che “le istituzioni scolastiche … individuano le modalità e i criteri di valutazione degli alunni… nel rispetto della normativa nazionale e i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati”. Non è sufficiente, dal momento che le modalità e i criteri di valutazione degli alunni discendono – e devono discendere – da una cultura della valutazione diffusa e condivisa da scuole e insegnanti. Se poi leggiamo l’articolo 10 del suddetto Regolamento, constatiamo che il Ministero fissa metodi e scadenze per la verifica degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio; e affida questo compito al Cede, oggi Invalsi. E non si tratta forse di due articoli che rivoluzionano tutto ciò che fino ad allora abbiamo saputo e fatto in materia di valutazione?

Si tratta di impegni affidati in parte alle istituzioni scolastiche, in parte assunti anche dall’Amministrazione! E di un rilievo tale che non sarebbero mai stati soddisfatti se non con un avvio serio, rigoroso e diffuso su tutta la materia della valutazione: un salto di qualità non indifferente! Che avrebbe dovuto impegnare seriamente l’Amministrazione a preparare se stessa, in primo luogo, quindi istituzioni scolastiche e insegnanti. Saremmo dovuti crescere tutti insieme sulla via di una cultura della valutazione, ineludibile per il buon funzionamento di un “Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione”. Ma ciò non si è fatto! Dimenticanza? Disattenzione? Ignoranza? Nessuna sensibilità da parte di chi ha governato il Paese negli ultimi 12 anni! Anzi! Una serie di provvedimenti che via via hanno costantemente umiliato la scuola, i suoi insegnanti e i suoi studenti! Basti pensare all’insensato ritorno ai voti! Quale migliore esempio di crassa ignoranza in materia di valutazione?

Nel vuoto culturale in cui la scuola è stata gettata, adesso le si chiede di farsi valutare? D’accordo! Ma allora occorre in primo luogo un impegnativo giro di boa! Investiamo risorse sulla scuola! Con diffuse attività di formazione continua in servizio su come si apprende, su come si misurano, si valutano e si certificano processi e prodotti. In primo luogo si restituisca dignità a un corpo professionale offeso! E, quando gli sarà stata restituita la sua dignità, sarà esso stesso a pretendere di essere valutato… per migliorare e ottimizzare le proprie prestazioni… sempre!

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