12 gennaio Accoglienza studenti stranieri in Italia

Il 12 gennaio 2011 la 7a Commissione della Camera approva un documento conclusivo relativo all’indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano.

Indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

1. Premesse.

La VII Commissione, cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, intendendo approfondire le complesse problematiche connesse all’accoglienza di alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano, ha deliberato in data 5 maggio 2009 lo svolgimento di una specifica indagine conoscitiva, volta ad approfondire le principali problematiche connesse alla materia.

Sulla base del programma deliberato dalla Commissione, si è inteso così svolgere una profonda e documentata riflessione sulla presenza di studenti immigrati o di figli di immigrati nella scuola italiana; studenti che ormai da diversi anni rappresentano per il sistema scolastico nazionale una realtà costante e rilevante, soprattutto in alcune regioni della penisola. Anche se la percentuale di alunni con cittadinanza non italiana, circa 630.000, secondo le stime del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al dicembre 2009, non rappresenta una percentuale altissima rispetto ad altri Paesi europei, un grande impatto ha avuto in Italia l’aumento consistente di circa 70.000 alunni all’anno, registratosi nell’ultimo quinquennio, soprattutto perché l’aumento si è concentrato in alcune scuole e territori. La VII Commissione cultura, scienza ed istruzione ha ritenuto che fossero maturi i tempi per svolgere un’indagine conoscitiva che tenesse conto delle cifre e delle attuali problematiche ma anche degli sviluppi possibili, partendo dal presupposto che la scuola è il primo luogo per l’integrazione, la coesione sociale e la formazione dei cittadini futuri. L’indagine conoscitiva ha mirato ad acquisire un’obiettiva e completa conoscenza del fenomeno da parte del Parlamento in modo che la conseguente attività legislativa e ispettiva sia suffragata da competenze specifiche e non improvvisate ai fini dell’attività di indirizzo che le Camere sono tenute a dare al Governo.

In relazione alle audizioni svolte, e in considerazione degli elementi emersi nel corso dell’indagine, è stato quindi ritenuto necessario procedere a successive proroghe del termine per la sua conclusione, avvenuta il 31 marzo 2010.

L’indagine si è articolata in un numero consistente di audizioni, con la partecipazione di numerosi soggetti interessati all’applicazione della normativa relativa all’inserimento degli alunni stranieri nelle scuole italiane; un’ampia gamma di rappresentanti del settore, di diversa estrazione professionale e nazionalità, con una specifica e acclarata competenza in materia. L’indagine conoscitiva, che ha avuto quindi la durata di circa sei mesi, si è articolata, tra il secondo semestre del 2009 ed il marzo 2010, in sette sedute, per un totale di 7 ore e 20 minuti, con l’audizione di oltre venti soggetti diversi. Durante l’indagine sono stati auditi, in particolare: docenti universitari di sociologia dell’educazione e pedagogia; rappresentanti di centri e associazioni interculturali; rappresentanti dell’UPI e dell’ANCI; il Capo Dipartimento per la programmazione del Ministero dell’istruzione, università e ricerca; assessori competenti di enti locali; docenti e dirigenti scolastici; rappresentanti dei mediatori culturali e delle associazioni degli immigrati in Italia, quali Associna, Associazione Age extra, Associazione Rete G2 seconde generazioni e la Federazione Romanì; rappresentanti dell’Unicef – Italia nonché il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati.

Le considerazioni emerse nel corso delle audizioni hanno permesso di approfondire e sviluppare gli obiettivi che la Commissione cultura della Camera dei deputati ha inteso realizzare con lo svolgimento dell’indagine.

2. Obiettivi dell’indagine.

L’indagine conoscitiva ha voluto quindi approfondire innanzitutto i seguenti aspetti: analisi del fenomeno immigratorio nel sistema scolastico del Paese; studio delle modalità e delle condizioni di accoglienza dei minori stranieri, in particolare laddove la loro numerica incidenza o l’arrivo ad anno scolastico avanzato rischi di rallentare i Piani dell’offerta formativa e di modificare le modalità di attuazione, definiti dai consigli di classe; presupposti per la realizzazione di un progetto scolastico consolidato per alunni non italofoni, come esistente in altri Paesi, sulla base di quanto indicato dall’indagine Eurydice sui bisogni educativi speciali 2004. Si è inteso altresì verificare la possibilità di realizzare ottime pratiche di accoglienza, spesso in rete con enti locali, università e privato sociale, attraverso la messa in circuito di informazioni e dati a beneficio dell’intero sistema scolastico italiano, nonché conoscere le modalità praticate per l’accoglienza degli alunni immigrati, comprese le iniziative volte a far apprendere la lingua italiana come seconda lingua. Sono quindi state verificate le possibili ricadute sulla problematica, in presenza della riduzione dei docenti nell’anno scolastico 2009/2010, e sulla presenza di un unico docente nelle scuole primarie, soprattutto negli istituti scolastici che hanno accolto per la prima volta alunni non italofoni. Altre problematiche sono state quelle connesse alla formazione di dirigenti scolastici, docenti e tecnici, in merito agli aspetti specifici affrontati dall’indagine; il confronto con le politiche scolastiche adottate da altri Paesi dell’Unione europea che hanno già affrontato da tempo le criticità e le opportunità legate alla scuola multiculturale di oggi, in modo da trarre profitto dalle buone pratiche messe in opera dagli altri Paesi, evitando di ripetere errori già fatti; la rilevanza dei curricula che, in tempi di globalizzazione, devono avere l’obiettivo di educare una generazione pienamente inserita nella vita civile e culturale del proprio luogo di vita e, contemporaneamente, capace di vivere una cittadinanza più ampia.

L’indagine conoscitiva ha avuto innanzitutto l’obiettivo di fotografare la realtà esistente nell’ambito del sistema scolastico nazionale, con riferimento al fenomeno indicato. In base alle ultime elaborazioni di dati svolte nel dicembre 2009 dal Servizio Statistico del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Direzione Generale per gli Studi e la Programmazione e per i Sistemi Informativi, è emerso infatti che l’incremento maggiore di presenze di alunni stranieri si è registrato nella scuola dell’infanzia (12,7 per cento), seguito da quello della scuola secondaria di primo grado (10, 8) e da quello di secondo grado (9,3 per cento); nella scuola primaria invece l’incremento registrato è stato minore (7,6 per cento). Dal confronto con gli iscritti stranieri degli ultimi due anni, si è rilevato inoltre che il costante aumento è stato rallentato, visto che nell’anno scolastico 2007-2008 l’incremento era stato del 14,5 per cento, contro il 9,6 per cento registrato nel periodo 2008-2009.

La presenza degli alunni stranieri è quindi un dato strutturale del sistema scolastico italiano, facendo registrare un’incidenza pari al 7 per cento del totale degli studenti, con un valore assoluto di 629.360 unità, rispetto ad una popolazione scolastica complessiva di 8.945.978 unità. È aumentato così, in tutti gli ordini di scuola, anche il fenomeno degli alunni stranieri nati in Italia, che hanno superato nel periodo 2008-2009 le duecentomila unità, con un incremento percentuale di 17 punti rispetto all’anno precedente. Il 26,2 per cento delle scuole peraltro ancora non rileva la presenza di alunni stranieri: in circa il 47 per cento dei casi, infatti, la consistenza del fenomeno raggiunge il 10 per cento degli iscritti, mentre solo il 2,8 per cento delle scuole presenta un numero di studenti stranieri superiore al 30 per cento degli iscritti. Si riscontra inoltre che circa il 18 per cento delle istituzioni scolastiche ha una presenza straniera compresa tra l’11 e il 20 per cento, mentre nell’82,7 per cento degli istituti di secondo grado la percentuale di studenti non italiani è inferiore al 20 per cento. L’indagine ha avuto modo di confermare inoltre che a livello nazionale è ormai consolidata la maggior presenza degli studenti con cittadinanza rumena, che ha raggiunto il 16,8 per cento del totale degli alunni stranieri, pari a 105.682. La Romania, insieme ad Albania e Marocco, contribuiscono inoltre per circa il 45 per cento al totale del contingente degli alunni stranieri. Un discorso a parte è invece quello relativo agli studenti di etnia cinese, con una presenza addensata in alcune precise aree, con tipologie comportamentali diverse dagli altri alunni stranieri.

Sulla base degli elementi emersi nel corso delle audizioni del 4 novembre 2009 e di quelle successive è quindi scaturita l’esigenza di verificare come le singole istituzioni scolastiche abbiano fino ad oggi affrontato autonomamente il tema.

3. Il quadro normativo di riferimento in sintesi.

L’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione cultura della Camera ha dovuto tenere conto del complesso quadro normativo di riferimento che nel corso degli anni si è arricchito di fonti normative interne e esterne, a tutti i livelli legislativi.

3.1. Riferimenti normativi internazionali e nazionali in generale.

Sul piano generale, la normativa di interesse relativa al settore specifico può partire a livello internazionale dalla Dichiarazione Universale per i Diritti Umani del 1948, firmata dall’Italia nel 1955, che all’articolo 26 prevede che: «ogni individuo ha diritto all’istruzione…», nonché dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia del 1989, firmata dall’Italia nel 1991, che agli articoli 28 e 29 vincola gli Stati a garantire l’istruzione primaria, obbligatoria e gratuita, con caratteristiche tali da sviluppare le capacità di ogni bambino.

Anche i riferimenti normativi nazionali in materia sono molteplici e si sono sviluppati in un arco temporale ormai ventennale. Nel 1989, anno in cui viene costituito per la prima volta un gruppo di lavoro per l’inserimento degli alunni stranieri nella scuola dell’obbligo, si hanno le prime due importanti circolari sul tema, la n. 301 dell’8 settembre 1989 e la n. 205 del 26 luglio 1990, aventi ad oggetto, rispettivamente, l’«Inserimento degli stranieri nella scuola dell’obbligo: promozione e coordinamento delle iniziative per l’esercizio del diritto allo studio» e «La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri: l’educazione interculturale». Proprio questo ultimo documento introduce per la prima volta il concetto di educazione interculturale, intesa come la forma più alta e globale di prevenzione e contrasto del razzismo e di ogni forma di intolleranza. Con la circolare ministeriale n. 73 del 2 marzo 1994, inoltre, si interviene anche sulle discipline e sui programmi, rivisti alla luce della dimensione interculturale. Si fa riferimento anche all’utilità di biblioteche e scaffali multiculturali nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche; all’editoria per ragazzi; all’importanza di strumenti didattici adeguati, come i libri bilingue e plurilingue, tutti argomenti trattati nel corso dell’indagine. Una delle ultime circolari in merito, prima della circolare del Ministro dell’istruzione, università e ricerca, del gennaio 2010, risale al 26 novembre 2008 e tratta delle «Misure incentivanti per le aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica», preceduta dalla visione complessiva sulla normativa offerta dalla Circolare n. 24 del 1o marzo 2006 recante le «Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri», che fornisce un quadro riassuntivo di azioni e misure finalizzate all’inserimento degli alunni stranieri. Più volte, si è fatto riferimento in questo provvedimento, che ha soprattutto finalità pratiche, all’offerta di un minimo comune denominatore operativo, concreto, ricavato dalle buone pratiche delle scuole e da proporre a tutto il sistema scolastico. La circolare n. 24, già citata nel programma dell’indagine conoscitiva, è stata ripresa nell’audizione del 4 novembre 2009 ed in particolare in quella del 4 febbraio 2010.

Occorre inoltre ricordare il Testo unico sull’immigrazione, decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, il cui articolo 38 specifica che i minori stranieri presenti sul territorio italiano sono soggetti all’obbligo scolastico. Ad essi, si applicano pertanto tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi e di partecipazione alla vita scolastica, senza distinzione tra minori regolari o irregolari, come pure tra minori i cui genitori dispongono o meno del permesso di soggiorno. L’obbligo scolastico deve pertanto ritenersi vigente per tutti i minori presenti sul territorio nazionale. Successivamente il Regolamento di attuazione del Testo unico, decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1999 n. 394, all’articolo 45 dispone che i minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all’istruzione, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani, indipendentemente dalla regolarità del loro soggiorno. In sintesi, l’articolo 45 prevede per i minori stranieri l’iscrizione in qualunque periodo dell’anno; l’iscrizione con riserva per minori stranieri privi di documentazione, che non pregiudica il conseguimento dei titoli di studio delle scuole di ogni ordine e grado; l’iscrizione alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il Collegio dei docenti deliberi altrimenti in base all’ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell’alunno/a; l’accertamento delle competenze dell’alunno/a, del corso di studi eventualmente seguito dall’alunno/a nel Paese di provenienza e del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno stesso; di evitare la composizione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri. Da ultimo, sempre l’articolo 45 dispone l’adattamento dei programmi di insegnamento.

«La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri» è dunque l’ultimo documento organico dal Ministero dell’istruzione, università e ricerca che affronta in modo molto articolato le problematiche relative all’inserimento degli alunni stranieri nelle scuole italiane. Il documento, pubblicato nell’ottobre 2007, è stato redatto dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, istituito nel dicembre 2006 dal Ministero della pubblica istruzione e coordinato dall’allora sottosegretario Letizia De Torre. Il titolo del documento riunisce in modo programmatico due dimensioni irrinunciabili e speculari: l’intercultura, che coinvolge tutti gli alunni e tutte le discipline e che attraversa i saperi e gli stili di apprendimento; l’integrazione che rappresenta l’insieme delle misure e delle azioni specifiche per l’accoglienza e gli apprendimenti linguistici, in particolare per alunni di nuova immigrazione. Il documento è suddiviso in due parti: i principi, ovvero l’universalismo, la scuola comune, la centralità della persona in relazione con l’altro, l’intercultura e le azioni. Si tratta in particolare di 10 azioni che hanno caratterizzato il modello di integrazione interculturale italiano e che possono ancora esprimere potenzialità se accompagnate da un serio impegno di competenza, di continuità, di valutazione e miglioramento. Le azioni da adottare, indicate nel documento sono, in particolare: 1) pratiche di accoglienza e d’inserimento nella scuola; 2) italiano seconda lingua; 3) valorizzazione del plurilinguismo; 4) relazione con le famiglie straniere e orientamento; 5) relazioni a scuola e nel tempo extrascolastico; 6) interventi sulle discriminazioni e sui pregiudizi; 7) prospettive interculturali nei saperi e nelle competenze; 8) l’autonomia e le reti tra istituzioni scolastiche, società civile e territorio; 9) il ruolo dei dirigenti scolastici; 10) il ruolo dei docenti e del personale non scolastico. È da sottolineare che due di queste azioni, in particolare, erano state attivate e accompagnate da risorse economiche: la formazione dei dirigenti scolastici, a partire dalle scuole a forte concentrazioni di alunni stranieri, attraverso la realizzazione di una serie di seminari nazionali svolti a Rimini, nel maggio 2007, a Torino, nel novembre 2007 e a Milano, ad aprile 2008. Come è scritto in particolare nel documento: «Si rende indispensabile una formazione dei dirigenti mirata anche ad accrescere specifiche competenze gestionali e relazionali, sia interne alla scuola (dispositivi di accoglienza e promozione dell’inclusione, laboratori linguistici, procedure amministrative e di valutazione), sia esterne (rapporti con le altre scuole, gli enti locali, le risorse del territorio)».

3.2 Una specifica riflessione sulla Circolare ministeriale n. 2 dell’8 gennaio 2010.

Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha inviato, nel gennaio 2010, a tutte le scuole una circolare contenente «indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana». Con la circolare, si sono volute quindi fornire indicazioni sull’accoglienza e sull’assegnazione alle classi degli alunni stranieri. In particolare, la circolare ha previsto che il Ministero assegnerà apposite risorse finanziarie destinate agli interventi di sostegno alle scuole per l’inserimento di bambini stranieri e ulteriori finanziamenti saranno previsti per le scuole dei territori con alta presenza di cittadini stranieri. Si ribadisce che i minori stranieri sono soggetti all’obbligo d’istruzione e che le modalità di iscrizione alle scuole italiane seguono i modi e le condizioni previste per i minori italiani. Per evitare concentrazioni di iscrizioni di alunni stranieri si dovranno realizzare accordi di rete tra le scuole e gli enti locali. Gli Uffici scolastici regionali, d’intesa con gli enti territoriali, comunque, potranno autonomamente definire quanti bambini stranieri per classe si potranno iscrivere alle scuole del proprio territorio. Le iscrizioni di minori non italiani non dovranno superare il 30 per cento degli iscritti e in particolare: il numero degli alunni stranieri presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30 per cento del totale degli iscritti, quale esito di un’equilibrata distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana tra istituti dello stesso territorio; il limite del 30 per cento entrerà in vigore dall’anno scolastico 2010-2011, in modo graduale. Si prevede, infatti, che tale ultimo limite verrà introdotto, a partire dalle classi prime sia della scuola primaria, sia della scuola secondaria di I e II grado, ma potrà essere innalzato – con determinazione del Direttore generale dell’ufficio scolastico regionale – a fronte della presenza di alunni stranieri, come frequentemente accade nel caso di quelli nati in Italia e già in possesso delle adeguate competenze linguistiche. Il citato limite del 30 per cento potrà invece essere ridotto, sempre con determinazione del Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, a fronte della presenza di alunni stranieri che dimostrino all’atto dell’iscrizione una padronanza della lingua italiana, ancora inadeguata a una compiuta partecipazione all’attività didattica, e comunque a fronte di particolari e documentate complessità.

Altro elemento fondamentale per l’integrazione degli alunni stranieri è il potenziamento della lingua italiana, indispensabile per poter andare di pari passo negli studi con i compagni di scuola italiani. Il regolamento di riordino del I ciclo prevede, infatti, che nella scuola secondaria di I grado (scuola media) una quota di ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria possa essere utilizzata per potenziare l’italiano per gli alunni stranieri. L’assegnazione degli alunni non italiani nelle classi è autonomamente decisa dalle scuole che dovranno, comunque, procedere ad un accertamento delle competenze e dei livelli di preparazione dell’alunno per assegnarlo, di conseguenza, alla classe definitiva che potrà essere inferiore alla classe corrispondente all’età anagrafica. Le scuole comunque possono prevedere che l’inserimento in una classe di un alunno straniero sia preceduto o accompagnato da una prima fase di approfondimento della conoscenza linguistica finalizzata ad un inserimento efficace dell’alunno nella classe stessa. Per migliorare la conoscenza della lingua italiana possono essere inoltre organizzati corsi di potenziamento tenuti, ove possibile, dagli insegnanti della scuola stessa. Per questo, nelle attività di formazione degli insegnanti, è opportuno riservare particolare attenzione alle metodologie di intervento e alle misure organizzative e didattiche di sostegno all’integrazione. La circolare dell’8 gennaio 2010 citata, dunque, non deve essere intesa come una protezione degli italiani dal rischio stranieri, ma come uno strumento di programmazione. Le indicazioni volte a non concentrare gli alunni stranieri per classe erano d’altra parte già presenti nel 1989, nel 1999 con il decreto del Presidente della Repubblica n. 394, e successivamente nel 2006. Le scuole, compiendo interventi flessibili, possono, quindi, e anzi devono gestire i flussi facendo prevalere il criterio della scolarità, tenendo presente la storia scolastica e personale dei ragazzi da inserire. Non risultano invece, allo stato, ancora disponibili i dati relativi alle iscrizioni 2010/2011 che risulterebbero peraltro di interesse ai fini di una loro comparazione con i dati indicati.

4. Il fenomeno della presenza dei minori stranieri nella scuola italiana.

Dall’indagine conoscitiva sono emerse innanzitutto situazioni di esperienze in merito all’accoglienza scolastica di alunni stranieri molto diversificate e frammentate all’interno del territorio nazionale. Una situazione più volte definita «a macchia di leopardo», in cui convivono situazioni di estrema precarietà e disagio, accanto a situazioni di buone pratiche, con punte di eccellenza. In questo quadro, la maggioranza degli auditi ha sottolineato che integrare gli alunni immigrati non è un compito speciale della scuola, ma è quello ordinario di una scuola che accetta e rispetta tutte le differenze, etniche, di età e di condizione sociale. Tale aspetto è da considerarsi molto importante, perché permette di inquadrare tutte le misure, in particolare quelle politiche, adottate in tal senso. Nel corso delle audizioni, in particolare dell’audizione dell’11 marzo 2010, è stato fatto rilevare che il problema della distribuzione, della mixed school o della mixité scolaire è all’ordine del giorno in tutti i Paesi, specialmente in quelli europei. In Francia, in Belgio o in Gran Bretagna è per esempio un argomento molto discusso e assai controverso. Come più volte sottolineato, in Italia il problema è complicato da una distribuzione degli alunni stranieri molto disomogenea e dipendente da regione a regione, da città a città, e, all’interno di queste, da scuola a scuola e da quartiere a quartiere.

Dalle audizioni effettuate – per esempio quelle di Graziella Favaro, Coordinatrice della rete dei centri interculturali italiani, o di Milena Santerini, professoressa di Pedagogia generale dell’Università cattolica di Milano, svolte rispettivamente il 4 novembre 2009 e l’11 marzo 2010 -, sono emersi diversi spunti di riflessione, alcuni riferibili al fenomeno della presenza e dell’accoglienza degli alunni stranieri nel loro complesso; altri, invece, riferibili a questioni specifiche e particolari per le quali occorrono soluzioni ad hoc. Dall’indagine è emerso che il fenomeno della presenza dei minori stranieri nella scuola italiana si configura come un fenomeno sociologico ormai stabilizzato ma, contemporaneamente, anche come un fenomeno in continuo movimento. Alcune variabili che vi si ravvisano presentano, infatti, una serie di caratteristiche ormai consolidate e riconosciute, quali la numerosità che è andata sempre crescendo in termini percentuali, e che però, pur continuando ad aumentare, in questi ultimi anni sembra registrare un rallentamento e alcune battute di arresto. Da differenti soggetti auditi – in particolare da Graziella Giovannini, Docente di sociologia presso l’Università di Bologna -, è stato fatto notare che, nonostante le diversità politiche dei vari Governi che si sono succeduti dal primo presentarsi del fenomeno migratorio ad oggi, è possibile rintracciare linee trasversali di indirizzo politico che hanno consentito di individuare una «via italiana» al fenomeno, che è quella dell’integrazione interculturale. Si è fatto osservare che la costruzione di un sistema volto all’educazione interculturale è andata avanti in modo per lo più lineare e progressivo, con indicazioni legislative disomogenee, ma non contraddittorie, le quali pur nell’alternarsi di amministrazioni politiche differenti, hanno portato avanti la prospettiva dell’educazione interculturale. A questo proposito, per esempio, la professoressa Giovannini ha sottolineato come tale prospettiva, nata come tendenza già negli anni ’90, non appare mutata nella sostanza. Infatti, è stato sottolineato che nei provvedimenti del Ministro Gelmini, laddove si individuano gli orientamenti per l’insegnamento di Costituzione e cittadinanza, si evidenzia in maniera molto precisa che il significato della formazione alla cittadinanza non può non essere sviluppata in un contesto che tenga conto delle culture di provenienza. È stata dunque ribadita la continuità degli orientamenti in materia, già espressi in periodi precedenti.

Una prima grande questione emersa in merito alla presenza degli alunni stranieri sul territorio nazionale, che ha avuto anche una grande eco sui mass media, è stata poi quella che riguarda le situazioni relative alla cosiddetta «concentrazione» e «segregazione». Questo è stato da più esperti indicato come un nodo della questione, oggetto di riflessione nella pubblica opinione e tra i più dibattuti negli ambienti politici e parlamentari. Per concentrazione si intende una presenza rilevante di bambini stranieri, talvolta anche superiore alla presenza dei bambini italiani. Al riguardo, tutte le circolari ministeriali sulle iscrizioni e le direttive hanno rilevato la necessità di mantenere l’eterogeneità all’interno dei contesti e delle scuole, giacché solo l’eterogeneità può permettere un buon dialogo interculturale e una buona integrazione. Del resto, come sottolineato da più voci – ad esempio dalla dottoressa Daniela Pompei, rappresentante della Comunità di Sant’Egidio, nella sua audizione del 17 marzo 2010, e dalla già citata professoressa Milena Santerini – le cause dell’alta concentrazione di presenza di bambini immigrati nelle scuole dell’obbligo sono riconducibili solo in parte ad un’alta presenza di famiglie immigrate nella zona dove sono gli istituti scolastici. Tra le possibili spiegazioni, non va sottovalutato infatti un processo che ha visto alcune scuole «specializzarsi» nell’accoglimento di bambini stranieri ed altre che hanno delegato e rinviato ad altri istituti l’onere del loro inserimento, ammettendo un’impreparazione al raggiungimento dell’obiettivo da realizzare.

Da più parti, poi, è stato fatto notare che sul territorio italiano si hanno alcuni casi di concentrazione per etnia, come ad esempio nella città di Prato, dove è stata svolta una specifica missione, proprio in relazione alla forte presenza della comunità cinese nel territorio. Risultano peraltro molto più numerosi i casi in cui la concentrazione coinvolge una pluralità di etnie e diverse nazionalità. Per quello che riguarda i Paesi di provenienza degli studenti stranieri accolti nelle strutture scolastiche italiane, i dati illustrati alla Commissione cultura, in particolare dalla dottoressa Graziella Favaro, coordinatrice della rete dei centri interculturali italiani, nell’audizione del 4 novembre 2009, fanno riferimento a 191 paesi. Tale ampiezza rappresenta un dato considerato unanimemente positivo in Europa. Viene infatti ritenuta maggiormente negativa la situazione in cui il complesso degli alunni seduti sui banchi di scuola provenga solamente da 2-3 contesti nazionali e geografici, mentre è sempre considerata positiva la pluralità delle provenienze. Nel corso della medesima audizione, si è evidenziato che in sede europea è considerata più negativa la situazione in cui i circa 700 alunni non italiani appartengono solo a 2 o 3 contesti.

Un’altra importante questione emersa in relazione al fenomeno generale e al numero complessivo degli studenti stranieri nelle scuole del territorio nazionale è rappresentata dai dati relativi alla presenza in Italia, per nascita o residenza, degli alunni stranieri. Si evince così che il 40 per cento degli alunni stranieri è nato in Italia, il restante 50 per cento è solo residente nel territorio nazionale, seppure da un certo numero di anni; solamente il 10 per cento, infine, è costituito invece dai cosiddetti «neoarrivati». A tale proposito, nel corso delle audizioni sono stati forniti dati relativi alla situazione corrispondente, esistente in Paesi europei da più anni interessati dal fenomeno immigratorio e dalle sue ricadute sui sistemi scolastici nazionali. Si è fatto rilevare a tale proposito che, al dicembre 2009, sono presenti nella scuola italiana circa 630.000 alunni con cittadinanza straniera, mentre il dato dell’omologa situazione francese, per lo stesso periodo, ne indica 450.000. Il dato appare esiguo rispetto alla lunga storia di immigrazione della Francia, ma ciò accade poiché la maggior parte degli alunni, pur avendo un’origine straniera, ha la cittadinanza francese, così come succede in Gran Bretagna. Ad esempio, la Francia non ha un progetto generico per gli alunni stranieri, ma ha predisposto un progetto specifico per gli Elèves nouveaux arrivants en France (ENAF); la Gran Bretagna ha realizzato inoltre un progetto analogo per i New arrivals excellence programme (NAEP). Si tratta di progetti dedicati, in cui il dato di partenza non riguarda la nazionalità ma la padronanza, l’uso e l’esercizio della lingua del Paese in cui gli alunni si trovano a vivere e a studiare. Si tratta quindi di progetti che riguardano unicamente la quota reale dei non francofoni o dei non anglofoni.

5. Alcuni temi specifici: la cittadinanza e l’apprendimento linguistico.

Le analisi offerte alla Commissione da più esperti del settore, in base anche alle pluriennali sperimentazioni sul campo, hanno consentito, quindi, di evidenziare specificatamente due problemi, ritenuti unanimemente nodali e tra loro intrecciati: la cittadinanza e l’apprendimento della lingua.

5.1 Il tema della cittadinanza.

Il quadro dell’integrazione scolastica degli alunni stranieri si interseca profondamente con quello della cittadinanza. In particolare, la legge n. 91 del 5 febbraio 1992 recante «Nuove norme sulla cittadinanza» consente a chi nasce in Italia di presentare la domanda e, quindi, di diventare cittadino alla maggiore età, mentre altri Paesi concedono tale possibilità molto prima. Nello specifico, altri Paesi europei, per esempio Francia e Gran Bretagna, stabiliscono politiche, progetti e risorse solo per quella quota di alunni definiti «neoarrivati» o non parlanti la lingua del paese di accoglienza. Da più parti si è richiamata l’attenzione della Commissione cultura della Camera dei deputati sul dato ritenuto fondamentale in base al quale, rispetto ai minori stranieri residenti in Italia – 862.453 al primo gennaio 2009 – rileva che il 60 per cento di essi, 518.700, sono nati in Italia, quindi sono stranieri solo dal punto di vista della cittadinanza formale, mentre invece sono da considerare a tutti gli effetti, come i loro coetanei, cittadini italiani. Pur registrandosi un rallentamento dell’incremento, fra alcuni anni gli alunni stranieri potrebbero essere più numerosi di quelli italiani. Un sorpasso che statistici e demografi prevedono nel 2050, che altri anticipano, e che comunque pone interrogativi sui mutamenti e sugli effetti possibili. Il tema della cittadinanza rimane quindi fondamentale e, come sottolineato da molte associazioni interculturali, molti giovani, nati in Italia, vivono questa limitazione con estremo disagio. La cittadinanza in Italia non discende dallo ius soli, ma dallo ius sanguinis, principio che sembra non favorire l’integrazione in una nuova società globalizzata. Di contro, i criteri molto restrittivi per comprovare i requisiti per l’ottenimento della cittadinanza italiana o per l’ottenimento dei documenti per il soggiorno divengono un ulteriore peso per molti giovani che ormai si sentono italiani, ma non sono riconosciuti come tali, scoraggiando la prosecuzione del percorso scolastico e d’istruzione dopo la scuola dell’obbligo.

5.2. L’apprendimento della lingua italiana: L2 come fattore di successo.

Un altro aspetto, più volte portato all’attenzione della Commissione cultura, è quello del rendimento e del successo scolastico degli alunni stranieri, legato soprattutto all’apprendimento e alle abilità d’uso della lingua del Paese di accoglienza, come conditio sine qua non per una reale integrazione. Nel corso dell’indagine, è stato fatto notare che l’apprendimento della lingua italiana da parte degli alunni stranieri costituisce la chiave per un buon inserimento scolastico e, se l’acquisizione della lingua per comunicare richiede tempi relativamente veloci e può contare sulla situazione di full immersion nell’attività scolastica quotidiana, l’italiano dello studio rappresenta una barriera più difficile da sormontare. Inoltre, per quanto riguarda l’Italia, non diversamente dall’Europa, i bambini e i ragazzi di recente immigrazione presentano risultati scolastici che si discostano da quelli dei bambini italiani, presentando un ritardo in ingresso, per cui vengono inseriti non nella classe corrispondente alla giusta età anagrafica ma in classi composte da bambini o ragazzi di età inferiore di due o tre anni, anche se la legge raccomanda di tener conto del criterio dell’età.

Tale pratica, largamente diffusa, si configura come un tratto unificante ed è praticata in tutto il territorio e per tutte le diverse etnie. Com’è stato fatto rilevare nel corso dell’audizione della dottoressa Favaro, svolta il 4 novembre 2009, operare in questo modo significa far partire gli studenti stranieri da una condizione di penalizzazione: laddove non è positivo che un ragazzino di tredici anni stia con bambini di dieci, sia ai fini delle necessarie relazioni sociali e culturali che si debbono instaurare in classe, sia per i conseguenti processi cognitivi e di apprendimento. Per un pieno inserimento è necessario, infatti, che l’alunno trascorra tutto il «tempo scuola» nel gruppo classe, fatta eccezione per progetti didattici specifici, come appunto per esempio l’apprendimento della lingua italiana. L’immersione in un contesto di seconda lingua parlata da adulti e compagni facilita l’apprendimento del linguaggio funzionale. La centralità, dunque, dell’insegnamento e dell’apprendimento della lingua italiana, in termini di rapidità dei tempi e di efficacia, finalizzata all’uso corrente e allo studio per gli alunni stranieri, è venuta alla ribalta dai lavori della Commissione come questione centrale, come una delle priorità da affrontare decisamente da parte delle istituzioni preposte. È stata da più parti ribadita la necessità di sostenere in ambito scolastico l’apprendimento della lingua italiana L2 , o lingua seconda, secondo il termine tecnico di matrice universitaria; tale azione dovrebbe essere rivolta principalmente ai minori e agli adolescenti, i cosiddetti «neo arrivati», appunto, che giungono in Italia in seguito al ricongiungimento familiare o anche allo stesso percorso di adozione internazionale.

Come è stato ricordato nel corso delle audizioni, il problema è stato affrontato dal Piano nazionale per l’insegnamento dell’Italiano Lingua Seconda, elaborato dall’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e finanziato, per un importo di 6 milioni di euro, all’interno del Programma Nazionale Scuole aperte per l’anno 2009, ai sensi della Circolare ministeriale n. 807 del 27 novembre 2008. Quest’azione è destinata in particolare agli alunni di recente immigrazione – ovvero entrati nel sistema scolastico italiano nell’ultimo anno – delle scuole secondarie di primo e secondo grado che, secondo indicatori numerici più volte ripetuti e consolidati, rappresentano il 10 per cento dei circa 630.000 alunni stranieri con cittadinanza non italiana. I destinatari del Piano L2 sono quindi gli alunni «neo arrivati» in Italia, inseriti a scuola da meno di due anni. I laboratori di apprendimento linguistico si svolgono normalmente in orario extracurriculare; sono inoltre previsti moduli estivi – da metà giugno a metà luglio – per i futuri alunni e moduli a settembre, prima dell’inizio delle lezioni, per coloro che siano arrivati dopo il mese di luglio, ma prima di tale data. L’apprendimento della lingua rappresenta uno dei problemi più drammatici per chi è di immigrazione recente, ancora di più per gli adulti che hanno maggiori difficoltà ad imparare, come hanno sottolineato i rappresentanti delle associazioni di genitori immigrati con figli inseriti nella realtà scolastica italiana – come ad esempio i rappresentanti dell’AGE extra di Fano – nel corso dell’audizione del 28 gennaio 2010. A questo proposito è stata avanzata la proposta di organizzare percorsi di apprendimento della lingua italiana per i genitori, in orari e giornate compatibili con il lavoro, che possa contemplare la partecipazione dei figli.

Per ciò che riguarda i corsi d’italiano, è stata significativa anche la testimonianza fornita dal dottor Maurizio Certini, rappresentante del Centro Internazionale studenti G. La Pira di Firenze, impegnato da oltre trent’anni in attività di didattica a giovani e adulti provenienti da tutto il mondo; centroapprezzato nel tempo dalle scuole fiorentine proprio per i percorsi di educazione alla mondialità. Di fronte al mutare della popolazione scolastica e alla presenza massiccia di alunni provenienti da altri luoghi, molti insegnanti hanno chiesto aiuto al Centro per la loro formazione. È stato così adattato il metodo sperimentato con gli adulti attraverso lo svolgimento di esperienze, dirette sul campo, e proponendo alle scuole percorsi formativi dell’italiano come, in particolare, il corso L2, rivolto ad apprendenti minori per l’approfondimento, anzitutto, della lingua di comunicazione, passaggio obbligato prima di cominciare ad operare sulla lingua di studio. Anche per tale presenza, si è osservato, vi sono situazioni, come quella di Firenze – in cui l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua per la scuola dell’obbligo è pagato totalmente dal comune – molto avanzate rispetto ad altre in cui i comuni sono totalmente assenti e le scuole versano in condizioni di difficoltà. In questo contesto, notevole importanza è stata data alla formazione dei docenti, perché solamente docenti altamente formati possono dare efficacia ai moduli di lingua, che devono essere applicati nelle scuole non in modo episodico, ma costante e regolare. La responsabile dell’area socio-pedagogica del Centro COME di Milano, la dottoressa Marina Carta Bussoli, nel corso della sua audizione del 4 febbraio 2010, ha illustrato, ad esempio, il progetto dei laboratori linguistici estivi, i primi realizzati sul territorio nazionale, costituiti grazie alla rete del privato sociale. I laboratori consistono in corsi linguistici di dopo-scuola – organizzati sia presso gli istituti, sia on-line – previsti in estate e nei primi giorni di settembre, proprio per consentire ai ragazzi stranieri «neo arrivati» di arrivare preparati all’inizio dell’anno scolastico. In tutti i casi, la maggioranza dei soggetti auditi ha sottolineato l’importanza di poter dedicare allo studio della lingua italiana un periodo strutturato secondo metodi intensivi, possibilmente prima dell’avvio delle lezioni stesse, a cui affiancare altri moduli durante i quadrimestri. Tale sforzo dovrebbe essere portato avanti con il supporto degli enti locali e con l’utilizzo di nuovi materiali didattici che facilitino anche l’autoapprendimento.

È stato più volte sottolineato, inoltre, il forte legame che esiste tra apprendimento della lingua e successo scolastico. A tal proposito, è stato fatto notare che la scuola con alte percentuali di immigrati non necessariamente si configura come scuola di serie B o che registra minori tassi di successo. Si sono ricordate recenti ricerche internazionali in materia dalle quali si rileva che Paesi come Canada, Israele o Australia – che hanno saputo coniugare alti tassi di rendimento, secondo il Programme for International Student Assessment (PISA), con alti tassi di diminuzione del coefficiente della discriminazione sociale – sono riusciti a portare avanti insieme sia il successo di tutti, sia quello delle prime e delle seconde generazioni di studenti immigrati. Tali scuole appartengono a quei Paesi che hanno investito intelligentemente nell’intercultura. Altre ricerche, come la relazione annuale della Banca d’Italia per il 2008, non indicano che gli alunni immigrati abbassano il tasso di successo o che le scuole che hanno più immigrati sono di minore qualità; sostengono, invece, che, se non si investe maggiormente nella differenziazione, ciò potrebbe accadere, creando uno squilibrio verso gli alunni stranieri non in linea con la tradizione della scuola italiana e con la storia del Paese.

6. Alcune considerazioni specifiche sulla presenza delle comunità cinesi, Rom e Sinti.

L’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione ha permesso di approfondire alcune problematiche specifiche relative all’inserimento di studenti appartenenti alle comunità cinesi, Rom e Sinti. Si è avuto modo così di approfondire le questioni particolari collegate al rapporto degli alunni appartenenti a queste comunità con il sistema scolastico nazionale.

6.1. La presenza del gruppo etnico cinese nel sistema scolastico nazionale.

Un tema assai rilevante emerso nel corso dell’indagine conoscitiva è stato quello relativo alla presenza di studenti stranieri appartenenti alla comunità cinese. L’immigrazione cinese presenta caratteri tipologici diversi rispetto a quelli di immigrati provenienti da altre nazionalità, per modalità educative e per concentrazione territoriale. Non a caso, all’approfondimento della realtà cinese sono state dedicate dalla Commissione cultura diverse audizioni. In particolare, sono stati auditi: Marco Wong, presidente di Associna, nella seduta del 28 gennaio 2010; Giorgio Silli, assessore ai rapporti con l’Unione europea, alle relazioni con il pubblico e alle politiche d’integrazione e Rita Pieri, assessore all’istruzione pubblica, università e pari opportunità, del Comune di Prato e Laura Papini, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale «P. Mascagni» di Prato, rispettivamente nelle sedute dell’11 e 17 marzo 2010. Come già ricordato, una delegazione della Commissione cultura ha d’altra parte svolto un’interessante missione a Firenze e Prato il 18 maggio 2010 – della quale la presidente della Commissione cultura, Valentina Aprea, ha dato conto nella seduta del 10 giugno 2010 – proprio allo scopo di approfondire quelle realtà.

Gli alunni stranieri di etnia cinese sono stati definiti «una realtà dentro la realtà».

La maggior parte di essi nasce in Italia, pur tuttavia i genitori, per non far dimenticare ai bambini le proprie origini, dopo il primo anno di vita – nel corso del quale i neonati spesso sono dati a baliatico anche a famiglie italiane del luogo – li riportano in patria, dai nonni, in modo che assimilino la lingua e la cultura di origine, e non la perdano più. È questa la particolarità che caratterizza la maggioranza dei bambini di origine cinese, nati in Italia. All’età di dieci, undici anni essi poi rientrano nel nostro Paese, attraverso la richiesta di ricongiungimento familiare, peraltro completamente digiuni della lingua italiana. Il loro inserimento nelle classi terza, quarta e quinta elementare o nella scuola media crea, quindi, numerosi problemi, poiché alla difficoltà linguistica si affianca il disorientmento di ritrovarsi in un ambiente a loro completamente estraneo e di essere sradicati dagli affetti familiari che avevano in Cina.

Questi ragazzi, dunque, benché nati in Italia, non compiono qui il loro percorso formativo ma lo iniziano in Cina, con tutti i problemi di apprendimento connessi alle difficoltà di inserimento in Italia. Si tratta di giovani che in Cina potevano godere di discreti tenore di vita e status sociale – soprattutto grazie alle rimesse dei genitori – e che si ritrovano invece improvvisamente in un Paese straniero, con genitori con i quali non c’è una familiarità di vita e in una situazione di scarsa considerazione sociale. Tutto ciò è alla base di numerosi abbandoni scolastici, visto che la popolazione scolastica più a rischio è rappresentata da questa tipologia di giovani cinesi che finiscono con l’isolarsi dagli altri studenti, arrivando ad esprimere talvolta anche situazioni di forte disagio sociale.

L’indagine conoscitiva ha permesso quindi di riscontrare che su queste fasce più problematiche sarebbe opportuno operare con interventi ad hoc che possano rappresentare un investimento per il futuro della società italiana. Il Comune di Prato, che è la realtà italiana maggiormente interessata al fenomeno dell’immigrazione cinese, è infatti – come ha rilevato l’assessore Silli – una delle pochissime città ad aver firmato un protocollo d’intesa con altri enti, quali la provincia e la regione, per stanziare annualmente risorse importanti per i mediatori linguistici e culturali, proprio allo scopo di assistere questi minori durante il percorso di apprendimento formativo. È stata lamentata, d’altra parte, l’esiguità dei fondi pubblici stanziati, insufficienti a dare risposte alle effettive necessità delle scuole pratesi, letteralmente sommerse da una realtà immigratoria veramente numerosa. È stato fatto notare, in questo senso, come difficilmente gli enti locali possono far fronte a tali realtà se lasciati da soli, auspicando quindi un intervento finanziario adeguato da parte dello Stato volto ad affrontare questo fenomeno migratorio estremamente rilevante.

6.2. I Rom e i Sinti.

Altra etnia, che si distacca per storia e tradizioni dal contesto generale è quella dei Rom, che necessita di tipologie e modalità di intervento specifiche, come è stato sottolineato dal signor Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione Romanì, nel corso della sua audizione del 4 febbraio 2010. Nel suo intervento, il signor Guarnieri ha infatti osservato che con l’etnia Rom si fuoriesce dal discorso più generale concernente l’immigrazione, per affrontare un tema peculiare. È stato ricordato in questo senso che dall’8 aprile 1971 – quando si tenne a Vienna il primo congresso mondiale dell’Union Romanì, l’organizzazione non governativa rappresentata all’ONU che racchiude in sé tutte le popolazioni rom – si è arrivati ad una popolazione di Rom e Sinti residente in Italia, che per il 70 per cento è costituita da cittadini italiani. Eppure, la presenza di bambini rom nella scuola italiana è, in linea generale, condizionata da stereotipi e pregiudizi che conducono, insieme ad altri fattori, al fallimento del progetto educativo, con una gestione distante dalle normali dinamiche della diversità culturale e della strategia interculturale. È stato ricordato che il bambino rom appartiene ad una cultura di tipo orale, totalmente diversa da quella italiana e presenta processi cognitivi e affettivi diversi dagli altri bambini.

Sulla base di tale assunto, si è quindi registrato l’insuccesso delle politiche a sostegno della popolazione Romanì, anche perché, è stato osservato nel corso dell’indagine, senza la partecipazione attiva, propositiva e qualificata di Rom e Sinti, ogni iniziativa è destinata al fallimento. È stato affermato, infatti, che senza un’adeguata conoscenza della cultura e dell’identità Romanì e, quindi, senza una formazione specialistica per i docenti, i processi di acculturazione e inserimento non avranno mai successo. L’insuccesso delle politiche finora adottate è stato dimostrato anche dal fenomeno dell’elevata dispersione scolastica che investe i bambini rom: una frequenza elevata, in talune situazioni pari al 100 per cento, fino alla quarta e quinta elementare, che tende invece rapidamente a diminuire successivamente fino all’abbandono totale della scuole nelle classi superiori.

È stato inoltre sottolineato che, per la scolarizzazione dei bambini rom in Italia, si è fatto molto, con diversi progetti avviati sul territorio, grazie anche alla collaborazione delle associazioni che operano nel settore e ai relativi finanziamenti provenienti dal settore privato. Si è lamentata, però, l’inefficacia di tali progetti, in quanto i risultati o sono stati insufficienti o sono mancati del tutto. È stata portata ad esempio la politica adottata al riguardo dal Comune di Roma che, da oltre 15 anni, impegna 2,5 milioni di euro all’anno per scolarizzare circa 2.000 bambini, purtroppo con risultati quasi nulli. Dopo 15 anni di progetto a questi costi, infatti, non è stato raggiunto un numero di bambini con un buon livello di scolarizzazione, tale da giustificare l’alto investimento. È stata avanzata dunque la proposta di un piano nazionale di formazione dei docenti, finora impreparati ad affrontare le problematiche legate alla cultura rom, considerandosi proprio uno dei problemi più evidentemente legati all’insuccesso scolastico dei rom. È stato sottolineato, inoltre, che occorre creare un filo diretto, costante e non episodico, tra le scuole e l’associazionismo rom e sinto in modo da facilitare l’inserimento dei bambini delle rispettive comunità nelle classi. Occorre inoltre produrre materiale didattico specifico, esperimento che ha dato buoni risultati in alcune città italiane – come Reggio Calabria o Padova – dove si sono portati i bambini rom e sinti a concludere la prima elementare, sapendo leggere e scrivere, quando, con il materiale didattico normale, il bambino non sarebbe stato in grado di leggere nemmeno in quinta elementare.

7. La valorizzazione delle origini di provenienza e il ruolo della mediazione culturale e della didattica interculturale.

L’indagine conoscitiva ha permesso di constatare come la piena integrazione degli alunni immigrati nel sistema scolastico nazionale rappresenti una delle sfide ordinarie della scuola italiana. Si tratta di una sfida che la scuola italiana può vincere, com’è già successo in passato per quella dell’integrazione degli alunni provenienti dalle regioni del Sud d’Italia che si trasferivano al Nord con le famiglie o per quella della grande scolarizzazione di massa degli anni Settanta. Integrare gli alunni immigrati non è, quindi, un compito speciale della scuola, ma è quello ordinario di una scuola che accetti e rispetti le differenze etniche, di età e di condizione sociale. Per riuscire ad ottenere una reale integrazione, soprattutto per gli studenti di seconda generazione, occorre però l’apporto, ritenuto essenziale, dei mediatori linguistico-culturali, personale prezioso da utilizzare soprattutto nella fase dell’accoglienza, ma anche come supporto a richiesta. Lo stesso rappresentante dell’ANCI, Donato Gentile, sindaco di Biella, nel corso della sua audizione del 2 dicembre 2009, ha ricordato che l’ANCI vuole invitare il Governo a creare sportelli informativi che mettano l’istituzione comunale nelle condizioni di dialogare con le famiglie di alunni stranieri, tramite la presenza qualificata di un mediatore linguistico e culturale per avere, almeno una volta al mese, uno sportello aperto presso le scuole.

Dalla rappresentante dei mediatori linguistici e culturali, la signora Ribka Sibhatu, è stata sottolineata inoltre, nel corso della sua audizione del 4 febbraio 2010, la necessità della valorizzazione della cultura e della lingua di origine, considerati fattori di accrescimento culturale per i nuovi cittadini che nel vedere valorizzata e rispettata la loro identità e la loro lingua originarie si formano come cittadini migliori, a loro volta rispettosi delle tradizioni culturale altrui e del Paese ospitante. Altro elemento, considerato importante, è il lavoro culturale da svolgere per una reale inclusione dei bambini stranieri, onde evitare una loro ghettizzazione. È stato fatto notare che spesso, lavorando nelle scuole, si tocca con mano un forte disagio dei docenti, che effettivamente si trovano a dover affrontare situazioni nuove, spesso inattese; in questo quadro, appare essenziale la figura dei mediatori culturali e linguistici. In proposito, si è fatto riferimento anche ai protocolli di accoglienza, che non possono esaurirsi nell’inserimento di un documento nel sito internet di una scuola, ma vanno interpretati come un processo condiviso da tutto il personale della scuola – compreso il personale ATA – nonché dai genitori. Il protocollo deve, quindi, necessariamente prevedere, nelle sue disposizioni, l’intervento dei mediatori culturali, intesi non come semplici traduttori, ma come un ponte fra le due culture. Queste figure possono rappresentare un valore aggiunto nello spiegare la nuova realtà che genitori e bambini stranieri devono affrontare; per i docenti, viceversa, possono essere una fonte sicura di riferimento per evitare malintesi e incomprensioni. Inoltre, è stato rilevato come le figure professionali in questione appaiano importantissime per i bambini immigrati, perché rappresentano i soggetti che parlano la loro lingua e li possono aiutare, da un punto di vista socio-affettivo e non solamente linguistico, ad affrontare l’inserimento scolastico nel migliore dei modi. La centralità di tali figure è stata ribadita da più parti, considerando anche che, a volte, una frase detta nella lingua d’origine o una filastrocca della tradizione culturale a cui appartiene il bambino, può essere più efficace, ai fini di un suo inserimento, rispetto a molti altri interventi educativi.

Al tema dei mediatori culturali va affiancata, com’è stato accennato, la questione della didattica interculturale. Nel corso dell’audizione di esperti del settore svolta dalla Commissione l’11 marzo 2010, sono stati portati ad esempio dati della regione Lombardia contenuti nella banca dei progetti relativi agli alunni stranieri immigrati. Si è notato che tra il 2002 e il 2008 vi è stato un incremento dal 32 al 62 per cento di progetti di didattica interculturale. Tuttavia, anche se l’aumento in termini percentuali è notevole, questo tipo di didattica, che ha come obiettivo quello di sviluppare i valori della tolleranza e del rispetto per la diversità culturale, richiede di essere ulteriormente implementata, soprattutto in altre regioni italiane. L’indagine conoscitiva ha permesso peraltro di evidenziare come, complementare al discorso sulla didattica interculturale, sia quello della «revisione» dei libri di testo. È stato fatto notare per esempio a questo proposito dalla professoressa Giovanna Cipollati – insegnante e ricercatrice di ANSAS Marche settore cultura, responsabile di progetti formativi per il personale della scuola della Comunità volontari per il mondo (CVM) – nel corso della medesima audizione dell’11 marzo 2010, che occorrerebbe tenere in maggior conto la complessità del mondo che ci circonda, attraverso la definizione di nuovi paradigmi culturali, che assecondino il passaggio dalla società industriale a quella telematica. È stata anche rappresentata l’esigenza di un approccio all’insegnamento storico «trasversale», che tenga conto della prospettiva mondiale, planetaria, nonché della zoomata, della focalizzazione sul locale. A tal proposito, il dottor Fabio Pipinato, direttore della Fondazione Fontana Onlus, nel corso della sua audizione del 4 marzo 2010, ha presentato alla Commissione il progetto «Atlante on line», in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, università e ricerca. Un atlante geografico nuovo, diffuso su internet, non eurocentrico, ma in linea con l’esigenza di una didattica interculturale, volto a rivisitare gli strumenti didattici tradizionali. L’atlante coniuga in particolare le interazioni che caratterizzano la navigazione in internet con l’approccio dei circoli di apprendimento cooperativo, cosiddetto cooperative learning. L’idea di mondialità che l’atlante vuol trasmettere è affidata, perlomeno idealmente, alla rappresentazione cartografica che utilizza, tra le altre, anche la proiezione di Peters, nella consapevolezza che, come ogni rappresentazione, anche questa è una semplificazione della realtà.

8. Ulteriori fattori di integrazione: il territorio e il ruolo delle famiglie.

Un ulteriore tema affrontato dall’indagine è stato quello relativo al ruolo del territorio e delle famiglie nel delicato aspetto dell’inserimento degli alunni stranieri nelle classi nazionali.

Molti degli esperti auditi, come ad esempio il professor Giulio Valtolina, responsabile del settore famiglia e minori della fondazione Istituto studi e iniziative per la multietnicità (ISMU), audito nella seduta dell’11 marzo 2010, hanno sottolineato che due partnership sono imprescindibili per la scuola: il territorio e la famiglia. Il territorio è importante perché la scuola si colloca tra un prima e un dopo: prima vi è infatti l’esperienza migratoria del minore e della sua famiglia, nella quale il giovane è immerso, anche se nato in Italia. Dopo, vi è per lui l’inserimento lavorativo, con alcuni titoli in più all’interno della società e della cultura che lo ospita; il secondo partner importante invece è la famiglia. L’indagine ha permesso di verificare in questo senso come il mancato coinvolgimento delle famiglie nel processo di integrazione dei figli a scuola significa mettere a rischio l’intero processo. Coinvolgere le famiglie immigrate, con stimoli e strumenti adeguati, porterebbe invece solo vantaggi: diverse ricerche dimostrano infatti che, coinvolgendo le famiglie e i genitori, ne guadagna il processo di inclusione sociale sia della famiglia che dei ragazzi. In questo senso, in particolare nel corso delle audizioni del 2 dicembre 2009, del 28 gennaio e del 17 marzo 2010, sono stati portati esempi di buone pratiche esistenti con protocolli e coordinamenti scientifici che consentono da anni un coinvolgimento delle famiglie. Si tratta di protocolli che peraltro costano molto all’ente locale e prevedono l’utilizzazione di un mediatore linguistico e di un mediatore culturale anche per le famiglie. Vi sono d’altra parte amministrazioni pubbliche che investono cospicue risorse per progetti che riguardano l’integrazione, nella consapevolezza che l’integrazione non è solo quella del bambino, ma passa necessariamente attraverso quella della famiglia nella società. Nella complessiva dinamica concernente il fenomeno dell’immigrazione, sono comunque diffuse diverse esperienze d’integrazione positiva.

Nel corso di altre audizioni, per esempio in quella del 4 febbraio 2010 svolta da Marina Carta Bussoli, responsabile dell’area socio-pedagogica del Centro COME, sono state illustrate alcune ricerche dalle quali scaturisce che i genitori hanno un tasso di scolarità molto alto. Gli immigrati adulti, in alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, hanno un tasso di scolarizzazione percentualmente maggiore di quello del cittadino italiano. Pur tuttavia i loro figli seguono percorsi formativi più precari che diventano maggiormente difficili negli istituti tecnici e professionali, limitandosi a seguire una scelta didattica riferita ai percorsi indicati, con una forte concentrazione di studenti immigrati nell’istruzione e formazione professionale. Per migliorare le prestazioni dei bambini nati in Italia e per favorire il loro successo formativo, all’interno del rapporto scuola-territorio, è stata evidenziata d’altra parte dai mediatori linguistici e culturali – in particolare dalla signora Ribka Sibhatu nell’audizione del 4 febbraio 2010 – la necessità di lavorare anche sulle famiglie e sulle relazioni scuola-famiglia. Occorre cioè operare sull’inclusione delle famiglie stesse nel territorio e sui bambini, tramite l’associazionismo di gruppi giovanili, formativi, sportivi, educativi, investendo nelle politiche sociali e giovanili per favorire un’aggregazione sostanziale e non solo formale tra gli alunni appartenenti a comunità diverse.

9. Conclusioni.

La scuola caratterizzata da forti presenze di alunni con formazione culturale profondamente diversa è ormai una realtà, che talvolta è accolta dai genitori come opportunità per i propri figli, altre volte desta timori comprensibili in loro, sia per la possibilità che i valori o le tradizioni della propria terra si annacquino, sia per un possibile rallentamento dei programmi scolastici. Gli studenti la vivono con naturalezza perché è il loro mondo, quello che penetrano anche per le molteplici e immediate forme di comunicazione che oggi sono a disposizione di tutti. Oltre a queste diverse percezioni di genitori e studenti, il lavoro dei docenti e dei dirigenti costituisce sempre una vera e propria sfida che in molti casi porta ad innovazioni didattiche ed educative, ma richiede un oneroso impegno professionale sempre maggiore, al quale non sempre corrisponde un’adeguata formazione iniziale, né un sufficiente supporto in servizio. Gli aggiornamenti a volte sono offerti dal settore del privato sociale, già impegnato su questi temi, con l’organizzazione di corsi spesso di alto livello che hanno il pregio di puntare alla motivazione personale e produrre eccellenti prassi, che peraltro – non essendo inserite in percorsi di formazione ordinari del Ministero dell’istruzione – rimangono nella sfera del fai da te senza essere parte delle competenze ordinarie, generalizzate e strutturali del sistema scolastico italiano.

Passare a tale approccio strutturale richiede senz’altro l’esigenza di affrontare questioni di fondo, quali la formazione iniziale e in servizio di tutto il personale, i protocolli di accoglienza, l’apprendimento della lingua italiana, il coinvolgimento di tutti i genitori, il lavoro di rete nelle comunità locali e, non ultimo, il contenuto dei saperi, la dimensione interculturale di ciascuna delle discipline, i cui programmi risalgono ad un tempo, ormai definitivamente chiuso, in cui la cultura in classe, salvo rarissime eccezioni, era omogenea e locale. L’onere richiesto alla scuola – senza dubbio rilevante e aggiuntivo – in un momento in cui la ristrettezza delle risorse e le riforme in corso di attuazione comportano complessi e molteplici problemi che aggravano il lavoro quotidiano di docenti e dirigenti, potrebbe tentare di far ritenere il contesto come uno dei tanti elementi della scuola italiana e non il più urgente da affrontare. Il contesto culturale della scuola italiana non è, d’altra parte, una variabile indipendente e ignorare tale evidenza avrebbe conseguenze negative sul complessivo funzionamento della scuola e sul livello qualitativo dell’insegnamento; inciderebbe inoltre sullo sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero Paese. Per affrontare, infatti, il tempo della globalizzazione occorre passare dalla «cultura liquida» di oggi, che caratterizza in particolare l’Europa, ad una cultura che abbia al contempo radici profonde nella propria terra d’origine e sia attrezzata per comprendere, discernere e valorizzare il positivo delle culture degli altri che ci vivono accanto o con i quali si hanno, per svariati motivi, relazioni. Occorre, in altre parole, prendere atto che non esiste più un mondo monoculturale, neppure nelle più piccole realtà locali. Si deve avere il coraggio dunque di salpare verso questo nuovo mondo.

È compito quindi precipuo della scuola offrire alle nuove generazioni gli strumenti cognitivi e formativi per affrontare il nuovo mondo globale di riferimento, non con il disorientamento dell’effetto «Torre di Babele», ma con solide basi culturali che permettano di capire le lingue degli altri. È necessaria, quindi, l’interculturalità, intesa come rispetto e dialogo tra le culture. Anzi, di più, occorre arrivare ad un contesto co-culturale in cui, accanto alla cultura propria di ciascuno, si venga a formare una cultura condivisa, fatta di valori e conoscenze comuni, su cui fondare la convivenza delle nostre comunità. Queste osservazioni rivolgono l’attenzione non solo agli alunni immigrati, ma all’intera popolazione scolastica. La dimensione interculturale della scuola, ed in particolare delle discipline, coinvolge tutti gli studenti, specie quelli italiani da generazioni che meno di altri possiedono occasioni di conoscenze, viaggi, esperienze associative. Tutti i ragazzi e i giovani di oggi hanno, infatti, la necessità di essere accompagnati a discernere gli aspetti positivi e quelli insidiosi della globalizzazione attraverso insegnamenti significativi che sappiano far scoprire loro valori e nuove prospettive.

In conclusione, avvertendo quanto primario sia il ruolo della scuola in tale prospettiva, la Commissione evidenzia l’importanza di adottare alcune misure che siano di sostegno al compito di docenti e dirigenti, misure su cui dare indirizzi al Governo o su cui prendere iniziative legislative.

Innanzitutto, la presenza ormai significativa e stabile di alunni non italofoni, almeno per origine, suggerisce di adeguare velocemente le competenze richieste sia a livello centrale, sia nelle singole istituzioni scolastiche, apprendendo anche dalle esperienze di Paesi che hanno affrontato massicce immigrazioni molto prima dell’Italia. In secondo luogo, va sottolineata l’importanza di un continuo monitoraggio sia della presenza di alunni non italofoni nel sistema scolastico italiano, sia degli esiti attesi. È dunque necessaria una lettura attenta di dati costantemente aggiornati e disponibili che riguardino non solo l’iscrizione, ma anche l’integrazione, il successo scolastico, l’interazione col territorio. In terzo luogo, pare alla Commissione fondamentale che le istituzioni scolastiche siano messe in condizioni di possedere in anticipo modalità di accoglienza degli alunni immigrati, attraverso le quali siano offerte agli studenti tutte le condizioni non solo per un buon inserimento nella classe, ma anche per una accoglienza curriculare che preveda l’accertamento delle conoscenze pregresse delle varie discipline ed in particolare della lingua italiana. In questo senso, ogni scuola, in rete con le altre istituzioni scolastiche e con la Comunità locale, deve avere la possibilità di mettere tempestivamente in atto corsi di lingua italiana L2, condotti con serie competenze e certificazioni. In quarto luogo, vanno previsti nel percorso di formazione iniziale di docenti e dirigenti, parimenti nella loro formazione in servizio, moduli che riguardino sia la didattica e la pedagogia interculturale che l’organizzazione dell’istituzione scolastica in contesti multiculturali. Va sollecitata, inoltre, anche attraverso le università, la ricerca che riguarda la dimensione interculturale delle singole discipline e la diffusione di tali contenuti. In quinto luogo, la Commissione, essendo emerso nel corso dell’indagine conoscitiva il compito non semplice dei comuni, soprattutto in tempi di ristrettezza di risorse finanziarie, suggerisce di avviare con il coordinamento delle regioni, un percorso per mettere a punto sinergie, compiti dei diversi attori, condivisione delle azioni, che possa portare ad un accordo quadro in sede di Conferenza unificata Stato-regioni e permetta altrettanti accordi istituzionali a livello locale. Va osservata, infine, la necessità di prevedere risorse certe, dedicate e impiegate non solo per le emergenze, ma anche per costruire modalità di lavoro stabili, diffuse in tutte le scuole italiane. Il Parlamento dovrà fornire indicazioni, al riguardo, all’Esecutivo.

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