Scuola e fattore “T”

Scuola e fattore “T”

di Ivana Summa

Qualcuno si chiederà perché parlare di scuola in occasione delle elezioni  amministrative comunali, considerato che la scuola è statale. Bene, tutta la normativa introdotta in questi ultimi decenni e, in particolare, la L. 59/1997 ha realizzato, a costituzione invariata, il decentramento di compiti e funzioni ad enti ed organi dello Stato, attribuendo alle scuole l’autonomia e ai comuni altri compiti proprio nell’ambito dell’istruzione e della formazione. Dunque, nel quadro della normativa generale, il Ministero detta le linee di indirizzo alle scuole a cui spetta la decisionalità della gestione specifica. Ma le scuole e le amministrazioni locali, pur nell’ambito di quanto previsto dagli art. 138e 139 del D.lgvo n. 112/’98,  hanno le loro radici nello stesso territorio e qui ci sono le famiglie, le imprese, le associazioni, gli esercizi commerciali, insomma un “capitale sociale” che concorre alla crescita della comunità se tutte le risorse umane e professionali interagiscono consapevolmente  e verso la stessa direzione. Perché ciò possa accadere è necessario che chi governa questa comunità, il Sindaco con la sua giunta, si “prenda cura” della propria città, sia risolvendo i problemi piccoli e grandi, sia supportando tutti i soggetti a dare il meglio di sé per contribuire al benessere personale e sociale. Prendersi cura vuol dire farsi carico degli altri con convinzione e dedizione; vuol dire interessarsi, impegnarsi, avere premura, insomma “dedicarsi” alla comunità di cui si fa parte, dando  risposte non solo ai bisogni materiali ed immateriali, ma anche alle aspettative (…gli altri si aspettano che…) e – cosa non facile che richiede intelligenza lungimirante –  interpretando il futuro della città con condivisione partecipata in vista del bene comune. Questa cifra politica territoriale va fortemente condivisa con le scuole perché a queste istituzioni che la nostra repubblica ha delegato la formazione della persona e del cittadino.

E, infatti, le scuole “efficaci”, cioè quelle che ottengono i migliori risultati dai propri alunni, sono proprio quelle che “fanno rete” sul territorio tra di loro e con le altre istituzioni, concorrendo attivamente alla realizzazione  delle “micropolitiche di territorio”, ovvero le scelte condivise con le amministrazioni comunali: è il cosiddetto fattore “T” che fa la differenza tra le scuole, tra quelle che funzionano al meglio e quelle che cercano, da sole, di fare ciò che possono. Le scuole, dunque, non sono soltanto  utili al singolo cittadino, ma hanno una funzione sociale, di crescita del paese (art. 3 della Costituzione) attraverso la formazione  delle giovani generazioni. Dunque, le scuole, anche se è il Ministero a fornire le risorse umane ed economiche, hanno necessità di legittimarsi sul territorio e, d’altro canto, l’ente locale, il Comune, ha bisogno di legittimarsi concretamente  facendo politiche integrate sul territorio. Chi ha compreso pienamente  la necessità di questa concertazione mirata al benessere della propria comunità non si ferma alla gestione degli edifici scolastici, né  al finanziamento di qualche progetto.

Dopo questa premessa, è necessario fare qualche proposta completa che, peraltro, è già stata sperimentata in Canada e in Inghilterra e, in Italia,   in alcune scuole ma che andrebbe realizzata da tutte le scuole di una città. Stiamo parlando del cosiddetto “service learning” che, in italiano, possiamo tradurre come “apprendimento servizio”. Cosa significa concretamente? Significa, per le scuole e per l’Ente Locale, pianificare una didattica che metta in condizione gli studenti di “apprendere attivamente” mentre si partecipa  ad un progetto che affronta e propone soluzioni ad un problema  concreto della comunità. Non è un’attività alternativa ed extracurriculare, ma un’attività curriculare che viene realizzata con un approccio metodologico che vuole integrare le conoscenze formali con quelle informali, le conoscenze teoriche con le conoscenze pratiche e il tutto in un ambiente che diventa significativo per gli studenti ed utile per la comunità. Un apprendimento di questo tipo  crea forti motivazioni che hanno le loro radici  nel senso di utilità e ciò   gratifica  e rende “sensate” quelle conoscenze che spesso i nostri studenti avvertono inutili  o, meglio, da apprendere al solo scopo di prendere buoni voti.  Insomma, stiamo affermando che la scuola assolve meglio ai suoi compiti e previene la dispersione scolastica  se si rende utile! Chi ha sperimentato e continua a farlo il service  learning, l’apprendimento/servizio, ampliando l’ambiente di apprendimento oltre l’aula e l’edificio scolastico,  educa alla cittadinanza attiva perché:

  • rafforza la  democrazia favorendo la partecipazione autentica;
  • contribuisce a sviluppare il senso di autostima nei nostri giovani;
  • forma il pensiero critico e la consapevolezza  della molteplicità degli aspetti con  cui si manifesta la convivenza civile, rendendo necessarie capacità di confronto.

L’educazione civica, introdotta per legge da quest’anno nel curricolo delle nostre scuole, non comporta qualche ora in più, ma richiede un ripensamento della formazione dei giovani, che va orientata all’acquisizione di valori autentici, che rendono cittadini competenti e responsabile.

Per realizzare ciò che ho sintetizzato, si rende necessario un PROGETTO POLITICO a livello di città  che vada in questa direzione  e che sollecita i cittadini a cooperare. Voglio concludere questo mio contributo citando un antico proverbio africano che oggi è quanto mai attuale:

Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”; non ce la possiamo cavare da soli come genitori o come insegnanti, ci vuole una comunità che si fa villaggio, cioè un luogo in cui ci si prende cura! Ed è proprio al sindaco che è affidato questo compito, difficile ma in grado di dare nuova linfa vitale alle nostre comunità.

(*) intervento del 9 settembre 2020, Senigallia