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P.L. Coda, La diagonale stretta

coverdiagonale002Pier Luigi Coda, La diagonale stretta, Effatà, Cantalupa Torino

Titolo; “La Diagonale Stretta”; si riferisce a uno dei colpi più comuni e spettacolari che sono utilizzati nel gioco della pallavolo.

Background; un’anonima città italiana, poi Oxford, Losanna, il Lago Lemano, Évian, una scappata a Stoccolma e, sullo sfondo, il gioco della pallavolo con i suoi miti storici (i grandi campioni italiani degli anni 90) e l’attrazione del suo fascino.

Sintesi; Pierre è un ragazzino ai primi anni delle Superiori, ha un solo desiderio, diventare un giocatore di pallavolo, sport per il quale evidenzia, oltre a una grande passione, uno spiccato talento. Non sono dello stesso avviso i genitori, specie il padre che per il figlio prospetta un brillante avvenire all’interno della propria azienda familiare. In tale ottica vuole che impari le lingue straniere e gli impone di completare i suoi studi in Inghilterra, a Oxford dove, per altro, aveva già studiato la madre. Pierre si oppone, cerca di sottrarsi al volere del padre, ma questi insiste finché Pierre, messo alle strette, decide di partire ma non per Oxford bensì per Losanna, città di cui non conosce nulla. Qui, incomincia la vera storia: un mondo da scoprire, le difficoltà linguistiche e ambientali, le amicizie che si lasciano e quelle che si formano, gli incantamenti, le suggestioni dei primi sobbalzi emotivi e del cuore.

Tematiche: Il vivere dei giovani oggi, le incomprensioni con i genitori, i silenzi, l’assenza di rapporti, i dissapori familiari che rendono ancora più complessa e difficile la loro esistenza. Le contrarietà con la sorella ma anche i filamenti che uniscono nei momenti difficili. E poi, la costruzione di una nuova realtà, gli “sballi”, le bravate notturne, la scoperta di amicizie vere, il problematico inserimento in una nuova squadra di pallavolo e l’ostile, opportunistica, diffidenza del nuovo allenatore… e poi il finale a sorpresa.

Forma, Linguaggio e Punteggiatura; la scelta narrativa è sotto forma di diario/racconto; il linguaggio è, in prevalenza,  quello corrente e dialogato dei ragazzi d’oggi, ovviamente piuttosto “colorito”. Non si dimentichi che l’ambiente familiare è quello di una media/alta borghesia intellettuale e imprenditoriale.  La forma letteraria privilegia, per quanto possibile, la discorsività e le espressioni della lingua parlata.

Tempi verbali; per dinamicità narrativa si è ritenuto opportuno raccontare al passato gli avvenimenti della storia e al presente le riflessioni personali del protagonista. Solo l’ultimo capitolo relativo alla partita di play off viene gestito col presente , come fosse una radiocronaca/telecronaca in tempo reale.

Target; giovani e genitori, trattandosi di un testo che affronta temi di attualità sociale sentiti e discussi. Tra l’altro non si deve dimenticare che la pallavolo in Italia è un gioco popolare e vissuto da ragazzi e ragazze con molta partecipazione; i palazzetti dove si gioca, soprattutto in serie A1 e A2 sono sempre affollati da spettatori di ogni età e sesso.

E’ sempre guerra

E’ sempre guerra

di Antonio Stanca

guerraLa seconda guerra mondiale aveva sconvolto l’opinione pubblica e quella degli osservatori di fenomeni sociali per i disastri che aveva provocato alle persone e alle cose in un’epoca ormai moderna, in un tempo che aveva raggiunto livelli di sviluppo politico, sociale, economico molto elevati, in una fase della storia dove la scienza, le sue scoperte, le sue conquiste, le sue applicazioni erano inarrestabili, in un momento in cui gli ambienti privati e pubblici erano stati decisamente rinnovati e il pensiero, la morale, il costume, la cultura erano divenuti partecipi di una nuova atmosfera. Quell’umanità, quella vita, quel mondo che sembravano destinati a vivere solo di bene erano stati costretti a sopportare, soffrire assurde, incredibili forme di male quali appunto gli orrori di quel conflitto. Ed è successo pure che mentre alcuni di essi sono rimasti ancora inspiegati, ingiustificati altri si sono aggiunti nei tempi seguenti e si aggiungono oggi quando lo stato di civiltà è più progredito. Il fenomeno è continuato, quegli orrori non sono stati gli ultimi e tra i più recenti rientrano quelli legati alle tristi vicende dei popoli asiatici e africani. Ai nostri giorni nei loro territori si compiono attentati, si combatte, si uccide, si fa guerra e non solo nei deserti ma anche nelle zone abitate, tra strade asfaltate, negozi, persone che svolgono il proprio lavoro quotidiano. Accanto a chi sta in casa, in ufficio c’è chi uccide e con una ferocia che non conosce precedenti. Fallita sembra quell’aspirazione, tanto perseguita in passato in ambito politico, sociale, culturale, ad una modernità capace di eliminare le rivalità e favorire la comprensione, la comunicazione, lo scambio, il progresso materiale e morale, la civiltà. In certe zone del mondo moderno non è ancora maturata la tendenza a risolvere un problema tramite il confronto, il dialogo perché non si è ancora disposti a rinunciare alle proprie ambizioni e si preferisce lo scontro. E’ una situazione difficile da spiegare, una situazione che sa di antichità e della crudeltà, della ferocia che l’hanno caratterizzata nei rapporti tra popoli o all’interno di un popolo.

Dovrebbe essere l’attuale condizione di progresso, di emancipazione vissuta da molti paesi occidentali a non ammettere simili manifestazioni, a cercare di diffondere, estendere ovunque principi, regole che le condannino e per sempre. Succede, però, che altri interessi si sovrappongano nei rapporti con quei popoli e che solo al momento della guerra, della morte si parli di pace, di vita. Soltanto quando sono alle armi si pensa ad avviare il dialogo con loro. Va pure osservato che alcuni di essi da tempo sono inseriti in contesti internazionali, che i loro territori dispongono di risorse tali che li hanno fatti partecipi di società, di gruppi economici, commerciali molto ampi e che questo ha favorito un loro ammodernamento. Ma si è trattato di un fenomeno soltanto esteriore, limitato alle strutture esterne, ai mezzi da usare, di un fenomeno che si è aggiunto a quanto esisteva e lo ha lasciato immutato, non ha interessato la condizione morale, i modi di vivere, di pensare, la cultura. Sono questi gli aspetti  che devono cambiare perché si raggiunga una nuova società, una nuova vita. E’ un processo lungo, avviene lentamente ma se da parte di chi lo dovrebbe avviare si attendono particolari momenti per farlo, per ridurre le distanze, le differenze, queste rimarranno e diventeranno maggiori.

In certi posti una religione, una fede, una convinzione politica, un problema di territorio, di confine, di protettorato, un capo, i suoi fanatismi, possono indurre a commettere azioni gravissime quali attentati sanguinari, ad intraprendere guerre lunghissime anche contro i potenti, a provocare un numero incalcolabile di vittime e di conseguenze per la popolazione. Sono comportamenti molto gravi soprattutto perché rientrano nella mentalità della gente di quei posti, sono accettati, voluti, cercati da essa. Né si può pensare di correggerli, eliminarli se non s’inizia una vasta operazione volta ad incontrare quella gente, ad educarla, formarla, a creare un comune patrimonio di principi, valori, verità, idealità. E’ assurdo pensare che oggi in alcune parti del mondo si sia convinti che bisogna combattere, uccidere e in altre si viva senza problemi, che civiltà e barbarie, pace e guerra, bene e male possano stare insieme  e non incontrarsi.

Inquietante è tutto questo anche perché non lascia prevedere quando finirà.

Libri di testo e manualistica liberamente disponibili in rete

Libri di testo e manualistica liberamente disponibili in rete – 2013-09
Catalogo libri di testo e manualistica liberamente disponibili in rete

Maurizio Grillini (grillinux@gmail.com)

PRESENTAZIONE

Questo catalogo raccoglie l’elenco dei libri di testo e delle risorse in formato elettronico liberamente scaricabili da Internet e ridistribuibili secondo le licenze Creative Commons e GNU FDL (riferimenti su www.creativecommons.it e http://it.wikipedia.org/wiki/Gfdl), o di Pubblico Dominio. La gratuità e la possibilità, secondo le condizioni di licenza, di estrarne solo le parti indispensabili a seconda delle necessità, oltre alla completa disponibilità in formato elettronico, fanno di questi testi uno strumento fondamentale per la scuola del futuro, la scuol@2.0. I ragazzi diversamente abili potranno agevolmente utilizzare i materiali, tutti disponibili su Internet in formato PDF e/o HTML.
Non tutti i libri elencati sono stati valutati nei contenuti, tuttavia si è scelto di fare un quadro il più possibile completo. Saremo grati ai docenti che segnaleranno i testi da rimuovere o da aggiungere contattando l’autore o, meglio ancora, contribuendo attivamente alla mailing list dedicata al software libero e Linux nella scuola e nella didattica, accessibile tramite il sito scuola.linux.it. In particolare saranno gradite segnalazioni sulle opere pubblicate nei progetti sostenuti da Wikipedia Foundation:
• il dizionario multilingue Wikizionario (http://it.wiktionary.org/);
• i manuali e libri di testo del progetto Wikibooks (http://it.wikibooks.org/);
• la biblioteca Wikisource (http://it.wikisource.org/);
• la comunità di apprendimento contenente corsi online Wikiversità (http://it.wikiversity.org/);
• il catalogo di file multimediali (foto, suoni e video) Wikimedia Commons (http://commons.wikimedia.org/).
A questi si aggiungono il progetto tutto italiano LiberLiber (http://www.liberliber.it/), onlus (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) operante fin dal 1993 e contenente una biblioteca telematica accessibile gratuitamente (progetto Manuzio) e un archivio musicale (LiberMusica), oltre al Progetto Gutenberg, nato nel 1971 con l’obiettivo di costituire una biblioteca di versioni elettroniche liberamente riproducibili di libri stampati (di pubblico dominio, o decaduti dai vincoli del diritto d’autore o copyright). Sono disponibili anche alcuni testi coperti da copyright ma che hanno ottenuto dagli autori il permesso alla nuova forma di pubblicazione.

Catalogo testi

G. Allulli, F. Farinelli, A. Petrolino, L’autovalutazione di istituto

autovalutazione_di_istitutoGiorgio Allulli, Fiorella Farinelli, Antonino Petrolino, L’autovalutazione di istituto, modelli e strumenti operativi, con moduli e questionari disponibili online, pagg. 208, Guerini e Associati, Roma, 2013

di Maurizio Tiriticco

Com’è noto, sulla questione della valutazione del sistema di istruzione e dell’autovalutazione di istituto il dibattito e, per certi versi, un notevole gradiente di preoccupazione sono molto vivaci. Soprattutto per una carenza di informazioni al riguardo. Da un lato vi è il linguaggio di un regolamento (dpr 80/2013), ovviamente sempre anodino e iussivo, come in genere sono le disposizioni normative; dall’altro vi sono insegnanti che, in larga misura, difettano di quelle informazioni che solo una diffusa cultura della valutazione dovrebbe garantire. Pertanto, sono molti gli insegnanti che incontrano “difficoltà di lettura” in materia di valutazione di sistema, preoccupati, inoltre, dall’incalzare di quelle prove Invalsi che sembrano più gettare nello sconcerto che garantire un sostegno alla valutazione degli apprendimenti.

In una situazione così complessa e controversa un intervento autorevole sulla valutazione dopo anni di silenzio – almeno per quanto mi risulta – è assolutamente bene accetto. Una tematica su cui si scontrano solo preoccupazioni e interventi polemici necessitava di una voce che proponesse una riflessione seria sulla base di argomentazioni scientificamente fondate e – cosa forse più importante – presentasse una serie di buone pratiche di cui prendere atto e su cui riflettere.

A monte di tutto, e quindi anche a monte della stessa valutazione di sistema, c’è, a mio avviso, il sistema in quanto tale. Mi spiego meglio. Con l’avvio del difficile processo dell’autonomia che, com’è noto, non ha riguardato e non riguarda solo la scuola, ma l’intero apparato istituzionale e amministrativo dello Stato (legge 59/97), e con il novellato Titolo V della Costituzione, si è avviata una vera e propria rivoluzione in materia di istruzione e della sua organizzazione. E non so quanto l’enunciato di “Sistema educativo di istruzione e di formazione”, di cui all’articolo 2 della legge delega 53/03, sia diventato materia viva di un nuovo modo di “fare scuola”. In tale contesto, non so neanche quanto lo stesso riordino del Ministero dell’Istruzione, avviato con la legge 300/99, abbia provocato significativi cambiamenti negli assetti organizzativi delle istituzioni scolastiche, nei concreti “comportamenti insegnanti” e nella stessa quotidiana conduzione delle classi. Valga questa semplice riflessione, avanzata dai nostri autori: “Quanto alla scarsa familiarità degli studenti italiani con le prove somministrate in forma di test, era anch’essa un elemento su cui riflettere in quanto segnale di un’altra tipicità non proprio positiva e certamente non immodificabile del nostri sistema scolastico, cioè la sostanziale assenza di un quadro preciso di standard condivisi di riferimento” (p. 23). E’ quindi in un contesto organizzativo così incerto che – almeno a mio vedere – il solo parlare di valutazione di sistema e di autovalutazione di istituto non può non creare – a parte alcune isole felici – una serie di perplessità.

In tale scenario così precario, la necessità di fare un punto fermo su di una materia così complessa, sulla quale vi sono molte incertezze, si avvertiva da tempo! E ringrazio gli autori di essere intervenuti con un testo che, lungi da qualunque “prosopopea dottrinale” – che in una materia così complessa per certi versi sarebbe anche giustificata – vuole semplicemente proporre spunti di riflessione sulla necessità di una valutazione “altra”, quella di sistema e quella di istituto, sulla quale per chi da sempre è abituato alla sola valutazione degli apprendimenti, costituisce un territorio assolutamente nuovo su cui l’informazione, anche da parte della stessa Amministrazione centrale, è di fatto carente! In effetti, è difficile che si inducano e si rafforzino comportamenti nuovi solo a colpi di decreti!

I tre autori sono “uomini di scuola” in senso lato. Vengono da esperienze diverse di formazione e di organizzazione di processi formativi e hanno conoscenze e competenze che vanno dai sistemi scolastici europei all’educazione degli adulti e alla formazione professionale: esperienze dalle quali forse la nostra scuola, a volte troppo avvitata su se stessa, avrebbe qualcosa da imparare! La loro ricerca e i loro suggerimenti non nascono tanto da riflessioni teoriche quanto da esperienze pratiche che rappresentano e raccontano con dovizia di particolari e grande semplicità espositiva. Il loro intento non è quello di “difendere” quella valutazione di sistema, su cui ci sono tante incertezze e non-conoscenze, quanto di raccontare che cosa concretamente si fa in tale materia sia in sistemi scolastici stranieri che in esperienze del nostro Paese.

Non mancano nel volume rapidi ma significativi accenni alle rilevazioni internazionali (Pisa, Pirls, Timms) e a quanto si è venuto realizzando nel nostro Paese con il “Progetto Qualità: ricerca e innovazione nella scuola”, che ha coinvolto il nostro Ministero e la Confindustria, con l’esperienza ormai più che decennale del Comitato di valutazione della Provincia autonoma di Trento, e con altre significative iniziative (il Marchio Piemontese Saperi, il Progetto Faro in Sicilia, il Progetto Caf del Formez, realizzato nel Veneto e in altre Regioni). Per non dire delle iniziative della Peer Rewew (che nulla ha a che vedere con la Peer Education), promosse e condotte dall’Isfol, e delle certificazioni Iso che interessano numerosi istituti tecnici e professionali.

Particolarmente interessante è la parte centrale del volume, che contiene una serie di indicazioni operative: le dieci regole da seguire per assicurare la qualità della scuola (capitolo 5) e i quattro passi utili per adottare una metodologia di autovalutazione della scuola (capitolo 7). Si tratta di indicazioni operative che non sconvolgono l’abituale lavoro a cui le istituzioni scolastiche sono ormai abituate almeno dal varo del dpr 275/99. In effetti è lo stesso POF che, in quanto documento di pianificazione strategica, implica il concetto di autovalutazione (capitolo 6).

Il volume offre una serie di suggerimenti operativi che, ovviamente, rinviano a quadri teorici di riferimento, ma questi ultimi non la fanno mai da padroni! L’esperienza che i tre autori hanno sul campo è tale che la loro “lezione” – se così si può dire – non ha mai nulla di astratto. Gli autori, infatti, sono convinti che c’è una reale possibilità per la nostra scuola “di cancellare una volta per tutte, l’immagine coltivata da più parti e impropriamente enfatizzata in ambito mediatico, di un sistema educativo sostanzialmente chiuso e autoreferenziale, di un corpo professionale pregiudizialmente ostile a ogni forma di rendicontabilità sociale, di un lavoro docente così impalpabile da essere percepito e talora, chissà perché, perfino rivendicato come sostanzialmente insindacabile. Un’immagine che non ha giovato alla credibilità e all’affidabilità della scuola, e che ha anzi già prodotto numerosi e concretissimi danni” (p. 10-11).

Si tratta di considerazioni che rappresentano, purtroppo, atteggiamenti e stati d’animo che non sono nati sponte sua nel personale scolastico, ma sono stati indotti da interventi normativi discutibili – l’osservazione è mia, ovviamente – che lo hanno afflitto e avvilito. E ciò si è verificato proprio in un periodo in cui il Sistema di istruzione necessitava, invece, di una svolta decisiva verso una sua riqualificazione, proprio per garantire a ciascun cttadino quel “successo formativo” di cui al dpr 275/99, articolo 1.

La valutazione di sistema è necessaria e imprescindibile, come altrettanto lo è l’autovalutazione delle “istituzioni scolastiche autonome” proprio perché sono autonome e responsabili nei confronti dell’utenza e delle istituzioni del territorio in cui operano. E sono attività che si avvieranno solo se i concreti comportamenti normativi e finanziari da parte della politica e dell’amministrazione verso l’istruzione e i suoi addetti cambieranno radicalmente in positivo.

Pertanto, in un ottimistico scenario di cambiamento il contributo del volume non solo sarà necessario ma, a mio vedere, assolutamente insostituibile!

G. Schiavo, Dal Signor Maestro al Prof in crisi

schiavoGianluca Schiavo, DAL SIGNOR MAESTRO AL PROF IN CRISI
L’insegnante di scuola attraverso la letteratura italiana contemporanea

Com’è possibile che in quasi 150 anni di storia italiana, la “maestrina dalla penna rossa” – raccontata da De Amicis in Cuore – si sia trasformata in un’insegnante qualunque che sembra aver preso una laurea “con i punti Kinder”, come quella di cui parla Margherita Oggero in La collega tatuata?
La letteratura italiana è piena di storie che hanno come protagonisti insegnanti, ma il loro ruolo – tra le pagine dei romanzi e nella vita reale – ha subìto una grandissima trasformazione: il libro di Schiavo cerca di individuare le principali ragioni che hanno determinato, nel corso del tempo, una progressiva e inarrestabile decadenza dell’immagine del professore, nella percezione sociale e di conseguenza nelle opere letterarie che, della società, sono espressioni importanti.
Da Collodi a De Amicis, da Serao a Pirandello a Bontempelli, da Ada Negri a Giovanni Mosca, per poi passare a Vittorini, Papini, Bassani, Fenoglio, Pavese, Morante sino ad arrivare ai giorni nostri e quindi a Erri De Luca, Domenico Starnone, Giuseppe Pontiggia, Paola Mastrocola, Antonio Scurati, Marco Lodoli e la stessa Margherita Oggero.
Una carrellata di opere – molte delle quali scritte da chi professore è stato davvero – che ci racconta vizi e virtù di una professione che non è più quella di una volta, ma che, nonostante tutti i problemi, fa dire a chi la esercita: “Ne valeva la pena…”.

L’AUTORE – Gianluca Schiavo, classe ’72, dottore di ricerca in Letteratura comparata.

G. Alulli – F. Farinelli – A. Petrolino, L’autovalutazione di Istituto

autovalutazione_di_istitutoAllulli Giorgio, Farinelli Fiorella, Petrolino Antonino
L’autovalutazione di istituto
Modelli e strumenti operativi
2013, Guerini e Associati, ISBN: 9788862504270

Dal febbraio 2013 l’autovalutazione delle scuole, con il nuovo Regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri, diventa sistema. Le scuole dovranno obbligatoriamente, nel prossimo triennio, portare avanti questo processo, seguendo i test e gli indicatori forniti dal ministero.

Come procedere? Questo libro fornisce, oltre allo scenario internazionale, il quadro dei modelli più in uso e delle procedure per applicarli, nonché la guida per costruire un proprio modello autonomo. Indispensabile per i capi di istituto, per i collaboratori, per gli ispettori scolastici e per tutti coloro che operano all’interno delle strutture valutative.

Questo testo è stato ideato soprattutto come uno strumento di lavoro per gli insegnanti e per i dirigenti scolastici che di qui a breve si misureranno con l’avvio del Sistema nazionale di valutazione; non intende proporre né l’ennesima disamina sulla bontà o meno della valutazione scolastica, né un manuale piatto ed esclusivamente tecnico di istruzioni per l’uso. Gli autori si propongono di offrire, a chi nella scuola dovrà giocare un ruolo di protagonista, un quadro sintetico e tuttavia non banale di quello che occorre sapere, e anche saper fare, per innescare i processi e realizzare le azioni disegnate dal Regolamento sulla valutazione: l’autovalutazione di istituto, la progettazione dei piani di miglioramento, lo sviluppo della rendicontazione sociale, la comparazione con realtà scolastiche analoghe, l’integrazione degli sguardi di dentro con quelli di fuori, l’intreccio tra analisi quantitativa e qualitativa. Un libro per fare valutazione e per dare senso alla valutazione.

P. Di Paolo, Mandami tanta vita

I due giovani di Di Paolo

di Antonio Stanca

dipaoloE’ nato a Roma nel 1983, ha trent’anni, si chiama Paolo Di Paolo, è laureato in Lettere, ha svolto un Dottorato di ricerca in Studi di storia letteraria e linguistica italiana presso l’Università di Roma III, ha esordito nella narrativa nel 2004, quando aveva ventuno anni, con i racconti di Nuovi cieli, nuove carte, finalista quell’anno nel Premio Italo Calvino per l’inedito, suoi romanzi noti sono Raccontami la notte in cui sono nato del 2008 e Dove eravate tutti del 2011. Ha scritto anche per il teatro, è autore di saggi ed ha svolto, a volte insieme ad altri studiosi, lavori di ricerca, di raccolta di interviste, conversazioni, incontri con importanti autori contemporanei, ha curato alcune antologie. Collabora col supplemento “Domenica” de “Il Sole 24 ORE”, con “L’Unità” e con le riviste “Nuovi Argomenti” e “L’indice dei libri del mese”. Molto ha fatto e continua a fare Di Paolo, ha cominciato da molto giovane ed ora, a trent’anni, è un noto studioso di letteratura e di teatro, un saggista, un giornalista ed uno scrittore. Come tale ha ottenuto importanti riconoscimenti e il più recente è stato quello di vedersi tra i cinque autori finalisti del Premio Strega 2013 vinto da Walter Siti con Resistere non serve a niente. Di Paolo è risultato terzo con Mandami tanta vita, romanzo pubblicato dalla casa editrice Feltrinelli di Milano nella serie “I Narratori” (pp. 155, € 13,00).

Anche in quest’opera lo scrittore mostra che la nota principale della sua narrativa è  quella di voler cogliere quanto avviene oltre l’evidenza, la vita interiore dei suoi personaggi, mostrare cosa, come essi pensano, sentono, rappresentare i pur minimi riflessi della loro anima a volte in maniera immediata, mentre si verificano e senza mai diventare difficile, complicato nell’esposizione. E’ una qualità dello scrittore comparsa già nelle prime narrazioni e sempre coltivata. In Mandami tanta vita ad essere osservato, rappresentato dal Di Paolo è lo spirito di due giovani, Moraldo e Piero, entrambi ventenni, entrambi provenienti da famiglie modeste e studenti universitari a Torino nel 1925. Non si conoscono e sconosciuti rimarranno per l’intera narrazione. S’incontreranno per caso e per brevissimo tempo all’inizio e alla fine dell’opera. La prima volta sarà in un’aula universitaria a Torino e Moraldo avrà modo di apprezzare i progetti che Piero espone ai compagni presenti, il suo interesse a produrre riviste impegnate in ambito culturale, letterario, politico, sociale, la sua intenzione di continuare, ampliare, migliorare tale produzione, la sua posizione contraria al fascismo che in quegli anni si stava diffondendo in Italia. Era l’Italia uscita da poco dalla Grande Guerra, l’Italia che stentava a trovare un modo per rifarsi dei molti danni subiti, che soffriva per le gravi condizioni economiche, che era agitata da forti tensioni sociali e credeva facilmente a quanto le veniva promesso anche se da fazioni, partiti politici completamente diversi tra loro. La Torino di quel periodo, dove vivevano Moraldo e Piero, molto risentiva del generale stato di confusione.

Dopo quella volta Moraldo non rivedrà più Piero ma lo ricorderà, ne ricorderà il modo di vestire, lo sguardo, le parole. Ne era stato tanto attirato da riconoscerlo alla fine del romanzo quando, di nuovo per caso, s’incontreranno in un giardino pubblico di Parigi, la città nella quale entrambi si erano recati alla ricerca di quanto mancava alla loro vita. Moraldo è diverso da Piero, non è come lui sicuro, preciso, concreto nelle azioni, chiaro nelle idee. Piero si è sposato con Ada, hanno una bambina di pochi mesi, Moraldo, invece, ha ancora difficoltà a parlare con una donna, è timido, incerto, introverso, non è mai sicuro di quello che vuole e a volte neanche di quello che dice.

Due modi diversi di vivere la giovinezza sono i loro ed entrambi Di Paolo ritrae in ogni aspetto, in ogni particolare, in ogni segreto. Nell’opera si alternano in continuazione le parti dedicate ai due protagonisti e abile è lo scrittore in tali interminabili passaggi, sempre riesce pur in situazioni molto diverse. Le aspirazioni di Piero sono tante quanti sono i problemi di Moraldo. Egli è andato a Parigi perché limitato gli sembrava l’ambiente torinese per i suoi studi, le sue ricerche, i suoi propositi editoriali. Anche Moraldo è andato a Parigi ma per seguire una giovane donna dalla quale credeva di essere amato, con la quale pensava di risolvere finalmente i problemi della sua vita. Né l’uno né l’altro riusciranno nei loro intenti e mentre Piero troverà la morte a causa delle complicazioni di una malattia, Moraldo troverà un’altra sconfitta.

Due esperienze singolari sono state e Di Paolo le ha rese nella loro totalità. E’ riuscito pure a mostrare quanto avveniva nell’Italia dei primi del Novecento non solo in ambito sociale, politico ma anche in quello culturale, artistico. Lo ha fatto combinando le sue conoscenze di storia, di letteratura con le sue abilità di scrittore, la realtà, la cultura, la vita del momento con le vicende dei suoi personaggi. Una costruzione tanto riuscita si può dire dell’opera da farla apparire vera, naturale in ogni suo aspetto.

F. Filia, La neve

FRANCESCO FILIA, POETA. LA NEVE E NAPOLI

Francesco filia La neveChi conosce Francesco Filia, l’insegnante, ne identifica il passo fermo, mentre, spiegando ai suoi allievi di storia e di filosofia, come un leone in gabbia, percorre l’aula avanti e indietro. Non sta mai fermo: un giovane uomo che si misura coi suoi ragazzi e parla, tuttavia sereno, anche se in quel movimento vivace, dei tempi, dei luoghi di quanti fecero o disfecero la storia; di quanti tesserono  filosofie complesse, da districare senza che la matassa, tuttavia, ne perda il filo.

Il professore Filia, è un poeta. No: non di quelli che immergono in rime baciate il loro sentimentalismo. Lui non bacia le rime, piuttosto le intreccia di pensieri complessi, che si lasciano scorgere, tra le righe, soltanto da chi davvero vuole farlo.

Francesco Filia vive e insegna a Napoli, dov’è nato nel 1973. Padre e marito. Non si può dimenticare il suo passo, stavolta tranquillo, ragionato, mentre stringe le mani delle sue bambine e le conduce a scuola, prima di recarvisi a sua volta:

-“Riconoscerai/ il tuo sguardo negli occhi di tua figlia, nel suo piangere/ e gioire ad ogni istante e saprai che non sei l’ultima cosa/ rimasta ma solo quel che non hai voluto, le impronte/ delle dita nella calce e uno sguardo di donna senza pace/ la linea severa della fronte e un sorriso appena accennato”.[1]

L’infanzia che gli appartenne, visse anche il terremoto dell’80:- “Abbiamo imparato di nuovo a contare da zero/ ad avere un nuovo prima e dopo come fosse/ un’altra nascita di cristo come lo era stato prima/ il colera ola guerra, per chi se la ricordava”-[2]

Cercando sempre quell’infanzia nei suoi “versi”, cui Giuseppe Carracchia attribuisce “competenza stilistica e capacità “lirica”, la ritroviamo in quei: “Tuffi ripetuti sempre più in alto e l’ultimo della sfida/ sospeso, tra paura e gloria. Rimarremo per sempre nell’attimo tra lo slancio e lo stacco/ del corpo dagli scogli”.[3]

per la verità tutti noi, quando lasciamo le certezze dell’infanzia e ci lanciamo nella nostra vita da adulti, compiamo un po’ il tuffo verso “lo sconosciuto” che compie, eternamente il giovane uomo del dipinto del “Tuffatore di Paestum”.[4]

Molti dei suoi scritti parlano di Napoli. Una città che il poeta, malgrado tutto, ama di un amore incompreso, un sentimento vicino alla sofferenza:- “La neve, quella vera, non l’abbiamo mai vista/ se non nella bocca a nord del vulcano/ nei pochi giorni di cristallo dell’inverno come una minaccia/che ricorda quel che non abbiamo temuto abbastanza/ ma il gelo quello s’, è dentro di noi fino alle ossa/ e lo sentiamo che morde le giunture…”[5] La neve, a Napoli, non è candida, soltanto per poco ci allieta, ci sembra volteggiare nell’aria come fatta di farfalle bianche, meravigliose, ma poi, affonda nel terreno e si tramuta in fango. Come i nostri sogni, che sprofondano nella realtà di una città da cui non ci stacchiamo, ma neanche ci protegge. Questo sembra si possa intuire da ciò che ci regala Francesco Filia nelle sue poesie. E tanto di altro, per chi vorrà cercarlo in esse.

L’autore è  risultato vincitore della sezione inediti del premio Dario Bellezza (edizione 2001) e finalista di altri premi, tra cui Città di Tortona, per l’opera prima, nel 2008. Sue poesie sono apparse su varie riviste blog e riviste on.line) (La Clessidra, Capoverso, La Mosca di Milano, Poesia, Nazioneindiana, VDBD, Poiein, Poetrydream, Poetry Wave, Sagarana, Sinestesie  eccc…) e tra le altre nelle antologie Subway, Poeti italiani Underground (a cura di Davide Rondoni e con l’introduzione di Milo De Angelis, Net, 2006)  e Il miele del silenzio ( a cura di Giancarlo Pontiggia, Interlinea, 2009). Ha pubblicato il poema in frammenti “Il margine di una città”, con prefazione di raffaele Piazza e dieci tavole di Pasquale Coppola (Il Laboratorio 2008). Collabora con nell’occhiodelpavone.blogspo,it

Bianca Fasano



[1] da  Francesco Filia. “la neve”. Fara editore (XI frammento, Napoli 2007). Discendenze.

[2] (X frammento, Napoli 23 novembre 1980).

[3] (XI frammento, Napoli 2007), Dodici anni.

[4] La tomba del tuffatore è un manufatto dell’arte funeraria della Magna Grecia, proveniente dall’area archeologica di Paestum.

[5]( I frammento, Napoli 2007).

D. Maraini, La seduzione dell’altrove

La Maraini e gli esclusi

di Antonio Stanca

marainiSempre impegnata è stata la settantasettenne Dacia Maraini nella sua attività di scrittrice, poetessa, drammaturga, sceneggiatrice, saggista, impegnata a dire della vita, della realtà in particolare di quelle contemporanee, a segnalarne i problemi, le contraddizioni, ad esortare a risolverle o almeno ridurle, a mettersi a disposizione, ad operare concretamente perché questo avvenisse, perché i valori della tradizione, i principi della vita, le regole della morale emergessero pur nelle situazioni più difficili. Uno spirito umanistico ha sempre animato la donna, l’autrice, un bisogno di verità, di giustizia, una volontà di dialogo, di comunicazione, di scambio, una fiducia nei miglioramenti che ne sarebbero potuti derivare  per i rapporti individuali e sociali.

E’ nata a Firenze nel 1936, ha trascorso l’infanzia in Giappone dove la famiglia si era trasferita per gli impegni di lavoro del padre che saranno causa di altri spostamenti. Ha cominciato a scrivere di narrativa ai primi anni ’60, ha continuato con romanzi, racconti, opere di poesia, di teatro, di saggistica, ha ottenuto molti riconoscimenti, è stata tradotta in molti paesi stranieri. Non ha mai considerato le sue qualità d’intelletto, di genio un privilegio, un motivo per isolarsi, ma soltanto un mezzo per esprimere le sue attitudini umanistiche, per fare opera di sensibilizzazione, per rendere partecipi di quanto succedeva. Dalla realtà ha sempre attinto i temi della sua produzione e quello della difficile condizione femminile nella storia passata e soprattutto presente è risultato centrale qualunque sia stato il genere delle sue opere. L’incomprensione, la subordinazione, l’esclusione, l’offesa, la violenza, alle quali la donna è stata esposta, per le quali ha sofferto nel corpo e nello spirito, la mancanza di rispetto che le è stata mostrata fosse bambina o adulta, figlia o madre, moglie o amante, giovane o vecchia, sono tutti aspetti di quella figura femminile narrata dalla Maraini nei romanzi e racconti, rappresentata nel teatro, studiata nei saggi. Sono quelli che hanno fatto risultare l’autrice sempre presente sulla scena culturale non solo italiana e l’hanno mossa l’anno scorso, a settantasei anni, a raccogliere nel volume La seduzione dell’altrove (pp. 175, € 8,90), edito dalla Rizzoli di Milano e insignito del Premio Fondazione Il Campiello, tutti i suoi scritti, articoli, reportage, relativi ai viaggi compiuti all’estero per conto proprio o perché invitata a convegni di studio, ad incontri con intellettuali, artisti stranieri o perché incaricata di svolgere compiti d’istruzione, di diffusione della lingua e della letteratura italiana. Sono molti questi scritti perché molto ha viaggiato la Maraini per questi motivi. Per lei il viaggio ha rappresentato un aspetto della sua vita, del suo lavoro. E’ stata sempre attratta da ciò che è lontano, che è rimasto sconosciuto, ha sempre desiderato scoprire, spiegare quanto si nascondeva dietro situazioni misteriose. “L’altrove” l’ha sempre “sedotta” forse perché, dice nell’introduzione, era cresciuta in una famiglia che si spostava in continuazione o perché viaggiare significa estendere, dilatare tramite nuove conoscenze quella vita che altrimenti si restringe, si riduce oppure perché il viaggio procura il piacere di raccontare quanto di nuovo, di diverso ha fatto vedere, sapere, Quest’ultimo, pensa la Maraini, sia stato il vero motivo del suo amore per il viaggio e per esso molta parte del mondo ha percorso, molta gente lontana ha visto, molta storia diversa ha conosciuto, molta scrittura ha loro dedicato.

In questo libro dice di viaggi compiuti in Svizzera, America, Medio Oriente, Est Europeo, Russia, Africa, Cina, Giappone, nei centri ma anche nelle periferie di queste regioni del mondo, tra metropoli che esplodono per l’alto livello tecnologico raggiunto e zone rimaste allo stato primitivo, barbarico, tra grattacieli di vetro e cemento e baracche di lamiera, parchi splendidi e savane pericolose, luci sfavillanti e tenebre impenetrabili, bellezze e brutture, ricchezza e miseria, pace e guerra, amore e odio, religione e superstizione, fede e magia, bene e male, vita e morte. Tutti i volti, gli aspetti del mondo moderno ha conosciuto, tutte le contraddizioni e col suo libro ha voluto farle conoscere, attirare l’attenzione, suscitare l’interesse, far sapere che c’è ancora tanto di nascosto, che tanto male avviene senza che si sappia niente, senza che se ne parli. Attira il lettore la Maraini di questo libro perché stimola la sua curiosità e perché propone il suo carico di notizie alla maniera, nella lingua di un antico viaggiatore, lo trasforma in un lungo racconto che rimane sempre chiaro, semplice nell’esposizione anche quando riguarda azioni sconvolgenti, turpitudini, nefandezze, orrori.

E’ la Maraini che pur nei reportage non rinuncia alla scrittrice di tanti romanzi, non finisce di esplorare segreti anche sconvolgenti, di cercare verità pur assurde, di cogliere contraddizioni pur gravissime. Grazie al suo libro si sa che in ognuno dei luoghi da lei visitati ci sono problemi, alcuni evidenti altri nascosti, alcuni meno  altri più gravi poiché sono problemi di povertà, di fame, di miseria, di violenza, di morte.

Sorpresa, stupita è rimasta lei nel constatare che niente è stato fatto e niente si fa per risolverli. Lei che tanto crede nella forza, nella funzione dello scambio, della collaborazione, ha cercato delle spiegazioni ed è rimasta inorridita quando le ha scoperte nella crudele volontà, da parte di chi è più potente, di continuare usi, costumi che provengono dal passato remoto e che sono causa di dolore, di sofferenza, di rovina solo perché a lui riescono vantaggiosi. Sarà ancora chiamata a riconoscere che la globalizzazione ha aggravato la distanza, la differenza tra ricchi e poveri del mondo, ha annullato ogni possibilità di dialogo, di scambio tra le due parti ed ha esteso i fenomeni della violenza, dello sfruttamento, dell’ analfabetismo.

La Maraini, che è sempre stata dalla parte della donna perché costretta ad una condizione inferiore rispetto all’uomo, è ora dalla parte di quell’umanità che è rimasta indietro nel moderno processo di industrializzazione e civilizzazione, nell’attuale corsa verso la novità, la ricchezza, la potenza, che ha visto succedere ai vecchi i nuovi padroni, che ancora una volta è stata ingannata, tradita nelle aspettative. Di quest’umanità ha voluto dire la scrittrice nel libro, una denuncia ha voluto fare, un atto d’accusa, un invito ad intervenire ha voluto esprimere. Ha inteso far sapere che nonostante in ambito mondiale siano stati ignorati, calpestati, i diritti dell’uomo ancora esistono, ancora valgono e che operazioni volte a recuperarli potrebbero riuscire se non rimanessero isolate.

Nel Salento degli spettacoli

Nel Salento degli spettacoli

di Antonio Stanca

salentoMolte sono ormai le manifestazioni di carattere folcloristico-culturale che da anni vengono organizzate durante le serate di tanti comuni salentini e che attirano l’attenzione di un sempre crescente numero di spettatori. Oltre a procurare, diffondere la scoperta dei luoghi, dei tempi e delle testimonianze di un passato che si è rivelato ricco quanto quello di altre zone d’Italia esse hanno contribuito a fare della penisola salentina una delle mete più cercate da turisti italiani e stranieri. Tali manifestazioni consistono in spettacoli fatti di musiche, canti, danze, recitazioni, rappresentazioni teatrali che si propongono di offrire a chi vi assiste la conoscenza, la visione di quanto ha fatto parte delle tradizioni, delle usanze, delle credenze, dei riti, dei miti, delle leggende, della cultura, della lingua di questa terra. E’ una riscoperta che si sta verificando in questi ultimi tempi e con sempre maggiore convinzione. Anche case editrici del posto sono interessate alla pubblicazione di opere dedicate al recupero delle tante storie di tanti paesi del Salento. Molto riesce pure in tal senso il rapporto immediato che uno spettacolo pubblico crea, lo scambio diretto che instaura tra chi parla, canta, recita, suona, danza e chi ascolta, guarda.

Nell’ambito di queste manifestazioni vanno inserite alcune serate organizzate presso il Centro Studi “Chora-ma” di Sternatia (Lecce), diretto da Donato Indino ed impegnato anche in altre direzioni, a far conoscere, cioè, anche altre culture, altre tradizioni, altre lingue, a cercare rapporti tra esse e quella salentina. La sera di Mercoledì 21 Agosto è stata, infatti, dedicata al tema “Napoli: parole e musica” e sono stati sufficienti una presentatrice, signora Rita Continillo, e due interpreti, Felice De Santo e Gaetano Continillo, perché al pubblico presente venisse offerta la possibilità di ascoltare testi poetici di autori napoletani quali Raffaele Viviani, Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio e di venire a conoscenza, tramite essi, di come in passato si viveva nei quartieri popolari del capoluogo campano. L’interesse di tali autori è stato quello di rappresentare, qualunque fosse il genere della loro produzione, la realtà, la vita delle persone comuni, i bisogni, i desideri di chi, uomo, donna, bambino, giovane, vecchio, vive i problemi della quotidianità, della famiglia, della casa, della strada. Questo spiega  perché usino spesso il dialetto napoletano e perché riescano meglio nella poesia. Qui col dialetto raggiungono effetti che sanno di suono, di canto, che fanno di quei problemi un aspetto proprio di quella vita, un elemento ad essa connaturato. Questi effetti hanno reso le recitazioni del De Santo e le musiche, i canti, le animazioni del Continillo, entrambi napoletani, entrambi ingegneri, il Continillo docente universitario, ed entrambi impegnati in attività di questo genere. I due si sono mostrati molto esperti e meritevoli di lode dal momento che sono riusciti a far giungere ai presenti quei motivi, quei momenti della vita napoletana che rimarrebbero lontani e soltanto delle opere che li contengono. Una funzione di mediazione è la loro, una funzione sociale molto importante non solo perché  avvicina il pubblico agli autori ma anche perché lo fa sentire partecipe di quanto essi scrivono, gli mostra come ogni vita sia degna di essere rappresentata.

Convinta e calorosa è stata la partecipazione degli spettatori al punto da far richiedere interpretazioni che non erano in programma.

Auguri caro Nanni

“…Auguri caro Nanni…grazie!…”

di Gianfranco Purpi

…Auguri caro Nanni,…da oggi sei “uno splendido sessantenne” che racconta e regalerà cinema d’autore per amore della paideia formativa trasformazionale e universalizzante/antropologizzante …verso tutti gli “erga omnes” che hanno sempre… …e debbono comprendere e imparare,…con i tuoi film e i tuoi contributi unici da intellettuale organico gramsciano,…il tuo esempio di artista che “anticipa” la vita fattualizzante con la sua incantevole cultura cinematografica epistemica …e col tuo intuito ermeneutico estatico , …di talento che sa abbracciare e metaforicamente baciare le verità di…ogni dialettica esistenziale d'”immanenza e trascendenza” ,…di ogni storicità e di ogni storiografia…”da esserci” ontologico estatico e talentuoso…,criticisticamente fondato e comunque sia danzante …l’ “I Care” di un Passionale Don Milani che…vorrà sempre ricordarci che …”la Messa ,…con Bianca sacrificata al sadomasochismo dell’amore perduto per ignoranza e paura,…è finita!”…

http://www.youtube.com/watch?v=fs_oItQR6nE

P. Modiano, L’orizzonte

Modiano ancora “straniero”

di Antonio Stanca

modianoPatrick Modiano è uno dei maggiori rappresentanti della narrativa francese contemporanea, fa parte della corrente dei nuovi scrittori, quelli che nei tempi più recenti si sono mostrati liberi dalle regole della tradizione, capaci di realizzare romanzi di altro genere e procurare loro un alto livello sia nel contenuto sia nella forma espressiva. Modiano è nato in un quartiere della periferia di Parigi nel 1945 da un padre ebreo di origine italiana che dalla Grecia era emigrato a Parigi e qui nel 1944 aveva sposato l’attrice belga Colpijn Louisa. Patrick era stato il primo figlio, poi era venuto Rudy che sarebbe morto a dieci anni. Il padre, uomo d’affari, mancò in continuazione da casa perché sempre impegnato all’estero, la madre pure visse lontano da casa per il suo lavoro di attrice e Patrick rimasto solo, senza neppure il fratello, trascorse l’adolescenza nei collegi dove studiava. Una vita solitaria fu la sua prima ed egli patì sempre la mancanza di un ambiente famigliare, degli scambi, degli affetti che ad esso sono legati. Diplomatosi non farà gli studi universitari anche perché a ventitrè anni, nel 1968, guidato dallo scrittore Raymond Queneau, scriverà il primo romanzo, La piazza dell’Étoile, e non si staccherà più dalla produzione narrativa. Diventerà uno scrittore noto, importante,  tra gli altri riconoscimenti  nel 1972 vincerà il Gran Premio del Romanzo Accademia di Francia con I viali della circonvallazione e nel 1978 il Premio Goncourt con La strada delle botteghe oscure.

Nel 1970 Modiano si era sposato, dal matrimonio nasceranno due figlie e lo scrittore rimarrà definitivamente a Parigi. Ora ha sessantotto anni ed oltre a romanzi e racconti ha scritto pure la sceneggiatura di alcuni film alla quale a volte ha collaborato. Sempre e diversamente impegnato si è mostrato già da giovane anche se la narrativa ha rappresentato il suo interesse maggiore. Nei romanzi e racconti vi sono tempi e temi che ricorrono. I tempi sono quelli della Francia occupata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale e in particolare quelli dell’occupazione di Parigi, i temi riguardano chi è vissuto in quel periodo lontano dalla propria famiglia, non ha conosciuto i genitori e vorrebbe riscoprire, ritrovare, ricostruire l’identità individuale e famigliare senza tener conto di farlo in un momento molto difficile, molto confuso. I personaggi delle sue narrazioni generalmente hanno dovuto abbandonare i loro luoghi d’origine, le loro famiglie, non hanno riferimenti morali, materiali, non si sentono legati a persone o cose, sono fuggiti in altri posti ma  neanche qui sono riusciti ad instaurare rapporti, a crearsi un ambiente poiché ossessionati sono da quanto loro è mancato e non può essere recuperato. “Stranieri”, “esuli” sono destinati a rimanere ovunque vadano, con chiunque s’incontrino. Giungeranno a dubitare di se stessi, delle proprie capacità, a non essere sicuri di niente, a non  saper distinguere tra presente e passato poiché perseguitati saranno da ricordi, pensieri ossessivi. Questi trasformeranno in immagini, in  visioni dalle quali non si sentiranno mai liberi, delle quali avranno paura. Ad una vita nuova, libera da tanti impedimenti aspireranno ma non la troveranno dal momento che nessuna vita può risarcirli di quanto non hanno avuto in precedenza. Eternamente sospesa rimarrà la loro condizione tra vecchio e nuovo, realtà e immaginazione, veglia e sogno, luce ed ombra, speranza e delusione, mai finirà la loro storia, sempre ricomparirà nei romanzi di Modiano sicché ognuno sembrerà continuarla anche se da diversa angolazione. E’ l’autore che attraverso i suoi personaggi si è messo alla ricerca di quelle origini, di quella famiglia che gli sono mancate, di quel padre che non ha conosciuto e che può solo immaginare, è un’immensa autobiografia  l’intera opera dello scrittore, è un processo che non si è mai arrestato se si tiene conto che si è ripetuto di recente, nel 2010, col romanzo L’orizzonte. In Italia è comparso nel 2012 per conto della Einaudi di Torino, traduzione di Emanuelle Caillat (pp. 153, € 13,00). Ancora “straniero” è il Modiano di quest’opera poiché ancora “stranieri” sono i due protagonisti che, arrivati a Parigi da lontano, s’incontrano, si conoscono, si amano, si confidano i loro problemi. Nessuno dei due ha avuto una famiglia alla quale riferirsi, dalla quale essere pensato, amato, ed entrambi sono alla ricerca delle tracce, dei segni che ad essa li conducano, entrambi vivono di ricordi sbiaditi, di sogni svaniti, entrambi sperano in situazioni nuove, in nuovi “orizzonti” che li possano liberare dai loro problemi. Niente di nuovo, di diverso, però, accade, neanche i nuovi posti riescono ad annullare i pensieri che li perseguitano, neanche qui svaniscono quelle immagini, quei fantasmi del passato nei quali ha preso corpo quanto nella loro vita non c’è stato. Fuggiranno anche da Parigi senza sentirsi compiuti. Una fuga interminabile sarà la loro e quella di tanti personaggi del Modiano. Attraverso essi l’autore esprimerà la propria infinita ricerca della famiglia che gli è mancata.

Di esistenze difficili, disperate scrive Modiano in questo e in altri romanzi e sorprende come con un’espressione chiara, sciolta riesca a rendere contenuti così complicati, a spiegare interiorità così complesse, a dire di esperienze che si spostano continuamente tra presente e passato, pensieri e ricordi, bene e male, amore e odio, vita e morte.  Abile è la sua scrittura poiché capace di mostrare come normali, naturali situazioni insolite.

Quando si vive quello che si scrive si può ottenere tanto!

A. Ingria Lo Piccolo, La Palermo dei Florio

Temi e pretesti per parlare della “mia” Palermo rimasta come quella dei Florio,… degli anni 70 e 80…!

di Gianfranco Purpi

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Spunto di questi mie presupposti di discussione e di notazioni storiche e poetiche , è il seguente libro:
– Ingria Anna Maria Lo Piccolo : “LA PALERMO DEI FLORIO” (Herbita Editore , 1993) .
lo_piccoloIl Libro in questione (anche per questo assolutamente valoriale) proietta il lettore,attraverso tanto suggestivi quanto storiograficamente attendibili scenari e paesaggi,oltre le spire del post/moderno,quotidiano,alla ricerca del tempo perduto e di sapori e colori che ancora oggi,chi ne ha fame,può cercare e riscoprire…

…Proprio come chi legge questo libro e proprio come ha “sognato” (immagino…) l’Autrice che lo ha scritto…

…E,con letture come queste, si riesce persino a riassaporare il tenue e sottile,ma sempre esteticamente ed emozionalmente ammaliante,ricordo di notti di mezza estate,quando i valori erano comunque peculiari della persona umana cristianamente fondata e…laddove si riusciva persino a sognare la sera,con un libro in mano e con a fianco lo sfondo di un lungomare “coinvolgente”,tutte le stelle dell’universo…

…Come “figli delle stelle”…

…Come quando …per miracolo… la “ragion pura” kantiana si lasciava intimidire e dolcemente sopraffare dall’ermeneutica folgorante di quell’intuizione della totalità storica (nell’alveo delle “teleologie” belle e care di un intuizionismo tutto bergsoniano…)…entro il lembo di un “pezzo” di quella Palermo dei Florio e,peraltro,di tutti i “figli delle stelle” che in quel paesaggio di autenticità siciliana rinvenivano la sorgente autenticante delle loro virtualità profonde,dinamiche,all’insegna della creatività che … i razionalismi tecnologici di oggi hanno “omologato” sul piano della fredda “ottimizzazione delle risorse””” (… nell’orizzonte teleologico gelido e cinico della pianificazione curricolare…all’insegna dell’efficientismo aziendalistico più riverente ai “giochi linguistici” dei costi,dei ricavi e dei risultati in termini di servizi e di comportamenti osservabili/misurabili/sperimentabili…)…

…Così,il lettore si ritrova (…per una di quelle magie catartiche e transferiali che solo la vera teoreticità artistica romanzata riesce a trasporre sul piano della fabulistica esistenziale)…stordito dal volo inebriante del tempo e dello spazio che sono stati recuperati e rappresentati nel bel mezzo di una temporalizzazione estatica da brivido…

…Ci si ritrova (…leggendo di un fiato le pagine di questo meraviglioso libro!)…in quelle strade affollate e pullulanti di personaggi sempre fecondamente autentici che fanno tutt’uno con l’incommensurabile platea “sistemica” del “popolo” palermitano caleidoscopio del “tempo dei Florio”…

…Si rivedono,con schizzi e pennellate tanto audaci quanto fenomenologicamente valoriali di intenso colore graffiante,…tutti gli “stereotipi” di quella Palermo/dei/Florio,nella loro complessità sociologica,nella loro problematica composizione conviviale e nella sempre loro caustica e tormentata nomenclatura di umori ed amori,di ragioni e di fedi,di passioni e temperanze,di economie sommerse e di lotta per la sopravvivenza,di smaglianti generosità e di sentimenti ed emozioni spinosi come le piante di “ficodindia”,di un rigoglìo comunque irrefrenabile di sogni e di futuro all’insegna della costante ricerca di una antropologica “esigenza di assoluta intellegibilità”…

…Questi uomini e questi paesaggi d’altri tempi salgono così maestosi e oltremodo caricaturali sul palcoscenico di una Storia che…non è quella dei medaglioni di Papi, Principi e Generali vittoriosi (…o perdenti); …ma che è proprio lo schermo proiettore dei genomi delle nostre anime e delle nostre storie e geografie “generative” di Sua Maestà l’Antropologia Filosofica,come risultante “in itinere” esistenziale anche … “mamma cara” di una civiltà quotidiana in cui la secolarizzazione di costumi,valori ed ideologie la fanno ancora a botte con le “debolezze etiche” e con il conseguente “relativismo soggettivistico” assoluto delle pulsionalità vitalistiche sfrenate del Post Moderno neo/globalizzato!

…Ciò…che è saggio non chiamare Antropologia Filosofica…per paura…di “sconfinare” in quel mondo accademico di “falchi intellettuali” che segnavano,ieri,ma anche oggi,lo spartiacque del destino culturale delle identità di formazione di tutti gli uomini di Buona Volontà…;…che,all’inizio della Vita,sono davvero tutti gli “erga omnes” che fiatano e piangono ignari…;…e che poi,spesso (da bambini),si ritrovano vittime di quella “scissione” della Ragione grazie a cui soltanto possono affermarsi le avidità dei poteri,delle violenze,delle ignoranze,delle alienazioni e dei feticismi mistificatori… dei “mostri” del Nostro Tempo -“mostri” che,con vestito più colorato e con atteggiamenti di apparente maggiore empatia solidaristica, c’erano anche al “tempo dei Florio”…

… Questi uomini e questi personaggi ,per magia audace,si trasfigurano “tutti”,trasfigurano “tutto”; …e si mettono a “sedere” …(attraverso le sintassi di una corroborante “pragmatica della linguistica”… che è tipica dell’invenzione narrativa del libro ed anche…della realtà storica che viene raccontata) …nel circolo comunicazionale e di ricerca ipotetica dell’universalizzazione etico/filosofica … attraverso simboli e metafore di eccezionale portata totalizzante di coesione e di crescita comunitarie,a carattere assolutamente “transidisciplinari” e di magica “traducibilità” dei linguaggi di relazione…

…Esempi vibranti di questo “copione” di prassi epocale?…Il “festino” tuonante di Santa Rosalia che si “affratella” anche …ai rombi della “targa Florio” …che “incarnano” la sintesi trascendentale invincibile di stile liberty anglosassone da tecnologia nascente,…da modernità pucciniana,…da motori di frenesia borghese vincente,…da cittadinanza urbanistica da metropoli anonimizzante,…da natura agreste montana madonita ,…e da ogni “quant’altro” di “statu nascenti” novecentesco, …con la voglia tutta popolare e nobiliare,allo stesso tempo,di “azzannare” (affamati) sfincioni e panelle,… a simbolo del bramante appetito di tutti di soffiare il proprio fiato/di/vita/rampante su ogni proprietà che “nobilita” (…sempre ispirati dalla voglia di “possesso” a tutti i costi … di ogni “cosa” e “persona” con già feticistica medesimezza e con le connotazioni di un tribale significato dell’”onore” …); …ed anche per la fame irresistibile di immaginazione creativa (vero e proprio “spostamento” oggettuale di libido…) suscitata da quei paesaggi metropolitani e montani da presepio vivente (…dall’intrinseca voglia di volersi bene “per un qualche interesse” … che purtuttavia si riconosce aporeticamente anche nella pulsionalità vitalistica “profonda” di un “vogliamoci bene” …che non si baratta con niente…)…

…Anche il Parco della Favorita sale alla ribalta quale Eden che si pone terreno mondano “per/tutti” …con le sue folle strabilianti e sempre mimetizzate nel verde luccicante della macchia tipica mediterranea che fa da scrigno … ai colori unici arancioni di quei tramonti che si “stampano” sulla roccia del Monte Pellegrino come tanti dolci di giornata (…che nemmeno gli occhi più frettolosi possono stemperare facilmente nell’immediatezza di una dispersiva percezione visiva …)…

…E,così,salgono sul palco di questo affascinante teatro narrativo anche … il vocìo ed il fruscìo tanto popolari e populistici (…quanto aristocratici d’intenti e di prevaricazioni solidaristiche tutti “a modo loro” … e per “cose nostre”…) dei personaggi caricaturali dei vicoli storici e dei palazzi ottocenteschi da baronaggio fluido e incorniciante anche…”altro da sé”…(con il grugno furbesco del Gattopardo)…

…E,così,prendono corpo i “prodomi” storici e dialettici … di una borghesia urbana strisciante che è sin dalla nascita tanto piccola quanto rampante;… e di una lunga linea grigia di “campieri” …che cercano inesorabilmente (…anche se lentamente!)… di impattare e surrogare i poteri e gli averi dei signorotti di campagna (con il loro sfondo di “lati/fondo”) …per poi andare ad “affollare” prepotentemente la “torre di babele” della città…

…Insomma,il libro in questione ci fa ritrovare,quasi per una di quelle magie da “tempo perduto”, le storie di una Palermo che stringeva in intrigante ed aporetica …(ma realissima) …”ricomposizione dialettica” hegeliana,i molteplici eterogenei e complessi “””dati storici di riferimento al reale”””… quali “modi d’essere” di un Logos e di uno Spirito Assoluto che l’Autrice sembra rinvenire persino sulle palme che fanno da ombra ad un mare turchino risaltante quale “specchio” dell ‘ interiorità di tutti i suoi personaggi…

…Di quei “figli delle stelle” …(che forse ancora oggi,nell’elegìa mnemonica della dolcezza nostalgica straripante e …nell’estasi rappresentativa di una temporalizzazione per forza di cose mistica;…nel ricordo di chi ama e vive la Storia di ciascuno e di tutti…come se fosse sempre quella Sua…)… riescono ad “esserci” anche “oltre” e “lontano”…da quella Palermo/dei/Florio…

…Entro l’alveo di un “attualismo” neo/idealistico (… di un’immanenza sempre da “sirena”) anche come …”misticismo” e come “psicosi dialettica”; …e come voglia irresistibile mistificante di dire agli altri ed al proprio Io “singolarizzante” ..che questo stesso misticismo non conosce né tempo,né spazio e né scienza descrittiva…perché ci fa abbracciare gli “erga omnes” ed il loro Tempo …come se “ieri” o “l’altro ieri”… fossero sempre “oggi” (…in un’Acropoli “ambulante” di filosofia aristotelica “mai superata”…),sempre in ragione dell’Uno che si “ripartisce” solo per finzione mentale nella determinatezza della “distinzione” e nei “ modi di essere” di tutte le persone ed i fatti di questo mondo…

…Ma noi …(da saggi amanti del “personalismo critico”)…sappiamo che … “non è così”; ..e che quella Palermo/dei/Florio…l’Autrice (crediamo di intuire…)…l’abbia voluta raccontare “così” …anche e soprattutto (con impareggiabile acume esteticamente dialettico e di “paidetica” descrittività artisticamente incommensurabile) per “disincantarci” (…dopo averci fatto sognare il Tutto Immanente) e quindi …per fini assolutamente “pedagogici”; id est…di Filosofia in quanto,prima di tutto ed oltre tutto,Filosofia delle Scienze che rinviene nella “pedagogicità” la valenza generativa linguistico/teoretica di ogni proprio costrutto enunciativo di “Teoria/generale/del/divenire”…

…Per suggerirci e sollecitarci -essa Autrice- con garbo e sagacia artistica inimitabile (…nello stesso tempo e per lo stesso motivo)…la tensione alla ricerca storiografica (ma prima di tutto storica e storicistica…)…sempre scientificamente criteriata e sperimentalmente condotta (…e filosoficamente fondata, pedagogicamente prospettata e storicisticamente “limata” da quel pizzico di “ermeneutica” che ci vuole … “quando ci vuole” e “per quanto ci vuole”;…per la genesi di ogni “ipotesi” di questo mondo e di questo “esserci/nel/mondo”…)…

…Al postutto,per suggerirci e sollecitarci una sempre indelebile e tangibile nostra “filosofia della prassi”… sia nella prospettiva teoretica dei saggi accademici, … che nell’antropologia di “vulgata” (…di senso comune!)… di uno Storicismo Assoluto comunque poliedricamente gramsciano,laico/laicista ed,al limite,criticistico… (dunque,con la Praxis e la Teoria di una dialettica della “compenetrazione intersoggettiva” esistenzialistica,comunque ”assieme”,”vive”,”convergenti” e “divergenti”,”ristrutturanti”,”personalizzate” e personalizzanti”,sempre “ulteriori/eccedenti” i condizionamenti storico/esistenziali e naturali dell’Hic et Nunc;… e,quindi, … da “personalismo storico” e “critico”,nello stesso tempo e per lo stesso motivo!)…

…Il nostro maestro Mario Manno forse potrebbe convenire…

M. Murgia, L’incontro

Della Sardegna dei buoni

di Antonio Stanca

murgiaE’ nata nel 1972 a Cabras, in  provincia di Oristano, nella Sardegna sud-occidentale, ha compiuto un corso di studi tecnici ed in seguito ha studiato teologia. Molte e diverse attività ha svolto prima di approdare alla scrittura, è stata animatrice nell’Azione Cattolica, venditrice di multiproprietà, dirigente amministrativa, portinaia di notte. Ora ha quarantuno anni e quando ne aveva trentaquattro , nel 2006, scrisse il primo libro Il mondo deve sapere, dove rappresenta, in maniera satirica, la grave condizione economica e psicologica sofferta dai lavoratori delle televendite. Dall’opera sono stati tratti uno spettacolo teatrale ed in seguito un film. La scrittrice è Michela Murgia, una donna che si sposta in continuazione, svolge attività di animatrice culturale, s’impegna in operazioni di recupero di territori e persone che ne hanno bisogno, prende parte a movimenti politici che perseguono l’indipendenza della Sardegna. Tra tanti interessi quelli per la sua isola e per Cabras rimangono i principali anche nel suo lavoro di scrittrice.

Nel 2007 è presente con altri scrittori in “Cartas de logu: scrittori sardi allo specchio”, nel 2008 scrive Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede, dove illustra alcuni posti della Sardegna rimasti scarsamente conosciuti, nel 2009 col romanzo Accabadora ricostruisce la Sardegna degli anni Cinquanta agitata dai problemi dell’eutanasia e dell’adozione. Con quest’opera la Murgia vinse nel 2009 il Premio Dessì e nel 2010 il Premio Campiello. Fu un’opera molto tradotta. Del 2011 è il romanzo Ave Mary. E la chiesa inventò la donna che suscita ammirazione  ma anche polemiche. Ha scritto pure racconti quali L’aragosta nel 2012 per l’antologia “Piciocas. Storie di ex bambine dell’Isola che c’è” e nello stesso anno altri per l’antologia “ Presente”. Al 2012 risale il romanzo L’incontro che è comparso prima nella collana “Inediti d’autore” del “Corriere della Sera” ed ora per conto della casa editrice Einaudi di Torino (pp. 102, € 10,00), dalla quale è stata pubblicata la maggior parte delle opere della Murgia. Ne L’incontro ancora la Sardegna e addirittura Cabras, il suo paese natale, sono i luoghi nei quali la scrittrice ambienta le vicende dei tre ragazzi, Maurizio, Giulio e Franco, che, negli anni Ottanta, a Cabras trascorrono le vacanze estive tra giochi di bilie, lanci di fionda, cacce alle lucertole, agli uccelli, immersioni nello stagno, corse sfrenate, confidenze intime, pensieri taciuti, sogni coltivati.

Abile è la Murgia nel rappresentare il piccolo paese della provincia sarda con le sue case, le sue strade, la sua gente, le sue tradizioni, le sue credenze, le sue superstizioni, i suoi costumi e nel collocarvi la vita nuova, diversa dei tre ragazzi di scuola elementare senza mostrarla in contrasto con l’ambiente ma riuscendo a comporre un quadro nel quale le due parti si combinano alla perfezione ognuna conservando se stessa. Facile, chiara è la lingua della scrittrice, sembra di leggere una favola, delle favole ha i toni vivaci, allegri e quelli cupi, grotteschi che mai, però, riescono definitivi. Anche quando la situazione, alla fine, sta per complicarsi poiché le quattro processioni pasquali sfociano tutte nella stessa piazza e si teme uno scontro tra le due fasce della popolazione che seguono due chiese  e due processioni diverse, anche allora sarà il buon senso dei tre ragazzi ad annullare ogni rivalità, ogni tensione ed a far vincere “l’incontro” sullo scontro. Saranno l’entusiasmo della loro età, il bene al quale erano educati, l’amore che cercavano per sé e per gli altri a trionfare sul male, sull’odio che si erano creati a Cabras. E tramite i suoi ragazzi la Murgia riuscirà ad esprimere la convinzione, la forza della sua fede religiosa e civile, la fiducia nelle buone azioni, riuscirà a fare dell’intera narrazione un messaggio di pace.

E’ figlia di una terra antica, ad essa non ha mai rinunciato, della Sardegna dei buoni, delle loro virtù vuole essere la voce, inalterabili le vuole mostrare. Come nella vita così nell’opera la Murgia si rivela erede di antichi valori ed impegnata a farne un modo per rimuovere gli ostacoli, superare i pericoli, combattere il male.

J. Otsuka, Venivamo tutte dal mare

Dalla voce dei “vinti”

di Antonio Stanca

otsukaNel 2002 quando scrisse il suo primo romanzo, When the Emperor Was Divine, che in Italia non è stato ancora pubblicato, ebbe molti riconoscimenti. Un classico della letteratura contemporanea fu considerata l’opera. Anche il secondo romanzo, The Buddha in the Attic, scritto nel 2011, è stato premiato nel 2012 col PEN/Faulkner Award for Fiction. Questo è stato ora pubblicato in Italia dalla Bollati Boringhieri di Torino, nella serie “Varianti”, col titolo Venivamo tutte dal mare (traduzione di Silvia Pareschi, pp. 140, € 13,00). La scrittrice è Julie Otsuka, nata in California, laureata in Belle Arti alla Yale University e con un Master of Fine Arts conseguito presso l’Università di Columbia. La Otsuka, che vive e  lavora a New York, è pure pittrice e questa sua attività spiega come in Venivamo tutte dal mare sembra di assistere ad una serie interminabile d’immagini che si susseguono e che, pur se legate dal tema dell’opera, valgono ognuna per proprio conto tanto sono cariche di significato e di effetto. Molto valore e molto colore contengono tali immagini, scrittrice e pittrice si rivela la Otsuka di questo libro che intende riscoprire, recuperare le tante storie delle tante giovani donne giapponesi che nel 1930-40 lasciarono il loro paese per recarsi in America, a San Francisco, dove le attendevano quegli immigrati, pure giapponesi, che prima di loro erano andati alla ricerca di un lavoro. Con questi si sarebbero dovute sposare senza averli mai visti né conosciuti se non mediante le  fotografie e le lettere che avevano ricevuto.
Il viaggio in mare sarà il primo dei loro problemi dal momento che si vedranno collocate in cabine sudicie e scarsamente illuminate, su cuccette maleodoranti ed avranno pochi alimenti a disposizione. Si sentiranno, però, animate dall’idea del matrimonio che hanno da fare, della famiglia che potranno formare. Molti pensieri facevano, molti discorsi correvano tra loro a questo proposito, senza fine risultavano le domande che si ponevano circa gli uomini che le attendevano, i nuovi ambienti, la nuova vita. Gravemente deluse rimarranno poiché niente di quanto avevano immaginato esisteva, gli uomini erano diversi da quelli delle fotografie e delle lettere, più vecchi e spesso prepotenti, le case che avevano sognato non c’erano ma solo baracche in luoghi periferici, non illuminati e non igienici, la vita  che dovevano condurre era quella del lavoro nei campi da fare per tutto il giorno in cambio di pochi soldi. Per sfuggire a questa situazione alcune giungeranno a prostituirsi, altre, le più fortunate, diventeranno domestiche nelle città  vicine. Verranno i figli e sarà difficile metterli al mondo e allevarli tra tanti stenti. Alcune moriranno. Si arriverà all’inizio della seconda guerra mondiale, all’attacco giapponese contro la base navale americana di Pearl Harbour e alla decisione del presidente Roosevelt di considerare nemici tutti i giapponesi presenti sul suolo americano. Si comincerà a deportarli, lo sgomento, la paura, il terrore si diffonderanno tra quelli rimasti e soprattutto tra quelle donne. Decideranno di andarsene insieme ai bambini e agli uomini. Dopo aver formato un lungo corteo partiranno senza che si sappia dove. Così si conclude il libro, con le immagini di questo grande esodo venuto dopo una serie infinita di umiliazioni e tribolazioni. Ancora ad una vita migliore penseranno, tuttavia, le tante donne in cammino ma stavolta non si sa cosa le attende.

Un documento indiscutibile può essere ritenuta l’opera, una testimonianza autentica visto che riporta la voce delle protagoniste, quella che diceva dei loro pensieri, dei loro sentimenti, dei loro dubbi, delle loro speranze, delle circostanze che erano loro occorse nel periodo compreso tra il viaggio d’inizio e quello di fine. Nel libro la Otsuka ha riportato le loro parole senza intervenire, ha fatto di esse il contenuto e la forma dell’opera. Un’idea originale e senz’altro riuscita se si tiene conto che in tal modo è stata recuperata una vicenda della quale poco o nulla si sapeva, la si è fatta rientrare nella storia, diventare un momento, un aspetto di questa.

Un volto, un nome, una voce hanno acquistato con la Otsuka persone che non li avevano mai avuti, dal buio, dal silenzio sono state sottratte, una vita è stata loro riconosciuta, un significato hanno acquistato.

Di alto valore umano e morale è l’operazione compiuta dalla scrittrice, un invito essa rappresenta a ricercare, riscoprire altri casi di vita individuale e collettiva rimasti sepolti nel tempo e restituirli alla loro verità, alla loro luce.