Non scegliere i libri di testo, l’ultima protesta dei prof

da La Stampa

Non scegliere i libri di testo, l’ultima protesta dei prof

I docenti puntano a un referendum e i presidi si organizzano per garantire gli scrutini
flavia amabile

ROMA

Inizia la battaglia finale sulla scuola. Sarà grande festa per gli studi legali, un po’ meno per la serenità dello studio e delle lezioni. Ieri sono iniziate le audizioni in Senato sul ddl di riforma, oggi prenderanno il via i lavori della commissione Cultura. Dalla prossima settimana si prosegue con la discussione sugli emendamenti (almeno 1500). Dialogare, ascoltare ma senza mai fermare l’iter del ddl: questo è il mantra ripetuto dal governo, a partire da Matteo Renzi.

Nel frattempo il fronte della protesta non sta a guardare. Il tempo a disposizione non è molto, circa tre settimane prima dell’approvazione da parte del Senato, tre settimane cruciali anche nelle scuole. In questi giorni si decide l’adozione dei libri di testo per il prossimo anno. Martedì il collegio dei docenti del liceo classico Mamiani di Roma ha deciso di non decidere: sospesa la delibera.

Su quali testi studieranno i ragazzi da settembre? Secondo alcune indicazioni degli insegnanti che stanno protestando dovranno servirsi di quelli lasciati in eredità dagli studenti che terminano le lezioni a giugno. Ma chi ha visto un libro dopo un anno tra zaini, banchi e scrivanie sa perfettamente che si tratta di utopia. Altri prof a settembre distribuiranno dispense gratuite realizzate da loro. Altri indicheranno testi scelti in totale libertà. In questa situazione si trovano già diversi istituti, dal classico Francesco Vivona all’istituto tecnico statale Arturo Bianchini di Terracini o all’Ipsia Orso Maria Corbino di Partinico o l’IISS Ferrara di Palermo.

Molto preoccupati gli editori. Giorgio Palumbo, presidente dell’Associazione italiana editori si chiede perché il costo del dissenso contro la riforma «finisca per scaricarsi interamente sulle spalle di aziende e operatori del settore che altra colpa non hanno se non quella di prestare un servizio di informazione e aggiornamento alle scuole e alla classe docente».

Un altro fronte aperto è la raccolta di firme per un referendum abrogativo della riforma. L’obiettivo è arrivare a 500mila firme, dopo due settimane hanno superato quota 20mila. La raccolta avviene attraverso i social ma anche attraverso i neonati gruppi di protesta su Whatsapp. Sugli stessi canali girano le istruzioni dei sindacati su come effettuare in modo regolare ed efficace lo sciopero degli scrutini: basta che manchi un docente durante il primo giorno perché la seduta venga rinviata di cinque giorni, spiegano.

Anche i presidi si sono organizzati con una contro-guida dell’Anp su come garantire gli scrutini nonostante lo sciopero e non esclude l’anticipo delle sedute o la convocazione di sabato pomeriggio o, persino, di domenica. Su social e chat riscuotono molto successo i pareri giuridici come quello di Ferdinando Imposimato, magistrato, presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, che ha individuato sette motivi di incostituzionalità nella riforma. Innanzitutto la disparità tra docenti (e personale Ata) e gli altri lavoratori del pubblico impiego: tutti hanno un posto fisso solo nella scuola si verrebbe condannati a peregrinare da una scuola all’altra. Oppure la valutazione del lavoro dei prof da parte di chi non ha le competenze adeguate come genitori ed alunni.

Gli idonei al concorso del 2012 che si sono visti scavalcare nel ddl dai 100mila precari che il governo ha scelto svuotando le graduatorie ad esaurimento, hanno fatto anche di più: hanno chiesto al costituzionalista Michele Ainis un parere. Hanno ottenuto un documento di 29 pagine che individua tre motivi di palese incostituzionalità. Se non cambierà qualcosa nel provvedimento, i ricorsi sono già pronti ad essere spediti.