A. Signorelli, La vita al tempo della crisi

L’Italia della fine

di Antonio Stanca

A ottantatré anni l’antropologa Amalia Signorelli ha dato alle stampe, presso Einaudi nella serie “Vele”, La vita al tempo della crisi, breve volume dove raccoglie i risultati di suoi precedenti studi relativi alla crisi che l’Italia sta attraversando, ai gravi problemi che in questi ultimi anni si sono presentati per il singolo e per la società.

La Signorelli è nata a Roma nel 1934, qui si è laureata e qui ha iniziato a lavorare in programmi di ricerca diretti da Ernesto De Martino ed altri studiosi.

Dopo aver insegnato in una scuola media in Calabria, ha lavorato nella scuola CEPAS dell’Università di Roma. In questa Università ha poi insegnato Elementi di Sociologia e Antropologia Urbana, quindi Antropologia culturale presso l’Università di Urbino e dal 1978, diventata professoressa ordinaria, ha insegnato Antropologia culturale presso l’Università “Federico II” di Napoli e “La Sapienza” di Roma.

Altri incarichi nelle Università di Parigi e di Città del Messico ha svolto, ha preso parte ad alcuni programmi della televisione italiana e dal 2014 scrive per “Il Fatto Quotidiano”.

Suoi interessi specifici sono stati l’antropologia culturale, l’antropologia urbana, il fenomeno dell’emigrazione e del rientro degli emigrati, il problema del clientelismo, quello della condizione della donna italiana, delle culture popolari, della cultura urbana, dei processi di trasformazione, evoluzione con particolare riferimento all’Italia Meridionale.

All’Italia e ai suoi problemi è stata generalmente rivolta l’attenzione della Signorelli, questi sono stati gli argomenti principali dei suoi lavori, pubblicazioni, seminari, corsi di studio. Alcune opere sono state tradotte in lingue straniere e fondamentali sono risultate nell’ambito dell’antropologia urbana. Ora in quest’ultimo saggio ha ripreso, ampliato, approfondito temi osservati, studiati in precedenza, gli aspetti, cioè, che in Italia ha assunto la vita nei tempi più recenti, quando gravi sono diventate per tutti le condizioni a causa di una crisi così estesa da aver coinvolto ogni settore, dall’economia alla politica, dall’individuo alla società, dalla famiglia alla scuola, dal lavoro alla cultura, dai giovani ai vecchi, dagli uomini alle donne, dal presente al futuro.

Chiara come sempre è riuscita la studiosa, ordinata, logica nelle sue argomentazioni. Anche se molte e diverse queste vengono da lei continuamente richiamate, riportate alle cause prime, comuni sicché non diventa mai difficile, per chi legge, seguire un problema nonostante i molti aspetti che può assumere e le molte conseguenze che ne possono derivare.

L’esame che di un problema compie un antropologo è diverso da quello di ogni altro osservatore perché il suo è esame dell’uomo che quel problema vive, del corpo, dello spirito di quell’uomo, delle sue origini, della sua razza, delle sue tradizioni, della sua storia, dei suoi costumi, del suo pensiero, della sua condotta, delle sue leggi, dei suoi luoghi, dei suoi tempi, della sua società, della sua vita, delle sue opere, della sua cultura, è l’esame di tutto quanto ha fatto e fa parte di lui e del suo popolo. L’antropologo vede quell’uomo, il suo problema da vicino e da lontano, li segue nel percorso che compiono insieme da quando inizia a quando finisce.

Così succede pure in questo saggio dove la Signorelli muove dalle cause remote, storiche, da quelle prossime, contingenti che hanno fatto entrare l’Italia nella grave crisi dei nostri tempi quando, cioè, si è giunti a parlare di quella italiana come di una società, di una vita “flessibili” giacché impossibile è diventato in esse riferirsi a valori, principi inalterabili, unici e necessario si è reso accettare una maniera, un modo di essere, di stare, di fare esposto a continui cambiamenti, fluido. Niente di quanto ha sempre caratterizzato la vita individuale e collettiva, nessuna delle sue conquiste precedenti ha resistito all’urto di questa crisi, tutto è cambiato e continua a cambiare poiché le gravi difficoltà economiche nelle quali si è incorsi hanno modificato tanti ruoli, tante funzioni, tante posizioni, hanno fatto accettare una fluidità, una “flessibilità” appunto, che non ha risparmiato nessuno, hanno reso necessari tanti altri modi di essere, di vivere, hanno esposto l’individuo, la famiglia, i figli, l’istruzione, l’occupazione, la società, la morale, la vita a “continue contrattazioni, compromessi, riformulazioni, abolizioni, riattivazioni e violazioni”. In una condizione così incerta, così insicura come quella dell’Italia d’oggi, dice la Signorelli, è diventato impossibile pensare ad un futuro, fare dei programmi, intraprendere un percorso, andare oltre quanto già c’è. E’ questa la conseguenza più grave della crisi: la vita si è fermata a causa dei suoi bisogni. Questi sono ormai tanti e tanto urgenti da non permettere di pensare ad altro, da impedire, annullare qualsiasi volontà di sviluppo, di progresso, qualsiasi superamento, miglioramento, d’aver fermato quello che è sempre stato il motore della vita, d’aver fatto parlare di fine di questa.

E’ grave, conclude la studiosa, ma per ora è così e non si può dire quanto durerà!