Che cosa ci si aspetta oggi da un buon docente?

Che cosa ci si aspetta oggi da un buon docente?

di Maurizio Tiriticco

 

E’ l’interrogativo che si pone Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione Agnelli in un articolo apparso su “la Repubblica” di oggi, 4 marzo 2017, intitolato “Scuola, due scelte per il futuro”. La legge 107, com’è noto, prevede nove regolamenti applicativi, per cui si vedano le lettere da a) ad i) del comma 181 dell’unico articolo, due delle quali riguardano: b) il riordino, l’adeguamento e la semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria…; e) l’istituzione del sistema integrato di istruzione e formazione dalla nascita fino ai sei anni…

Si tratta di due regolamenti chiave finalizzati ad un funzionamento efficiente ed efficace dell’intero nostro “sistema educativo di istruzione e formazione” (così lo definimmo sia con la legge 30/2000, Berlinguer, che con la legge 53/2003, Moratti), a cui si chiede, di norma, di EDUCARE il cittadino, di ISTRUIRE il futuro lavoratore e di FORMARE la persona. Sono tre impegni che vanno molto al di là di quello che assumemmo nel lontano 1861, dopo la proclamazione del Regno, di insegnare a tutti i nuovi cittadini – allora più che altro sudditi – a leggere, scrivere e far di conto. O tempora o mores! Ad oltre un secolo di distanza, conoscenze, competenze, processi lavorativi, profili professionali sono cresciuti a dismisura, potremmo dire! Nonché profondamente cambiati! Per non tirare poi in campo quei processi di globalizzazione che incidono non poco sia sui profili professionali che su quelle competenze di cittadinanza che insieme costituiscono le sfide e i traguardi proposti da questo nuovo e complesso nuovo millennio.

Andrea Gavosto nel suo articolo si sofferma soprattutto sul profilo e sulla funzione dell’insegnante e testualmente scrive tra l’altro: “Che cosa ci si aspetta oggi da un buon insegnante? Primo, sapere ciò che insegna e saperlo insegnare, ossia un giusto dosaggio tra conoscenze disciplinari e capacità didattiche. Secondo, stare in classe (a mio avviso, sarebbe più corretto parlare di aula, del concreto spazio fisico, che di classe, che riguarda l’età degli alunni) con carattere ed equilibrio, sapendo relazionarsi con gli studenti e anche con i colleghi, perché oggi la scuola ha bisogno di docenti che sappiano fare squadra, non di bravi conferenzieri nel chiuso dell’aula. Infine, capacità di dialogo con le famiglie, per rifondare un’alleanza che si sta sfaldando”.

Le sollecitazioni sono interessanti, ma occorre andare oltre, approfondire! Che cosa significa “sapersi relazionare” e, soprattutto, come si fa? Ho scritto più volte dell’insegnante animatore, o meglio dell’insegnante animaTTore… sì, con due “t”, se non con tre! Il che mi viene dalla grande lezione di Dario Fo. Chi legge si chiederà che cosa c’entri un attore con un insegnante! C’entra e come! Se un insegnante non è in grado di interessare, coinvolgere, ANIMARE – così si dice – un gruppo di alunni, è molto difficile che questi siano “incuriositi” e motivati ad appendere! Di qui la grande lezione di un Dario Fo! Chi di noi – o quale alunno – avrebbe letto e apprezzato quelle “cose” che Dario Fo, invece, è stato capace di comunicarci, coinvolgendoci fino al punto di catturare il massimo della nostra attenzione?!. Quando negli anni Settanta nelle scuole il leit motiv di ogni norma per la scuola era la “programmazione delle attività educative e didattiche” – la famosa legge 517/77 – volli mettere in guardia direttori, presidi e insegnanti dal non cadere in aride formule ingegneristiche, ma di “scaldarle”, se si può dir così, con l’animazione e scrissi, appunto, “Programmazione come Animazione”, per la Tecnodid di Napoli.

In effetti, per dirla con estrema semplicità, noi ragioniamo con l’emisfero sinistro del nostro cervello, ma ci emozioniamo con quello destro. Non a caso un certo Bruner scrisse anni fa i “Saggi per la mano sinistra”! Esortava, quindi, a non sottovalutare quale peso ha nella sollecitazione di apprendimenti la sfera che in genere chiamiamo emozionale, laddove nascono le curiosità, la voglia di scoprire, di fare, di sfidarsi, di raggiungere un obiettivo. Per me un vero insegnante è colui che, di fatto, non in-segna nulla nella testa degli alunni, ma che, invece li incuriosisce, li motiva ad appendere! In effetti, è proprio il verbo/concetto di insegnare che dovrebbe essere cancellato. All’insegna del fatto che “nessuno insegna nulla, ma tutti apprendono”: E’ una provocazione, lo so! Qualche tempo fa, quando Dario Fo calcò i nostri palcoscenici con performance così particolari e nuove per tanti di noi, scrissi più o meno così!

I rilievi critici mossi contro Dario Fo vanno letti proprio con la medesima chiave adottata dai detrattori, ma in positivo: il fatto è che è il teatro stesso, se non ogni manifestazione artistica, che è anche insegnamento in senso lato. Basti ricordare le finalità del grande teatro tragico dell’antica Grecia. Chiunque voglia “dire” qualcosa e farla accettare, cerca sempre approvazione, consenso, condivisione. Non c’è produzione artistica “gratuita”: il “dire”, l’“informare” significa anche e sempre “formare”, sollecitare la condivisione e il “fare”. Dario Fo era un pedagogo – e senza virgolette – proprio in quanto artista. In effetti, testi che, letti a scuola, sarebbero di una noia mortale, rappresentati da un Dario Fo sono tutt’altra cosa. Se poi si pensa alla contestualizzazione storica che ne faceva Dario Fo – anche alle riletture e alle transcodifiche che ne hanno sempre fatte i giullari, o il popolino stesso nelle ritualità di certe ricorrenze, nelle sacre rappresentazioni – e alla lettura che in genere se ne fa nelle aule scolastiche, la differenza è lampante! Dal coinvolgimento si passa alla noia. Si pensi alle storie di Lazzaro, di San Benedetto, delle Nozze di Cana, raccontate, drammatizzate… rivissute da Dario Fo.

E riflettevo sulla differenza che corre tra una classe scolastica annoiata, “costretta” a “studiare” su un libro inerte “O figlio, figlio, figlio! Figlio, amoroso giglio, figlio, chi dà consiglio al cor mio angustiato?” di Jacopone da Todi, per l’interrogazione del giorno dopo, e invece una platea animata da una drammatizzazione che ne avrebbe fatta Franca Rame! Altro che note a pie’ di pagina, che in effetti raffreddano il testo con la pretesa, invece, di aiutarne lettura e comprensione! Dario e Franca sono stati capaci di immergerci in un’epoca, in un mondo, in un insieme di emozioni che ci fanno rivivere da protagonisti, da “attori”, non acquisire da “lettori”. E chissà quanti spettatori allora, grazie a Dario Fo, per la prima volta, nonostante anni e anni di scuola, hanno compreso e sentito nel profondo cose che avevano sempre letto sulla carta e scarsamente capito.

Occorre, quindi, che nelle scuole un insegnante sia in grado non solo e non tanto di spiegare concetti, ma anche e soprattutto di suscitare emozioni, coinvolgimenti, partecipazione. Io non ho mai amato i Promessi Sposi, ma i miei alunni li hanno sempre amati… e mi seccava anche un po’! In effetti, una cosa è assegnare la lettura per il giorno x, altra cosa è drammatizzare l’oggetto hic et nunc. E drammatizzarlo con la partecipazione viva e creativa degli alunni. Occorre optare quindi per un insegnante anche attore, animatore, o meglio per un insegnante animaTTore, lato sensu, ovviamente, se si vuole! E se si è capaci!