Semplificazioni, ritardi e il nodo delle aree bianche senza copertura

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Biondi

«Mi si è stretto il cuore guardando la foto di quel ragazzo che ogni mattina si incammina e fa un chilometro per trovare un posto dove poter seguire le lezioni online con tavolino, tablet, libri perché a casa sua non c’è segnale». Quella citata dall’amministratore delegato di Tim Luigi Gubitosi nel corso dell’audizione (in videoconferenza) con i deputati della commissione Trasporti e Tlc, è la storia di Giulio, 12 anni, di Scansano, in piena Maremma toscana. «Ho detto immediatamente ai miei di fare qualcosa. Ma non si tratta di un caso isolato. Le aree bianche senza copertura – ha precisato Gubitosi – non devono essere collegate solo a paesaggi bucolici. Sono un problema nazionale perché in questa condizione ci sono anche zone delle periferie delle grandi città».

Il nodo «aree bianche»

La vicenda dello studente 12enne, costretto dall’emergenza coronavirus a peripezie che ricordano tempi lontani, è in fondo l’emblema di una questione irrisolta, in cui si racchiude un nodo ben presente anche al mondo politico. Ne sono una testimonianza la nascita di una Open Fiber controllata da Enel e Cdp – e creata dall’allora governo Renzi per dare una sferzata ai programmi di copertura in fibra del Paese – e tutte le ormai annose discussioni attorno all’eventualità di avere una rete unica, facendo unire le forze di Tim e della stessa Open Fiber. All’atto pratico, però, non se ne riesce a venire a capo. E il risultato finale è in quel ritardo digitale del Paese rispetto alla media europea che, impietosamente, l’indice della Commissione Ue (Desi) mette in luce ogni anno. L’emergenza coronavirus ha tuttavia fatto inevitabilmente da acceleratore in un quadro in cui fra smart working, videoconferenze, consumo di contenuti video on demand in streaming, l’esigenza di avere infrastrutture digitali all’altezza di questo nome ed adeguate ad affrontare la situazione è diventata indifferibile.

Per questo l’8 aprile i vertici delle compagnie telefoniche sono sfilati, seppur in videoconferenza, davanti alla Commissione trasporti e tlc della Camera mettendo sul tavolo tutto il maggior lavoro che questa situazione sta comportando alle telco. I vertici delle compagnie non hanno però d’altro canto perso l’occasione di chiarire necessità e priorità. Innanzitutto hanno segnalato come prioritaria la necessità di accelerare sulla copertura delle aree bianche, vale a dire quelle dove non essendoci interesse del mercato a investire si è provveduto a incentivare con bandi pubblici. A vincere è stata Open Fiber. Ma per tutta una serie di motivi (burocrazia, permessi e ricorsi vari) quello sviluppo è in ritardo sulla tabella di marcia. Nella copertura di quelle aree, hanno spiegato i vertici delle telco, occorre intervenire in fretta per correggere il trend per far guadagnare terreno al Paese.

Semplificazioni e vincoli

C’è poi il tema delle reti mobili. Il 5G è stato pagato a caro prezzo – 6,5 miliardi di euro per le frequenze – e il mondo delle compagnie telefoniche sarà chiamato a implementare le reti con altre risorse proprio in un momento in cui ci si lecca le ferite di ricavi e margini dilapidati negli anni passati, che oggi peraltro bruciano ancora di più visto il periodo di ricavi calanti anche per la mancanza delle entrate da roaming – e sono centinaia di milioni – garantite dai turisti che vengono in Italia. In questo quadro semplificazioni e un adeguamento dei limiti elettromagnetici che in Italia sono più stringenti di quelli europei sono stati indicati come fattori imprescindibili. «Un’armonizzazione – ha detto Roberto Basso, direttore affari esterni di Wind Tre sempre in audizione davanti alla commissione Trasporti e tlc della Camera – permetterebbe un aumento della capacità di rete del 15-20%, una riduzione della congestione fino al 50%, un aumento di copertura indoor».

Il ritardo rispetto alla Ue

A questi propositi per il futuro fa da contraltare una situazione che ha luci, ma anche tante ombre sia sulle infrastrutture sia sulle competenze digitali. L’Istat ha segnalato che un terzo delle famiglie non ha un computer o un tablet in casa. La quota scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minore. Solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet. Nel Mezzogiorno i dati sono più allarmanti: il 41,6% delle famiglie è senza computer in casa con Calabria e Sicilia in testa (rispettivamente 46% e 44,4%) rispetto a una media di circa il 30% nelle altre aree del Paese e solo il 14,1% ha a disposizione almeno un computer per ciascun componente.

A questi gap vanno poi aggiunti i ritardi strutturali, di sistema. In Europa il digital divide di primo livello è identificato con la mancata copertura di banda larga fissa, ad almeno 2 Megabit (Adsl sostanzialmente). In Italia questo dato riguarda lo 0,5% delle famiglie (dato Desi 2019 che però è riferito al 2018) contro un 3% di media europea. Bene, ma sul versante della diffusione l’Italia finisce per essere 24esima nella classifica Ue con un 60% di famiglie contro un 77% nella Ue. Se si passa alla copertura a banda ultralarga – quella con velocità superiore a 30 Mbps, sostanzialmente inevitabile per una degna connessione ai servizi internet – il dato positivo è che il 90% delle famiglie risulta coperto. L’incaglio però sta nel fatto che a fare uso di questa infrastruttura è solo il 24%, contro un 41% della Ue.

Da qui si arriva al vero nodo: la copertura in ultrabroadband dai 100 Mbps in su. Qui il ritardo appare lampante (con una copertura al 24% delle famiglie a confronto con una media Ue del 60%), piazzando l’Italia in prossimità del fondo classifica (27esimo posto). Sulle reti in questo periodo sono stati fatti interventi per aumentare la capacità: «Abbiamo già potenziato del 30% e stiamo programmando un aumento fino al 50% per mettere fisso e mobile tutto in sicurezza» ha sottolineato l’ad Vodafone Albo Bisio. Su quella sicurezza si gioca il futuro digitale dell’Italia.