Un sistema di reclutamento fallimentare, non da oggi

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto

Se non riparte la scuola, non riparte il Paese, a cominciare dal lavoro dei genitori, questo è chiaro. Eppure, mentre il fatidico 14 settembre si avvicina, una riapertura “regolare” delle scuole appare sempre più un miraggio, con la conseguenza di far traballare il Governo e accrescere l’ansia delle famiglie.

A oggi, ancora non si sa come i ragazzi arriveranno a scuola con i mezzi pubblici, se entreranno con orari differenziati, se in aula dovranno tenere la mascherina. Perfino più importante, non si sa quanti e quali insegnanti troveranno in classe il primo giorno. Realisticamente, molte cattedre resteranno vuote fino a novembre – come gli altri anni, più degli altri anni – e il numero di supplenti annuali supererà nettamente i 185.000 dello scorso anno. Con le 50/60.000 assunzioni aggiuntive e temporanee decretate per le criticità del Covid, la stima di 250.000 è verosimile. Questo in un anno in cui, oltre a svolgere le normali attività, occorrerà rimediare alla drammatica perdita di apprendimenti patita da marzo a oggi. Avere tutti gli insegnanti subito al loro posto doveva essere una priorità politica, oltre che la legittima pretesa delle famiglie.

Non sarà così. Certamente, per la ripresa dei contagi e gli imperdonabili ritardi del Ministero, ma anche per ragioni che con il Covid hanno poco a che fare. Ciò è particolarmente vero per la questione degli organici dei docenti, critica da decenni. I fallimentari meccanismi di reclutamento riescono da molti anni nel paradossale esito di non riuscire a coprire le cattedre di ruolo disponibili, facendo così crescere a livelli patologici il numero di precari, per poi una tantum assumerli con sanatorie che impediscono di verificarne le capacità. Sacrificando la continuità dell’insegnamento e la qualità degli apprendimenti.

La surreale situazione odierna è lo specchio amplificato di questo male antico. Se anche quest’anno non si troveranno i docenti di ruolo che mancano, è perché in molte materie e in molte regioni, non solo più al Nord, non ci sono i candidati con le caratteristiche richieste. A poco servirà – temiamo – la cosiddetta “chiamata veloce” per trovare insegnanti di ruolo da altre regioni, tipicamente dal Sud: l’obbligo di restare 5 anni nella stessa scuola potrebbe scoraggiare la scelta di aree percepite come pericolose per il Covid. In assenza di docenti di ruolo, si passerà alla chiamata dalle Graduatorie provinciali dei supplenti: da quest’anno la procedura è nuova e totalmente informatizzata, come ha enfatizzato il Ministero. Peccato che il sistema – poco testato – stia generando enormi problemi: così anche i tempi di nomina dei supplenti andranno ben oltre il consueto. In piena emergenza, non avrebbe avuto senso rinviare la meravigliosa novità?

Ai cronici problemi del reclutamento il virus aggiunge ora un doppio rischio. Sbagliando, si è deciso di non rendere obbligatori i test sanitari per i docenti prima del rientro in aula: i molti rifiuti non aiuteranno a placare le ansie delle famiglie. Inoltre, l’età media elevata rende molti insegnanti soggetti in potenza fragili, quindi da tutelare. Anche in questo caso – di nuovo, prevedibilissimo – non si sa ancora bene se saranno assimilati ai malati e quindi sostituiti da supplenti oppure potranno essere utilizzati in attività non in presenza. Ma quali, se la didattica a distanza si farà solo in caso di lockdown nelle superiori?

All’emergenza si dovrebbe rispondere con misure straordinarie. Per avere (quasi) tutti i docenti in cattedra il primo giorno di scuola, bisognava in primavera “congelare” la mobilità annuale: un’altra occasione persa da chi al Ministero ha scommesso sulla retorica del “ritorno alla normalità”. Quel che si può ancora fare oggi – per evitare nuove disastrose interruzioni – è cercare di tenere le scuole aperte tutto il giorno, per scaglionare gli ingressi, ridurre gli assembramenti, creare classi più piccole e stabili, utilizzare meglio ogni spazio. Per farlo, si dovrà chiedere agli insegnanti di stare a scuola più ore – debitamente retribuite – e assumerne in via temporanea un numero ancora maggiore. Non è l’ideale, ma l’alternativa è rompere definitivamente il rapporto di fiducia fra famiglie, insegnanti e scuola pubblica.