Diritto alla storia

Diritto alla storia

di Margherita Marzario

Abstract: L’importanza di conoscere la propria identità storica per vivere consapevolmente il presente e progettare il futuro

Più regnano l’incertezza e la precarietà e più cresce l’esigenza di conoscere e riconoscere la storia, quella storia che ha portato a scrivere la Costituzione repubblicana e la società democratica di oggi.

L’art. 9 della Costituzione recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. La Costituzione italiana, una grande pagina di storia, è una delle migliori, se non la migliore del mondo, ma la sua applicazione è una delle peggiori perché, per esempio, non si crede e non si investe nello sviluppo della cultura. L’Italia è stata culla di cultura e ora rischia di diventare solo una culla vuota.

Don Andrea Gallo, che è stato anche educatore, scriveva: “C’è il disprezzo dei giovani. Quando la civiltà cade, si va verso la barbarie. Viviamo in un mondo medievale, dove c’è l’imperatore che ha il potere e il danaro e poi i vassalli, valvassori e valvassini. E gli altri? Che vadano a ramengo! E allora si distruggono lo stare insieme, i cortei e si ha il monopolio dei mass media. Si salva un po’ il web. I giovani sono scoraggiati e, ovviamente, violenti. Non a caso è in aumento l’uso di droghe e alcol. Perché c’è assenza di futuro. Mi viene rabbia. Conoscete le statistiche dei suicidi?”. I giovani vanno allevati, elevati, entusiasmati alla storia. Perché a scuola non si insegnano la storia e la geografia in maniera originale? Come fa lo scrittore Erri De Luca: “L’Italia non è uno stivale, ma un braccio proteso con la mano aperta verso il Mediterraneo da cui ha preso la propria cultura”. La storia è un patrimonio, parola che deriva dal latino “pater”, padre: ogni cittadino si deve (o dovrebbe) sentire e fare “padre della cultura”, senza attendere iniziative statali o forme di ricompensa o gratificazione personale. In politica e nelle politiche si deve ritornare a pensare e agire come un “buon padre di famiglia” gestendo con cura l’inestimabile “patrimonio di famiglia”: i giovani.

“La frequenza della scuola e dell’università comporta ovviamente un aspetto di fatica, di vero e proprio lavoro, di impegno, ma rappresenta un’opportunità unica per la crescita umana, culturale e spirituale di chi vi si applica con il giusto amore. Non è un caso che il grado di civilizzazione di un Paese venga pure misurato in base al numero dei suoi laureati. Proprio per questo, anche in momenti di crisi economica, non dovrebbe mai essere penalizzato il capitolo di spese relativo all’istruzione. Investire sulla scuola e sull’università è la carta vincente per lo sviluppo di ogni nazione. Italia compresa” (don Armando Matteo, esperto di problematiche giovanili). Ricordando che molta parte della storia d’Italia è stata fatta da giovani, tra cui Raffaello Sanzio (1483-1520) e Goffredo Mameli (1827-1849), il semisconosciuto giovane autore di quello che è diventato l’inno d’Italia, e quei giovani adulti che hanno contribuito a scrivere la Carta costituzionale: tra le 21 “madri costituenti” Nilde Iotti (1920-1999) che, il 25 giugno 1946 al suo ingresso nell’Assemblea Costituente, aveva 26 anni e si impegnò soprattutto nella stesura dell’art. 3 della Costituzione.

Storia è anche politica e cinema e così si riesce ad appassionare i giovani per quello che è stato e che ha consentito o non consentito che il presente sia così e non diversamente. Tra i tanti che hanno segnato e disegnato la storia italiana, Aldo Moro (1916-1978), statista e, tra l’altro, autore dell’ossimoro “convergenze parallele”, e Vittorio De Sica (1901-1974), cineasta: due grandi figure del XX secolo, della stessa generazione e che hanno conosciuto la bruttura della seconda guerra mondiale, mossi da una passione che hanno trasfuso nella loro professione, che si sono spesi per gli altri. Storia non è solo fatti e misfatti ma parole di cui si è perso l’uso, come “statista” e “cineasta”, con un significato denso di storie, persone che hanno fatto la storia, che hanno cambiato la storia, che hanno vissuto la macrostoria.

Un altro merito dello statista Aldo Moro è stata l’introduzione dell’educazione civica nelle scuole con D.P.R. 13 giugno 1958, n. 585 con parole sempre attuali: “L’educazione civica si propone di soddisfare l’esigenza che tra Scuola e Vita si creino rapporti di mutua collaborazione. L’opinione pubblica avverte imperiosamente, se pur confusamente, l’esigenza che la Vita venga a fecondare la cultura scolastica, e che la Scuola acquisti nuova virtù espansiva, aprendosi verso le forme e le strutture della Vita associata” (dalla Premessa al D.P.R.).

La cultura italiana non è fatta solo di grandi figure, quali Dante o Leonardo o Michelangelo, per i quali è sufficiente ricordare solo il nome di battesimo ma da tante figure che hanno coltivato e arricchito l’italianità. Da menzionare, a titolo esemplificativo, Giorgio Bassani (1916-2000), scrittore appassionato e cultore di ogni forma di arte, dalla poesia al cinema.

Italianità è francescanesimo, spiritualità, genialità, letteratura, poesia, arte, creatività, ecletticità, cinematografia di qualità, impegno politico e civile.

Lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive: “La maggioranza dell’umanità, quell’umanità composta da uomini e donne non illustri, se ne va in silenzio. Nell’ultimo viaggio saremo accompagnati dall’amore di chi ci ha voluto bene. E saremo ricordati non già nei libri di storia ma, si spera, nelle opere buone che abbiamo lasciato e nella memoria di chi ci ha conosciuto. Questa sì che sarebbe una bella fine”. Così dovrebbero essere ricordati pure educatori e insegnanti.

La storia di un Paese non è fatta solo di date, eventi bellici e personaggi noti ma di musica, arte, politica, cinema, persone che lottano e si appassionano quotidianamente: vita. Così la si può insegnare meglio ai giovani e risalire da fatti locali a quelli di più ampia portata. La storia è fatta di microstorie: così si possono appassionare anche i giovani. A scuola si dovrebbe insegnare di più o dapprima la storia locale, ricca di dettagli ed emozioni, per poi passare alla macrostoria: forse così i ragazzi l’apprezzerebbero. La storia non riguarda solo il passato, ma produce conseguenze su ogni altra dimensione temporale e spaziale. È continua produzione di cultura, emozioni e anche di turismo e, quindi, economia. Insegnare la storia oltre i libri di storia per allargare gli orizzonti e costruire nuovi ponti. La storia, etimologicamente “ricerca, indagine, cognizione”, non è una raccolta statica di informazioni ma la ricerca continua di ragioni e spiegazioni degli eventi e, nel caso di guerre, non è l’individuazione dei colpevoli ma di corresponsabilità e concatenazioni per evitare altra disumanità e disumanizzazione. Storia è ricordare, rimembrare, ripercorrere, ricostruire, non dimenticare, avere memoria di situazioni ed emozioni.

Nell’art. 9 comma 2 della Costituzione si parla di “patrimonio storico”, e non di “storia”, anche per sottolineare che quello che è successo e che ha lasciato traccia appartiene a tutti e  riguarda tutti. È diritto e dovere di ognuno conoscere la storia e riconoscere persone e avvenimenti che hanno fatto e cambiato la storia.

“La libertà personale è inviolabile” (art. 13 comma 1 Cost.): per far sì che la libertà sia tale (libertà da condizioni e condizionamenti e, conseguentemente, libertà di) è necessario anche conoscere la storia di quegli uomini che hanno perso la vita in nome della libertà, dal politico siciliano Piersanti Mattarella (1935-1980) al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (1920-1982). 

Conoscere la storia (art. 9 Cost.) è esercizio ed espressione di libertà, in particolare delle libertà inviolabili, da quella personale (art. 13 Cost.) a quella di corrispondenza e comunicazione (art. 15 Cost.).

Ricordare, far conoscere la storia è realizzare i valori costituzionali, tra cui la rimozione degli ostacoli di cui all’art. 3 comma 2 della Costituzione, per l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Avere memoria della storia è uno strumento di pace, perché contribuisce a ricordare la mestizia di quanto successo e a ripristinare la meraviglia della vita e dei suoi valori.

Bisogna conoscere la storia non per diventare storici o stoici ma per fare scelte e azioni meno stolte e meno storte. Perché la storia, soprattutto la brutta storia (come l’episodio del transatlantico tedesco St. Louis con a bordo 963 esuli ebrei, che cercavano di salvarsi dal nazismo, non fu fatto approdare dagli USA nel 1939) si può ripresentare all’infinito se l’uomo non va oltre il suo finito. Bisogna tener conto della storia senza replicare gli errori anche per uno sviluppo sostenibile dell’umanità.

Ricordare la storia, rimembrare le storie: ristrutturare il passato, risanare il presente, rispettare il futuro. Rinnegare, invece, le radici è cancellare la storia collettiva, vanificare la memoria personale.

Gli adulti abortiscono continuamente la vita, dal grembo materno al distruggere i sogni nascenti delle nuove generazioni. I giovani hanno diritto allo sviluppo della cultura e della ricerca e a un patrimonio storico e artistico, ovvero hanno diritto al presente e al futuro: è questo un atto di adultità e responsabilità che si deve loro.