Diritti e non segregazione

Giornata disabilità, Griffo: “Dalle strutture agli ospedali, diritti e non segregazione”

Redattore Sociale del 02/12/2020

ROMA. “La pandemia ha fatto emergere con evidenza le condizioni segreganti in cui vivono tante persone con disabilità nelle strutture”: lo rimarca con forza, in vista della Giornata internazionale del 3 dicembre, Giampiero Griffo, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, nominato ad aprile membro della task force per la “fase 2” della lotta al coronavirus.
Nei giorni in cui sulla disabilità si accendono i riflettori, Griffo ricorda che “la relazione interpersonale è un diritto umano, che deve essere garantito a tutti. Comprimerla significa violare un diritto”. Ma è quello che accade in molti contesti, oggi più di ieri, alle persone con disabilità. In particolare, a chi vive in strutture, spesso di grandi dimensioni. “Durante la pandemia – osserva Griffo – si è sottolineata la condizione di segregazione delle persone anziane, ma questa riguarda tutte le istituzionalizzazioni durante la pandemia: le persone con disabilità in istituto vivono sulla propria pelle questa violazione. E’ un tema che è stato sollevato anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, il quale sia durante la prima fase sia successivamente ha evidenziato come la relazione con l’esterno sia elemento essenziale per garantire i diritti umani, ma anche per il controllo sociale di ciò che accade in questi ambienti. Pensiamo a quel che è avvenuto all’Oasi di Troina, dove una ragazza è stata violentata durante pandemia. I meccanismi di controllo, che dovrebbero essere garantiti all’interno di tutte le strutture sociali, sanitarie e sociosanitarie, sono di competenza delle Asl territoriali o enti comunali: durante questi controlli, però, non vengono presi in considerane elementi come la relazione e i diritti umani, ma ci si limita alla verifica degli standard di accreditamento: spazi, posti letto, personale… Difficilmente si sfogliano le cartelle cliniche, né tanto meno si osservano le persone”. 
Eppure, proprio su questi contesti, l’attenzione dovrebbe essere sempre molto alta, durante la pandemia in particolare, perché “in quei luoghi le persone non diventano persone protette ma invisibili. Eppure non esistono dati o studi: quando l’Istituto superiore di Sanità è andato ad analizzare cosa sia successo nelle Rsa, ha preso in considerazione circa 3.400 istituti per anziani, ma nel nostro Paese gli istituti, secondo il Garante, sono più di 12 mila. Per questo, come associazioni e insieme al garante, stiamo facendo pressione perché si svolga un’indagine anche sulle residenze per persone con disabilità”.

Il “lockdown” delle strutture unica soluzione?
La pandemia rende urgente che si accenda una luce su queste strutture, che sono gestite da privati, a cui “è stata scaricata la responsabilità della protezione degli ospiti”: questo è per Griffo un elemento particolarmente critico, dal punto di vista dei diritti umani: “La privatizzazione produce da un lato un allentamento dei controlli pubblici, dall’altro un’attenzione, da parte dei gestori, più ai profitti che alla qualità di vita delle persone. In altre parole, quando la privatizzazione trasferisce la responsabilità sanitaria ai gestori, i gestori fanno lockdown. Ma non è una logica protettiva, dal momento che non sempre le norme sono rispettate all’interno delle strutture, per esempio dagli operatori: così, anche in questa seconda fase, chi vive in queste strutture non solo è di fatto segregato, ma è anche fortemente esposto al rischio. Oggi ci arrivano storie di persone che non sono infette, hanno anche una certa autonomia, ma non possono uscire dal proprio istituto, cosa che prima facevano. Siamo di fronte a una vera e propria segregazione, che legittimamente stanno denunciando da tempo i caregiver, in nome dei diritti umani. Come Osservatorio teniamo alta l’attenzione, ricordando che il lockdown delle strutture non è obbligatorio, perché non è stato disposto dal Dpcm, che invece parla di una necessaria ‘attenzione particolare’. Fish ha chiesto un incontro al garante, per immaginare un intervento che faccia chiarezza e ponga fine a questa violazione”. 

L’assistenza del caregiver in ospedale: un diritto da difendere
C’è poi un altro luogo di particolare fragilità, che la pandemia ha messo in evidenza: l’ospedale. “Come Osservatorio, riteniamo fondamentale la Carta dei diritti delle persone in ospedale, siglata nel 2013, dopo che una persona con disabilità intellettiva morì in ospedale per non aver ricevuto assistenza adeguata alle proprie condizioni. Ora, la pandemia ha acuito un problema che già esisteva: un mio caro amico tetraplegico, per esempio, è stato in ricoverato in due ospedali, prima a Caserta e poi a Roma, dove l’assistenza non era adeguata. La resistenza di queste strutture a mettergli vicino sua moglie è stata generalizzata. Il problema è che l’ assistenza medica e infermieristica non può arrivare a quell’attenzione specifica che richiede una persona dipendente dal punto di vista fisico o comunicativo. È però un tema molto complesso – ammette Griffo – perché ha a che vedere con le certificazioni, con l’organizzazione ospedaliera ecc. Abbiamo tuttavia intenzione di intervenire, come Osservatorio, per garantire l’assistenza adeguata a ciascuno. Anche in questo caso, si tratta di rispetto di diritti umani fondamentali”. 

Un nuovo welfare, dalla protezione all’inclusione
Assume allora un valore particolare il tema dell’inclusione, scelto quest’anno per celebrare la Giornata internazionale: “Occorre un nuovo welfare – spiega Griffo – perché è stato dimostrato che un welfare che si basa sulla protezione non protegge. Deve quindi basarsi sull’inclusione, in tutti i contesti, attraverso la personalizzazione degli interventi. E’ chiaro allora che le strutture debbano avere pochi posti letto: una con 667 posti, che ci risulta esista, che intervento personalizzato può garantire? E’ la Convenzione Onu che ci invita a superare il concetto di protezione: tutte le persone devono essere messe in condizione di autodeterminarsi, avendo la possibilità di accedere agli stessi benefici e opportunità degli altri cittadini. E’ la società che disabilita le persone: utilizzare il termine come sinonimo di invalidità è un grave errore culturale. La disabilità esiste nella relazione sociale. La responsabilità di chi mette in campo tutele e sostegni è garantire l’inclusione come diritto umano”. 

di Chiara Ludovisi