La famiglia e il suo giudice
di Antonio Stanca
Melita Cavallo, fino al 2015 Presidente del Tribunale per i Minori di Roma, il più grande d’Italia, ha settantatré anni, è ora in pensione e a Gennaio del 2016 ha pubblicato presso la casa editrice Giuseppe Laterza & Figli, Roma-Bari, nella collana “i Robinson/Letture”, Si fa presto a dire famiglia, un libro dove prima ripercorre gli anni della sua attività quale giudice minorile e dopo ricostruisce l’intera sua vita in ambito privato e pubblico.
Di origini campane, dopo la maturità classica aveva studiato Giurisprudenza non per volontà sua ma per volontà della famiglia nella quale col padre, avvocato di grido, e il nonno materno, giudice, si era formata una tradizione che sembrava dovesse essere rispettata e continuata. Ha ricoperto cariche importanti la Cavallo: prima di diventare Presidente del Tribunale per i Minori di Roma è stata giudice minorile nei tribunali di Napoli, Milano e Roma, Presidente della Commissione per le adozioni internazionali, dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e la Famiglia, dell’Associazione Gemme Italia, e Capo del Dipartimento per la Giustizia minorile. A far giungere la Cavallo a livelli così alti, a procurarle tante promozioni è stata la sua instancabile attività giudiziaria, molto apprezzata perché rivolta in particolare ai minori che si trovano in gravi condizioni, che hanno problemi di salute fisica o mentale, alle loro famiglie, siano naturali, adottive o altre, ai problemi che in queste si creano, alle difficoltà, alle controversie che possono sorgere, a quelle che si possono aggiungere durante la crescita di quei minori e che spesso li portano nelle aule dei tribunali insieme agli adulti loro più vicini. Riguardo a questi casi la Cavallo è spesso intervenuta su riviste specializzate dove ha pubblicato numerosi saggi. Ora, in questo libro, ha voluto dire di alcuni processi da lei presieduti quale giudice minorile, delle conoscenze che ne ha ricavato, di quanto ha visto, ascoltato, saputo, valutato, giudicato nelle situazioni che le si sono presentate. Ne ha scritto di quelle che potevano assumere valore di esempio e che risalivano ai tempi del suo lavoro nei tribunali di Napoli, Milano e Roma.
Era stata la vista dei volti di tanti bambini che esprimevano disagio, tristezza, dolore a far pensare alla Cavallo di diventare giudice minorile. Era stato un richiamo, un invito a muoversi in loro aiuto, a soccorrerli. In ognuno dei suddetti processi aveva badato a salvaguardare le ragioni, i diritti dei minori rimasti soli, abbandonati perché provenienti da famiglie in crisi o da genitori sconosciuti o dalla miseria di alcuni paesi stranieri. Aveva mirato a recuperarli mediante l’adozione, l’affidamento, la collocazione in case-famiglia o in altro modo. Interesse suo primario era stato quello di vedere soddisfatti i bisogni del loro corpo e del loro spirito, di procurare loro la possibilità di stare tra persone che li trattassero con affetto, con dedizione, che provvedessero a dar loro una formazione adeguata all’inserimento nella società, nella vita, nel mondo del lavoro. Principi, valori di alta morale hanno sempre segnato l’attività della giudice Cavallo in qualunque ambiente si sia mossa, qualunque carica abbia ricoperto. Per il bene dei minori in difficoltà, delle famiglie in crisi si è sempre battuta e se si considera che ha iniziato la sua attività intorno agli anni ’70, quando sono cominciati o si sono aggravati in Italia e nel mondo, nelle città e nei paesi, i problemi della famiglia, si capisce quanto è stato arduo e impegnativo il suo lavoro. Sono stati gli anni delle grandi trasformazioni politiche, economiche, sociali e tra queste ultime è rientrata quella relativa alla donna che entrava sempre più nel mondo del lavoro, acquistava la sua autonomia, non dipendeva dal padre né dal marito, diventava nuova, si sentiva libera e rimaneva sempre meno in casa, faceva sempre meno la madre. Fenomeno che col tempo avrebbe avuto ripercussioni sulla famiglia, l’avrebbe portata verso la perdita della sua unità, delle sue responsabilità riguardo ai figli. Si sarebbe giunti a vederla sostituita dalla convivenza perché più facile da interrompere, ad assistere a gravi conseguenze per i figli, soprattutto per i più piccoli. E’ stato un processo sempre a loro danno perché sempre più vittime li ha resi delle incomprensioni, degli scontri, delle separazioni tra genitori, sempre più esposti alla perdita di quei punti di riferimento essenziali per la loro età, di quell’ambiente familiare, scolastico importante per la loro formazione, di quel sostegno morale, di quella fiducia, di quella comunicazione, di quei rapporti, di quegli scambi necessari per imparare a pensare, dire, fare, per raggiungere un livello equilibrato di giudizio. Una volta entrata in crisi la famiglia tutto questo è diventato difficile. Perso l’aspetto primo essa è andata assumendo tanti, molti, infiniti altri, è diventata un luogo carico di tensione, un luogo di scontro, di violenza spesso manifestata in presenza dei bambini. Ma la Cavallo, che mentre questo avveniva è vissuta ed ha operato, non ha mai pensato di arrendersi alle gravi conseguenze provocate dalla crisi della famiglia. Delle famiglie in crisi ha voluto farsi giudice, dei loro problemi, dei loro figli ha voluto sapere, sentire, valutare, disporre. E sempre si è mossa nel senso più idoneo a favorire i minori, a tener conto della loro età, ad evitare quanto potesse loro nuocere, quanto potesse far loro seguire strade sbagliate e portarli allo sbando, alla perdizione. La loro adozione, il loro affidamento presso famiglie ritenute capaci di fare quel che serviva, di assumersi le responsabilità necessarie, sono stati gli obiettivi perseguiti dalla Cavallo per tanti bambini rimasti soli, diventati poveri, rifiutati fin dalla nascita. Altri modi ha stabilito per altri casi: di fronte si è trovata ad un’infinità di situazioni e la legge che vi ha applicato è stata la sua, quella della sua volontà di recuperare, salvare, riportare all’ordine, alla regola quanto era rimasto fuori. Vicina, confidente, intima è diventata di tanti di questi bambini e ragazzi, alla loro dimensione, ad una dimensione umana ha portato la legge, della loro vita l’ha fatta interprete. E a questa sua maniera di fare il giudice è corrisposta quella di scrivere il recente libro dove l’espressione semplice, chiara libera la legge dalla sua ufficialità, riduce la sua distanza e la mostra come un riferimento buono, giusto, come uno strumento da non temere ma da usare con fiducia. Anche come scrittrice la Cavallo è rimasta vicina agli altri, si è messa a loro disposizione.
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