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Competenze digitali come nuova materia? La riforma della Buona Scuola lo prevede

da La Tecnica della Scuola

Competenze digitali come nuova materia? La riforma della Buona Scuola lo prevede

La recente riforma della “Buona Scuola” prevede che già a partire da settembre gli Istituti potrebbero avviare nuovi programmi all’interno dei Ptof con l’introduzione di una nuova disciplina.

Riguarda, in particolare, lo studio delle “competenze digitali”. Il tutto in coerenza con le finalità e gli strumenti previsti nel Piano Nazionale per la Scuola Digitale.

Il piano riporta, infatti, nell’ambito dell’azione #14:

“..sarà istituito un tavolo tecnico per la redazione di un framework che servirà a dare un indirizzo chiaro sulla dimensione, sul ruolo e sul contorno delle competenze digitali che ogni studente dovrà sviluppare nel triennio 2016-2018, la relazione di tali competenze con le diverse dimensioni espresse in questa sezione, e i relativi obiettivi di apprendimento. Le proposte del tavolo potranno inoltre riguardare una revisione delle indicazioni nazionali”.

Tuttavia, a pochi giorni dall’avvio del nuovo anno scolastico, quest’obiettivo sembra essere ormai disatteso.

Le competenze digitali come riporta lo stesso PNSD fanno da “nastro trasportatore” multi disciplinare della conoscenza, sono inoltre “alfabeto” del nostro tempo in grado di portare una nuova sintassi “tra pensiero logico e creativo, che forma il linguaggio che parliamo con sempre più frequenza nel nostro tempo”. È infine considerato “agente attivo del cambiamento sociale”.

Il PNSD, cita inoltre alcuni esempi di nuove didattiche che potrebbero essere introdotte come ad esempio quella di “promuovere l’uso di ambienti di calcolo evoluto nell’insegnamento della matematica e delle discipline tecniche scientifiche e introdurre elementi di robotica educativa nei curriculi della scuola secondaria di secondo grado”.

Tanti sono dunque i motivi validi perché venga inserita la “competenza digitale” come nuova materia didattica, come percorso formativo della scuola secondaria di secondo grado.

Motivo in più il fatto che dal 12 agosto decorre l’obbligo (introdotto dall’art.17 co.2 del DPCM 13 novembre 2014 ) della digitalizzazione di tutti documenti amministrativi degli Enti pubblici ed i Comuni.

In sintesi da questa data ogni Ente pubblico dovrebbe essere in grado di gestire la documentazione nativamente ed esclusivamente in formato digitale, senza più l’utilizzo della carta.

Per una PA che tenta di percorrere la strada del digitale, non può esserci, dunque, una scuola che non riesce a stare dietro a questa evoluzione, continuando a vivere di paradossi al proprio interno.

Paradossi emersi chiaramente negli ultimi esami del “concorsone”, dove in alcuni casi si sono scoperte anomalie legate ad una non corretta associazione “codice-domande” maldestramente armeggiate nelle pennette USB, con conseguenti ovvi disagi per i candidati.

La domanda è d’obbligo: è questa l’amministrazione pubblica che deve diffondere le competenze digitali?

Chiamata diretta, i sindacati presentano ricorso al Tar Lazio

da La Tecnica della Scuola

Chiamata diretta, i sindacati presentano ricorso al Tar Lazio

Dopo le polemiche, i sindacati passano all’azione: FLC Cgil, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS Confsal hanno presentato ricorso al TAR Lazio contro le procedure della “chiamata diretta”.

Ecco il comunicato unitario delle OO.SS.:

“Il ricorso mette in evidenza le illegittimità nella gestione amministrativa e nei rapporti contrattuali del personale.

Le procedure attuative del provvedimento, infatti, stanno generando effetti negativi sia in termini di lesione dei diritti che della dignità professionale del personale.

Nel ricorso, oltre a impugnare le “Linee di orientamento” diffuse dal MIUR, è stata posta ai giudici amministrativi la questione di legittimità costituzionale del provvedimento e delle norme di legge da cui trae origine.

Legge e provvedimenti attuativi, consentendo di fatto un’assoluta discrezionalità del dirigente, ledono profondamente  principi cardine del nostro ordinamento,  tra cui l’imparzialità della pubblica amministrazione, la libertà di insegnamento, il diritto all’apprendimento degli alunni nell’ambito del sistema nazionale di istruzione.

Le problematiche sollevate, dunque, sono tali da legittimare anche la richiesta della discussione d’urgenza, nel merito, e di sospensiva, in via cautelativa.

Prosegue, anche con questo ricorso, l’azione dei sindacati scuola per ottenere le necessarie modifiche di una riforma i cui limiti sono resi ancor più palesi nel momento in cui in cui si tenta di procedere, in modo confuso e con evidenti errori che – anche sul piano pratico dell’attuazione – sta evidenziando tutti i suoi limiti: non uno degli obiettivi della riforma sembra significativamente e compiutamente utile all’intero sistema scolastico”.

Chiamata diretta: i sindacati scuola presentano ricorso al Tar Lazio

da tuttoscuola.com

Chiamata diretta: i sindacati scuola presentano ricorso al Tar Lazio
Posta la questione di legittimità costituzionale. Chiesta la discussione d’urgenza nel merito e la sospensiva in via cautelativa.

FLC Cgil, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS Confsal oggi hanno presentato ricorso al tribunale amministrativo contro le procedure della cosiddetta “chiamata diretta”.

Il ricorso mette in evidenza le illegittimità nella gestione amministrativa e nei rapporti contrattuali del personale.

Le procedure attuative del provvedimento, infatti, stanno generando effetti negativi sia in termini di lesione dei diritti che della dignità professionale del personale.

Nel ricorso, oltre a impugnare le “Linee di orientamento” diffuse dal MIUR, è stata posta ai giudici amministrativi la questione di legittimità costituzionale del provvedimento e delle norme di legge da cui trae origine.

Legge e provvedimenti attuativi, consentendo di fatto un’assoluta discrezionalità del dirigente, ledono profondamente  principi cardine del nostro ordinamento,  tra cui l’imparzialità della pubblica amministrazione, la libertà di insegnamento, il diritto all’apprendimento degli alunni nell’ambito del sistema nazionale di istruzione.

Le problematiche sollevate, dunque, sono tali da legittimare anche la richiesta della discussione d’urgenza, nel merito, e di sospensiva, in via cautelativa.

Prosegue, anche con questo ricorso, l’azione dei sindacati scuola per ottenere le necessarie modifiche di una riforma i cui limiti sono resi ancor più palesi nel momento in cui in cui si tenta di procedere, in modo confuso e con evidenti errori che – anche sul piano pratico dell’attuazione – sta evidenziando tutti i suoi limiti: non uno degli obiettivi della riforma sembra significativamente e compiutamente utile all’intero sistema scolastico.

Tirocini curriculari al Miur per studenti universitari

Il 30 agosto 2016 viene pubblicato, sul sito della Fondazione CRUI, il bando contenente le offerte di tirocinio presso gli uffici centrali del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. A disposizione degli studenti dei corsi di laurea magistrale, specialistica e a ciclo unico iscritti ad una delle Università italiane aderenti al Programma di tirocinio MIUR, promosso dalla Fondazione CRUI, ci sono 40 tirocini curriculari.

 

I tirocini avranno la durata di 4 mesi e prevedono un rimborso spese mensile di 300 euro. All’interno del bando saranno indicate le classi di laurea ammesse per ciascun tirocinio. Il bando e tutte le indicazioni utili per la presentazione della domanda, nonché l’elenco degli Atenei partecipanti, saranno pubblicati sul sito della

Fondazione CRUI: www.fondazionecrui.it.

Tra ricorsi, ritardi e bocciature la scuola al via senza un prof su sei

da La Stampa

Tra ricorsi, ritardi e bocciature la scuola al via senza un prof su sei

Un docente su due respinto al Concorsone, pioggia di cause sui trasferimenti
nadia ferrigo

torino

Per i dirigenti scolastici le vacanze sono già finite da un pezzo, e gran parte dei professori è impegnata tra le carte bollate dei ricorsi, gli scatoloni per il trasloco e la seconda prova del Concorsone. Uno su due è stato bocciato agli scritti, e mancano ancora gli orali. Il tutto si dovrebbe concludere entro il 15 settembre, ma ora l’unica certezza è che alla prima campanella mancheranno all’appello insegnanti e supplenti. Stessa solfa per il personale scolastico, e in alcune Regioni non bastano i presidi: in Emilia Romagna un istituto su quattro è ancora senza. Secondo le prime stime, almeno 90mila posti sui 600mila di ruolo saranno assegnati a supplenti. Ma come – e soprattutto quando – verranno nominati?

DOCENTI «A CHIAMATA DIRETTA» 

A sentire i presidi italiani, l’attesa della prima campanella somiglia più a un album di figurine. Italiano? Ce l’ho. Matematica e inglese? Dovrebbe. Informatica? Manca. I tempi sono strettissimi. Secondo il calendario scolastico, il primo giorno di scuola è in tutta Italia tra il 12 e il 15 settembre. Alcuni istituti però hanno deciso di anticipare: molti studenti entreranno in classe una settimana prima. Con la riforma della Buona Scuola, i dirigenti scolastici hanno la possibilità della «chiamata diretta» dei docenti. Una volta individuati i ruoli vacanti, con un avviso i dirigenti scolastici possono cercare gli insegnanti secondo loro più adatti. In alcuni casi c’è stato il tempo di fare anche un colloquio, in altri no. Secondo le tabelle del Miur, per le «secondarie di II grado», cioè istituti tecnici e licei, la scadenza per la pubblicazioni degli avvisi delle scuole era il 18 agosto, mentre gli insegnanti interessati potevano condividere i loro curriculum sulla piattaforma «Istanze On Line» dal 16 al 19. La fase di competenza delle scuole si è chiusa lo scorso 26 agosto. Ai selezionati con questo meccanismo andrà un incarico triennale.

IL CONCORSONE DEI RICORSI

La chiamata diretta non è però sufficiente per riempire tutte le cattedre. E chi manca, da dove si pesca? Dal Concorsone. Altra nota dolente. Le assunzioni previste per quest’anno erano 32mila, metà dalle graduatorie, metà per i vincitori del concorso. A oggi oltre 300 commissioni su 800 non hanno completato la correzione degli scritti. Secondo l’analisi della rivista «Tuttoscuola», tra i 71.488 candidati già esaminati, solo 32.036 sono stati promossi. Più della metà non ce l’ha fatta. In Lombardia gli ammessi all’orale sono circa il 30 per cento, in Toscana il 45 per cento, in Piemonte più del 50 per cento. Le regioni migliori? Marche, Umbria, Basilicata e Friuli Venezia Giulia. Alle bocciature, come da copione, seguono i ricorsi. Alcuni sono già stati respinti, ma è troppo presto per sapere come ancora finire: d’altra parte, non ci sono ancora tutte le correzioni.

DA SUD A NORD

E i professori ripescati dalle graduatorie? Peggio mi sento. Solo in Campania le liti in corso tra insegnanti che non si vogliono trasferire e il Ministero sono 4mila. Orientarsi tra la giungla di graduatorie è complicato, ma quest’anno c’è di mezzo l’algoritmo, cioè il meccanismo usato per assegnare i docenti alle scuole. La procedura, in quattro fasi, ha coinvolto 100mila persone. Più della metà, sono professori del Sud Italia che si dovranno trasferire a Nord. Senza tenere conto di età, anni di servizio e situazione familiare. Sempre secondo i dati di «Tuttoscuola», nella scuola primaria sono stati trasferiti in una regione diversa dalla propria circa il 65 per cento degli insegnanti, il 54 per cento per le secondarie di primo grado e il 44 per cento per il secondo grado.

«Per i primi giorni a Roma ho preso un albergo – racconta Silvana Rosaria Di Paola, 64 anni, insegnante di educazione artistica a Palermo e provincia da quasi trenta, sempre precaria -. Lo scorso anno mi è stato assegnato un tutor per un anno di prova, superato con i complimenti della preside. Tutto inutile». Il primo settembre ci sono i consigli dei docenti, ma ancora non è saggio prendere casa: manca l’«ambito», altro criterio nell’assegnazione delle cattedre. La prof Di Paola ha accettato, anche se a malincuore, di cambiare città, ma ancora non sa in quale – o forse, in quali – scuole insegnerà. Per decidere questo e qualche altro migliaio di casi, c’è ancora una settimana di tempo.

Terremoto, Giannini: «Al via task force per avvio regolare dell’anno scolastico»

da Il Sole 24 Ore

Terremoto, Giannini: «Al via task force per avvio regolare dell’anno scolastico»

di Al. Tr.

«Abbiamo centinaia di bambini e ragazzi nei comuni più colpiti dal sisma» e «a chi è sopravvissuto dobbiamo dare subito i segnali della speranza e della fiducia che si può ritornare alla normalità. Il primo segnale sarà proprio l’avvio regolare
dell’anno scolastico» Così il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, sul suo profilo Facebook ha annunciato la messa in campo di una task force per garantire l’inizio delle lezioni nelle zone del centro Italia colpite dal sisma.

Fondi per verifiche su sicurezza edifici
«Aarà attivata al Miur una task force per sostenere i nostri docenti e i dirigenti scolastici, perchè nessuno deve restare solo – ha scritto Giannini – e ai ragazzi e alle loro famiglie dico che stiamo lavorando in collaborazione con Regioni ed Enti locali perché tutti possano riprendere le lezioni. Per garantire una scuola a chi non l’ha più. E per agevolare e velocizzare le verifiche sulla sicurezza degli edifici. Abbiamo 3 milioni di euro nel nostro bilancio che metteremo a disposizione degli enti locali per le verifiche sulle strutture e altri 20 milioni per gli interventi di adeguamento antisismico».
E «lavoreremo in contatto costante con la Presidenza del Consiglio e la Protezione Civile – ha concluso il ministro – perché il primo motore della ripresa non potranno che essere le istituzioni scolastiche».

Giannini: voglio la verità sul crollo della scuola. Il Miur parte civile

da La Tecnica della Scuola

Giannini: voglio la verità sul crollo della scuola. Il Miur parte civile

«Questo istituto”, dice Giannini riferendosi al  Copernico di Amatrice, “ era stato ristrutturato di recente, inaugurato nel 2012, con lavori importanti e una ingente quantità di fondi spesi. Non è compito della politica l’accertamento delle responsabilità. Ma della magistratura. Noi vogliamo chiarezza e verità. Vogliamo sapere come sia potuto accadere. Che tipo di lavori siano stati fatti e in che modo. Ci vorrà del tempo ma se verranno accertate delle responsabilità dirette e sarebbe molto grave, valuteremo, la costituzione del Miur come parte civile in un eventuale processo. Ma ora non è questa la priorità».

«È una decisione politica” invece quella di investire l’autorità anticorruzione, spiega la ministra nel corso di una intervista rilasciata al Mattino di Padova. “Cantone ha espresso la sua posizione. L’Anac credo che debba fare l’Anac. L’azione dell’unità di missione presso la presidenza del Consiglio per l’edilizia scolastica sta lavorando in maniera molto positiva”

Le famiglie devono sentirsi sicure quando lasciano i figli in classe e “non da oggi, ma dal 2014 la sicurezza degli edifici pubblici e in particolar modo della scuola è stata ed è al centro dell’azione del governo. Il tema dell’edilizia scolastica è stato affrontato in maniera serissima, sistemica e con risposte concrete. Cinquecento interventi di adeguamento alle norme antisismiche, uno stanziamento di 240 milioni di euro. L’istituzione dopo anni di vacatio dell’anagrafe dell’edilizia scolastica. I controlli a tappeto che certo non si possono chiudere nello spazio di poco tempo ma che vengono effettuati”

Tuttavia, prosegue Giannini  “ Non si può allo stato attuale sostenere la tesi che sia crollata per i materiali con i quali è stata costruita e ristrutturata o se comunque non avrebbe potuto resistere per il violento sisma, pari a quello dell’Aquila. Occorre sempre cautela quando si tocca il tema della sicurezza”.

«Il dato circa la presenza di ventimila scuola insicure  non è corretto. Non si tratta di edifici insicuri ma di scuole che si trovano in zone a rischio sismico. E non va dimenticato che il 50 per cento del territorio nazionale è a rischio sismico. Noi abbiamo messo in campo tutti gli strumenti per affrontare questo capitolo per decenni abbandonato. Questo è il primo governo che si fa carico di responsabilità che per alcuni aspetti dovrebbero appartenere solo ed esclusivamente agli enti locali».

Per ora, dice ancora la ministra, la “nostra priorità sono i 700 alunni. Mercoledì sarò ad Amatrice dove abbiamo convocato una riunione proprio per affrontare questo aspetto” con la task Force che è entrata in funzione”. Esiste un piano, “un punto di partenza. Ci sono numerose scuole profondamente lesionate. E abbiamo delle ipotesi sulle quali ci confronteremo con i direttore scolastici regionali, i dirigenti scolastici e ovviamente la Protezione civile e gli enti locali”. Nel contesto, dice Giannini,  “si stanno valutando varie opzioni. Abbiamo un obiettivo forte e preciso. La scuola deve essere il simbolo e anche la risposta concreta a questo senso di angoscia e paura. Il simbolo che la comunità c’è e riparte lì dove è sempre esistita. I bambini di tutti i comuni devono tornare in classe e dovranno avere tutto il necessario. Le strutture, le attività che fanno parte della normalità. Per questo ci sono dei fondi specifici. Tre milioni e mezzo di euro”.

Ma c’è anche da «Affrontare la paura, spiegarla, riprendere un percorso di vita normale. I docenti saranno appositamente formati. Si sta pensando anche a questo. Scuole per studiare e formazione per ripartire da dove ci si è fermati. Sono a disposizione quattro milioni di euro. In totale i fondi investiti, i primi, ammontano complessivamente a sette milioni e mezzo di euro. Ci vorrà del tempo per cancellare la paura. Ma Casa Italia è anche questo, mettere la scuola al centro. Ripartire».

Trasferimento al Nord, per evitarlo ora tutti vogliono il sostegno pur senza specializzazione

da La Tecnica della Scuola

Trasferimento al Nord, per evitarlo ora tutti vogliono il sostegno pur senza specializzazione

Può essere la copertura di tutti i posti di sostegno in deroga, circa 30mila in tutta Italia, a salvare i docenti del Sud dal trasferimento nelle regioni del Nord?

Il precedente, adottato nelle grandi Isole ed in alcune altre regioni, attraverso l’assegnazione provvisioria ha innescato la richiesta di medesimo trattamento da parte dei decenti delle altre regioni: “riteniamo inaccettabile la difformità riscontrata nella stipula dei contratti decentrati regionali concordati dai vari USR e le OOSS in merito alla deroga utile per consentire ai docenti – che abbiamo chiesto e non ottenuto assegnazione provvisoria- di poter rientrare nella propria provincia di residenza mediante utilizzo su posti di sostegno compresi in organico di fatto, anche senza titoli”, ha scritto il Coordinamento Nazionale Docenti Fase C.

“Sicilia, Sardegna, Lombardia ed Emilia Romagna hanno già agito in questa direzione trovando una soluzione che riteniamo utile e vantaggiosa e che occorre venga adottata da tutte le amministrazioni sul territorio nazionale, dando la possibilità in modo analogo ai docenti di godere delle stesse opportunità. Attendiamo pertanto un tempestivo intervento centrale tale da consentire una gestione uniforme delle assegnazioni provvisorie”, conclude il Coordinamento.

Il problema è che il 99 per cento dei docenti destinati agli ambiti territoriali del Nord, circa 8mila complessivi, non hanno conoscenze approfondite di disabilità. Né, tantomeno, sono specializzati nell’insegnamento ad alunni con problemi di apprendimento.

Il “particolare”, non certo trascurabile, è stato fatto presente anche dai sindacati regionali della Sardegna Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda. I quali dopo aver sottolineato che questo tipo di contratto integrativo regionale “permette, a coloro che hanno avuto un’assegnazione della sede di servizio eccessivamente lontano dal proprio domicilio, di essere utilizzati in una sede meno disagiata”, attenuando “i disagi provocati da una Legge che le Organizzazioni Sindacali hanno duramente contestato”, si soffermano sul dato che questa decisione “solleva un problema la cui soluzione si impone con forza”: la mancanza di competenze di questi insegnanti sul fronte della disabilità.

Però, è anche vero che la maggior parte di quei posti andrebbero, comunque, a docenti privi di specializzazione sul sostegno. Solo che si tratterebbe di precari. E in molti casi anche loro non specializzati. Allora, tanto vale, dicono i sindacati, metterli a disposizione di chi deve subire il trasferimento forzato.

Il punto è che mancano docenti formati sul sostegno: “l’Università sarda – scrivono i sindacati – da due anni non li organizza e, conseguentemente, quindi, aumentano le difficoltà per cui i docenti titolati sono insufficienti a coprire i posti in organico”, fanno notare ancora i sindacati dell’Isola. Che ora chiedono “con decisione sia all’Università che alla Regione perché questo gap nei confronti delle altre regioni venga superato al più presto e che vengano attivati al più presto i corsi di formazione”.

Specializzati o no, qui si sta facendo un “uso strumentale del sostegno”, ribattono i Coordinamenti Docenti Specializzati di Sostegno, di ruolo e non.

I quali, a loro volta, chiedono invece il “ritiro immediato del procedimento di conferimento delle assegnazioni provvisorie su posti di sostegno e revoca della proposta di percorsi abilitanti speciali sul sostegno per il personale docente già di ruolo”

Per i coordinamenti, l’accordo sottoscritto in alcune regioni, ad iniziare dalla Sardegna, “non risulta conforme a quanto stabilito in materia di contrattazione nazionale. Il CCNI 2016-17, infatti, limita la contrattazione regionale decentrata a disciplinare esclusivamente le operazioni di utilizzazione e stabilisce come legittime leassegnazioni provvisorie sul sostegno per non specializzati solo se questi ultimi si trovano in situazione di esubero”.

Gli specializzati sul sostegno chiedono, allora, “il ritiro immediato del procedimento per sua natura – continuano – è ‘illegittimo’ e, di conseguenza, della proposta sindacale dei corsi di preparazione, o veri e propri corsi PAS, per i neoassunti impiegati sul sostegno che, seppur mascherati dalla necessità di supplire alla mancata preparazione dei docenti assegnati sulle tematiche dell’inclusione, assumono le sembianze di veri e propri corsi di riconversione, al di fuori di quelli legalmente stabiliti del Decreto 30 settembre 2011”.

Per i specializzati, con cui si è schierato l’Anief che li vorrebbe subito di ruolo anziché supplenti su cattedre di fatto, i “veri” corsi di specializzazione prevedono invece tre prove di accesso a fronte di posti limitati e definiti regionalmente dal MIUR sulla “base della programmazione regionale degli organici”, a cui segue “un faticoso iter formativo da conseguire in non meno di otto mesi attraverso 60 cfu di esami, laboratori, tirocinio di 5 mesi ed una prova finale”.

Mentre si starebbero profilando dei “meri corsi di riconversione, che oltretutto rappresenterebbero solo un ripiego dei docenti neoassunti per evitare il trasferimento e non una scelta, come nel caso dei docenti specializzati che si sono sottoposti anche ad una procedura selettiva per acquisire questa professionalità”. Con l’aggravante che tanti “docenti che hanno superato le prove” si ritroveranno “fuori delle graduatorie di merito, a causa degli esigui posti messi a bando”, perché quelli liberi sono stati assegnati ai trasferiti su ambiti territoriali”.

Insomma, concludono gli specializzati, si fanno fuori coloro che hanno “l’esperienza maturata” e la formazione ad hoc, per lasciare “il posto a docenti che poco sanno di didattica né tanto meno di ‘didattica speciale’”. Il tutto per “rimediare alle storture della mobilità e di chi non vuole partire e ha scelto volontariamente di aderire ad un piano di assunzioni che prevedeva la mobilità nazionale”.

Assegnazione su posti di sostegno senza specializzazione: il dibattito

da tuttoscuola.com

Assegnazione su posti di sostegno senza specializzazione: il dibattito
L’accordo siciliano fa salvo l’accantonamento dei posti per supplenti annuali specializzati

Continua con toni accesi sui media e sul web la polemica sulla possibilità di assegnare su posti di sostegno docenti privi di specializzazione.

La possibilità, come è noto, è stata prevista da intese intervenute tra sindacati e Uffici scolastici regionali della Sicilia e della Sardegna.

Anche Tuttoscuola è intervenuta sulla questione parlando di una deregulation pericolosa.

Ci è stato fatto notare che l’accordo siciliano prevede tale possibilità come residuale rispetto al prioritario utilizzo di docenti locali specializzati con contratto a tempo indeterminato e determinato.

“Nell’ambito delle assegnazioni provvisorie interprovinciali, i Dirigenti degli Uffici scolastici territoriali potranno attribuire posti di sostegno a docenti titolari su posto comune che non abbiano ottenuto l’assegnazione provvisoria su posto comune, dopo aver accantonato un numero di posti corrispondente ai docenti specializzati aspiranti a rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato”.

In passato, quando si esaurivano le graduatorie dei supplenti specializzati, si nominava un supplente non specializzato per assicurare comunque il sostegno all’alunno disabile.

In tutta Italia si continuerà a far così, se si presenta la necessità, mentre in Sicilia e in Sardegna gli eventuali posti non coperti da supplenti annuali con specializzazione verranno dati in assegnazione provvisoria a chi, non specializzato, viene da lontano, anziché assegnarli a supplenti locali non specializzati.

Superiori, dopo la sperimentazione curriculum dello studente per tutti

da Il Sole 24 Ore

Superiori, dopo la sperimentazione curriculum dello studente per tutti

di Laura Virli

Con l’attuazione dell’organico dell’autonomia, che esplicherà i suoi effetti con il nuovo anno, ma soprattutto ottimizzando la “chiamata per competenze” per avere in squadra i docenti più rispondenti alle esigenze dei Ptof, il “curriculum dello studente” o meglio il “curriculum digitale” diventerà realtà per tutti gli studenti delle superiori.
La norma
Per comprendere meglio torniamo ad esaminare la norma rivoluzionaria che avrà il merito di avvicinare la scuola italiana ai percorsi formativi presenti da tempo in molti Paesi del Nord Europa al top della classifica Ocse Pisa come la Finlandia.
Secondo i commi 28-31, a partire dal terzo anno, le scuole secondarie di secondo grado, anche utilizzando le quote di autonomia e gli spazi di flessibilità, potranno introdurre “insegnamenti opzionali”.
Nello scorso anno la fase di stesura del Ptof ha visto il dirigente scolastico, di concerto con gli organi collegiali e l’utenza, impegnato ad individuare percorsi formativi diretti all’orientamento e alla valorizzazione delle eccellenze. Pertanto, in ogni Ptof, in attesa della piena possibilità di usufruire dei posti di potenziamento (previsti dall’organico dell’autonomia), gli istituti superiori hanno inserito insegnamenti “opzionali”.
Il curriculum dello studente
Una rapida lettura dei Ptof inseriti su “Scuola in chiaro” evidenzia la presenza di numerose tipologie di insegnamenti opzionali che potranno avere finalmente “luce”, anche grazie a risorse economiche derivanti dai Pon Fser “Ambienti digitali”; tra questi insegnamenti spiccano corsi di giornalismo, laboratori di fotografia e di ritocco, laboratori di robotica e di meccanica, laboratori teatrali, di scrittura creativa, di musica, di arte, di cinema e storia, di sociologia, di diritto, di economia e finanza, di chimica laboratoriale, di astronomia, di anatomia e medicina.
Gli insegnamenti opzionali potranno essere finalmente parte del percorso dello studente e inseriti nel “curriculum dello studente” di cui le commissioni dovranno tenere conto (secondo il comma 30) nello svolgimento dei colloqui dell’Esame di Stato finale del ciclo di studi.
Il “curriculum dello studente” raccoglierà tutti i dati utili, anche ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro, relativi al percorso degli studi, alle competenze acquisite, alle eventuali scelte degli insegnamenti opzionali, alle esperienze formative anche in alternanza scuola-lavoro e alle attività culturali, artistiche, di pratiche musicali, sportive e di volontariato, svolte in ambito extrascolastico.
Il profilo digitale dello studente sul Portale unico
Entro la fine dell’anno (centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge), sentito il Garante per la protezione dei dati personali, un apposito decreto del Miur disciplinerà le modalità di individuazione del curriculum dello studente da associare ad un’identità digitale (curriculum o profilo digitale) accessibile nel Portale unico dei dati della scuola, istituito con il comma 136 della “Buona Scuola”, dove confluiranno anche i dati relativi al fascicolo di ciascun docente, i bilanci delle scuole, i Ptof, i dati del Sistema nazionale di valutazione, la normativa, le comunicazioni varie, l’anagrafe dell’edilizia scolastica e degli studenti.

Maturità, dal divario Nord-Sud nei voti con lode un’opportunità per interrogarsi sul sistema scolastico

da Il Sole 24 Ore

Maturità, dal divario Nord-Sud nei voti con lode un’opportunità per interrogarsi sul sistema scolastico

di Anna Maria Ajello*

Quest’anno, un dato noto da tempo, vale a dire la rilevante differenza del numero del le lodi tra le scuole del settentrione e quelle del meridione ha fatto grande scalpore. In realtà, in taluni casi, come quello della Puglia rispetto alla Lombardia, il numero delle lodi si è triplicato (900 rispetto a 300 circa) e il disappunto è del tutto giustificato; la differenza infatti, nel rendimento degli studenti contraddice i risultati di tutte le altre rilevazioni, nazionali e internazionali, dove le scuole del Nord registrano esiti nettamente migliori rispetto a quelle del Meridione.
La reazione di quest’anno tuttavia, è interessante perché indica che non si vuole accettare oltre un dato che sinora è sembrato quasi ineluttabile. Nell’indicare le ragioni di quella differenza tuttavia, sono state proposte spiegazioni sbrigative ( per esempio «gli insegnanti di manica larga») che non aiutano a capire il fenomeno, non per giustificarlo, ma per comprendere invece, i modi per fronteggiarlo. Quanto alle soluzioni, introdurre una prova Invalsi anche per la maturità, è stata pressocche unanimemente considerato un modo per avere una misura comparativa che consenta un maggiore equilibrio nel riconoscimento dell’effettivo valore degli esiti degli studenti.
Come presidente dell’Invalsi non posso che gradire simili apprezzamenti che riconoscono la serietà di un lavoro sedimentato nel tempo, ma anche per questo è opportuno riflettere sulle caratteristiche della situazione attuale per quanto riguarda i risultati dell’esame di maturità. Il quale, detto per inciso, ha da tempo perso di credibilità, visto che le università hanno introdotto prove selettive che ne limitano di molto il valore come chiave di accesso discriminante per gli studi ulteriori.
Le lodi al Meridione sono in vero indicative di alcuni aspetti: l’ampio divario tra studenti bravi e studenti in difficoltà, in contesti spesso segnati da disagi socio-economici e talvolta famigliari che porta a far risaltare di più il valore dei primi; la conseguente aspettativa delle famiglie nel voler vedere riconosciuto il merito dei propri figli bravi; il maggior credito che nel Meridione le famiglie attribuiscono al riconoscimento formale della scolarità raggiunta; limito qui le considerazioni che potrebbero essere ulteriormente sviluppate.
Non si tratta semplicemente, quindi, di insegnanti di manica larga, che in tale prospettiva riduce il problema ad un tratto individuale e in fin dei conti moralistico, ma di un insieme di elementi che connotano la cultura diffusa delle regioni meridionali.
Si deve aggiungere tuttavia che l’abbondanza delle lodi, in ogni caso, danneggia anche la credibilità di quelle meritate dagli studenti bravi che frequentano scuole meridionali; vale la pena di ricordare che due anni fa il miglior docente italiano insegnava in una scuola di Lecce.
Quanto alla soluzione largamente sostenuta di inserire una prova Invalsi alla maturità, il ministro Stefania Giannini ha richiesto all’Istituto di procedere nell’approntamento di una simile prova e di inserire oltre agli ambiti disciplinari di italiano matematica anche l’inglese. L’Invalsi, mentre per le due discipline tradizionalmente oggetto delle prove, italiano e matematica, sta preparando la banca di item necessaria per la realizzazione della prova di maturità, per l’inglese ha esaminato le diverse realizzazioni in atto nei Paesi europei e ha presentato le alternative al Miur.
Dal punto di vista operativo, le prove saranno svolte da ciascuno studente al computer e la correzione sarà automatica, in modo da sgravare i docenti dall’imputazione dei dati e, nello stesso tempo, di ridurre i fenomeni di cheating – comportamenti opportunistici di studenti e docenti che “truccano” gli esiti – la cui diffusione, ancora una volta, è maggiore nelle classi meridionali.
La modalità di realizzazione potrà essere diversa, soprattutto rispetto alla collocazione temporale. Si potranno svolgere le prove nel corso del quinto anno e non alla fine come parte dell’esame, pur rientrando gli esiti nella certificazione finale; si potrebbero svolgere alla fine del quarto anno, per evitare l’effetto catalizzatore di attenzione sulle prove stesse che un loro inserimento nel corso del quinto anno potrebbe avere rispetto alla realizzazione del curricolo. Si tratta, come si vede, di scelte non solo tecniche, ma politiche, che non rientrano quindi nella disponibilità dell’Invalsi.
Quale sia la soluzione che verrà scelta, c’è un aspetto che è opportuno segnalare che riguarda l’accettazione della prova del quinto anno da parte di docenti e studenti come strumento comparativo.
Così come molte famiglie attualmente pagano corsi ed esami di inglese per consentire ai propri figli di avere una certificazione internazionalmente riconosciuta e nessuno contesta le prove che si devono superare per acquisirla, è necessario che anche le prove, realizzate al quinto anno, siano riconosciute come strumento che attesta il conseguimento di alcune competenze fondamentali per il livello di età e di scolarizzazione a cui sono rivolte. Si tratta quindi, di costruire il consenso dei diversi stakeholder, evitando l’idolatria delle prove, ma avendo cura invece, di farne conoscere la validità e la sensatezza.
Per far questo, sarebbe indispensabile che i docenti avessero nella loro prima formazione la possibilità di acquisire competenze relative alla costruzione di prove standardizzate e alle loro caratteristiche, sia nazionali che internazionali, ed è sorprendente che ancora non sia prevista nei curricoli formativi una simile prescrizione.
Come Invalsi infatti, ci troviamo sempre nella necessità di spiegare, ab ovo, come funzionano le prove, come si costruiscono, l’ambito della loro validità a platee di docenti del tutto digiuni di simili conoscenze, per cui la possibilità poi di usare i risultati delle prove dei loro alunni risiede solo sull’impegno volontaristico di alcuni di loro, laddove una simile competenza dovrebbe essere invece un patrimonio obbligato di ogni docente. Mi rendo conto che l’inserimento di crediti formativi obbligatori rientra nell’autonomia dell’università e che, quindi, sia più complicato realizzare una simile innovazione, ma ritengo che sia assolutamente indispensabile avviarla, se vogliamo effettivamente sostenere e diffondere la cultura della valutazione nelle istituzioni scolastiche del nostro Paese.
Diverso è il caso degli studenti e delle loro famiglie. E’ necessario che vengano organizzate occasioni diverse di dibattito pubblico, in cui sia possibile evidenziare come il superamento delle prove costituisca il riconoscimento dell’acquisizione di un diritto di cittadinanza che per primi gli studenti devono avere interesse a conseguire. Si tratta quindi, di un’operazione culturale imponente che si realizza con un impegno articolato negli anni, il cui obiettivo non si consegue rapidamente, ma questo è proprio dei fenomeni educativi e non ci si deve scoraggiare se non se ne vedranno immediatamente i frutti: per tale ragione almeno, è necessario un largo consenso su tali temi.

* Presidente Invalsi

Concorsone lumaca e pioggia di ricorsi la scuola riapre ma mancano i prof

da la Repubblica

Concorsone lumaca e pioggia di ricorsi la scuola riapre ma mancano i prof

Assunzioni a rilento e 5mila insegnanti pronti a rivolgersi al tribunale contro gli errori nei trasferimenti L’allarme dei sindacati: “In classe sarà una girandola”

Cattedre vuote al suono della prima campanella: sono almeno 90mila quelle che saranno coperte da supplenti. E girandola di insegnanti neoassunti a causa delle migliaia di ricorsi contro gli errori nei trasferimenti. Nei primi giorni di scuola ci sarà un effetto domino nelle classi: docenti assegnati a un istituto e poi spostati in un altro, a seconda dell’esito dei contenziosi. «A rischio la regolare partenza delle lezioni» è la denuncia dei sindacati, convocati martedì al ministero, a poco meno di due settimane dall’avvio del nuovo anno. Da Nord a Sud le scuole fanno i conti con le cattedre che mancano (4-5mila, stimano i sindacati), con gli oltre 20mila posti di ruolo — uno su tre — che non saranno coperti a causa delle bocciature al concorso. E con il balletto degli insegnanti, stavolta di ruolo, dovuto ai ricorsi che stanno paralizzando anche le chiamate dirette dei presidi.
Andiamo con ordine. Le assunzioni previste quest’anno sono 32mila: metà per i vincitori di concorso, l’altra metà dalle graduatorie. Ma non tutte le cattedre saranno coperte. Troppi bocciati alle prove scritte sino ad oggi, praticamente uno su due. La rivista Tuttoscuola ha fatto la radiografia del Concorsone, stimando già 10.500 posti vacanti sui 63.712 messi a bando nel prossimo triennio, destinati a salire a 21.072. L’amara sintesi: il concorso sarà vinto da poco più di 40mila dei 175mila candidati abilitati all’insegnamento. Inoltre il ritardo delle procedure (ad oggi, oltre 300 commissioni su 800 non hanno completato la correzione degli scritti) farà sì che nell’anno che sta per iniziare un maggior numero di posti, circa 4mila, venga assegnato alle Graduatorie ad esaurimento. Se queste sono già esaurite si dovrà ricorrere ai precari. E in alcuni casi, ironia della sorte, saranno i bocciati al concorso a rientrare in classe come supplenti.
Poi c’è il taglio denunciato dai sindacati dei posti nell’organico di “fatto”: cattedre annuali assegnate per le esigenze delle scuole che passano da 31.454 dell’anno scorso a 30.262. I tagli si fanno sentire soprattutto in Emilia Romagna, dove gli studenti saranno 3.400 in più, in Veneto, dove l’assessore all’Istruzione Elena Donazzan denuncia la mancanza di 468 docenti, in Lombardia, Piemonte e Marche.
Infine, i trasferimenti sbagliati. Sono 600 le istanze di conciliazione, ovvero il primo passo prima di arrivare davanti a un giudice, presentate finora al Miur, de- stinate a diventare almeno il doppio secondo viale Trastevere. Ma Cisl e Flc-Cgil danno altri numeri: 5mila ricorsi, più di mille nel Lazio, 1.300 in Campania e Sicilia, 500 in Puglia, 700 solo a Milano. L’effetto sarà «una girandola nelle classi», denuncia Lena Gissi, segretaria Cisl scuola. «Un girone dantesco a danno degli studenti », commenta Annamaria Santoro della Cgil.

Posti di sostegno a prof non titolati per evitare il trasferimento al Nord

da Corriere della sera

Posti di sostegno a prof non titolati per evitare il trasferimento al Nord

L’accordo raggiunto fra sindacati e uffici scolastici in Sicilia e Sardegna: per quest’anno potranno restare vicino a casa

Orsola Riva

Sulla vertenza dei prof del Sud che avrebbero dovuto trasferirsi al Nord sindacati e uffici scolastici regionali hanno trovato un accordo. Più che una soluzione, una toppa. Ancora per quest’anno potranno prestare servizio vicino a casa. Ma non insegneranno la materia nella quale sono abilitati: saranno invece assegnati provvisoriamente alle scuole come insegnanti di sostegno per i posti in deroga, ovvero quelli che ogni anno ad agosto vengono assegnati dall’uffici scolastici in aggiunta al cosiddetto organico di diritto e che nel caso del sostegno sono tantissimi (25 mila su tutto il territorio nazionale). I requisiti richiesti per l’avvicinamento alla propria provincia sono quelli che valgono per tutte le assegnazioni provvisorie: ricongiungimento al coniuge, ai figli, ai genitori o gravi esigenze di salute.

Migliaia di cattedre in palio

Finora l’accordo per le assegnazioni provvisorie sul sostegno è stato raggiunto solo in due regioni, Sicilia e Sardegna, ma all’inizio della prossima settimana è previsto un incontro al Miur con le organizzazioni sindacali. Nel caso della Sicilia, secondo i primi calcoli, in palio ci sarebbero circa duemila cattedre, corrispondenti alla metà dei posti in deroga totali (4.606). Sono quelli rimasti scoperti dopo l’assegnazione ai precari in possesso della specializzazione sul sostegno, che naturalmente hanno la precedenza. In Sardegna le cattedre di sostegno rimaste libere per mancanza di candidati «titolati» dovrebbero aggirarsi invece attorno alle 160.

L’appello dei sindacati

L’accordo raggiunto offre una scialuppa di salvataggio a una parte dei circa 8.000 prof assunti nella cosiddetta «fase B» della Buona Scuola, quella in cui i posti comuni rimasti scoperti dopo le prime due fasi (in cui si veniva collocati all’interno della propria provincia) furono assegnati pescando da tutto il territorio nazionale: e – come si sa – mentre la maggior parte degli aspiranti prof viene dal Sud, le cattedre, per ragioni demografiche, sono concentrate soprattutto al Nord. In questo modo, però, non solo si lasciano scoperte delle cattedre al Nord che dovranno essere assegnate ancora una volta a dei supplenti ma, cosa assai più grave, si affida la parte più debole della popolazione scolastica (i bambini che necessitano appunto di un sostegno specifico) a docenti magari anche bravissimi a insegnare italiano o matematica ma del tutto impreparati a questo genere di responsabilità. Gli stessi sindacati, nonostante la soddisfazione per l’intesa raggiunta a livello locale, ne sono consapevoli. «Proprio per la delicatezza del compito che andranno a svolgere – è l’appello dei rappresentanti dei lavoratori – , si chiede a chi di competenza di avviare corsi formativi di aiuto a questi docenti che dovranno andare a occuparsi della parte più fragile della popolazione scolastica».

Per diventare dirigente pubblico arriva il corso-concorso

da La Tecnica della Scuola

Per diventare dirigente pubblico arriva il corso-concorso

Cambia la modalità concorsuale per diventare dirigente pubblico nella pubblica amministrazione: di base, per accedere non servirà più l’anzianità di servizio.

Si tratta del via libera del CdM, in esame preliminare, al decreto legislativo recante disciplina della dirigenza della Repubblica ai sensi dell’articolo 11 della legge 7 agosto 2015, n.124

Maggiori particolari sulle novità in arrivo, che a grandi abbiamo già illustrato, si evincono dalla relazione illustrativa del decreto di riforma della PA, nella quale si parla di “un evidente favor viene espresso dal legislatore nei confronti del corso-concorso, aperto a tutti” e rispetto a cui il format tradizionale ha “carattere residuale”.

In futuro, in pratica, si potrà aspirare ai vertici della macchina statale appena usciti dall’università, dopo un ciclo di formazione sui banchi della Scuola nazionale dell’amministrazione, che, vista la nuova mission, verrà rinnovata: la Sna diventa un’agenzia e viene sottoposta alla vigilanza della presidenza del Consiglio dei ministri.

Tutti i nuovi posti da dirigente saranno ricoperti dai vincitori del corso-concorso, mentre il concorso ‘classico’ servirà solo per far fronte a necessità ‘extra’. Il testo del provvedimento prevede, infatti, che “il corso-concorso è bandito ogni anno per il numero di posti definiti sulla base della programmazione triennale delle assunzioni da parte delle amministrazioni”, invece al concorso si procede per “esigenze non coperte”.

L’Ansa ricorda che “anche oggi esiste il corso-concorso: la prima edizione è della metà degli anni Novanta, ma finora ha avuto uno spazio limitato con bandi sporadici”.

Le linee guida sono già pronte: concluso il ciclo formativo bisognerà superare un periodo di prova di tre anni, altrimenti si retrocede a funzionari.

Per un esperto in materia, già presidente degli allievi della Sna, Alfredo Ferrante, “puntare sul corso-concorso è un’ottima cosa ma è fondamentale rispettare la cadenza annuale, cambiando prassi: si è fatto solo 6 volte in 21 anni. In generale – continua – è positivo che la selezione dei dirigenti abbia scala nazionale”. Mentre desta “preoccupazione”, sottolinea Ferrante, “la natura ibrida del ‘dirigente funzionario’ e i lunghi tempi di prova”. Il decreto è intanto arrivato alla Camera, che dovrà dare il suo parere entro ottobre. I giudizi non tardano ad arrivare dalla Cgil, che con il responsabile Settori Pubblici Michele Gentile parla di “una possibile gigantesca operazione di spoils system”.

Dello stesso parere è il segretario nazionale di Fedir Sanità, Antonio Travia: “è solo un modo per consentire alla politica di tenere completamente in pugno i dirigenti”. L’ultima versione fa salire a 5 la rosa dei candidati alle pozioni apicali.

Per saperne di più bisogna ora attendere il regolamento, che il decreto impone di far uscire entro tre mesi.

Le novità non riguarderanno i dirigenti scolastici: il nuovo percorso per diventare capo d’Istituto è contenuto nella Legge 107/2015 ed il bando è atteso in autunno. Chi è intenzionato a partecipare alla selezione, può usufruire dei moduli formativi, in modalità e-learning, della Tecnica della Scuola.

Bonus 500 euro docenti, la rendicontazione entro il 31 agosto

da La Tecnica della Scuola

Bonus 500 euro docenti, la rendicontazione entro il 31 agosto

Nell’ottobre scorso i docenti hanno ricevuto nei propri cedolini 500 euro per la formazione. Il bonus, dal prossimo anno, diventerà una Carta elettronica che potrà essere utilizzata per gli acquisti.

Con la nota 15219 del 15 ottobre 2016, il Miur aveva emanato le indicazioni operative in applicazione del DPCM 23 settembre 2015, sull’istituzione della “Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado”, secondo quanto previsto dall’art.1 comma 121 della legge 107/2015 (“Buona Scuola”).

Il Ministero aveva spiegato che nel caso la documentazione fosse risultata non conforme, incompleta, presentata oltre il termine o non presentata, la somma sarà recuperata con l’erogazione riferita al 2016/17. Inoltre, i rendiconti dovranno essere messi a disposizione dei revisori per il riscontro di regolarità amministrativo-contabile.

Con l’occasione, il Miur aveva annunciato l’emissione di una successiva nota, con la quale avrebbe fornito ulteriori dettagli riguardo all’attività di rendicontazione delle spese sostenute.

Questa nota non è mai stata emanata, nonostante le richieste di chiarimento avanzate dai Sindacati e dalle istituzioni scolastiche.

Le scuole hanno quindi adottato procedure diverse: alcune hanno emanato circolari informative e predisposto modulistica ad hoc, altre hanno addirittura preparato piattaforme per l’inserimento dei dati direttamente dai docenti, altre ancora hanno atteso invano indicazioni operative dal Miur.

Ad ogni modo, per i docenti interessati, riepiloghiamo quali sono le spese ammissibili, meglio esplicitate in alcune Faq pubblicate dal Miur:

  • acquisto di libri, pubblicazioni e riviste, anche in formato digitale, e anche se non attinenti alla disciplina insegnata;
  • hardware, come i PC, i computer portatili o notebook, i computer palmari, i tablet;
  • software, come i programmi e le applicazioni destinati alle specifiche esigenze formative di un docente (programmi che permettono di consultare enciclopedie, vocabolari, repertori culturali o di progettare modelli matematici o di realizzare disegni tecnici, di videoscrittura e di calcolo);
  • corsi di formazione (anche on-line) organizzati dagli enti accreditati, dalle università, consorzi universitari e interuniversitari, Indire, Istituti pubblici di ricerca;
  • corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, corsi post lauream o master;
  • corsi destinati specificamente alla formazione degli insegnanti, purché inerenti al proprio profilo professionale;
  • corsi per lo studio di una lingua straniera all’estero, purché il corso venga erogato da uno dei soggetti di per sé qualificati per la formazione nella scuola, ovvero dagli “Enti culturali rappresentanti i Paesi membri dell’Unione Europea, le cui lingue siano incluse nei curricoli scolastici italiani”;
  • esame di certificazione di una lingua straniera, se l’esame è promosso da uno degli Enti certificatori delle competenze in lingua straniera del personale scolastico;
  • corso di formazione organizzato dalla propria o da altre scuole, purché coerente “con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione”;
  • rappresentazioni cinematografiche, ingressi ai musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, anche se non attinenti alla disciplina insegnata;
  • attrezzature per la scuola come LIM o libri, riviste o materiale didattico per la biblioteca scolastica.
  • corso insieme ad altri docenti esterno al piano di formazione della scuola.

Invece, non è possibile fare rientrare i seguenti acquisti:

  • smartphone, toner, cartucce, stampanti, pennette USB e videocamere;
  • abbonamenti per la linea Adsl;
  • acquisto di titoli di viaggio per la partecipazione a eventi o per viaggi culturali.

Entro il 31 agosto i docenti dovranno presentare alle scuole di appartenenza la rendicontazione delle spese sostenute, che passerà poi al vaglio dei revisori.