Le scuole in territori fragili

Le scuole in territori fragili

di Gian Carlo Sacchi

Il Governo ha presentato di recente un disegno di legge sulla montagna, per tutelare e sostenere i Comuni che si trovano in quei territori. Il nostro Paese infatti è in gran parte montuoso e in preda a rischi di carattere sismico e idrogeologico; governare quelle realtà anche per effetto di un inarrestabile spopolamento risulta sempre più difficile, dopo l’abolizione delle Comunità Montane e le scarse attitudini da parte degli stessi Comuni ad associarsi per la gestione dei servizi. 

Diverse sono le materie che prevedono interventi di carattere economico e organizzativo, manca però l’attenzione alla semplificazione burocratica, che oggi richiede le stesse procedure sia al piccolo comune come alla grande città.

Tra i servizi indicati sono da segnalare la scuola e la sanità, alle quali sono dedicati incentivi per il personale disposto a prestare la propria opera in quelle zone, ma mentre per quest’ultima si tratta di un governo regionale con aziende sanitarie locali dotate di autonomia sul piano gestionale e finanziario, per le attività scolastiche resta la normativa di carattere statale, valida su tutto il territorio nazionale; poteva essere invece l’occasione per rivedere alcuni dispositivi di carattere soprattutto amministrativo che favorendo una maggiore autonomia delle scuole e dei contesti locali, avrebbe consentito più flessibilità nell’offerta formativa, per aderire alle esigenze dei territori.

Con questi provvedimenti soltanto si torna all’antico, quando le scuole elementari della montagna avevano a disposizione l’appartamento, sopra alle aule, per l’insegnante, al/la quale erano attribuiti punteggi preferenziali per la discesa al piano. Era un percorso che coinvolgeva perlopiù giovani docenti che utilizzavano le situazioni di disagio anche per corroborare la propria attività didattica; una sorta di tirocinio in un’ottica di emancipazione professionale, via via superata in ragione della costituzione di classi di alunni omogenee per età e della conclamata unicità della funzione docente sostenuta dalla contrattazione sindacale. Con la riforma del 1985 poi ci fu un salto di qualità dovuto all’introduzione del team degli insegnanti per aree disciplinari.

Oggi la situazione si inverte, in montagna si arriva per effetto di una progressiva privazione dei mezzi di cui dispongono le scuole di città: le pluriclassi dovute al progressivo spopolamento, la diffusione della didattica a distanza ammesso e in ancora troppi casi non concesso che esistano le connessioni adeguate. Siamo sicuri che basteranno incentivi economici per motivare un personale che vede un orizzonte piuttosto incerto per le scuole in quelle zone ? Non parliamo poi della scuola media la cui vita in montagna non è stata facile fin dall’inizio: si pensi al mezzo televisivo utilizzato per anni per raggiungere paesi e frazioni che presentavano difficoltà di comunicazione e che anch’essi potrebbero fruire di internet quando sarà, non certo a breve, a disposizione di tutti e dove riesce difficile mantenere le diverse discipline. 

L’organizzazione degli Istituti Comprensivi che raggiungono il ciclo di base, con la presenza della scuola per l’infanzia, che avrebbe potuto offrire un percorso didattico più integrato oltre che creare una regia unica di tipo amministrativo sul territorio, andrebbe adeguata alle Unioni dei Comuni, mentre resta in mano all’amministrazione scolastica con la rigidità dei numeri per l’istituzione e la soppressione di classi e plessi, con una programmazione della rete scolastica che è si passata alle regioni, ma rimane statale per quanto riguarda la previsione e l’assegnazione del personale, anche se con piccoli correttivi per quanto riguarda le zone di montagna e le piccole isole.

Su questi numeri negli anni si è combattuta una battaglia di spesa pubblica in continua oscillazione, fino ad abolire per poi ripristinare, sempre per effetto di leggi finanziarie, dirigenti scolastici e amministrativi degli istituti situati in territori particolarmente fragili. Nei programmi di coesione per le aree interne messi a punto dall’allora ministro Barca, i sindaci coinvolti avevano unanimemente  richiesto la presenza della scuola oltre che come elemento di qualificazione del territori anche come deterrente allo spopolamento, ma il presidio scolastico, a differenza di quello sanitario, non può essere garantito anche se il territorio stesso mostrasse un’amministrazione virtuosa, perché nel primo non sono indicati i livello essenziali delle prestazioni, come invece sono presenti nel secondo, il che consente di rendere più autonoma l’organizzazione del servizio.

Un altro tassello è costituito dalla legge sui piccoli comuni, gran parte dei quali si trovano in montagna, che prevedeva un piano per la presenza delle scuole, dal quale si sarebbe potuto ottenere una nuova tipologia di istituzione per quelle zone, che invece non ebbe seguito, così come i servizi per l’infanzia 0-6 anni, oggi di competenza di regioni e comuni, verranno per gran parte della loro attività portati sotto il governo statale, con l’effetto che le comunità locali siano sempre meno coinvolte, come accade con la rinuncia da parte dei comuni stessi agli investimenti del PNRR sui nidi.

La programmazione dei servizi formativi è di competenza degli enti territoriali, ma la gestione è saldamente nelle mani del potere statale che ne impone il funzionamento omogeneo su tutto il territorio nazionale; non è stato portato a termine l’annunciato decentramento delle competenze amministrative, nonostante una sentenza della Corte Costituzionale che già molti anni fa aveva ammesso la partecipazione delle regioni all’assegnazione del personale ed in tempi più recenti alcuni Tribunali AmministrativiRegionali legittimavano la presenza dei Comuni nella formazione delle pluriclassi.

Tanti piccoli provvedimenti riguardanti le scuole nelle zone fragili che se da un lato vorrebbero sostenere quei territori dall’altro le mettono continuamente a rischio di sopravvivenza; tali servizi hanno aiutato le comunità periferiche ad emanciparsi, la loroabolizione oggi può contribuire al degrado di realtà in stato di abbandono, con buona pace di internet. L’unica cosa interessante dell’ultimo progetto di legge sulla montagna è la compilazione di un testo di norme dedicate, per poter recuperare un disegno che sia coerente e che preveda un adeguato e stabile investimento, non soggetto alle temperie politiche, con la relativa governance locale.