Kyenge: “No alle classi ghetto tutti insieme si studia meglio”

da la Repubblica

Kyenge: “No alle classi ghetto tutti insieme si studia meglio”

Per il ministro è sbagliato rifiutare la convivenza, le aule come laboratori di integrazione

VLADIMIRO POLCHI ROMA — «Sbaglia chi rifiuta la convivenza con alunni d’origine straniera». Cécile Kyenge, rispondendo all’appello di papa Francesco per la pace in Siria, ha passato la giornata digiunando. Alla lettura della notizia che arriva da Bergamo, il ministro dell’Integrazione è cauto: «Non è facile giudicare, ma la scuola non può rinunciare al suo ruolo di laboratorio d’integrazione ». Eppure non è il primo caso di “fuga” di italiani dalle classi multietniche. «Per questo è necessario un percorso all’interno della scuola, che coinvolga insegnanti, presidi, genitori. Bisogna far capire che molti bambini definiti stranieri, in verità stranieri non sono. Anche per questo è urgente una riflessione, a tutti i livelli, che ridisegni il concetto di cittadinanza». Per il ministero dell’Istruzione, il tetto indicativo del 30 per cento di alunni stranieri per scuola, introdotto con la circolare Gelmini dell’8 gennaio 2010, è ancora in vigore. Che ne pensa? «È un’indicazione discussa e spesso non applicata dalle scuole. Ripeto: ci sono tanti alunni figli di immigrati, ma nati e cresciuti in Italia. Come possiamo definirli ancora stranieri e costringerli dentro quella quota del 30 per cento?». Non crede sia comprensibile che un genitore possa essere preoccupato che il percorso scolastico del figlio sia rallentato dall’eccessiva presenza di alunni d’origine straniera in classe? «Sta alla scuola la responsabilità di far capire e di promettere ai genitori che la didattica non sarà rallentata dal carattere multietnico della classe e anzi che questo potrà essere una ricchezza». Ma anche per i bambini stranieri non è meglio stare in classi più equilibrate, in mezzo ai compagni italiani? «Certo, vanno evitati i ghetti. Mettere tutti i bimbi nati da genitori stranieri in una classe sarebbe una discriminazione». Lei continua a essere oggetto di attacchi. Come precede il suo lavoro? «Agli attacchi diretti si sono ora aggiunti quelli indiretti, che mirano a screditare il mio impegno. Mi si attribuiscono affermazioni che non ho mai pronunciato, come quella di obbligare gli italiani a dare le seconde case sfitte ai rom. E si fanno girare su internet. In tal modo si prova a delegittimarmi, a ostacolare il lavoro del mio ministero. Invece molto abbiamo fatto in poco più di cento giorni: dal nuovo bando per il servizio civile, all’impegno sul territorio per le buone pratiche d’integrazione. Pratiche che passano senz’altro anche dalla scuola».