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Alternanza scuola-lavoro, tutte le istruzioni per il censimento del Miur

da Il Sole 24 Ore

Alternanza scuola-lavoro, tutte le istruzioni per il censimento del Miur

di Lorena Loiacono

Progetti, risorse e tempi per inserire i ragazzi nel mondo del lavoro: il ministero chiama a raccolta gli istituti superiori per reperire i dati relativi all’alternanza scuola-lavoro. Una sorta di accurato censimento per monitorare quei progetti che, in base al testo di riforma della scuola pubblica e nel rispetto della legge di stabilità, saranno uno dei punti cardine del futuro dell’istruzione italiana.
Con la nota 1533 del 4 maggio scorso, il Miur ha lanciato un monitoraggio nelle scuole e la raccolta dei dati andrà avanti fino al 31 luglio. Fino allo scorso anno le rilevazioni erano di competenza dell’Indire che, d’ora in poi, manterrà solo la raccolta dei dati qualitativi. Spetta invece al ministero di viale Trastevere reperire informazioni su tutto quel che concerne i progetti a livello quantitativo.
Se la scuola non collabora, niente fondi
La partecipazione al monitoraggio da parte delle scuole è condizione essenziale per ricevere i finanziamenti dal ministero. Per la raccolta dati è disponibile sul portale Sidi una funzione ad hoc: “Alternanza scuola lavoro”, si trova nell’area Alunni-Gestione alunni. La nuova pagina va quindi a sostituire quella utilizzata finora su Alternanza-tirocini-stage presenti nella scheda Alunno.
Parola d’ordine: massima trasparenza
La pagina Sidi chiede alle scuole informazioni dettagliate relative ai percorsi di alternanza scuola-lavoro attivati durante l’anno scolastico. Per il monitoraggio esistono infatti due sezioni distinte e vanno compilate in ordine di presentazione. La prima riguarda i percorsi e la seconda entra nella sfera degli alunni e delle loro attività.
Nel report anche le imprese coinvolte
Trattandosi di dati prettamente quantitativi, le scuole dovranno fornire al rilevamento le informazioni relative ai percorsi inserendo una descrizione delle attività svolte. A questa prima fase segue poi l’inserimento dei dati sulla tipologia dei percorsi distinguendo tra l’Alternanza scuola lavoro o l’Impresa formativa simulata. A seguire ci sono poi i campi relativi alla durata del progetto riportandone la data di inizio, alle fonti di finanziamento utilizzate e alle strutture associate con cui collaborare.
Per gli studenti arriva il curriculum vitae
Nella seconda fase del report vengono forniti i dati relativi agli studenti. La scuola “entra” nel merito delle singole classi e fornisce i dati relativi ai precedenti percorsi effettuati dagli studenti. Creando una sorta di storico e garantendo quindi una continuità formativa durante gli anni della scuola superiore. Non solo uno sguardo al passato, il Miur a breve fornirà alle scuole nuove indicazioni per inserire le certificazioni delle competenze conseguite dagli alunni. Un passaggio che avverrà solo alla fine dell’anno scolastico.
Massima attenzione dal Miur
Il ministero dell’Istruzione seguirà con attenzione l’andamento della raccolta dati effettuando un costante monitoraggio sulle modalità e i tempi. La scadenza prevista è fissata al 31 luglio. Una volta chiusa la funzione non sarà possibile per le scuole correggere dati eventualmente errati. Per evitare possibili errori nel procedimento, quindi, è possibile consultare la Guida operativa specifica, presente nell’area procedimenti amministrativi, oppure contattare il Servizio statico o il numero verde del sistema informativo del Miur 800 903 080.

Scuola, video show e lettera ai prof di Renzi

da La Stampa

Scuola, video show e lettera ai prof di Renzi

Il premier difende la riforma (con tanto di lavagna): «Dialogo, no a boicottaggi»

Non si arrende Matteo Renzi. E la riforma della scuola sfornata dal suo Governo la spiega e la rispiega come fanno certi prof con gli alunni che proprio non vogliono capire. Oggi in un video di 18 minuti, girato a Palazzo Chigi, ha illustrato su una lavagna, gessetto alla mano, i punti principali del ddl Buona scuola (che arriva in Aula alla Camera domani) e gli obiettivi a cui punta, sfidando i sindacati e chi protesta ad entrare nel merito senza «slogan» e «falsità».

Il web show è stato pubblicato sul sito del Governo in serata, al termine di una giornata in cui il Governo – rappresentato dai ministri Giannini, Boschi, Madia e dal sottosegretario alla presidenza del consiglio De Vincenti – ha avuto, dopo quello di ieri con i sindacati, un secondo round di incontri. Stavolta con un fronte meno compatto: le associazioni degli studenti e dei genitori. E sempre in serata il multimediale presidente del consiglio ha sfornato pure la famosa lettera agli insegnanti annunciata parecchie settimane fa e rimasta finora nel limbo delle intenzioni. Nell’uno e nell’altra difende scelte, striglia e lusinga.

I temi sono tanti. La cosa più urgente? L’alternanza scuola-lavoro, con l’obiettivo – spiega nel video Renzi – di ridurre il 44% della disoccupazione giovanile. «Diamo più soldi agli insegnanti e non meno e non solo perché da lì dipende l’autorevolezza sociale ma perché è un fatto di giustizia». E il principio del «nessuno mi può giudicare» – prosegue – non può valere: «Possiamo discutere sui poteri del preside, sarà un nucleo di valutazione a decidere ma il merito non è parolaccia e il principio di fondo è dare più soldi a chi li merita». «I presidi-Rambo esistono solo al cinema e non è vero che il preside può assumere l’amico dell’amico» assicura. Nella giornata in cui a Empoli un istituto professionale è stato evacuato a causa di un incendio scoppiato in un prefabbricato, annuncia anche 4 miliardi di euro di nuovi investimenti per l’edilizia scolastica. Ricorda che verranno assunte 100 mila persone e dice basta agli slogan ideologici perché «la scuola è il luogo dove o si cambia il paese o si resta costretti nella palude e nel chiacchiericcio di tutti i giorni».

Lo stesso concetto lo riprende nella lettera ai prof. «Con tutti i nostri limiti abbiamo l’occasione di costruire un futuro di opportunità per i nostri figli. Sciuparla sarebbe un errore» scrive. Dateci «una mano a restituire speranza al nostro Paese» chiede e invita a non aver paura del cambiamento. «Non pensiamo di avere la verità in tasca e questa proposta non è prendere o lasciare. Siamo pronti a confrontarci. La Buona Scuola non la inventa il Governo: la buona scuola c’è già. Siete voi. O meglio: siete molti tra voi, non tutti voi» scrive ancora il Premier nella lunga missiva (120 righe) in cui fa il riassunto delle misure in via di adozione.

Intanto mentre l’annunciato blocco degli scrutini perde qualche fan, tra le associazioni di studenti e genitori, ma non solo – «è una cosa che non mi piace. Creerebbe dei disagi a famiglie e ragazzi e spero che prima di allora si trovino le soluzioni» ha affermato il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan – M5S e Sel rinfocolano le polemiche. I pentastellati ricorrono a un contro-video affidato ad Alessandro Di Battista che invita «genitori, insegnanti, studenti, presidi a scendere in piazza» il 19 maggio davanti alla Camera (ma il voto finale sul provvedimento nel frattempo è slittato di un giorno). E Nichi Vendola sul ddl Scuola annuncia battaglia «con ogni mezzo» e va giù pesante: il provvedimento sulla scuola «è un capolavoro del renzismo» ripropone il «solito vizietto di Renzi, l’idea di autoritarismo della scuola». Su tutto l’eccessivo potere dei presidi che per il leader di Sel «profuma di corruzione e prospetta una ipoteca della libertà» e la possibilità di «ricattare gli insegnanti».

 

Un adolescente su quattro svolge i compiti online

da La Stampa

Un adolescente su quattro svolge i compiti online

I risultati della ricerca Net Children Go Mobile sull’utilizzo di Internet e smartphone nei giovani tra i 9 e i 16 anni
milano

Messaging e condivisioni, ma anche un aiuto efficace per svolgere i compiti. La ricerca Net Children Go Mobile, finanziata dal Safer Internet Programme della Commissione Europea e pubblicata dall’OssCom di Università Cattolica, rivela i dati sull’utilizzo di internet e dei social network tra i giovani e giovanissimi dai 9 ai 16 anni.

 

Il 96% dei 13-14enni che utilizza internet, ha dichiarato di avere un profilo sui social, mentre nel 2010 era solo il 68%, per i 15-16enni invece si è passati dall’80% al 93%. È in aumento anche l’uso di Whatsapp: la percentuale degli utenti online tra i 9 e 16 anni che lo utilizza è passata dal 43% nel 2010 al 57% nel 2014.

L’abitudine dei ragazzi di scambiarsi video e immagini è diventata talmente frequente che si è passati dal 6% nel 2010 al 39% nel 2014. La percentuale dei giovanissimi tra i 9 e i 12 anni che condivide foto e video è pari al 4% tra quelli che non possiedono uno smartphone, mentre sale al 27% per chi utilizza questi device.

La percentuale dei ragazzi che condivide foto e video cresce con l’aumentare dell’età, e raggiunge il 33% tra i ragazzi tra i 13 e 16 anni senza smartphone e conquista addirittura il 68% tra quelli che invece possiedono un dispositivo mobile.

Internet è una risorsa sempre più utilizzata anche nello svolgimento dei compiti. La percentuale dei ragazzi che quotidianamente accedono al web per lo studio è infatti più che triplicata passando dal 10% nel 2010 al 34% nel 2014.

Inoltre, i dati rivelano che la percentuale dei giovani tra i 9 e i 12 anni che possiede uno smartphone e che svolge i compiti online è il 27%, il doppio rispetto a quelli che non utilizzano lo smartphone che si riduce a un 13%. La percentuale degli studenti delle scuole secondarie superiori (13-16 anni) che utilizzano la rete per svolgere i compiti raggiunge il 43%.

A scuola, invece, solo un ragazzo su quattro afferma di usare internet almeno una volta alla settimana. La forma più comune per gestire l’utilizzo di internet da parte della scuola è la mediazione restrittiva, vale a dire stabilire le regole su cosa si può fare su internet all’interno dell’ambiente scolastico. L’utilizzo dello smartphone è generalmente proibito, ma alcuni istituti stanno iniziando ad introdurre l’uso dei device nelle attività didattiche.

Risulta particolarmente in crescita la privatizzazione dell’accesso ad internet. La percentuale dei giovani che accede a internet è cresciuta dal 62% del 2010 al 69% nel 2014 e, in particolare, è aumentato l’accesso a internet dalla propria camera attraverso lo smartphone, passando dal 4% nel 2010 al 38% nel 2014.

Ma i giovani italiani mostrano anche una maggiore moderazione nell’uso dello smartphone rispetto ai pari età europei: la percentuale di giovani italiani che hanno sperimentato almeno due forme di uso eccessivo di internet è pari all’11%, al di sotto della media europea che, invece, è pari al 21%.

Tuttavia che iI 50% dei ragazzi italiani affermi di aver provato “molto” o “abbastanza spesso” una forma di uso eccessivo dello smartphone, sviluppando così un forte bisogno di controllare il telefono per vedere se ci sono nuovi messaggi, o un senso di disagio quando non si può controllare il telefono.

Non sparate sulla scuola. Renzi l’innovatore non può diventare un normalizzatore

da la Repubblica

Non sparate sulla scuola. Renzi l’innovatore non può diventare un normalizzatore

di Ilvo Diamanti

Conviene prendere sul serio il disagio della scuola. Che unisce maestri, professori e studenti di ogni ordine e di ogni grado. Dal Nord a Sud passando per il Centro. Conviene fare attenzione al malessere che alita forte sulla scuola. Nella scuola. Nonostante tutto. Anche se – sostiene il governo, per prima la ministra Giannini, che è una “professoressa” – i professori, i maestri e gli studenti non hanno capito o non hanno letto, se non in modo superficiale, il testo della riforma. Che contribuirà a regolarizzare molti precari. Molti supplenti a tempo pieno. E renderà più efficiente e manageriale tutto il sistema.

Ma se insegnanti e studenti non hanno capito, se non ci credono:  è anche, anzitutto, un problema del governo. Di “questo” governo, in particolare. Perché la scuola non è un settore come gli altri. È il crocevia delle generazioni. Il passaggio fra integrazione e cambiamento. Fra tradizione e innovazione. Fra genitori e figli. Non per caso dispone di un consenso molto elevato. Nonostante tutto.

Se salta il rapporto con la scuola, si perde anche la confidenza con i giovani. E con i genitori. Con i luoghi della ricerca e della cultura. Non con settori di nicchia: ma di massa. Che, per  questo, rischiano di “contaminare” e deteriorare in fretta il clima d’opinione. Se lo può permettere il governo guidato da Renzi? L’innovatore ipercinetico? Il rottamatore, che ha messo in un angolo la classe politica del PD, vecchia ma anche, solo, adulta? Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Rosy Bindi, ma anche Enrico Letta? Liquidati in fretta e senza troppi problemi  –  un colpo e via.

Può, l’innovatore, il rottamatore, il giovane: entrare in guerra con i giovani? Con gli studenti? Che, per definizione, annunciano il futuro? Dubito. Nonostante l’incomprensione degli studenti e dei professori  –  che boicottando i test di autovalutazione Invalsi boicottano se stessi. E al di là dei contrasti con i sindacati, Renzi non può diventare il “nemico della scuola”. Non solo perché, incidentalmente, la scuola offre una base elettorale fedele alla Sinistra e al Centrosinistra. Da sempre. Anche quando il vento di destra soffiava forte. Renzi non può chiudere il mondo della scuola in un recinto, farne un “nemico”. Non gli conviene. Per ragioni estetiche, oltre che di interesse e di strategia. Per non invecchiare all’improvviso. Colpito da un “coup de vieillesse”.

D’altronde, la Scuola, gli insegnanti, i professori chiedono, anzitutto e soprattutto: riconoscimento. Status. Dopo essere stati spinti, per molto tempo, ai margini. Poche risorse, pochi investimenti, poca attenzione. Se non ottenessero, dal governo e dal PD, l’attenzione che chiedono, la otterrebbero – comunque: la cercheranno – “contro”. È già avvenuto in passato. È nella tradizione della Scuola: coltivare lo spirito dell’alternativa. In un Paese dove l’alternativa sembra essere una parola fuori moda. Meglio non coltivarla. Meglio (o peggio): fomentarla. All’Innovatore non conviene: indossare gli abiti e la maschera del Normalizzatore. Venire sospinto nel passato.

Scuola, Renzi: “Sì al dialogo, no al boicottaggio”. Il governo: “No a fiducia sulla riforma

da la Repubblica

Scuola, Renzi: “Sì al dialogo, no al boicottaggio”. Il governo: “No a fiducia sulla riforma

Dopo i sindacati, l’esecutivo incontra le rappresentanze di studenti e genitori. Il ddl in aula alla Camera, voto finale il 20 maggio. Il premier “spiega” la Buona Scuola in un video. “boicottando le prove Invalsi o minacciando il blocco degli scrutini non si fa un servizio alla scuola o ai ragazzi”. E annuncia “4 miliardi di euro di nuovi investimenti sull’edilizia scolastica”.

Sì al dialogo, no al boicottaggio”. Così Matteo Renzi, in un lungo video pubblicato sul sito del governo, interviene nel confronto in atto sulla riforma della “Buona Scuola”, il cui ddl da domani inizia il suo iter alla Camera, con la conferenza dei Capigruppo di Montecitorio che fa slittare da martedì 19 a mercoledì 20 maggio il voto finale. Ddl su cui, assicurano fonti di Palazzo Chigi in risposta a ricostruzioni di stampa, non sarà posta la fiducia.

Ma la strategia della persuasione elaborata dal premier comprende anche una lettera inviata ai docenti (il testo integrale) che in questi giorni sono entrati in agitazione, scesi nelle strade e hanno persino invaso la sua bacheca Facebook: “C’è un Paese, l’Italia, che sta ripartendo – scrive Renzi nella missiva -. Con tutti i nostri limiti, abbiamo l’occasione di costruire un futuro di opportunità per i nostri figli. Sciuparla sarebbe un errore”. E ancora: “Il nostro progetto non è ‘prendere o lasciare’ e siamo pronti a discutere. Ma facciamolo nel merito, senza la paura di cambiare. La Buona Scuola non la inventa il Governo: la buona scuola c’è già. Siete voi. O meglio: siete molti tra voi, non tutti voi”.

“Discutiamo oltre le ideologie”. “Sono contento che l’istruzione sia ritornata al centro del dibattito pubblico” dice il premier nel video, sottolineando però la sua insoddisfazione per “i toni” della discussione, con i sindacati che dopo lo sciopero e le manifestazioni della scorsa settimana minacciano un’escalation di iniziative, fino al blocco degli scrutini, in risposta alla chiusura da parte dell’esecutivo, e il particolare del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, sulla messa in discussione dei punti qualificanti della riforma. “Quando si chiede ai ragazzi di boicottare le prove Invalsi o si minaccia il blocco degli scrutini, non si sta facendo un servizio alla scuola o a quei ragazzi” dichiara il presidente del Consiglio, “io vi chiedo: discutiamone, parliamone, ma facciamolo sulle cose concrete, non sugli slogan ideologici”. Poi Renzi lega il tema della riforma a quello economico. “C’è la ripresa: ma senza cultura la crescita non serve”. E annuncia:  “Oggi pomeriggio firmerò una circolare ai ministri dell’Economia, delle Infrastrutture, e della Scuola che porta oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti sull’edilizia scolastica”.

Governo “disponibile a modifiche dei punti chiave del ddl”. Dopo Renzi, è il governo a diffondere una nota per dirsi disponibile a modificare la riforma della scuola durante l’esame del ddl in Parlamento, con “l’impegno a migliorare il testo in modo da rendere ancora più incisivo il progetto per la ‘buona scuola’ nei punti chiave: il superamento definitivo del precariato, la valorizzazione del corpo docente, la piena attuazione dell’autonomia scolastica, il collegamento con il mondo del lavoro e gli investimenti per l’edilizia scolastica”.

Renzi, gessetto in mano e lavagna. Nel video pubblicato sul sito del governo, il premier compare in camicia, in mano un gessetto, alle spalle una lavagna. Come un maestro che scrive e spiega i passaggi essenziali della “lezione”. In questo caso, davvero innovativo della comunicazione governativa. “Noi proponiamo una riforma, ma non chiamiamola riforma, alcuni punti concreti, puntuali e specifici di cui vorrei discutere insieme a voi, per capire dove siamo d’accordo e se ci piacciono o no”. Il video è diviso in 9 punti:

1 Che cos’è la Buona scuola. “L’Italia non sarà mai la superpotenza demografica, geografica, diplomatica, ma può essere la superpotenza culturale. E allora dobbiamo recuperare tutto ciò che è cultura, istruzione, formazione e tentare di scrivere insieme una pagina nuova. Ecco cos’è la buona scuola”.

2 alternanza scuola-lavoro. “La cosa più urgente, non la più importante, è l’alternanza scuola-lavoro. Noi abbiamo avuto un crollo totale degli occupati con un aumento dell’occupazione giovanale impressionante. Siamo un Paese in cui i giovani che non trovano lavoro sono oltre il 40%, un dato che è tra i peggiori d’Europa. L’alternanza scuola-lavoro funziona in Germania, in Svizzera, in Austria, in Alto Adige, che la può fare per una previsione costituzionale. Nella Buona scuola si prevede finalmente l’alternanza scuola-lavoro per ridurre finalmente quel 44% di disoccupazione giovanile”.

3 più cultura umanista. “Nella riforma chiediamo di studiare di più storia, arte, musica e lingue. Chiediamo alla scuola italiana di fare ciò che la scuola ha il dovere di realizzare, un investimento più forte non solo sugli skill, sui curricula, ma sull’esigenza di educare un cittadino. Certo, si può discuterne, ma io penso che ci vorrebbero più ore di latino. E l’idea di tornare ad investire su materie messe in secondo piano non è in contraddizione con le materie scientifiche. Ho incontrato la scienziata Giannotti e mi ha raccontato con entusiasmo il suo passato nel liceo classico. Bisogna tornare a restituire ossigeno”.

4 più soldi agli insegnanti. “Diamo più soldi agli insegnanti e non meno e non solo perchè da lì dipende l’autorevolezza sociale ma perchè è un fatto di giustizia” dice Renzi, spiegando il senso dei 500 euro annuali ad ogni insegnante e dei 200 mln per la valutazione. Ma Renzi spiega anche perché, in ase alla riforma, anche gli insegnanti saranno valutati: “Molti si sono arrabbiati, ma non può valere il principio che nessuno mi può giudicare. Se chiedi ai ragazzi di dare il meglio, potrai accettare il criterio per cui tu stesso puoi essere valutato. Possiamo discutere sui poteri del preside, sarà un nucleo di valutazione a decidere, ma il merito non è una parolaccia e il principio di fondo è dare più soldi a chi li merita”.

5 l’autonomia, come principio fondamentale. “Autonomia, una parola, un po’ abusata, che risale ai tempi della riforma Berlinguer. Autonomia vuol dire che la scuola di Milano centro avrà caratteristiche diverse da quella di Mazara del Vallo. Autonomia significa levare, togliere, eliminare il potere alle circolari ministeriali che in stretto burocratese decidono il futuro dei ragazzi e chiedere alle scuole di aprirsi al territorio e alle realtà culturali”. “Questo non è svendere ai privati – aggiunge Renzi -. Non cambia niente per il consiglio d’istituto, che è il soggetto che decide l’offerta formativa e discute e dà la linea di come si deve comportare la scuola. Presidi sceriffi? Il preside ha delle responsabilità in più, ma non sarà mai lo sceriffo. Sarà il responsabile di una comunità insieme al consiglio d’istituto, al collegio dei docenti, alle famiglie. La scuola non è mia, non è del governo, non è dei sindacati. La scuola è dove riparte il Paese”.

6 continuità dell’azione educativa, con l’assunzione dei precari. “Non possiamo avere un’azione educativa spezzettata tra supplenti, controsupplenti e dintorni. Ecco perché il governo sceglie di assumere solo quest’anno più di centomila persone che avevano acquisito il diritto a essere assunte e con le quali lo Stato non aveva mantenuto la parola. Continuità significa che assumendo più persone la scuola italiana funzionerà con una stabilità educativa e non con un meccanismo in cui si forma una generazione di precari frustrata, perché anziché seguire il fuoco sacro dell’insegnamento è destinata a perdere le proprie ore dietro le trafile burocratiche delle graduatorie”.

7 i cinque punti della buona scuola in sintesi. “Per la prima volta si parla di regolare una legge sugli asili nido e sulle scuole materne, la cosiddetta 0-6, sta nella legge delega. Si parla di diritto allo studio per i ragazzi che non ce la fanno; la scuola è o dovrebbe essere il luogo nel quale le diseguaglianze vengono cancellate in partenza, tutti devono essere messi nello stesso punto di partenza. Poi chi è bravo andrà più veloce, chi è meno bravo sarà aiutato, ma il punto di partenza deve essere uguale per tutti. Questo è il motivo per cui il diritto allo studio è una delle questioni fondamentali della nostra riforma”. Il premier ha poi sottolineato che la riforma riguarda la scuola digitale, “che non è semplicemente le lavagne interattive, multimediali; la scuola digitale è la banda larga, è la capacità di pensare multitasking, è però contemporaneamente la voglia di emozionarsi di fronte alla realtà, non soltanto alla realtà virtuale”.

8 che cosa non è la buona scuola.  “Nella ‘Buona Scuola’ non si parla nel modo più totale di ferie per gli studenti, di giorni di vacanza. E’ uno degli argomenti per cui più sui social network i ragazzi mi hanno detto ‘Stai distruggendo i nostri giorni di vacanza’. Nella ‘Buona Scuola’ non si parla di questo. Non ci sono ‘presidi Rambo’, i ‘presidi Rambo’ esistono solo al cinema, se ci sono. E attenzione che questo è molto importante: non è vero che il preside assume l’amico dell’amico, non è vero che ci sono i licenziamenti dopo 36 mesi, sono assolute falsità”.

9 ridare alla scuola il ruolo che merita.  “Se ridiamo importanza e centralità alla scuola forse l’Italia torna a crescere”.

Le richieste degli studenti. Dopo aver incontrato ieri i sindacati, il governo ha accolto oggi a Palazzo Chigi i rappresentanti dei genitori e degli studenti. Durante l’incontro gli studenti hanno chiesto di finanziare le legge quadro sul diritto allo studio. Particolarmente critica l’Unione degli studenti che, in segno di protesta contro i contenuti del ddl Buona scuola, ha aderito allo sciopero del 5 maggio organizzato dai sindacati di categoria. Gli studenti hanno chiesto, tra l’altro, più ore di alternanza scuola-lavoro, di contare di più nella governance e di poter scrivere il piano dell’offerta formativa assieme ai docenti. Oltre a parlare dei contenuti del ddl Buona scuola l’Uds ha spiegato la ragione della protesta contro i test Invalsi: “Abbiamo un’altra idea della valutazione”. Dalla Rete degli studenti è arrivata la richiesta di un fondo perequativo per il 5xmille, di un maggior protagonismo degli studenti e di adeguati finanziamenti per il diritto allo studio.

I genitori temono blocco scrutini. Nel pomeriggio, decisamente più sereno l’incontro con le associazioni dei genitori che, spiega il ministro Giannini, anche se “hanno espresso opinioni e sensibilità diverse sui singoli punti”, “hanno riconosciuto lo sforzo del governo di voler portare la scuola dal secolo scorso a questo secolo”. “La valutazione dei docenti è il tema che sta a cuore ai genitori”, ha sottolineato Giannini, anche se poi le associazioni hanno chiarito che “non compete a noi la valutazione dei docenti, deve essere oggetto di materia contrattuale”. Tra le preoccupazioni principali al momento dei genitori, che si augurano che la controversia con i sindacati si ricomponga, c’è il paventato blocco degli scrutini. “Confidiamo che le famiglie siano veramente nella scuola a pieno titolo, perché la scuola non è dei sindacati, ma prima di tutto degli studenti e dei genitori. Per questo motivo siamo contrari al blocco degli scrutini, perché è una forma di protesta contro gli alunni” dichiara Fabrizio Azzolini, presidente dell’Age (Associazione italiana genitori) a margine dell’incontro a Palazzo Chigi.

Furlan non condivide blocco scrutini. L’ipotesi del blocco, paventata ieri da Susanna Camusso e dai Cobas dopo il confronto tra sindacati e governo, non piace ad Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl: “Creerebbe dei disagi a famiglie e ragazzi e spero che prima di allora si trovino le soluzioni”. Riguardo al boicottaggio dei test Invalsi, definito ‘indecente’ dal sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone, Furlan ha commentato: “Il sottosegretario Faraone fa dichiarazioni senza senso, mi spiace usare questi termini, ma è esattamente così”.

Le critiche di Sel al ddl. Per Nichi Vendola il ddl scuola “è un capolavoro del renzismo” e ripropone il “solito vizietto di Renzi, l’idea di autoritarismo della scuola”. Su tutto l’eccessivo potere dei presidi che per Vendola “profuma di corruzione e prospetta una ipoteca della libertà” e la possibilità di “ricattare gli insegnanti”. Il leader di Se ha proposto di “usare ogni mezzo” per “boicottare” la riforma che “ferisce” la scuola pubblica

Il premier tira dritto e avverte i dissidenti “Fiducia al Senato, non ci fermeranno”

da la Repubblica

Il premier tira dritto e avverte i dissidenti “Fiducia al Senato, non ci fermeranno”

L’obiettivo è approvare la legge entro metà giugno per evitare il decreto sui precari. “Ma il dialogo non è chiuso”

Francesco Bey
Come, è forse più del Jobs Act, la “Buona Scuola” è la bandiera che Matteo Renzi ha issato sul pennone di palazzo Chigi. E il muro alzato ieri dai sindacati, nonostante la «riapertura della sala verde», provocato una reazione speculare nel premier. «Minacciare il blocco degli scrutini e boicottare i test Invalsi è inaccettabile, a che punto sono arrivati! Qualsiasi modifica accettassimo — confida ai suoi — ormai sarebbe giudicata insufficiente, tanto vale andare avanti».
Convinto di aver dato prova di buona volontà, con il giro di consultazioni affidato a Orfini e Guerini, e che la mobilitazione della scuola — cavalcata da M5S, da Sel e da una parte di irriducibili della sinistra Pd — sia diventata per la Cgil e i Cobas l’ennesimo terreno di scontro politico con il governo, Renzi ha impartito l’ordine di procedere nei tempi e nei modi già concordati. Con l’obiettivo di arrivare alla terza e ultima lettura della Camera prima del 15 giugno, in modo da poter procedere alle assunzioni dei precari senza decreto e averli in cattedra per la riapertura dell’anno scolastico. L’incontro di ieri tra i ministri Giannini, Boschi, Madia, Delrio e i sindacati — disertato volutamente dal premier — non sarà comunque l’ultima occasione di confronto. Al Senato infatti il presidente della commissione Istruzione, il renzianissimo Andrea Marcucci, ha già previsto audizioni per i confederali. Senza tuttavia farsi illusioni su un ammorbidimento dell’ostilità manifestata finora.
E dunque, ecco la novità figlia del muro contro muro, a palazzo Madama è ormai certo che il governo metterà la fiducia. Non a Montecitorio, dove i numeri e il contingentamento dei tempi assicurano un passaggio indolore, ma al Senato la forzatura è giudicata da Renzi «necessaria». «Ci prenderemo la nostra responsabilità, come sull’Italicum, condurremo in porto la riforma mettendoci la faccia». La scelta di mettere la fiducia è frutto anche dei rapporti di forza a palazzo Madama, dove oltre venti democratici hanno già deciso di dare filo da torcere al governo. La minoranza di bersaniani e civatiani — alcuni dei quali scesi in piazza insieme ai sindacati nello sciopero del 5 maggio, gli stessi che non votarono l’Italicum — farà di tutto per bloccare l’iter del provvedimento e modificarlo secondo le indicazioni del mondo della scuola. «Sull’Italicum — spiega uno di loro — siamo rimasti isolati nel paese, ma sulla scuola tutto il popolo della sinistra è con noi». L’idea è quella di cavalcare l’onda della mobilitazione degli insegnanti per riconnettersi con un mondo che è sempre stato orientato verso il Pd. Un’altra carta pesante che gioca a favore della minoranza anti-renzi è nascosta nei numeri della commissione Istruzione. Dove la maggioranza si regge su un solo voto di differenza, ma la rappresentanza del Pd vede due senatori agguerriti come Corradino Mineo e Walter Tocci, entrambi vicini al fuoriuscito Civati. Certo, Renzi potrebbe chiedere al capogruppo Zanda che i due vengano sostituiti d’ufficio. Come accaduto alla Camera ai dieci ribelli dell’Italicum. Eppure, per il momento, ogni decisione è sospesa. Anzi, l’orientamento è quello di evitare prove di forza inutili e tenerle da parte solo come extrema ratio. «Il metodo giusto è il confronto», dichiara ecumenico Marcucci. Tanto più che qualche ulteriore limatura del testo ci sarà anche al Senato per venire incontro ai sindacati. Nulla di sostanziale, ma la delega, nel passaggio in commissione, «non sarà blindata ». La fiducia verrà posta invece in aula, per consentire un’approvazione sprint e il ritorno del ddl a Montecitorio per l’ultima lettura, quella definitiva.
Ma intanto c’è da gestire la nuova offensiva mediatica lanciata dai sindacati e dagli studenti, oltretutto a due settimane dalle elezioni. «Siamo dispiaciuti — commenta il sottosegretario Davide Faraone — per la mancata volontà di dialogo e per l’atteggiamento preconcetto che abbiamo visto». Secondo il governo, come spiega un ministro che ha partecipato al vertice in sala verde, «la questione non riguarda né i precari, né i poteri del preside. La verità è che ai sindacati interessa solo il contratto e non gli va giù che questa pioggia di soldi — 580 milioni all’anno — che diamo direttamente agli insegnanti, non passi attraverso la loro mediazione ». Tra gli euro che verranno caricati sulla “card” di ogni professoressa o maestra per l’aggiornamento culturale (500 all’anno) e quelli che saranno distribuiti in base al merito, «ci saranno 45 euro netti al mese in più in busta paga». Questo è il messaggio che Renzi intende far passare in questo mese. Sperando anche che alcune mosse degli “avversari”, come il blocco degli scrutini e la diserzione dai test Invalsi, non contribuiscano a suscitare simpatie tra i cittadini e le famiglie. «In questo modo, se vanno avanti a farsi guidare dalla parte più oltranzista di Cgil, Snals e Cobas — osserva un renziano coinvolto nella trattativa — si metteranno contro tutto il Paese». In ogni caso il premier ha già deciso. La riforma, come l’Italicum, sarà approvata nei tempi previsti. Anche perché è uno dei test per provare a Bruxelles che l’Italia fa sul serio.

Renzi: è falso dire che i presidi chiameranno i prof. Ci dica allora a che servono gli albi

da La Tecnica della Scuola

Renzi: è falso dire che i presidi chiameranno i prof. Ci dica allora a che servono gli albi

Il premier nel video del 13 maggio: non è vero che “il preside assume l’amico dell’amico”. Ma il testo del ddl su cui tra una settimana si esprimerà la Camera lo smentisce: si parla di istituzione di albi territoriali e di “conferimento degli incarichi con modalità che valorizzino il curriculum, le esperienze e le competenze professionali, anche attraverso lo svolgimento di colloqui”. Se non è la chiamata diretta, poco ci manca. Inoltre, il presidente del Consiglio nega che i precari verranno licenziati dopo 36 mesi: eppure l’art. 12 dice proprio questo.

Nel corso del video-messaggio pubblicato il 13 maggio sulla scuola, il premier Renzi dice che non è vero che i presidi avranno la facoltà di chiamare i docenti, che potranno “assumere l’amico dell’amico”, svincolandosi quindi dall’obbligo di utilizzare le graduatorie.

Scorrendo il nuovo testo del ddl di riforma, però, quelle con non sembrano corrispondere al vero appaiono proprio le parole del presidente del Consiglio. Perché all’articolo 2 del testo si legge che “i dirigenti scolastici, con riferimento al piano triennale dell’offerta formativa ai sensi del comma 6, individuano il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia, con le modalità di cui all’articolo 7”.

Non solo: proprio all’art. 7 troviamo scritto che “il dirigente scolastico può utilizzare il personale docente in classi di concorso diverse da quelle per le quali è abilitato, purché possegga titoli di studio, validi per l’insegnamento della disciplina, percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire”. E, come se non bastasse, che “il conferimento degli incarichi” avviene “con modalità che valorizzino il curriculum, le esperienze e le competenze professionali, anche attraverso lo svolgimento di colloqui”. Ora, a noi e a chi contesta questo passaggio della riforma, appare inequivocabile che se non stiamo parlando della chiamata diretta poco ci manca.

Ma il premier ha anche detto che è falso dire che con il ddl Buona Scuola i supplenti non potranno più lavorare oltre 36 mesi. Però all’articolo 12, l’unica modifica adottata dai parlamentari della commissione Cultura della Camera è stata quella di posticipare l’avvio del conteggio del triennio massimo di supplenze a quando verrà pubblicato il ddl di riforma. Quindi, presumibilmente, riforma da approvare permettendo, il conto alla rovescia potrà iniziare dal prossimo mese di settembre. E per chi potrà contare sulle supplenze annuali, si esaurirà nel 2018.

Il nuovo articolo 12, comma 1, del resto parla chiaro “I contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi”.

Ai lavoratori della scuola, anche questo testo non ha necessità di essere interpretato: tanto che nessuno ha messo in dubbio, sinora, le conseguenze di queste nuove norme. Ma Renzi dice che non è così: che si tratta di falsità. Forse, il premier farebbe bene a preparare un quarto video: quello attraverso il quale, magari accanto ad un tecnico del Miur che ‘mastica’ di scuola, ci farà finalmente sapere che quanto hanno interpretato centinaia di migliaia di persone dalla lettura del ddl è clamorosamente sbagliato.

Ddl Scuola, il voto finale alla Camera mercoledì 20 maggio. Il calendario dei lavori

da La Tecnica della Scuola

Ddl Scuola, il voto finale alla Camera mercoledì 20 maggio. Il calendario dei lavori

Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Diretta televisiva per le dichiarazioni di voto

Slitta a mercoledì 20 maggio, in aula alla Camera, il voto finale al ddl di riforma della scuola, previsto inizialmente per il 19 maggio. Questo è stato deciso dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio.

 

Il calendario dei lavori

Già in serata l’aula di Montecitorio è chiamata a votare le pregiudiziali di costituzionalità al ddl scuola, mentre la discussione generale inizierà giovedì, quando inoltre sarò incardinato anche il ddl anticorruzione, che la capigruppo ha stabilito dovrà essere approvato entro venerdì 22 maggio.

Mercoledì 20 le dichiarazioni di voto al provvedimento sulla scuola inizieranno alle 11.30, mentre è previsto per le 13 il voto finale. I lavori d’Aula saranno poi sospesi a partire da sabato 23 per la campagna elettorale e riprenderanno dopo le elezioni amministrative.

 

È il terzo video di Renzi sulla scuola in 9 mesi, ma i consensi sono in picchiata

da La Tecnica della Scuola

È il terzo video di Renzi sulla scuola in 9 mesi, ma i consensi sono in picchiata

Il primo messaggio del premier fu registrato ad inizio settembre per presentare la versione originale della riforma; poi, a marzo, il lungo intervento a Roma in occasione della giornata dedicata dal Pd al ddl; ora il tentativo di calmare la piazza e un corpo docenti sempre più compatto nel respingere quella che doveva essere ‘La Buona Scuola’.

È la terza volta che il premier Matteo Renzi parla di scuola rivolgendosi ai cittadini. La prima volta è stata lo scorso 3 settembre, quando presentò la prima versione della Buona Scuola: quella, per intenderci, che prevedeva 150mila assunzioni, l’assegnazione degli incentivi stipendiali al 66% del personale docente più meritevole in ogni istituto e la fine della ‘supplentite’.

Poi arrivò la consultazione on line, che bocciò diverse parti di quel progetto. E anche il rimpasto di sottosegretari, che portò all’Istruzione, in autunno, il sottosegretario Davide Renzi: l’artefice dei cambiamenti che hanno portato alla produzione di un testo in Consiglio dei ministri, a marzo, decisamente diverso dal primo.

In quegli stessi giorni il Partito Democratico dedicò una domenica mattina, a Roma, proprio per parlare delle novità introdotte: nell’occasione fu sempre Renzi a spiegare le modifiche, centrando il suo intervento sulla necessità di valorizzare la professione del docente e del fornire alle scuole una maggiore autonomia.

L’ultima uscita del presidente del Consiglio sullo stesso tema, che vorrebbe i docenti presi finalmente “dal fuoco sacro dell’insegnamento” piuttosto che da altre questioni, è arrivata il 13 maggio. Al culmine di una protesta generalizzata, capitanata da sindacati e associazioni, che hanno prodotto il più grande sciopero della scuola, quello del 5 maggio scorso, e la concreta possibilità che possano essere bloccati gli scrutini.

Per calmare la piazza, per ritrovare il dialogo, Renzi punta su cinque punti: l’alternanza scuola lavoro per combattere la disoccupazione; la cultura umanista – con l’investimento nelle materie classiche, nella scienza e nella matematica; nel dare più soldi agli insegnanti, con 200milioni di euro ai più meritevoli 500 euro in più all’anno che vengono dati ad ogni insegnante della sucola pubblica, l’autonomia scolastica e l’abbattimento del precariato. Negando che “il preside assume l’amico dell’amico”, e che i precari verrebbero licenziati i precari dopo 36 mesi di servizio: sono falsità, sottilinea il premier.

Infine, l’annuncio della circolare che porterà 4 miliardi all’edilizia scolastica. “Possiamo discutere serenamente sulla scuola?”, si chiede Renzi. Forse, così, l’Italia tornerebbe “a crescere” cambiando “il Paese” e “facciamolo su cose concrete, non sugli slogan ideologici”.

Il premier ce l’ha messa tutta. Ora sta ai cittadini, ai docenti, alle parti sociali, dire se è servito. Se hanno cambiato idea. Oppure se continueranno a protestare per chiedere l’annullamento di quella riforma che Renzi 15 mesi fa aveva messo al primo posto dell’agenda di Governo.

Videomessaggio di Renzi: convincente o irritante?

da La Tecnica della Scuola

Videomessaggio di Renzi: convincente o irritante?

Il videomessaggio può aver colpito tanti che non conoscono in modo analitico i problemi del sistema scolastico: parlare di 4 miliardi stanziati per l’edilizia scolastica e di 100mila assunzioni fa certamente colpo; ma chi conosce i problemi dall’interno sa bene che le questioni sono molto più complesse.

Decifrare il vero significato (e le possibili conseguenze) del video-messaggio di Renzi non è propriamente facile.
Intanto bisognerebbe capire a chi intende rivolgersi il premier.
Certamente non si rivolge solo ai docenti  che sono ormai talmente esasperati che difficilmente si accontenteranno della card-school da 500 euro spendibili per libri, musei e spettacoli teatrali.
E neppure si rivolge ai sindacati che proprio nelle ultime ore hanno iniziato addirittura a parlare di blocco degli scrutini e non sembrano molto disponbili a farsi “intenerire” dal gessetti e dalla lavagna di Renzi (“Il video non convince” ha già dichiarato Di Meglio della Fgu-Gilda).
Il discorso del Presidente del Consiglio sembra piuttosto indirizzato al cittadino comune che, non conoscendo tutti la complessità dei problemi del nostro sistema scolastico, può rimanere colpito dai dati sciorinati dal Presidente.
D’altronde chi sente parlare di 4 miliardi stanziati per l’edilizia scolastica cosa dovrebbe mai dire se non “ottima cosa, era ora”?  Peccato che pochi sanno che a tutt’oggi non sono ancora stati spesi completamente neppure i 150milioni di euro previsti dal “decreto Carrozza” del settembre 2013, a causa delle solite lungaggini burocratiche tipiche del nostro Paese (e allora, quanti anni ci vorranno per spendere una cifra  25 volte superiore?).
Riprendendo una frase pronunciata da Renzi nel corso del videomessaggio (“dobbiamo tornare ad essere un super-potenza culturale”) i parlamentari del M5S sottolineano che “per essere una super potenza culturale serve prima di tutto una cosa: investimenti mentre il nostro è nettamente al di sotto della media europea per la percentuale di Pil destinata all’istruzione (3,7% contro più del 5%), e il Governo, nel Def, per il prossimo quinquennio prevede di ridurre ulteriormente questa quota”.
Renzi ha ricordato anche il piano delle assunzioni dimenticando anche in questo caso qualche piccolo particolare, per esempio non ha detto che i docenti che entreranno in ruolo a partire da settembre avranno un contratto economico molto più svantaggioso rispetto a quello dei docenti già in servizio e saranno titolari non più in una scuola bensì su una rete di scuole (forse alle famiglie bisognerebbe anche far presente che in tal modo la continuità didattica sarà meno garantita rispetto ad oggi).
Insomma, a noi pare che il Presidente del Consiglio abbia parlato ai cittadini (alle famiglie che hanno figli a scuola, in particolare) nel tentativo di suscitare l’idea che i docenti stanno sbagliando ad opporsi al disegno di legge pensato per migliorare la scuola.
Valutare tutte le possibili conseguenze del video-messaggio è difficile, ma – se dobbiamo giudicare dalle prime reazioni che stanno circolando in rete – abbiamo l’impressione che – per chi sta nel mondo della scuola – il discorso sia risultato più irritante che convincente.

E dopo il videomessaggio, arrivò la lettera…

da La Tecnica della Scuola

E dopo il videomessaggio, arrivò la lettera…

Renzi invia agli insegnanti italiani la famosa lettera promessa il 20 aprile con le “spiegazioni” del suo progetto di riforma della scuola. Per il momento è stata diffusa solo dall’Ansa. Attendiamo di capire come verrà recapitata ai docenti.

QUESTO IL TESTO DELLA LETTERA

Gentilissime e gentilissimi insegnanti,

oggi per la prima volta dopo undici trimestri il PIL italiano torna a crescere. È un risultato di cui dovremmo essere felici, dopo anni di recessione. Ma personalmente credo non basti questo dato: l’unica strada per riportare l’Italia a crescere è investire sulla scuola, sulla cultura, sull’educazione. Non ci basta una percentuale del PIL, ci serve restituire prestigio e rispetto alla scuola.

Stiamo provando a farlo ma purtroppo le polemiche, le tensioni, gli scontri verbali sembrano più forti del merito delle cose che proponiamo di cambiare. Utilizzo questa email allora per arrivare a ciascuno di voi e rendere ragione della nostra speranza: vogliamo restituire centralità all’educazione e prestigio sociale all’educatore. Vogliamo che il posto dove studiano i nostri figli sia quello trattato con più cura da chi governa. Vogliamo smetterla con i tagli per investire più risorse sulla scuola. In una parola, vogliamo cambiare rispetto a quanto avvenuto fino ad oggi. Dopo anni di tagli si mettono più soldi sulla scuola pubblica italiana.

L’Italia non sarà mai una superpotenza demografica o militare. Ma è già una potenza superculturale. Che può e deve fare sempre meglio. Per questo stiamo lavorando sulla cultura, sulla Rai, sul sistema universitario e della ricerca, sull’innovazione tecnologica. Ma la scuola è il punto di partenza di tutto. Ecco perché crediamo nel disegno di legge che abbiamo presentato e vogliamo discuterne il merito con ognuno di voi.

Intendiamoci. Non pensiamo di avere la verità in tasca e questa proposta non è “prendere o lasciare”. Siamo pronti a confrontarci. La Buona Scuola non la inventa il Governo: la buona scuola c’è già. Siete voi. O meglio: siete molti tra voi, non tutti voi. Il nostro compito non è fare l’ennesima riforma, ma metterci più soldi, spenderli meglio e garantire la qualità educativa.

Per questo con il progetto La Buona Scuola:

 

I. Assumiamo oltre centomila precari. Ovviamente chi non rientra nell’elenco si lamenta, quelli del TFA non condividono l’inclusione degli idonei del 2012, quelli della GAE chiedono di capire i tempi, quelli del PAS fanno sentire la propria voce. Tutto legittimo e comprensibile. Ma dopo anni di precariato, questa è la più grande assunzione mai fatta da un Governo della Repubblica. E non è vero che ce l’ha imposta la Corte di Giustizia: basta  leggere quella sentenza per capire che la Corte non ci ha certo imposto questo.

 

II. Bandiamo un concorso per altri 60 mila posti il prossimo anno. Messa la parola fine alle graduatorie a esaurimento si entra nella scuola per concorso. Ma i concorsi vanno fatti, non solo promessi. Altrimenti si riparte da capo.

 

III. Mettiamo circa quattro miliardi sull’edilizia scolastica. Ancora non sono sufficienti a fare tutto, ma sono un bel passo in avanti, grazie anche all’operazione Mutui BEI che vale circa 940 milioni di euro. Costruire una Buona Scuola passa anche dai controsoffitti e dagli infissi, non solo dalle previsioni normative. É il più grande investimento in edilizia scolastica mai fatto da un Governo della Repubblica.

 

IV. Diamo più soldi agli insegnanti. Ci sono 40 milioni di euro per la vostra formazione. A questi si devono aggiungere 500 euro netti a testa per la Carta del Professore: musica, libri, teatro, corsi per pagare ciò che ritenete utile per aiutarvi nella vostra crescita culturale. E ci sono 200 milioni di euro per il merito. Possiamo discutere sui criteri con cui applicare il merito, ma questi soldi non possono essere dati in parti uguali a tutti.

 

V. Attuiamo l’autonomia. Dopo anni di ritardi completiamo il disegno dell’autonomia attribuendo libertà educativa e progettuale alle singole scuole e impedendo alle circolari ministeriali di governare in modo centralistico gli istituti. Si rafforzano responsabilità (e conseguenti valutazioni) del dirigente scolastico che non è certo uno sceriffo ma un primus inter pares dentro la comunità educativa.

 

VI. Realizziamo la vera alternanza scuola-lavoro. Abbiamo il 44% di disoccupazione giovanile e un preoccupante tasso di dispersione scolastica. Segno evidente che le cose non funzionano. Replichiamo le esperienze di quei Paesi come Germania, Austria e Svizzera che già sono presenti sul territorio nazionale in Alto Adige con il sistema duale, puntando a un maggior coinvolgimento dei ragazzi nelle aziende e ad un rafforzamento delle loro competenze.

 

VII. Educhiamo cittadini, non solo lavoratori. L’emergenza disoccupazione giovanile va combattuta. Ma compito della Buon Scuola non è solo formare lavoratori: è innanzitutto educare cittadini consapevoli. Per questo  reintroduciamo spazio per la musica, la storia, l’arte, lo sport. E valorizziamo la formazione umanista e scientifica.

 

VIII. Affidiamo a deleghe legislative settori chiave. Ci sono temi su cui da decenni si aspetta un provvedimento organico e che finalmente stanno nelle deleghe previste dal testo. In particolar modo un maggiore investimento sulla scuola 0-6 e gli asili nido, sulla semplificazione normativa, sul diritto allo studio, sulla formazione iniziale e l’accesso al ruolo degli insegnanti.

 

Ho letto tante email, appassionate, deluse, propositive, critiche. Mi hanno aiutato a riflettere, vi sono grato. Leggerò le Vostre risposte se avrete tempo e voglia di confrontarvi. Da subito posso fare chiarezza su alcune voci false circolate in queste settimane:

 

– Le aziende non hanno alcun ruolo nei consigli di Istituto;

– I giorni di vacanza non si toccano:

– Nessuno può essere licenziato dopo tre anni;

– Il preside non può chiamare la sua amica/amico, ma sceglie tra vincitori di concorso, in un ambito territoriale ristretto.

 

C’è un Paese, l’Italia, che sta ripartendo. Con tutti i nostri limiti abbiamo l’occasione di costruire un futuro di opportunità per i nostri figli. Sciuparla sarebbe un errore. Conosco per esperienza di padre, di marito, di studente l’orgoglio che vi anima, la tenacia che vi sorregge, la professionalità che vi caratterizza. Mentre scrivo sul computer scorrono nella mente i volti e i nomi dei professori che mi hanno accompagnato come credo accada spesso a ciascuno di voi: le storie di chi all’elementare Rodari, alla media Papini, al Liceo Dante si è preso cura della formazione mia e dei miei compagni di classe. Un professore collabora alla creazione della libertà di una persona: è veramente una grande responsabilità. Vi chiedo di fare ancora di più: darci una mano a restituire speranza al nostro Paese, discutendo nel merito del futuro della nostra scuola. Il nostro progetto non è “prendere o lasciare” e siamo pronti a discutere. Ma facciamolo nel merito, senza la paura di cambiare. L’Italia è più forte anche delle nostre paure.

Aspetto le Vostre considerazioni.

Intanto, buon lavoro in queste settimane conclusive dell’anno scolastico.

Molto cordialmente,

 

Matteo Renzi

matteo@governo.it

Giannini: “Inaccettabile il blocco degli scrutini”

da La Tecnica della Scuola

Giannini: “Inaccettabile il blocco degli scrutini”

Il titolare del dicastero di Viale Trastevere, dopo l’incontro con gli studenti: “E’ inaccettabile il blocco degli scrutini, la protesta se si fa, si faccia con altri strumenti, non con quelli che condizionano un momento cruciale del percorso scolastico, per la scuola e per gli studenti”.

Per il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini il blocco degli scrutini ventilato dai sindacati “è inaccettabile”. Giannini al termine dell’incontro con gli studenti a Palazzo Chigi sul ddl di riforma della scuola è tornata sugli esiti dell’incontro con i sindacati e ha sottolineato: “E’ inaccettabile il blocco degli scrutini, la protesta se si fa, si faccia con altri strumenti, non con quelli che condizionano un momento cruciale del percorso scolastico, per la scuola e per gli studenti”.

Per quanto riguarda il blocco delle prove Invalsi, il ministro ha osservato “ho trovato inaccettabile che si strumentalizzasse uno strumento di valutazione che certamente non e’ l’unico né esclusivo, e certamente non perfetto, ma che costituisce la possibilita’ di avere una radiografia dei livelli di competenza della scuola. E’ una speculazione sul futuro dei ragazzi”.

Penso anche che il tema della scuola sia talmente importante, talmente sensibile che il governo l’ha volutamente affrontato come ‘il tema centrale’ dell’agenda di governo – ha sottolineato Giannini, aggiungendo – ora però si tratta di arrivare al merito della questione, quello che stiamo facendo valutazione lo abbiamo fatto anche questa mattina: valutazione sì, valutazione no, formazione degli insegnanti come strumento affinché la scuola migliori e non come accessorio facoltativo e potrei continuare… Questi sono i punti che abbiamo messo sul tavolo e che rientrano nella dialettica”

Ma se Mattarella firma la legge, si apre la procedura per “attentato alla Costituzione”?

da La Tecnica della Scuola

Ma se Mattarella firma la legge, si apre la procedura per “attentato alla Costituzione”?

La Commissione Affari Costituzionali ha dato il via libera al ddl.
Ma se il Presidente firmerà la legge, chi è davvero convinto della incostituzionalità del provvedimento chiederà per Mattarella l’apertura del procedimento previsto dall’articolo 90 della Carta (messa in stato di accusa per attentato alla Costituzione)?

La battaglia – perchè di questo ormai si tratta – sul ddl scuola procede senza esclusione di colpi e al momento è davvero difficile capire come si potrà concludere.
Dopo il fallimento dell’incontro di ieri fra Governo e sindacati e dopo le proposte alternative lanciate dai sindacati e dalle associazioni di “La Scuola che cambia” (ne fanno parte anche Cgil, Cisl e Uil) adesso si aspetta la giornata di giovedì 14 quando la relatrice Maria Coscia dovrà presentare il provvedimento in aula.
Per intanto va segnalato che nella giornata di martedì 12 la Commissione Affari Costituzionali non evidenziato particolari vizi di legittimità ma si è limitata a fornire qualche “suggerimento”: coinvolgere maggiormente le Regioni su alcune procedure, precisare meglio criteri e linee direttive di due deleghe contenute nell’articolo 21 (ma nel frattempo una delle due è stata cancellata dalla Commissione Cultura), acquisire il parere del Garante per la Privacy in materia di scuola digitale.
La decisione della Commissione mette ora in difficoltà quanti, nelle ultime settimane, hanno puntato molto sul tema della incostituzionalità del provvedimento (come si ricorderà era intervenuto sulla questione persino Ferdinando Imposimato).
E, sempre basandosi sulla ipotesi di incostituzionalità (ne ha parlato lo stesso Mimmo Pantaleo, segretario nazionale della Flc-Cgil), diversi gruppi e movimenti hanno anche scritto al presidente Mattarella chiedendogli esplicitamente di non firmare la legge quando gli verrà trasmessa dal Parlamento. Ma cosa succederà se il presidente, come peraltro a questo punto è molto probabile, firmerà la legge e ne autorizzerà la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale?
Se gruppi, movimenti e sindacati che parlano di incostituzionalità volessero essere conseguenti e coerenti dovrebbero chiedere che in Parlamento si aprà la procedura prevista dall’art. 90 della Costituzione secondo il quale il Presidente della Reppublica può essere posto in stato di accusa dal Parlamento per attentato alla Costituzione. Ma si tratta, ovviamente, di una ipotesi di fantapolitica.

Che ve ne sembra della valutazione?

Che ve ne sembra della valutazione?
Un ispettore dice la sua.

di Mavina Pietraforte

 

Un prisma risplendente con tante facce, così si può immaginare la valutazione.

La valutazione interna, esterna, di sistema o accountability, quella dei docenti e quella dei dirigenti scolastici.

E allora, forse vale la pena di provare a guardare le tante facce del prisma valutazione e soprattutto di scorgerne i bagliori comuni.

 

La valutazione è interna ed esterna

Interna, degli apprendimenti, che spetta ai docenti , insieme alla certificazione   delle competenze acquisite (art. 4 comma 4 del dpr 275/99; art. 3 comma 1 punto a L. 53/03), e al consiglio di classe, come ricorda il dpr 122/09, art. 4 primo comma.

Esterna, dei livelli di apprendimento, da parte dell’INVALSI, il cui compito è quello di “effettuare verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti” in tutte le scuole del Paese al fine di identificare a livello centrale standard di apprendimento relativi agli obiettivi nazionali.

Se  Le tendenze nazionali ed internazionali sono sempre più protese verso forme di valutazione esterna (INVALSI) e verso indagini comparative (OCSE-PISA, IEA-PIRLS, TIMSS), molto c’è ancora da riflettere per capire come accomunare tale valutazione esterna, che misura i livelli di conoscenze e abilità disciplinari, con quella interna degli apprendimenti.

Sì, perché la misurazione degli apprendimenti è un dato primario per la valutazione esterna, ma secondario e strumentale per le scuole. Secondario in quanto segue alla valutazione interna, ma strumentale perché è proprio dagli esiti delle prove standardizzate che si possono mettere a punto strategie di miglioramento della didattica per lo sviluppo degli apprendimenti.

Per migliorare la qualità delle conoscenze e delle abilità disciplinari funzionali allo sviluppo di competenze personali degli alunni.

Dunque, valutazione interna ed esterna sono aspetti della valutazione tra loro interconnessi; due facce speculari.

Questo il fil rouge tra valutazione interna ed esterna che porta dritto alla valutazione di sistema, o accountability.

 

Valutazione di sistema o accountability

La rendicontazione, o in altri termini la c.d. accountability, ovvero l’esigenza per le scuole di render conto dei risultati ottenuti in termini di apprendimento degli studenti di fronte alla comunità sociale e al committente pubblico, cioè al Ministero della pubblica istruzione, è conseguenza diretta della valutazione esterna.

Ma la valutazione esterna porta alla ponderazione delle strategie didattiche e agli obiettivi di miglioramento correlati, e dunque per questa via si arriva alle altre facce del “prisma valutazione”, quelle inerenti alla valutazione dei docenti e del dirigente scolastico.

Sì, perché il nodo cruciale a questo punto diventa la qualità degli insegnamenti e della leadership esercita dal dirigente scolastico, a capo di una organizzazione complessa che ha vita propria ma che deve essere ben orchestrata per diventare un coro armonioso.

Una valutazione di sistema dunque che non può essere solo esterna, ma anche e prioritariamente una autovalutazione o a autoanalisi di istituto.

Le facce ancora da guardare sono quindi quelle dell’autovalutazione e della valutazione del personale della scuola, docenti e dirigenti.

Per quanto riguarda la prima, passi avanti sono stati fatti proprio con la nascita del SNV (Sistema Nazionale di valutazione del sistema educativo), avente i seguenti obiettivi: “valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema educativo di istruzione e formazione” (art. 2 dpr 80/13).

 

Il SNV

Con il dpr 80/13, il regolamento sulla valutazione, sono stati individuati i soggetti , l’INVALSI, l’INDIRE, il contingente ispettivo del SNV, il cui coordinamento è stato affidato all’INVALSI .

Non a caso, il primo architrave di  questo sistema, è stato quello di fornire alle scuole un apposito strumento di autovalutazione. A mente del dpr 80/13, l’INVALSI “mette a disposizione delle singole istituzioni scolastiche strumenti relativi al procedimento di valutazione”, che deve svilupparsi “in modo da valorizzare il ruolo delle scuole nel processo di autovalutazione”.

E’ nato così il format unico di rapporto di autovalutazione, il c.d. RAV, battezzato a Roma in pompa magna lo scorso novembre 2014 che, dopo opportune misure di accompagnamento, è nella disponibilità delle scuole in questi mesi, in un work in progress fino a luglio, quando tale rapporto sarà reso pubblico.

 

L’autovalutazione e il RAV

Il format unico Rav ricomprende in sé e sintetizza molte prospettive di diagnosi di autovalutazione, o di autoanalisi di istituto, per lo più  fondate su una matrice epistemologica di tipo psicosociale che assume la qualità come concetto plurale e il compito valutativo come confronto ed elaborazione delle diverse prospettive di qualità di un evento formativo. Inoltre, si ispira al precedente sistema messo a punto dall’Istituto di Frascati per valutare la qualità del servizio scolastico, il modello denominato C.I.P. (contesto-input-prodotti), concepito appositamente per guidare l’esame metodico di un sistema educativo calato nella realtà e non in situazioni sperimentali.

Il RAV infatti ha un notevole pregio, che è quello di privilegiare il miglioramento e a tale scopo parte da una preliminare valutazione degli input, delle risorse e dei processi attivati in un determinato contesto, nonché degli esiti degli studenti, sia quelli interni che quelli esterni risultanti dalle prove INVALSI.

 

Prima del Rav

Non sono mancate precedenti esperienze di autovalutazione, promosse a livello centrale, come il progetto qualità promosso dal Ministero della pubblica istruzione (Premio Nazionale Qualità e Merito) 2010/11, e il più recente VALES:

Anche a livello regionale si è sperimentato molto. Basti citare il modello CAF, o le sperimentazioni storiche come quelle della RETE STRESA (strumenti per l’efficacia della scuola e l’autovalutazione), cercando sempre di integrare la valutazione interna con quella esterna in una prospettiva di miglioramento.

 

Punti di forza e debolezza di questa prima fase di autovalutazione

 

Punti di forza

Con l’autovalutazione guidata dal RAV,  le istituzioni scolastiche autonome vengono riconosciute come un soggetto che definisce la propria identità formativa nella relazione dialettica che instaurano con due polarità: da una lato il sistema nazionale di valutazione, il quale definisce il quadro delle finalità formative, degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio entro cui declinare la propria identità peculiare; dall’altro la comunità locale, la quale rappresenta il contesto territoriale entro cui definire la specifica risposta alla domanda formativa – implicita o esplicita – posta al servizio scolastico.

Ogni Istituto è chiamato a far emergere e rafforzare la propria specifica identità formativa, come condizione per riconoscersi ed essere riconosciuti dai propri interlocutori e dal proprio territorio.

Una scuola senza identità, o con un’identità debole, è destinata a ridimensionare la propria immagine e le proprie potenzialità, sia in termini di capacità di attrazione dell’utenza, sia in rapporto alla costruzione di regole d’azione comuni e di processi condivisi tra gli operatori scolastici.

Il valore euristico dell’autovalutazione sta nel configurare il processo di creazione di senso come occasione di apprendimento collettivo, come processo strutturato di interazione dialettica tra esperienza e significato, tra informazione e schema cognitivo.

Tutte le considerazioni di cui sopra, fanno senz’altro emergere una positività dell’azione dell’Invalsi, quale fattore propulsivo all’interno del SNV, così come pure del ruolo culturale di aggiornamento e formazione tradizionalmente svolto dall’INDIRE.

 

Punti di debolezza

Poco chiaro appare invece il ruolo del “contingente ispettivo”, di cui non viene specificata la quantità, ma che risulta essere al massimo quello di coordinare i nuclei esterni di valutazione.

Pure se un dirigente tecnico (uno solo!) andrà a far parte della “Conferenza per il coordinamento funzionale del S.N.V.”, (art. 2, comma 5 del dpr 80/13), sostanzialmente il ruolo del contingente ispettivo appare essere esecutivo nella fase esterna della valutazione, ovvero quella di verifica, di situazioni non adeguate agli    “indicatori di efficienza ed efficacia” (art. 6 comma 2, lettera b) dpr 80/13), stabiliti preventivamente dall’INVALSI.

 

La valutazione di sistema o accountability e dunque la valutazione dei docenti

Gli ultimi due decenni sono stati caratterizzati sicuramente dalla richiesta di un aumento progressivo della valutazione dell’operato degli insegnanti, nell’ottica di responsabilizzazione dei risultati, ovvero degli esiti scolastici.

Un po’ di storia: il progetto Valorizza dell’allora Ministro Gelmini

Il   Ministero della pubblica istruzione nel lontano 2010 avviò una    valutazione sperimentale, su base volontaria, sia delle scuole, con  il progetto VSQ (valutazione per lo sviluppo della qualità delle scuole) che dei docenti, con il progetto Valorizza.

Il MIUR affidò all’Associazione TreeLLLe e alla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo il compito di redigere un Rapporto di ricerca sull’efficacia del metodo “Valorizza” che tenesse conto di tutte le critiche e i suggerimenti provenienti dalle scuole.

Il rapporto di ricerca venne presentato a Roma il 7 dicembre, alla presenza dell’allora Ministro Francesco Profumo, dell’OCSE e della Banca d’Italia).

La finalità del progetto Valorizza era quella di premiare gli insegnanti migliori con una mensilità di stipendio in più, sul presupposto di individuare gli insegnanti che godessero di buona reputazione professionale nella loro scuola.

Finalità a quanto pare condivisa anche nel disegno di legge sulla “buona scuola”, dove è previsto un riconoscimento monetario da assegnare per la valorizzazione del merito del personale docente.

 

La valutazione dei docenti nel DDL scuola

Il modello di valutazione dei docenti delineato nel DDL scuola, è invece quello di un Comitato di valutazione che individuati i criteri per la valutazione dei docenti, demanda l’ assegnazione del premio in denaro al dirigente scolastico.

Il Comitato di valutazione è ben noto ai docenti, essendo un organismo istituito dal T.U. Istruzione, il D.lgs 297/94.

Nel DDL scuola, in analogia a quanto già previsto dal T.U. Istruzione, all’art. 448, primo comma, è lo stesso docente che può chiedere la valutazione del proprio servizio.

Ma l’analogia finisce qui, perché mentre nel T.U. tale valutazione si configura come un riconoscimento che il docente chiede sul proprio operato, e che “non si conclude con un giudizio complessivo, né analitico, né sintetico e non è traducibile in punteggio”, ( comma 3 dell’art. 448), nel DDL tale valutazione è finalizzata ad introdurre riconoscimenti in denaro, come se la funzione docente che “è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla   elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”, secondo quanto recita l’art. 395 del T.U., fosse monetizzabile con un importo in più una tantum e non invece destinataria di una retribuzione che assicuri “un’esistenza libera e dignitosa”, come stabilito dall’art. 36 Cost.

Proseguendo in un breve confronto tra il DDL e il T.U., profondamente diversa sarà pure la composizione del Comitato di valutazione, in quanto il comma 3 bis dell’art. 11 del DDL scuola sostituisce integralmente la composizione di tal e Comitato come prefigurato dal T.U., dove la composizione privilegiava i docenti e la designazione degli stessi da parte del Collegio docenti, mentre nel DDL si prevede oltre ai docenti, anche la presenza dei genitori, anche quella dei rappresentati dei genitori e degli studenti, a somiglianza di quanto avviene in un organo partecipativo quale a d es., il Consiglio di Istituto, con la differenza che qui si tratta di un organo che dovrà giudicare, valutare e stabilire criteri per arrotondare lo stipendio dei prof.


Cosa fanno i nostri vicini in tema di accountability

Gettando uno sguardo all’Europa, sicuramente diversi paesi europei hanno implementato sistemi di incentivazione, guardando ai risultati, come in Germania, Francia e Inghilterra, Danimarca, o lasciando che sia il dirigente scolastico ad individuare i meritevoli accordando loro miglioramenti salariali come avviene in Finlandia, Olanda e Norvegia.

In Belgio la valutazione ha un carattere potenzialmente sanzionatorio in quanto può comportare il licenziamento dei docenti che non ottengano risultati soddisfacenti.

In Germania, in Francia e in Inghilterra i risultati nella valutazione sono legati anche alla possibilità di ottenere una promozione. In Inghilterra, in particolare i docenti sono valutati annualmente dal capo d’istituto con il supporto di un consulente esterno e da alcuni membri dello Governing Body, l’organo di gestione della scuola, sulla base di standard professionali che ne definiscono i compiti, le conoscenze e le competenze a ogni tappa della carriera.

Nei Paesi più simili al nostro per tradizioni culturali e amministrative, quali la Francia, la Germania, la Spagna, già funzionano da anni sistemi di valutazione basati su un corpo specialistico di ispettori, centralizzato – come nel caso della Francia – o decentralizzato – nel caso di Spagna e Germania. Si tratta di valutazione dell’insegnante individuale ed esterna.

Le modalità di valutazione prevedono ispezione individuale (osservazione diretta dell’attività didattica, colloqui individuali), il giudizio del capo di istituto, i risultati oggettivi degli apprendimenti. Gli ispettorati possono dipendere dalle autorità centrali, come in Francia, o essere sotto la tutela delle autorità regionali incaricate dell’istruzione, come in Germania e in Spagna.

Caso emblematico quello dell’Inghilterra, dove la scuola deve render conto sia al livello centrale attraverso l’ispezione dell’OFSTED (Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills ), sia alle autorità educative locali da cui dipende, sia alle famiglie poiché la libera scelta della scuola è accompagnata da un sistema molto avanzato di informazioni sulle performance delle scuole stesse con la messa online del rapporto dell’OFSTED e la pubblicazione dei risultati dei test degli alunni.

Come si vede, non si riscontra un modello omogeneo di valutazione dei docenti e neppure un modello prevalente, ma di sicuro in molti paesi la valutazione degli insegnanti viene effettuata attraverso una ispezione svolta da un corpo di specialisti esterni, come  garanzia di terzietà per i docenti, per gli alunni, per le famiglie, e per il dirigente scolastico.

 

Una idea alternativa

Ma, tornando alle facce della valutazione interna ed esterna, legate tra di loro da una valutazione di sistema attenta ai risultati delle prove standardizzate, come afferma l’esperto D.Nevo, occorre stare in guardia dal finalizzare l’accountability   alla volontà di governare le scuole mediante i test e di distribuire premi o punizioni a seconda dei risultati perché questo crea effetti distorsivi nelle scuole. Tra cui non solo il famoso “teaching to test”, ma anche una disaffezione e una estraneità del corpo docente ai test stessi, come è accaduto anche in Inghilterra, patria di un’“odissea senza significato”, come scrive M.Lawn nel bel libro “”Le scuole degli altri. Le riforme scolastiche nell’Europa che cambia”, a cura di F. Gobbo.

Inoltre i test non coprono tutti gli aspetti dell’azione delle scuole né quelli della preparazione e della persona di uno studente. Gli economisti sostengono che, per competere nel mercato globale, gli studenti hanno bisogno della matematica e delle scienze. Ma se si vuole che siano veramente preparati alle sfide del mercato globale, si deve valutare l’importanza della precisione, della tenacia, della motivazione.

E non c’è test che sia in grado di verificarle.

In alternativa, interessante appare l’idea dei professori Cecchi-Ichino, (Lineamenti di una proposta per la valutazione degli studenti nelle scuole, di D.Checchi, A.Ichino, G. Vittadini) di abbinare i risultati degli studenti nelle suddette prove ai dati socio-demografici, rilevabili dall’anagrafe nazionale degli studenti correlandolo così al singolo operatore della scuola la performance degli studenti e premiarlo conseguentemente .

 

La valutazione dei dirigenti scolastici

Anche la valutazione dei dirigenti scolastici ha avuti diversi prodromi, famoso il SI.VA.DI.S (sistema di valutazione di Dirigenti scolastici) che fu adottato in via sperimentale per l’a.s. 2003/04, volto a valorizzare, oltre ai risultati, anche la qualità dei programmi e dei processi di miglioramento avviati dal Dirigente scolastico nell’ambito delle sue responsabilità. Del SI.VA.DI.S si sono perse le tracce, inabissato come un fiume carsico. Ma la questione della valutazione del dirigente scolastico, o del “preside”, come si soleva chiamare, torna eccome.

Così appare alla ribalta nel DDL scuola, dove, all’art. 7 comma 8 bis, si prospetta un apposito Nucleo per la valutazione dei ds, composto sulla base dell’art. 25 comma 1 del D.lgs 165/01, ovvero “presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa.”

Alla dizione generica dell’art. 25 del D.lgs 165/01, che non specifica di quale dirigente possa trattarsi, né tantomeno chi sarebbero questi esperti, anche estranei all’amministrazione, lasciando nell’indeterminatezza la stessa qualifica di esperto che, in quanto estrano all’amministrazione, non si supporrebbe essere tale, il DDL rimedia con la specifica previsione che la valutazione del ds venga fatta da “dirigenti tecnici in servizio presso il Miur”, a cui “possono essere attribuiti incarichi temporanei”.

Quindi, da un lato si qualificano quali debbano essere i dirigenti e gli esperti, e con certezza si dice che sono i dirigenti tecnici (DT), ma quali? Quelli già in servizio presso il Miur, certo. Ce ne sono infatti provenienti dalle fila del concorso di più di venti anni, ancora in servizio, oppure vincitori del concorso del 2008, oltre a quanti già sul campo esercitavano funzioni ispettive con appositi incarichi temporanei. Sembrerebbe, dalla lettura della norma del DDL che si voglia incrementare il numero totale dei dirigenti tecnici reclutando in particolare questi ultimi, stabilizzandone il ruolo.

In successivi emendamenti al DDL, presentati in questi giorni alla Camera, si veda il sito http://www.camera.it/leg17/824?tipo=A&anno=2015&mese=05&giorno=09&view=filtered&commissione=07# , nelle more di un concorso da indirsi entro 3 anni dall’approvazione del DDL, per mettere in piedi il Nucleo per la valutazione dei dirigenti scolastici, si prospetta infatti la necessità di reclutare ipso facto tutti quei dirigenti scolastici e docenti finora investiti temporaneamente della funzione tecnica.

Ma, come è stato scritto anche da un ispettore di lungo corso, Gabriele Boselli, in un recente articolo su edscuola, Aprile 2015, https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=60591, Aggiornamenti sulla questione ispettiva, “si dovrebbe tornare a divenire ispettori o dirigenti amministrativi solo attraverso il superamento di pubblico e rigoroso concorso per esami e titoli. (…) La nomina a tempo (ex art.19) di un ispettore tecnico non giova alla Scuola e può generare discontinuità e conseguenze negative sulla funzione tecnica, sulla qualità del servizio, sul valore delle terzietà dell’in-spicere, sulla responsabilità dirigenziale a cui sono tenuti gli ispettori tecnici con qualifica dirigenziale (ex DPR n.748/72, novellato dal d.lg. n.80 del 1998)” .

Dunque, che venga prima e principalmente il concorso pubblico a rimpinguare le fila degli ispettori, senza attingere a sistemi di reclutamento che potrebbero avere un prevalente sapore di interesse individuale anziché di esigenza di sistema, peraltro ineludibile.

Laddove in un sistema di valutazione dalle molte facce, che necessita anche di ispettori, questi devono poter valutare quanto di loro competenza in completa libertà e indipendenza di giudizio. I valutatori,  come la moglie di Cesare, devono essere al di sopra di ogni sospetto.

Inoltre, a voler ben guardare, non occorre peraltro costituire un apposito pletorico   organismo con una logica verticistica e centralistica.

La leva per far funzionare un sistema che ha un assetto autonomistico dovrebbe essere la flessibilità.

 

Proposte

La valutazione, quella sui docenti e sui dirigenti scolastici dovrebbe essere affidata al corpo ispettivo non solo per la patologia, come già avviene per entrambi o, prefigurando un apposito organismo.

Il compito vero di esperti della scuola quali si ritiene che siano i Dirigenti Tecnici, in un sistema di valutazione “maturo” dovrebbe essere quello di supportare e affiancare le scuole, aiutandole e accompagnandole verso il miglioramento o segnalando le eccellenze, in coordinamento con i dirigenti scolastici, i docenti e gli stakeholder, in un’ottica di valutazione di “sistema”.

Tutto ciò potrebbe essere realizzato efficacemente con apposite task force costituite negli Ambiti Territoriali, che sono strutture sicuramente più vicine ai bisogni delle comunità locali, rispetto agli Uffici Scolastici Regionali, strutture verticistiche che si frappongono tra il Ministero e le istituzioni scolastiche autonome.

 

Conclusioni

Per finire, la valutazione ha molte facce, nessuna di esse trascurabile e ognuna con una sua specificità.

Semplificare con soluzioni tampone affidando la valutazione ora agli umori degli utenti, ora al rigore degli ispettori, potrebbe far perdere di vista l’unitarietà dell’intento valutativo che comunque dovrebbe essere ben chiara a livello amministrativo centrale, oltre che esplicitata dai decisori politici.

Il Ministero, come esecutivo e il legislatore, come fonte normativa, hanno come compito quello di fissare le norme generali sull’istruzione, ma è tempo ormai di arrivare alla determinazione dei livelli essenziali di prestazione (art. 117 Cost. , secondo comma, lettera m) di un diritto civile e sociale quale quello all’istruzione e alla formazione, prioritario diritto di cittadinanza.

Allora sì che sarebbe fatta salva l’autonomia scolastica, come vuole la Costituzione (ancora art. 117 Cost., terzo comma) e nel contempo garantiti gli standard uniformi di insegnamenti e apprendimenti sul territorio nazionale, monitorabili con le prove standardizzate.

Faraone: “I sindacati hanno perso il lume della ragione”. La risposta della Cisl

da La Tecnica della Scuola

Faraone: “I sindacati hanno perso il lume della ragione”. La risposta della Cisl

“I sindacati rischiano di passare dal consenso al dissenso. Hanno sbagliato a soffiare contro i test Invalsi, e con gli scrutini di fine anno ora non si scherza”, afferma il sottosegretario. Poi la risposta del segretario della Cisl, Furlan: “Dichiarazioni senza senso, mi dispiace usare questi termini”.

“I sindacati rischiano di passare dal consenso al dissenso. Hanno sbagliato a soffiare contro i test Invalsi, e con gli scrutini di fine anno ora non si scherza”. Così il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, commentando l’incontro di ieri tra governo e sindacati sul ddl di riforma della scuola, in un’intervista a Repubblica. “Non c’è un ragionamento sul merito”, rimarca: “I sindacati fanno falli di frustrazione. Scaricano sulla scuola la rabbia accumulata per tutti quei provvedimenti che non sono riusciti a bloccare. E’ un atteggiamento politico e non si fermano davanti a niente, compresa l’ipotesi di danneggiare ragazzi, famiglie, scuola pubblica. Hanno perso il lume della ragione: Luciano Lama non avrebbe mai minacciato gli scrutini.

Non è tardata ad arrivare la risposta dei sindacati: “E’ sempre positivo confrontarsi e dialogare” ma le dichiarazioni di questa mattina a Repubblica del sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, che ha accusato i sindacati di aver perso il lume della ragione, “sono onestamente senza senso, mi dispiace usare questi termini”, afferma il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, intervenendo a Mix 24 di Radio24. “Credo che l’incontro con il governo di ieri abbia fatto rilevare questioni nodali” ha aggiunto “quello che chiediamo lo chiediamo perche’ la buona scuola la vuole essenzialmente il Paese non solo chi ci lavora”. L’ipotesi del blocco degli scrutini, ha concluso, “non mi piace, creerebbe dei disagi alle famiglie e ai ragazzi e spero proprio che prima di allora si trovino soluzioni”.