Uscita autonoma: leggi reali e presunte e nuove soluzioni normative

Uscita autonoma: leggi reali e presunte e nuove soluzioni normative

di Cinzia Olivieri

 

Poiché sembra ormai che solo una soluzione normativa possa fornire idonea risposta all’uscita autonoma, mentre dilaga il panico e si vaga nel buio alla ricerca di rassicurazioni, giunge una nuova proposta legislativa.

Annuncia infatti l’on. Malpezzi, anche attraverso il profilo facebook, una proposta di legge (un articolo costituito da due comma) che riconosce la possibilità ai “genitori esercenti la responsabilità genitoriale e i tutori dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età, del grado di autonomia e dello specifico contesto, nell’ambito di un processo di autoresponsabilizzazione”, di autorizzarne l’uscita autonoma esonerando così la scuola dall’obbligo di vigilanza. L’autorizzazione del primo comma è dunque funzionale all’esonero di responsabilità per il personale scolastico previsto al secondo.

Essendoci ancora margini temporali per effettuare un aggiustamento, si evidenziano nella formulazione del testo alcuni aspetti da chiarire: perché si esclude una ipotesi di responsabilità per gli ultra quattordicenni (considerato che trattasi comunque di minori)? Da quale età minima può essere consentita l’autorizzazione? La valutazione è rimessa alla sola famiglia? E se vi sono situazioni di pericolo non considerate dalla famiglia? Fino a che punto si estende l’esonero di responsabilità del personale scolastico in relazione alle norme civili e penali vigenti?

Diventa necessario allora soffermarsi sulla tanto richiamata sentenza della Cassazione,Sezione I, del 30 marzo 1999, n. 3074, che legge non è (come anche la recente ordinanza della Cassazione – terza Sezione Civile – n. 21593/2017) ma costituisce un mero precedente autorevole relativo al caso concreto sottoposto all’esame del Giudicante.

Ebbene, il fatto storico riguarda uno studente minorenne (ma, attenzione, frequentante un istituto tecnico statale), lasciato uscire anticipatamente, cioè prima del previsto termine delle lezioni, con tutta la classe per l’assenza dell’insegnante dell’ultima ora, accoltellato durante il rientro da giovani rimasti ignoti.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 1992 (perciò oltre 20 anni fa…sebbene nel mentre non si è invocata così forte una norma che disciplini la questione) aveva condannato l’Istituto, decisione poi confermata dalla Corte d’Appello di Roma, sul presupposto che “grava sull’istituto scolastico il dovere di sorvegliare gli allievi minorenni per tutto il tempo in cui sono affidati e fino al subentro, almeno potenziale, della vigilanza dei genitori o di chi per loro”.

Si rilevava inoltre ad abundantiam che all’assenza dell’insegnante doveva ovviarsi in casi estremi con il ricorso al personale ausiliario o anche accorpando più classi ma ovviamente mai lasciando uscire gli alunni per decisione unilaterale prima della fine dell’orario scolastico. Per l’effetto si era realizzata da parte della scuola una sorta “di cooperazione colposa nel fatto doloso altrui, perché l’evento è stato reso possibile anche per l’imprudenza e la violazione di norme da parte dell’amministrazione scolastica”. Invero “il ferimento si era verificato in un quartiere periferico privo di case e in cui episodi del genere … erano abbastanza frequenti” e “non si sarebbe verificato se non fosse stato violato il dovere di vigilanza, in quanto, come accadeva tutti i giorni, il ragazzo alla fine delle lezioni sarebbe stato prelevato dalla madre che aveva manifestato appunto il timore che il figlio potesse essere aggredito fuori delle scuola”.

La Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso formulati dall’amministrazione, affermando che “in conformità con l’orientamento costante di questa Corte (Cass. 5424/86, 18 maggio 1982, Albano), il principio generale, che l’istituto di istruzione ha il dovere di provvedere alla sorveglianza degli allievi minorenni per tutto il tempo in cui le sono affidati e quindi fino al momento del subentro almeno potenziale della vigilanza dei genitori o di chi per loro.” L’adempimento di tale “dovere di sorveglianza degli alunni minorenni, dunque anche ultraquattordicenni, “resta di carattere generale e assoluto, tanto che, come ritenuto dalla citata sentenza n. 5424/86, non viene meno neppure in caso di disposizioni impartite dai genitori di lasciare il minore senza sorveglianza in luogo dove possa trovarsi in situazione di pericolo. Tale dovere pertanto permane per tutta la durata del servizio scolastico, servizio che non può essere interrotto per la semplice assenza dell’insegnante che dovrebbe tenere la lezione, in quanto, contrariamente a quanto assume la ricorrente, tale assenza non costituisce certamente un fatto eccezionale, ma normale e prevedibile”.

Dunque ci troviamo dinanzi al caso di uno studente minorenne che durante il servizio scolastico, quindi durante il tempo il cui il minore era affidato alla vigilanza della scuola e prima che questo potesse dirsi terminato, era stato fatto uscire anticipatamente, senza così realizzare le condizioni per il passaggio di responsabilità “almeno potenziale” dalla scuola al genitore, il quale “ogni giorno andava a prelevare il figlio a scuola proprio perché temeva che potesse essere oggetto di aggressioni”. La scuola non ha quindi rispettato la scelta educativa della famiglia in merito al rientro.

Tanto dovrebbe servire anche a far maggiore luce sull’aggettivo “potenziale”, anche perché la Cassazione non entra nel merito se sia legittima o meno l’uscita autonoma di un minore.

Pertanto in sintesi e riguardo alla proposta summenzionata

  • La responsabilità si estende ai “minorenni” e non si limita ai minori di 14 anni.

La capacità di intendere e volere (art. 85 c.p.) richiesta per l’imputabilità si acquisisce con la maggiore età. Ne può tuttavia essere valutata la sussistenza nel maggiore degli anni 14 (art. 98 c.p.). In considerazione della incapacità è punito chi lascia in condizioni di abbandono un minore di anni 14 (art. 591 c.p.). Nessuna delle norme summenzionate vieta l’uscita autonoma di un minore né ravvede in essa automaticamente una condizione di abbandono, che va accertato. Ma, come detto, gli obblighi di vigilanza sono connessi alla minore età (si veda anche art. 2048 c.c.) e non necessariamente al superamento degli anni 14. Anzi, con la sentenza 11751/2013 la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità anche in caso di studente maggiorenne.

  • Nel caso di specie si tratta di una uscita anticipata in condizioni di pericolo ed in contrasto con le scelte educative delle famiglie. Le modalità di uscita vanno concordate e valutate anche dalla scuola. La responsabilità non sarebbe esclusa comunque a priori dalla norma proposta, che non supera le questioni oggi poste con riferimento alle norme civili e penali, specie se la valutazione della pericolosità è rimessa ai soli esercenti la responsabilità sul minore. Il riferimento alla sentenza della Cassazione del 1986 è chiaro. Laddove anche il genitore autorizzasse l’uscita autonoma in condizioni di evidente pericolosità la scuola non si liberebbe dalla responsabilità. Pertanto la scuola non potrebbe autorizzare l’uscita autonoma allorquando il genitore chiedesse di “lasciare il minore senza sorveglianza in luogo dove possa trovarsi in situazione di pericolo”. Ciò non rende inutilizzabile ogni “liberatoria” ma quella che non preserva il minore.

Questi sono alcuni degli aspetti più critici.

Le disposizioni civili e penali richiamate non vietano l’uscita autonoma ma affermano un principio incontestabile: del minore è responsabile il genitore o il personale scolastico in orario di servizio.

Ciò posto, considerato che una modifica normativa richiede i necessari tempi di approvazione, la questione attiene alla responsabilità e non può risolversi con generalizzazioni e senza la necessaria condivisione con le famiglie.

Abbiamo gli strumenti: regolamento e patti di corresponsabilità a cui però non diamo adeguata importanza, pur avendo natura contrattuale.

Vorrei rammentare che già nel 1995, la carta dei servizi scolastici parlava di “contratto formativo” chiedendo ai genitori di: esprimere pareri e proposte e collaborare nelle attività.

Autonomia è responsabilità.

Studenti a casa da soli con la «liberatoria» dei genitori

da Il Sole 24 Ore

Studenti a casa da soli con la «liberatoria» dei genitori

di Claudio Tucc

Un’interpretazione del codice penale che consente alle famiglie, a determinate condizioni, di firmare liberatorie che sollevino da ogni responsabilità giuridica, anche di natura penale, presidi e personale scolastico al termine dell’orario di lezione. È la proposta normativa a cui sta lavorando l’esecutivo, su input del Pd e della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, dopo le prese di posizioni di alcuni dirigenti scolastici in materia di tutela dell’incolumità degli alunni minori di 14 anni (alcuni capi d’istituto sono arrivati a invitare i genitori, o chi per loro a prendere i figli, pena la chiamata ai carabinieri).

Non si esclude il decreto fiscale come veicolo dell’emendamento
L’obiettivo del governo – la questione è seguita in prima persona dalla deputata dem Simona Malpezzi – è inserire la disposizione nel primo provvedimento legislativo utile (non si esclude anche il decreto fiscale – ma c’è da verificare la compatibilità della disposizione allo studio con il contenuto del provvedimento, che esula da tematiche scolastiche).

La normativa attuale
La questione è delicata. Oggi, in base all’attuale normativa, la scuola ha il dovere di sorveglianza sugli studenti minori per tutto il tempo in cui le sono affidati. Due sono le finalità generali dell’obbligo di vigilanza sul minore: impedire che compia atti illeciti e salvaguardarne l’incolumità.

La vicenda
A far tornare alla ribalta la questione “sicurezza dei minori” all’uscita di scuola è stata a settembre una pronuncia della Corte di Cassazione che ha stabilito che il coinvolgimento di un minore in un incidente fuori dal perimetro scolastico non esclude la responsabilità della scuola. Nel caso specifico, un bambino di 11 anni era stato investito dall’autobus di linea sulla strada pubblica all’uscita di scuola. La Cassazione ha affermato che l’obbligo di vigilanza in capo all’amministrazione scolastica, discendeva da una precisa disposizione del regolamento d’istituto, che poneva a carico del personale scolastico l’obbligo di far salire e scendere dai mezzi di trasporto davanti al portone della scuola le alunne e gli alunni, compresi quelli delle scuole medie, e demandava al personale stesso la vigilanza nel caso in cui i mezzi di trasporto ritardassero.

L’interpretazione dei giudici
Dalla lettura di questa ordinanza si poteva dedurre che la responsabilità della scuola sussista solo se il regolamento di istituto impone al personale scolastico compiti di vigilanza specifici che vengono violati. In realtà non è così: la responsabilità della scuola si ricollega più in generale al fatto stesso dell’affidamento del minore alla vigilanza della scuola. La Cassazione civile ha infatti più volte affermato il principio secondo cui l’istituto scolastico ha il dovere di provvedere alla sorveglianza degli allievi minorenni per tutto il tempo in cui le sono affidati e quindi fino al momento del subentro, almeno potenziale, della vigilanza dei genitori o di chi per loro (si veda ad esempio la sentenza n. 3074 del 30 marzo 1999).

Secondo la Cassazione, quindi, il dovere di sorveglianza degli alunni minorenni è di carattere generale e assoluto, tanto che non viene meno neppure in caso di disposizioni impartite dai genitori di lasciare il minore senza sorveglianza in luogo dove possa trovarsi in situazione di pericolo. Le disposizioni si attuano in genere a tutti i minori, anche se, già a partire dai 14 anni, si considera che il minore abbia maturato una certa capacità di intendere e di volere intesa come sua idoneità alla autodeterminazione, nella consapevolezza dell’incidenza del proprio operare sul mondo esterno.

Con l’ipotesi di intervento da parte dell’esecutivo si darebbe, pertanto, “più peso” alla liberatoria dei genitori che “equivarebbe”, nei fatti, a una sorta di autorizzazione all’istituto a far tornare a casa da solo il minore. Alleggerendo, così, la posizione di presidi e personale scolastico.

Statali, alla scuola il conto maggiore della crisi

da Il Sole 24 Ore

Statali, alla scuola il conto maggiore della crisi

di Gianni Trovati

Dal 2010 lo stipendio medio reale nella scuola ha perso il 12,4% del proprio potere d’acquisto, e quello dei tecnici dell’università ha lasciato per strada l’11,8%. Nello stesso periodo, la busta paga tipo nelle Autorità indipendenti (Antitrust, Privacy, Energia eccetera) è cresciuta del 7,6%, negli enti pubblici come l’eterno abolendo Cnel o DigitPa (oggi agenzia per l’Italia digitale) è aumentata del 7% mentre Palazzo Chigi non segna impennate, ma riesce comunque a difendersi dal carovita: e a conservare il +23,5% raggranellato prima della crisi. Insomma: nella pubblica amministrazione la cultura non paga, l’autonomia sì.

I censimenti dell’Aran, l’agenzia che rappresenta la Pa come datore di lavoro, sull’evoluzione degli stipendi negli uffici pubblici offrono un termometro concreto per misurare gli effetti della crisi di finanza pubblica nei diversi rami della nostra amministrazione. All’appuntamento con il rinnovo dei contratti, bloccato dal 2010, imposto dalla Corte costituzionale nel luglio 2015, celebrato dall’accordo governo-sindacati nel novembre 2016 e ora finanziato dalla manovra che questa settimana inizia il proprio cammino al Senato, arriva insomma una pubblica amministrazione solo apparentemente monolitica.

Ora i tavoli sono aperti e i soldi sono in arrivo. Il pubblico impiego è l’unico settore a ricevere dalla legge di bilancio un finanziamento aggiuntivo scritto in miliardi (1,7) e non in milioni. Il super-assegno, che unito ai soldi messi da parte nelle ultime due leggi di bilancio porta a 2,85 miliardi l’accantonamento complessivo dedicato al tema, non basterà a placare tutti i maldipancia, perché Regioni ed enti locali dovranno trovare nei propri bilanci una somma quasi analoga per i dipendenti propri e della sanità. Ma ora bisogna passare ai fatti. E non sarà semplice.

Il rinnovo deve chiudere una sorta di “era glaciale”, che oltre ai contratti nazionali ha bloccato gli stipendi individuali e limitato al minimo i rinnovi degli organici. Ma il lungo inverno ha avuto effetti diversi da settore a settore. Dove il blocco delle buste paga individuali è stato totale, senza sconti, il potere d’acquisto del dipendente-medio è sceso in modo più secco, spinto al ribasso anche dai pensionamenti che hanno fatto uscire dal sistema gli stipendi cresciuti con l’anzianità, sostituendoli con (pochi) neo-assunti privi di scatti.

Ma in altre aree il freddo non si è sentito più di tanto, come mostra l’incrocio fra le retribuzioni medie e l’inflazione del perioso. Scuola, Regioni, enti locali, ministeri, sanità ed enti di ricerca hanno pagato alla crisi un prezzo più o meno pesante, mentre in generale è andata molto meglio alle aree più piccole, da centinaia di dipendenti e spesso coperte dallo scudo efficace dell’autonomia. La regola ha funzionato splendidamente nelle Authority, in alcuni enti pubblici minori, ma anche sul territorio. Nei monitoraggi Aran pubblicati in pagina il dato non c’è, ma i conti della Ragioneria (che mostrano la media complessiva per settore senza distinguere dipendenti e dirigenti) offrono sul punto un numero chiaro: nell’Italia ordinaria lo stipendio medio di Regioni ed enti locali si ferma a 29.057 euro lordi all’anno, dove l’Autonomia è “speciale” diventa speciale anche la busta paga: 35.345 euro, cioè il 21,6% in più.

Le trattative per i rinnovi contrattuali si dovranno occupare anche di queste vite parallele fra i comparti, a partire dal caso della scuola: il settore di gran lunga più numeroso all’interno della pubblica amministrazione, che ha pagato il pegno maggiore alle misure anti-crisi. Nel tentativo di tamponare le buste paga leggere degli insegnanti è stata creata la carta del docente, con il bonus da 500 euro all’anno per acquistare libri, software o partecipare a corsi di formazione. Anche il destino di questo strumento si incrocia però con il rinnovo contrattuale: nella scuola la riscrittura delle intese nazionali costa 1,6 miliardi, e la ricerca di risorse guarda in tutte le direzioni, compreso il bonus e i 200 milioni da distribuire in base al “merito”. A scuola è atteso anche il primo passo che avvicinerà gli stipendi dei presidi a quelli degli altri dirigenti pubblici, con un aumento che entro il 2020 dovrebbe arrivare a 400 euro (come anticipato sul Sole 24 Ore del 18 ottobre) e che fa storcere il naso agli insegnanti.

Un altro tema bollente per il tavolo dei contratti, dopo che il governo si è finora opposto all’idea di concentrare tutto sui contratti, per una ragione politica ma anche per un motivo tecnico. Se assorbisse bonus e premi, il nuovo contratto finirebbe per dare meno degli 85 euro lordi promessi dall’intesa, replicando nella scuola il caso 80 euro.

Primo ciclo, come funziona l’esame di Stato. Via la prova Invalsi: anticipata al mese di aprile

da Il Sole 24 Ore

Primo ciclo, come funziona l’esame di Stato. Via la prova Invalsi: anticipata al mese di aprile

di Laura Virli

Nella circolare 1865 del 10 ottobre 2017 il dipartimento per il sistema educativo e di formazione riassume le novità introdotte dal Dlgs 62/2017 riguardo allo svolgimento dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione.

Composizione delle commissioni
La commissione d’esame è composta da tutti i docenti assegnati alle terze classi, che si articola in tante sottocommissioni quante sono le classi terze, compresi eventuali docenti di sostegno e di strumento musicale, mentre, si precisa, non ne fanno parte i docenti che svolgono attività nell’ambito del potenziamento dell’offerta formativa.
Le funzioni di presidente della commissione sono svolte dal dirigente scolastico della scuola (o in caso di sua assenza o di impedimento o di reggenza da un docente delegato).

Lavoro preliminare delle commissioni
Spetta al dirigente scolastico definire e comunicare al collegio dei docenti il calendario delle operazioni d’esame e in particolare le date di svolgimento della riunione preliminare, delle prove scritte (che devono essere svolte in tre giorni diversi, anche non consecutivi) e dei colloqui.
Durante la riunione preliminare, la commissione definisce la durata oraria, che non deve superare le quattro ore, di ciascuna delle prove scritte, il loro ordine di successione e quello delle classi per i colloqui; predispone, inoltre, le tracce delle prove d’esame sulla base delle proposte dei docenti delle discipline coinvolte e in coerenza con i traguardi di sviluppo delle competenze previste dalle indicazioni nazionali; definisce, inoltre, i criteri comuni per la correzione e la valutazione delle prove stesse.

Le prove d’esame
La novità più rilevante è l’esclusione dalle prove d’esame della prova Invalsi che è anticipata al mese di aprile. La prova Invalsi è prerequisito di ammissione agli esami, ma non concorre al voto finale. Pertanto, le prove scritte predisposte dalla commissione sono tre: italiano, matematica e una prova articolata in una sezione per ciascuna delle lingue straniere studiate.
Per ciascuna delle prove scritte il Dm 741/2017 ha individuato le finalità e proposto diverse tipologie.
La commissione, attraverso il colloquio condotto collegialmente, valuta il livello di acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze dello studente comprese quelle connesse alle attività svolte nell’ambito di Cittadinanza e Costituzione.

La valutazione delle prove d’esame e il voto finale
La valutazione delle prove scritte e del colloquio viene effettuata sulla base di criteri comuni adottati dalla commissione, attribuendo un voto in decimi a ciascuna prova. Alla prova scritta di lingua straniera, anche se distinta in sezioni corrispondenti alle due lingue studiate, viene attribuito un unico voto espresso in decimi.
Il voto finale è il risultato della media del voto di ammissione con la media dei voti attribuiti alle prove scritte e al colloquio.
Supera l’esame l’alunno che consegue un voto finale non inferiore a 6/10.
La commissione può, su proposta della sottocommissione, con deliberazione assunta all’unanimità, attribuire la lode agli alunni che hanno conseguito un voto di 10/10, tenendo a riferimento sia gli esiti delle prove d’esame sia il percorso scolastico triennale.

Al via il Piano nazionale per l’educazione al rispetto. Sui social la campagna #Rispettaledifferenze

da Il Sole 24 Ore

Al via il Piano nazionale per l’educazione al rispetto. Sui social la campagna #Rispettaledifferenze 

Un Piano nazionale per promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione al rispetto, per contrastare ogni forma di violenza e discriminazione e favorire il superamento di pregiudizi e disuguaglianze, secondo i principi espressi dall’articolo 3 della Costituzione italiana.
Lo ha presentato ieri a Roma la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, nella cornice del teatro Eliseo, alla presenza di Elena Centemero, presidente della commissione Equality and non discrimination del Consiglio d’Europa, Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione, Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico, Ernesto Caffo, presidente di Telefono azzurro, rappresentati di studentesse e studenti e delle famiglie. Ha condotto il dibattito la giornalista Mirta Merlino, che ha di recente lanciato una campagna dal titolo #odiolodio per sensibilizzare sul problema della violenza verbale e dell’offesa gratuita sui social network. La campagna rientrerà fra le collaborazioni lanciate ieri alla presentazione del Piano.

«Il lancio di questo Piano ci rende orgogliosi ed è particolarmente importante – ha spiegato Fedeli – perché il rispetto delle differenze è decisivo per contrastare violenze, discriminazioni e comportamenti aggressivi di ogni genere. Perché il rispetto include un modo di sentire e un modo di comportarsi e relazionarsi fondamentali per realizzare l’art. 3 della Costituzione, cui tutto il Piano si ispira. Perché la scuola deve, può e vuole essere un fattore di uguaglianza, protagonista attiva di quel compito – “rimuovere gli ostacoli” – che la Repubblica assegna a se stessa».

«Con il Piano – ha proseguito Fedeli – mettiamo a disposizione delle scuole risorse e strumenti operativi specifici, pensati come l’avvio di un percorso che si prolungherà nel tempo per accompagnare quel cambiamento positivo della società che la scuola può contribuire a realizzare. Al di fuori di ogni approccio ideologico, è importante sottolinearlo, ma solo volendo realizzare la Costituzione, dare attuazione a leggi dello Stato, far crescere bambine e bambini, ragazze e ragazzi condividendo fondamentali valori umani e di convivenza civile».

Con il Piano presentato ieri vengono stanziati 8,9 milioni di euro per progetti e iniziative per l’educazione al rispetto e per la formazione delle e degli insegnanti. In particolare, 900.000 euro serviranno per l’ampliamento dell’offerta formativa, 5 milioni (fondi Pon) per il coinvolgimento di 200 scuole nella creazione di una rete permanente di riferimento su questi temi. Altri 3 milioni sono messi a disposizione per la formazione delle e dei docenti.
In attuazione del Piano vengono emanate le Linee guida nazionali per l’attuazione del comma 16 della legge 107 del 2015 per la promozione dell’educazione alla parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere. Le Linee guida sono state messe a punto da un gruppo di esperti istituito presso il Miur.
Fra i punti del Piano lanciato ieri c’è il rafforzamento degli Osservatori attivi presso il ministero sui temi dell’integrazione, dell’inclusione e per la promozione di iniziative sui temi della parità fra i sessi e della violenza contro le donne. Il Piano prevede anche il lancio, il 21 novembre, del nuovo Patto di corresponsabilità educativa per rinsaldare il rapporto fra scuola e famiglia. E la distribuzione a tutte le studentesse e gli studenti della Costituzione. I materiali e le proposte didattiche sui temi del Piano saranno pubblicati sul portale www.noisiamopari.it.
Aderiscono alla campagna e daranno visibilità ai contenuti del Piano: il Comitato olimpico (Coni) e quello paralimpico (Cip), la Federazione nazionale della stampa, Rai, La 7, Mediaset, Sky, Skuola.net, Tuttoscuola.

Il link al video della campagna:

Pensioni, 11 categorie escluse da quota 67: ci sono le maestre di nido e materna

da La Tecnica della Scuola

Pensioni, 11 categorie escluse da quota 67: ci sono le maestre di nido e materna

Scuole sporche, quando le cooperative addette alle pulizie non lavorano bene

da La Tecnica della Scuola

Scuole sporche, quando le cooperative addette alle pulizie non lavorano bene

Uscita da scuola per i minori di 14 anni: il testo della proposta Malpezzi

da Tuttoscuola

Uscita da scuola per i minori di 14 anni: il testo della proposta Malpezzi

Sul tanto polemizzato tema dell’uscita da scuola per i minori di 14 anni la deputata Pd Simona Malpezzi ha presentato una proposta di legge che vorrebbe risolvere i limiti delle norme in vigore evidenziati ultimamente da una sentenza della Corte di Cassazione.
Il provvedimento si intitola “Misure volte a incentivare il processo di autoresponsabilizzazione dei minori di 14 anni, finalizzate a consentire l’uscita autonoma dei minori dai locali scolastici”. La responsabile scuola del Pd l’ha postata sulla sua pagina Facebook e noi ve la riportiamo di seguito. Si tratta di un solo articolo diviso in due commi.

Primo comma

I genitori esercenti la responsabilità genitoriale e i tutori dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età, del grado di autonomia e dello specifico contesto, nell’ambito del gradi di processo di autoresponsabilizzazione, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l’uscita autonoma dei minori dai locali scolastici al termine dell’orario delle lezioni.

Secondo comma

L’autorizzazione di cui al comma 1 esonera il personale scolastico dalla responsabilità connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza.

Inclusione sociale e lotta al disagio: precisazioni sulle modalità di inserimento dei Codici SIDI degli studenti

Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola, competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020 – Asse I – Istruzione – Fondo Sociale Europeo (FSE) – Obiettivo specifico 10.1. – Riduzione del fallimento formativo precoce e della
dispersione scolastica e formativa. Azione 10.1.1 – Avviso pubblico prot.n. AOODGEFID/10862 del 16-09-2016 “Progetti di inclusione sociale e lotta al disagio nonché per garantire l’apertura delle scuole oltre l’orario scolastico soprattutto nella aree a rischio e in quelle periferiche”. Precisazioni sulle modalità di inserimento dei Codici SIDI degli studenti.

Prot. 36882 del 30 ottobre 2017

Sala Blu, ora i servizi per i viaggiatori disabili si prenotano anche online

Redattore Sociale del 29-10-2017

Sala Blu, ora i servizi per i viaggiatori disabili si prenotano anche online

Più semplice e più veloce, per i viaggiatori con disabilità, prenotare i servizi di assistenza in stazione: le novità sono state illustrate alle associazioni delle persone con disabilità nel corso di un incontro.

ROMA. Da oggi sarà più semplice, più rapido e più comodo, per i viaggiatori con disabilità o i loro accompagnatori, accedere ai servizi di assistenza della Sala Blu nelle stazioni ferroviarie gestite da Rfi: la prenotazione potrà infatti avvenire online. Una novità importante, di cui beneficerà una consistente platea: basti pensare che nel 2016 sono stati oltre 300mila i servizi di assistenza erogati dalle Sale Blu alle persone a ridotta mobilità. Nei primi nove mesi del 2017 quasi 240mila. Le caratteristiche del nuovo sistema sono state illustrate durante un incontro tra i responsabili di Rfi e i delegati nazionali delle principali associazioni e federazioni che rappresentano le persone con disabilità e con le quali FS Italiane intrattiene costanti rapporti. All’incontro erano presenti anche i responsabili di Centostazioni e GSRail, altre società del Gruppo FS cui compete la gestione delle aree di stazione funzionali al servizio viaggiatori.

Sala Blu online. Sala Blu on line è un sistema che consente di prenotare via web, con un preavviso minimo di 24 ore, i servizi di assistenza per le persone con disabilità e a ridotta mobilità. La nuova sezione – progettata secondo i criteri dell’accessibilità e dell’usabilità dei sistemi informatici – è stata preventivamente testata dalle principali associazioni di categoria e ha ricevuto la certificazione della Fondazione ASPHI Onlus, che promuove l’utilizzo delle tecnologie digitali a supporto delle persone con disabilità. I viaggiatori possono così risparmiare tempo, registrando i propri dati anagrafici, i contatti e le specifiche esigenze di viaggio e conservando le credenziali di accesso al portale.

Sala Blu on line è un ulteriore strumento messo a disposizione da Rfi per i viaggiatori a mobilità ridotta, in conformità alle condizioni previste dal Regolamento Europeo relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri del trasporto ferroviario, in un’ottica di miglioramento continuo e maggiore attenzione all’esperienza complessiva di viaggio. Il circuito servito dalle Sale Blu comprende oltre 270 stazioni su tutto il territorio nazionale, e opera attraverso 14 centri presenti nelle principali stazioni italiane (Ancona, Bari, Bologna, Firenze Santa Maria Novella, Genova Principe, Messina Centrale, Napoli Centrale, Reggio Calabria, Roma Termini, Torino Porta Nuova, Trieste Centrale, Venezia Santa Lucia e Verona Porta Nuova), aperti tutti i giorni dalle 6:45 alle 21:30.

Per la prenotazione rimangono attivi anche tutti gli altri canali preesistenti: invio di una mail ad una delle 14 Sale Blu; recarsi direttamente in una della 14 Sale Blu dalle ore 6:45 alle 21:30 tutti i giorni, festivi inclusi; telefonare a una delle 14 Sale Blu dalle ore 6:45 alle 21:30 tutti i giorni, festivi inclusi, tramite numero verde gratuito 800 90 60 60 raggiungibile da telefono fisso; numero nazionale a tariffazione ordinaria 02.32.32.32 raggiungibile da telefono fisso e mobile.

Istruire, Formare ed Educare non sono sinonimi

Istruire, Formare ed Educare non sono sinonimi

di Maurizio Tiriticco

 

Achille, destinato a un’eroica milizia, viene educato dal CENTAURO CHIRONE. Questi è un insegnante particolare – si fa per dire – che associa in sé due aspetti forti e determinanti della natura umano/animale: da un lato la forza, la gagliardia, la sveltezza, la capacità di correre e di saltare i mille ostacoli che un cavallo deve affrontare nella sua corsa; dall’altro, la prudenza e l’avvedutezza tipiche del saggio dalle mille esperienze, che sa fare buon uso della forza animale che, appunto… lo anima!

Una seconda figura di insegnante è quella di ARISTOTELE, che educa Alessandro Magno: è il maestro filosofo che insegna i princìpi morali, sociali e politici, direi, tipici dell’uomo sociale, di uno che diventerà re e che sarà destinato a governare un impero immenso.

E c’è una terza figura, quella di COMENIO che, nel suo Orbis sensualium pictus, ovvero nel suo “Mondo sensibile”, con certosina pazienza racconta ai bambini più piccoli – e non solo a loro ovviamente – con illustrazioni e opportune didascalie, l’intero universo della prima metà del XVII secolo (l’opera fu pubblicata per la prima volta a Norimberga nel 1658: fu il primo abbecedario?): il cielo, il sistema solare e poi la terra, i fenomeni naturali, gli animali, i lavori, i mestieri, le tecnologie e via dicendo: tutto ciò che il mondo di allora offriva ai nuovi nati.

Quindi, si tratta di TRE FIGURE DI INSEGNANTI completi e complessi e nel contempo diversi: CHIRONE prepara alla vita in cui il coraggio, la determinazione, la forza fisica, una volta costruiti, possano essere a servizio della comunità; ARISTOTELE prepara alla vita civile, alle responsabilità di governo; COMENIO è il maestro più umile, quello che vuole solo insegnare a tutti l’abbiccì del vivere quotidiano; e che sa intrecciare disegni e parole, perché sa come e perché le cose e le immagini aiutano a costruire l’emisfero DESTRO del nostro cervello e le parole l’emisfero SINISTRO: quindi l’EMOZIONE e la RAGIONE, il cerchio e la retta, la rete e la linea, l’analogico e il digitale.

COMENIO, quindi, è il maestro di tutti… di fatto avvia la prima scuola dell’età moderna che vuole aprirsi a tutti! Intuisce la necessità di quell’obbligo di istruzione (ed anche di formazione ed educazione) ante litteram, che divenne poi norma nel secolo successivo per tanti sovrani illuminati!

E’ bene precisare: l’educazione riguarda la persona nei suoi rapporti con gli altri; l’istruzione riguarda i saperi disciplinari (costitutivi del saper fare); la formazione riguarda la persona in quanto tale. La tradizione educativa, istruttiva e formativa, quindi, viene da molto lontano, perché i nuovi nati ci sono sempre stati e dovevano sempre essere inseriti alle tecniche, alle conoscenze, ai valori del gruppo sociale di appartenenza e di riferimento. Il nuovo nato doveva apprendere al più presto l’uso della cerbottana o dell’arco; la nuova nata avrebbe atteso a faccende che, oggi, potremmo chiamare domestiche. Tutto ciò ha valore per le società patriarcali. In quelle matriarcali le cose andavano ben diversamente, dove la femmina è “sovrana”, in quanto garantisce la continuità del gruppo sociale, mentre tocca al maschio garantire la sopravvivenza materiale. Interessanti al proposito sono gli studi condotti da Bronoslaw Malinowski, l’antropologo polacco che negli anni dieci del secolo scorso studiò la cultura dei Trobriandi, abitanti della Melanesia, dove, appunto, vigeva il matriarcato. Non so se le femministe del secolo scorso si sono avvalse di questi studi per rivendicare la loro autonomia, se non addirittura il loro primato sul maschio.

Oggi noi siamo molto attenti – o dovremmo esserlo – alle differenze che corrono tra l’educare, l’istruire e il formare, e quanto in tali materie spetta alla scuola, quanto alla famiglia! Ma non sono rari i casi in cui certi ruoli si confondono, nonostante quanto prescritto dai Decreti Delegati dell’ormai lontano 1974 che sancirono l’”ingresso” della famiglia nella scuola; e nonostante tutta legislazione che in materia è seguita. Pertanto, non sarebbe errato che su questi tre verbi ci fosse chiarezza nell’assunzione di responsabilità e dello svolgimento dei compiti che spettano a insegnanti e genitori. E i Piani triennali relativi all’offerta formativa possono essere documenti preziosi a tal fine.

Ma i tredicenni vanno da soli “Non siamo più bambini”

da la Repubblica

Ma i tredicenni vanno da soli “Non siamo più bambini”

Davanti alle medie Gandino di Bologna mentre suona l’ultima campanella: oltre quattrocento alunni che si riversano fuori e appena cinque genitori ad aspettarli

Ilaria Venturi

Bologna «Cosa? Ma è una follia, un conto alle elementari, ma dai, siamo già alle medie». Giuliana e Francesca, 26 anni in due, siedono sul muretto del giardino accanto alla scuola, sono uscite all’una ed è una bella giornata. Fanno facce sbalordite alla sola idea che non potranno più fare il tragitto verso casa da sole, se la ridono, «non è vero, ma ci pensate la mia mamma che mi viene a prendere? Che vergogna con tutti i compagni. Questa cosa ci limiterebbe un sacco, non puoi mica stare lì a fare chiacchiere coi tuoi amici se ci sono i tuoi, non potremmo parlare delle nostre cose, tipo di gossip, innamoramenti e tradimenti, perché, sai, noi coi genitori parliamo in modo molto, ma molto diverso».

Le medie Gandino sono appena dentro le mura cittadine, un edificio a quattro piani alle spalle del palazzetto dello Sport, il tempio sacro del basket a Bologna. Alle due esce la maggior parte dei 450 alunni e il colpo d’occhio rende l’idea: quattro mamme e una nonna ad aspettare fuori dal cancello e l’orda di centinaia di felpe e jeans che al suono della campanella scatta fuori chiassosa. Pacche sulle spalle e via, con lo zaino pesantissimo, a casa. Da soli. Gli undicenni affrettano il passo, quelli di terza si attardano. «I nostri genitori lavorano, non possono venire a prenderci, è sbagliatissimo pretenderlo», ripetono mentre sciamano veloci. E la loro è una bocciatura netta all’accompagnamento scuola-casa. Matilda ne fa una questione di giustizia: «I grandi sono impegnati, non si può chiedere che vengano a prendere i figli, sarebbe davvero ingiusto». Si infiammano come sindacalisti a difesa dei loro genitori-lavoratori, si ribellano come i protagonisti della serie

Scuola media di James Patterson: corpi in crescita che ciondolano, parole a raffica. In una ventina si fermano a chiacchierare, qualcuno attende il rientro per le lezioni di recupero. Costanza, 13 anni, è risoluta: «Se esce una circolare sarà inutile, io non lo dirò nemmeno a mia mamma». Arriva Luigi in aiuto: «Se ce lo impongono non daremo retta, vado a casa da solo lo stesso». La compagna dodicenne concorda: «Siamo abbastanza grandi, sappiamo badare a noi stessi». Luca attenua, consapevole di essere in una età di mezzo: «Magari non saremo grandi per fare tutto, ma siamo capaci di tornare a casa». Ed «è offensivo essere trattati da piccoli », aggiungono i più col piglio da preadolescenti.

Leonardo, ultimo anno delle medie, cerca almeno un lato positivo: «Forse potrebbe risolvere il problema della microcriminalità: i più grandi che ti disturbano ». Si ferma, e ci ripensa: «Ma poi se esci al parco al pomeriggio il problema è uguale». Infatti, si sovrappongono più voci di ragazzine, «io vado agli allenamenti di pallavolo da sola. Che differenza c’è? La palestra è anche più lontana ». Basta attendere e salta fuori che «poi non è bello vedere la mamma o il papà che ti vengono a prendere». Anche se non per tutti è così, Silvia ammette: «Mi imbarazzerei». «Io abito qua dietro, a che serve essere accompagnata? » incalza Emilia. Vittoria prende l’autobus, «sono abituata così, cambiare sarebbe davvero strano». Lorenzo, 13 anni e mezzo, ci tiene a quel momento di incontro all’uscita: «Sarebbe finita con un genitore, perché certo non aspetterebbe me che sto qui a scherzare coi compagni».

In questa scuola all’avanguardia, finalista da anni alle Olimpiadi di problem solving, lavagne interattive e progetti di cittadinanza, la preside Teresa Pintori non ha emanato nessuna circolare restrittiva e nemmeno aveva intenzione di farlo. «Ma ora la ministra Fedeli ricordandoci la legge mi ha messo in difficoltà. Ero profondamente convinta di rispettare la normativa, interpretando la possibilità di lasciare maggiore autonomia verso gli 11 anni. Ora vedremo, ma per me farli andare a casa da soli è un compito di realtà: imparano a crescere, in accordo coi genitori, che da regolamento sanno che noi li accompagniamo all’uscita, e in una situazione di sicurezza perché l’ingresso dà su una strada quasi chiusa ». Sul lato opposto del cancello ci sono i gradoni del palasport. «Lì si possono sedere solo quelli di terza, è dalla prima che aspettiamo e ora che abbiamo 13 anni figurati se ci perdiamo questo momento da sole», spiegano le due più sveglie del gruppetto. Angelica, il velo in testa, genitori nigeriani e accento bolognese, calcola: «Tra quattro mesi e otto giorni avrò 14 anni, ma già ora prendo l’autobus, sono autonoma ». Felix, coi suoi jeans strappati e l’aria sicura di sé, taglia corto: «Andiamo da soli, ci mancherebbe ».

Uscita da scuola, affare di Stato

da la Repubblica

Uscita da scuola, affare di Stato

Renzi: assurdo l’obbligo di accompagnamento. Fedeli porta il caso in Consiglio dei ministri E intanto si moltiplicano in tutta Italia le circolari fai-da-te degli istituti per la libertà di scelta

ROMA.

La ministra Valeria Fedeli sulla questione “accompagnamento dei ragazzi delle scuole medie” firma un comunicato al giorno, primato personale. Scrive giovedì, all’ora di cena: «I dirigenti scolastici stanno attuando leggi dello Stato, per cambiarle serve un’iniziativa parlamentare ». Ieri però, ora di pranzo, visto che la canea non si è zittita, sceglie di andare oltre la difesa della sentenza della Corte di Cassazione civile. Scrive ancora Fedeli: «In Consiglio dei ministri ho posto la questione e ho appoggiato la proposta del Pd». Dopo lungo approfondimento, assicura, «e ben comprendendo il disagio vissuto in questo momento sia dalle scuole che dalle famiglie». Non c’è caos né inadeguatezza, replica. La ministra si riferisce agli attacchi di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera.

La proposta del Partito democratico, avanzata dalla responsabile scuola Simona Malpezzi, sarà presentata in Parlamento già la prossima settimana. Consente libera scelta ai genitori: andare a prendere i figli al portone dell’istituto o lasciare che tornino a casa da soli. A 12 anni, a 13, a 14. Matteo Renzi aveva appena ricordato a Catania: «Il Paese reale parla di cose di cui la politica non parla quasi mai. Le persone normali discutono di questa pronuncia della Corte di Cassazione. Tutti siamo genitori e abbiamo figli e la sentenza sulla scuola fa discutere più della Banca d’Italia. Il Pd», ancora Renzi, «ha scelto di presentare una proposta emendativa per eliminare questo vincolo assurdo per il quale un ragazzino di terza media debba essere accompagnato a casa dai genitori. La nostra legislazione prevede il rispetto e la tutela del minore, ma non considera un valore l’autonomia e l’indipendenza del ragazzo».

In un clima già elettorale, erano stati i Cinque stelle a sollevare la questione. Una settimana fa, con un’interrogazione di Gianluca Vacca. La sentenza della Cassazione il 19 settembre scorso si è espressa in seguito alla morte di un undicenne della provincia di Arezzo, travolto nel 2002 da un autobus all’uscita da scuola.

Nei giorni successivi al 19 settembre, con le prime circolari restrittive dei presidi, in diverse città sono salite le voci di genitori troppo occupati o preoccupati per la mancata autonomia dei figli. «Possono andare da soli da casa a scuola, ma al ritorno no. Una follia». Ancora: «Se lavoriamo in due, o chiediamo ai nonni o spendiamo altri soldi per una baby sitter». Immediato il confronto con l’estero: «In Europa non c’è un Paese dove ragazzi già grandi debbano essere accompagnati».

Diversi dirigenti accolgono la protesta e, a Roma, a Torino, elaborano nuove circolari che provano a tenere insieme la sicurezza (dell’alunno ma anche del preside di fronte alla legge) con la volontà della maggioranza dei genitori italiani: «Fateli uscire da soli». Alcuni sindacati si lamentano delle nuove possibili incombenze per i bidelli, a organici ridotti.

Nell’affollamento di questo fine autunno parlamentare si cerca una soluzione all’ultima emergenza scolastica. Dalla prossima settimana.

Le parole, i bulli, il web: un decalogo per la scuola

da Corriere della sera

Le parole, i bulli, il web: un decalogo per la scuola

Il piano del ministero dell’Istruzione per educare al rispetto. Fedeli: «Stop a disuguaglianze e discriminazioni»

Claudia Voltattorni

Roma Da «architetta», «assessora» e «difensora», alla prevenzione della violenza contro le donne. Dalla libertà di Rete «positiva», a «maschio» e «femmina» che «non sono etichette che denotano comportamenti predefiniti». Da una «scuola realmente inclusiva», al «compito fondamentale affidato ai genitori di partecipare e contribuire al percorso educativo e formativo dei propri figli». E ancora. Le linee di orientamento per la prevenzione del cyberbullismo. Che significa un insegnante dedicato in tutte le scuole, attività di sensibilizzazione e informazione nelle classi, collaborazione con la Polizia postale. Tutto ciò è nel Piano nazionale per l’educazione al rispetto lanciato ieri al teatro Eliseo di Roma dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli e che coinvolgerà tutte le classi d’Italia, dalla prima elementare all’ultimo anno delle superiori.

Dieci azioni per promuovere in tutte le scuole i principi dell’articolo 3 della Costituzione e per «contrastare disuguaglianze e discriminazioni». Perché, dice la ministra, «la scuola deve, può e vuole essere un fattore di uguaglianza, protagonista attiva di quel compito, “rimuovere gli ostacoli”, che la Repubblica assegna a se stessa».

Ecco quindi 8,9 milioni di euro da destinare a progetti per le scuole e alla formazione dei docenti. E le linee guida per la promozione dell’educazione alla parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere, «uno strumento culturale importantissimo per le scuole», spiega Fedeli. E poi un portale web ( www.noisiamopari.it ) dove prof e studenti possono trovare informazioni e condividere esperienze, e la rete degli Osservatori scelti dal Miur per monitorare e rafforzare gli aiuti alle scuole.

«La gentilezza non è buonismo ma rispetto degli altri», spiega la ministra alle decine di alunni che la ascoltano in platea e ricorda quindi la campagna #paroleostili e quella contro l’odio in Rete in collaborazione con il Consiglio d’Europa. «Educare al rispetto significa educare alle differenze che esistono tra le persone e che arricchiscono tutti e che insieme ci aiutano a combattere le discriminazioni», ricorda Elena Centemero, deputata di Forza Italia e presidente della Commissione Equality and Non Discrimination del Consiglio d’Europa, anche lei sul palco. E perciò ogni studente, promette Fedeli, «riceverà la Costituzione: all’articolo 3 si ispira tutto il piano, il rispetto delle differenze è decisivo per contrastare violenze, discriminazioni e comportamenti aggressivi di ogni genere».

C’è anche una campagna sui social con l’hashtag #rispettaledifferenze cui si aggiunge #ioodiolodio lanciata recentemente dalla giornalista Myrta Merlino contro la violenza verbale, sul web soprattutto. E continua la collaborazione con Telefono Azzurro per la realizzazione di iniziative all’interno delle scuole. E poi ci sono i testimonial che in video di pochi minuti spiegano perché è importante valorizzare le differenze. Personaggi del mondo dello sport, dello spettacolo, della cultura, in tanti hanno aderito alla campagna, da Dario Vergassola a Pino Strabioli e Luca Barbarossa, da Geppy Cucciari a Paola Cortellesi e Gaia De Laurentis, passando per Alessandra Sensini e Padre Enzo Fortunato. Chissà però quanti di loro sono noti agli under 16.