Resilienza scolastica e PNRR

Quale Vantaggio nello Svantaggio: storie di Resilienza scolastica e di PNRR

(Componente 1 – Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle Università Investimento 1.4: Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nella scuola secondaria I e II grado, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU)

Atto 1

di Mariacristina Grazioli

Arrivano i soldi, ma non sono nostri, sono dell’Europa.

 Le scuole stremate dopo due anni e mezzo di normativa imperante e Covid dilagante, ora, devono guardarsi attentamente allo specchio e raccontare – e soprattutto raccontarsi – cosa è rimasto di ciò che era, perché non c’è tempo per fermarsi a respirare un attimo (per doveroso esercizio di ossigenazione); ci sono infatti le emergenze e le urgenze –  quelle nuove, quelle vecchie –  la guerra, la gravissima crisi economica, lo sfascio dei risultati scolastici, e cos’altro? C’è la crisi sociale, il divario generazione, la disoccupazione, il sistema economico stressato, le urgenze climatiche… Lo specchio dei RAV di piena estate è davvero impietoso: vi si leggono i segni di un lavoro matto e disperatissimo per governane l’essenziale e per consentire alla scuola pubblica di galleggiare.

Di soldi ne sono arrivati tanti anche negli ultimi due anni …Tra fondi per l’emergenza, mascherine, banchi, ancora fondi per la sicurezza, ancora mascherine e Pon FSE e Por e PNSD , Stem e PON FERSE, le scuole sono ora alle prese con la fase finale, l’ultimo duello vero, l’epilogo: il governo dell’Autonomia (ferma al 1999) e il governo delle risorse destinate all’educazione di qualità del Goal 4 e del target 7 del nuovo millennio. 

Per chi non sa di scuola, sono solo sigle e soldi; per chi nella scuola ci vive da quarant’anni, le sigle e i soldi sono percorsi, sono strade, sono approdi, storie di donne e uomini in cattedra, storie di incontri, coordinamenti, ancora coordinamenti e coordinamenti dei coordinamenti… 

Diciamolo chiaro. Il pensiero di ciascuno di noi in queste ore è che Il sistema scuola è oggi decentrato, parcellizzato, settorializzato e affaticato dalle lacerazioni interne per la ricerca dei limiti delle competenze; altri soldi non faranno che aprire ulteriori perplessità e dubbi. A chi spettano questi soldi che arrivano per attuare gli obiettivi dell’Europa? Saranno in grado le Scuole degli ultimi anni, (quelle dei “progettifici” e degli oramai notissimi acronimi -PTOF Piano Triennale Offerta Formativa PIA Piano di integrazione degli apprendimenti PDM PIANO DI MIGLIORAMENTO CDC consiglio di classe CDV Comitato di Valutazione FIS Fondo D’Istituto OOCC organi collegiali) di   garantire-  meglio scriverlo due volte GARANTIRE- il risultato che il sistema pagante vuole, gestendo oculatamente i soldi pubblici? Per non parlare delle incognite attuali dell’emergenza Covid e della “DAD prima essenziale, poi non più”, quella della rediviva DDI  (Didattica Digitale Integrata), che con un panno intriso di ottimo disinfettante  dei nostri stracolmi magazzini scolastici, non se ne ricorda neanche più il senso e l’identità…

Credo, senza tema di smentita, che per raggiungere gli obiettivi europei occorra fare un balzo; io penso che questo balzo vada fatto necessariamente, ma non del tutto in avanti, bensì anche all’indietro, per riscoprire le origini delle missione scolastica, attraverso una riflessione storica critica.

Ma andiamo per gradi.

Il Decreto 170 di giugno 2022 di “Definizione dei criteri di riparto delle risorse per le azioni di prevenzione e contrasto della dispersione scolastica in attuazione della linea di investimento 1.4” propone anzitutto un “intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nel I e II ciclo della scuola secondaria e alla lotta alla dispersione scolastica”. Nell’ambito della Missione 4 – Componente 1 – del Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU del 24 giugno 2022[1] è riuscito ad riaprire dibattito tecnico e attenzione pubblica sull’essenza del lavoro di ricostruzione degli obiettivi PTOF delle scuole dell’autonomia. 

I criteri di selezione nazionale degli istituti beneficiari non lasciano dubbi e sono ben specificati: indicatori oggettivi disponibili, quali il tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione nella fascia di età 18-24 anni (indice ELET – Early Leavers from Education and Training), il tasso di presenza della popolazione straniera, il tasso di popolazione priva di diploma di scuola secondaria nella fascia d’età tra i 25 e i 64 anni, il tasso di famiglie con cinque o più componenti, come calcolati dall’ISTAT in relazione all’ultima annualità disponibile, il numero di studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado della regione di riferimento.

Le scuole beneficiare potranno osservare il loro “tasso di fragilità” composto da una accurato calcolo; sarà

cioè necessario individuare specifici e oggettivi indicatori disponibili, quali il tasso di fragilità degli apprendimenti, c.d. “dispersione implicita” (percentuale di studenti che in entrambe le materie, italiano e matematica, ha conseguito un risultato molto basso), calcolato dall’INVALSI, pari o superiore all’8% del totale degli studenti,  la proporzione rispetto al numero di studentesse e studenti effettivamente frequentanti, come rilevati dall’anagrafe delle istituzioni scolastiche presso il Ministero dell’istruzione.

Ancora meglio, il Decreto chiarisce alcune linee di intervento; tra queste suscita particolare attenzione l’azione sulla “fragilità negli apprendimenti, secondo un approccio di tipo preventivo dell’insuccesso scolastico”. Fare della prevenzione dell’insuccesso scolastico il minimo comune denominatore delle altre azioni, è dare vita ad un sistema coraggioso di osservazione complessa delle unità scolastiche, ma oramai del tutto irrinunciabile. 

La didattica, l’approccio metodologico, il contesto educativo dovranno tendere alla dimensione esperienziale, dove il servizio scolastico deve strumentarsi per portare a sistema proposte che “ si caratterizzano per essere attive, partecipative, personalizzate e flessibili e per adattarsi ai bisogni formativi di ciascuno studente, alle sue specificità cognitive e apprenditive, offrendo anche una varietà di opzioni alternative e innovative”. 

Il “come fare” è centrale e certamente non banale. In assenza di una riforma seria della funzione docente e delle normativa scolastica che dovrebbe garantire la “tenuta” della complessissima organizzazione di lavoro messo in campo quotidianamente, non sarà banale il lavoro di direzione, spinta, allineamento e coinvolgimento. Dunque sarà molto interessate vedere come la dimensione esperienziale attiva, partecipativa, personalizzata e flessibilesi potrà adattare ai modelli trasmissivi ancora oggi dilaganti nelle classi 2.0 di tutti gli ordini e gradi. La logica delle “cattedra” e la logica “dei bisogni formativi degli studenti” dovranno dialogare –  necessariamente ed indipendentemente dai finanziamenti – altrimenti avremo scuole non finanziate che si sentiranno non tenute a questa svolta metodologica. Se così fosse – ma questa è solo una mera supposizione non supportata da alcun elemento di certezza – il decreto 170 avrebbe, in un colpo solo, definito scuole innovative e scuole che innovative non lo sono. A fugare questo dubbio è la motivazione messa in capo dal decreto: sono stati assegnati danari pubblici alle scuole con dati oggettivi tale per cui il Miur ha operato una scelta basata eminentemente sul concetto predittivo. 

 Pare interessante osservare che “Le istituzioni scolastiche beneficiarie, nel rispetto dell’autonomia scolastica e dei milestone e target del PNRR e della relativa normativa, promuovono attività di coprogettazione e cooperazione fra la scuola e la comunità locale, valorizzando la sinergia con le risorse territoriali sia istituzionali (servizi sociali e sanitari, del lavoro, della giustizia minorile, di orientamento e formazione professionale, etc.)”. E’ evidente che il Miurchiede alle scuole dell’Autonomia uno studio di fattibilità che oscilla tra dati certi e misurabili e azioni coordinate, attraverso cui  perseguire  “il consolidamento delle esperienze territoriali, e ricomprendono scambi di buone pratiche fra docenti ed esperti, gemellaggi fra scuole per la disseminazione delle esperienze più efficaci, rafforzamento dell’offerta formativa con percorsi personalizzati di mentoring e di tutoring, sia in favore delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti più fragili negli apprendimenti, sia in favore delle loro famiglie, assicurando altresì continuità nelle fasi di transizione e di orientamento fra la scuola secondaria di primo e secondo grado, secondo un approccio di tipo longitudinale e preventivo dell’insuccesso scolastico”.

E’ di questi giorni di rovente agosto la messa a disposizione per le scuole del documento programmatico che aiuterà nella stesura del piano di fattibilità a cui lo stesso decreto 170 ambisce. Vi è anzitutto un ritorno all’assetto valoriale delle organizzazioni scolastiche, chiamate a condividere gli obiettivi di sistema. La strada maestra è chiara e ce lo conferma il “Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) – Investimento 1.4 – Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado e alla lotta alla dispersione scolastica” che ribadisce: investire sulla scuola e sulle competenze significa investire sulle persone, sui giovani e sulle nuove generazioni. Si tratta di “riforme abilitanti e investimenti per il potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione dagli asili nido alle

Università, al fine di assicurare una crescita economica sostenibile e inclusiva, superando divari territoriali e rafforzando gli strumenti di orientamento, di reclutamento e di formazione dei docenti. 

 Quali azioni dunque?

-Personalizzazione dei percorsi per quelle scuole che hanno fatto registrare una maggiore fragilità negli apprendimenti; 

  • programmi e iniziative specifiche di mentoring, counseling, formazione e orientamento; – potenziamento del tempo scuola con progettualità mirate; 
  • introduzione di una piattaforma per attività di tutoraggio e formazione disponibile online per supportare l’attuazione dell’investimento; 
  • distribuzione territoriale in modo da coprire l’intero territorio nazionale, con particolare attenzione alle aree territoriali e alle scuole che registrano maggiori divari negli apprendimenti; 
  • misure di accompagnamento per superare divari territoriali e disuguaglianze rispetto alla parità di accesso all’istruzione, all’inclusione e al successo formativo; 
  • certificazione dei risultati raggiunti e valutazione di impatto delle misure da parte dell’Invalsi.

E’ evidente che queste azioni indicano tutte piste di lavoro da perseguire; e forse qui si rende necessario quel balzo alla storia critica delle analisi pedagogiche di cui sopra si diceva, per ritrovare i linguaggi comuni che hanno fatto la scuola italiana. Pare infatti imporrate allineare i pensieri e le visoni per corroborare il piano di azione che il Team di ogni scuola verrà a governare.[2]

  1. Personalizzazione dei percorsi per quelle scuole che hanno fatto registrare una maggiore fragilità negli apprendimenti. Dunque “la scuola deve partire da un modello pluralistico di vita, infatti i ragazzi sono caratterizzati da una mentalità senza dimore, per un atteggiamento di grande autonomia rispetto alle varie esperienze che compiano, privilegiando un percorso soggettivo e personalizzato di ricerca di senso e di soddisfacimento di bisogni.[3] 
  2. programmi e iniziative specifiche di mentoring, counseling, formazione e orientamento; – potenziamento del tempo scuola con progettualità mirate. Questa è un ottima idea che merita una dissertazione a parte, una sorta di Atto II che è bene qui non aprire.
  3. introduzione di una piattaforma per attività di tutoraggio e formazione disponibile online per supportare l’attuazione dell’investimento 

d)- distribuzione territoriale in modo da coprire l’intero territorio nazionale, con particolare attenzione alle aree territoriali e alle scuole che registrano maggiori divari negli apprendimenti

e) –misure di accompagnamento per superare divari territoriali e disuguaglianze rispetto alla parità di accesso all’istruzione, all’inclusione e al successo formativo. Ecco il cuore vero del nostro agire quotidiano. Si tratta di un obiettivo che assume in sé il valore sintetico delle azioni pedagogiche dal 1959 ad oggi. Diciamolo chiaro: in questa frase c’è Barbiana,  l’attivismo di Dewey, i movimenti delle “controscuole” degli anni sessante  e settanta, i Decreti Delegati del 1973/1974, la circolare Ministeriale 3 agosto , n. 216  sulle “Iniziative per l’inserimento degli alunni handicappati nelle scuole” del 1977 , l’epoca delle Sperimentazioni, i rapporti Censis, le innovazioni tratte dalle ricerche universitarie, le Riforme del 1979 e del 1985  delle scuole medie e delle scuola  elementari, la sperimentazione dell’ AUTONOMIA funzionale, le gradi riforme degli anni novanta con le esperienze del decentramento. 

Il punto e)  del documento Componente 1 – Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle Università Investimento 1.4: Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nella scuola secondaria I e II grado, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU) è il cuore delle scuole di periferia, delle piccole isole, dell’alto crinale, delle scuole di città che presidiano il sociale che ne combattono la vischiosità: è un cuore pedagogico, pulsante ed educativo che deve nutrire i nostri fatti educativi del quotidiano agire, i  nostri bureaux dirigenziali,  le nostre riunioni territoriali, le nostre delibere collegiali.

 Nel balzo in avanti fortemente innovativo dell’intero sistema scuola, vanno rilette le parole di Elio Damiano

[4] sull’Autonomia scolastica, quella stessa che oggi deve applicare le riforme impellenti del Next Generation EU.  “(…) E di fatto il centro ha rinunciato alla gestione pedagogia del sistema scolastico. Questo è necessariamente una colpa? Certamente sì nel quadro di una concezione statalista (…). Certamente no se – secondo la Costituzione- lo Stato non ha il compito di “fare “gli italiani bensì di contribuire a fare esprimere le loro culture a sviluppare una progettualità educativa capace di saldare- on formalmente- l’unità del paese nelle solidarietà e nelle giustizia, e ne contempo di qualificare le specificità culturali ponendole, attraverso le scuole pubbliche, i dialogo tra loro”. E ancora “(…) l’analisi dei bisogni educativi del contesto socioculturale, la progettazione degli interventi, la valutazione dei risultati conseguiti, la conseguente determinazione di colmare lo scarto  eventuale con iniziative sperimentali e  innovative,  (anche rispetto alle norme generali, di natura metodologica-didattica, oppure più ampiamente con certi vincoli, strutturale) insieme alla qualificazione degli insegnati mediante, ancora in via autosufficiente, la formazione in servizio, utilizzando le risorse materiali anche reperibili sul posto, col supporto degli Enti Locali, attraverso la rappresentazione incrociata già presenti: tutto questo, e in circolo, segna i confini di una realtà che è già organizzativamente sviluppata…”.

 I suoi scritti si riferivano addirittura alla scuola delle PRE autonomia, che usava chiamare “unità scolastiche”. Ecco…ritorniamo alle unità scolastiche come massime “unità di misura” che possono cimentarsi (ben solide nella loro storia educativa) nella sfida giocata sugli obiettivi del piano di sviluppo e, come solide unità, potranno ampliarsi e moltiplicarsi. Il punto e) è il fulcro, l’asse, il baricentro di una “autonomia ascendente” realizzabile pienamente, dove sono le scuole delle prime linee – quelle più esposte – che tracciano le traiettorie attraverso il loro sapere ampio e consolidato. E’ così che siamo ad una svolta  seria e fattibile della cosiddetta “programmabilità ascendente”. Se così è, occorre cultura e competenza umana prima ancora che capacità di gestione organizzativa e amministrativa. Se così è, il nuovo DS è figura di riferimento che tiene il timone a dritta. La rotta? Una sola: lotta alla diseguaglianza intesa come superamento delle vischiosità sociale, come lotta alla forme di predestinazione socio economica. 

Quali le figure dell’unità scolastica che scenderanno immediatamente in campo?

Il DS è figura educativa di alto profilo, chiamato al governo delle “urgenze e contingenze organizzative” e attraverso quelle, all’approdo nell’incipit del documento: investire sulla scuola e sulle competenze significa investire sulle persone, sui giovani e sulle nuove generazioni. Al Ds spetta il compito difficilissimo di scegliere, non per sé, ma per la comunità che rappresenta. Non sarà solo, ma saprà esserlo se necessario, per garantire i fini costituzionali dell’Autonomia nonostante tutto. Il punto e) chiama poi a raccolta i gruppi di gestione: delle vere e proprie micro cabine di regia che sapranno creare valore condiviso con gli attori del territorio e i gruppi di opinione. La vera leva per garantire la tenuta di tutte le azioni del decreto è dunque il gruppo per la prevenzione della dispersione scolastica –  un Team sinceramente unito, omogeneo nelle specificità dei singoli componenti, forte di motivazioni al fare, lontano da logiche di partizione di micropoteri. Il Team è il nucleo pulsante del lavoro di costruzione e avvicinamento agli obiettivi di sistema, siano essi micro che macro. Ed è nel Team che la scuola deve credere, affidandogli le redini applicative dei nuovi percorsi; un Team corroborato soprattutto dalla democrazia scolastica degli Organi collegiali, a cui rimane affidata la cultura della decisione partecipata. 

Basterà la buona volontà pedagogica per fare salpare la nave del NEXT generation EU? Certo che no, occorrono strumenti di gestione, metodi consolidati di team building, competenze amministrativo- contabili di indirizzo e controllo e, soprattutto, personale ammnistrativo all’altezza del compito. Vien quasi da pensare: ma vi è un vantaggio nello svantaggio? Perché dunque muovere somme cosi ingenti?Credo cherimanga una domanda aperta. Ci saranno tempi complessi e certamente esaltanti.  Di certo non sarà facile, ma ci affidiamo, fiduciosi, alla nostra storia di scuole Autonome e Resilienti, costituzionalmente vocate.


[1] Risultano da destinare per l’attuazione della linea di investimento M4C1I.1.4 “Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nel I e II ciclo e alla lotta alla dispersione scolastica” del PNRR risorse pari ad euro 1,5 miliardi a valere sul conto di contabilità speciale CS 6301, denominato PNRR-MINISTERO-ISTRUZIONE. In esso il Ministero dell’Istruzione contrasta la dispersione scolastica nella scuola secondaria di primo e secondo grado con la somma complessiva pari a euro 500.000.000,00 (cinquecento milioni/00), quale prima azione di attuazione dell’Investimento 1.4.

[2] Sia il decreto che l’atto di indirizzo prevedono un nuovo attore organizzativo. “Ciascuna istituzione scolastica beneficiaria delle risorse di cui al presente decreto costituisce un gruppo di lavoro per il coordinamento della prevenzione della dispersione scolastica, individuando uno o più docenti referenti, con il compito di rafforzare l’autonomia scolastica in materia di prevenzione della dispersione, migliorare l’organizzazione interna in chiave inclusiva e gestire le relazioni con eventuali altri soggetti”.

[3] Da “Un mondo pluralistico di vita: il giovane a più dimensioni”, pag. 14 in Mutamenti sociali e rapporti intergenerazionali- Franco Garelli– Scuola d’oggi “Educare nella società complessa “AAVV- ed. La Scuola, 1991

[4] Elio Damiano, L’AUTONOMIA DELLA SCUOLA, pagg. 60 e 61 in Esperienza e ricerca pedagogica, pagg. 37-68 in AAVV Educare nella società complessa, ed La scuola, 1991