M. Vargas Llosa, I capi

Il primo Llosa

di Antonio Stanca

Recentemente nella serie “Racconti d’Autore” curata da Il Sole 24 ORE è comparso, tradotto da Angelo Morino, il breve volume I capi di Mario Vargas Llosa, scrittore peruviano al quale nel 2010 è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Llosa è nato ad Arequipa nel 1936, tra Perù e Bolivia ha vissuto gli anni della sua formazione, ha studiato Lettere e Giurisprudenza presso l’Università di Lima, si è poi trasferito in Europa muovendosi tra Spagna, Francia, Italia, Inghilterra, dove ora risiede dopo essere tornato per brevi periodi nel suo paese. Ha settantasei anni. Ha viaggiato molto in molti paesi del mondo, è autore di romanzi, opere teatrali, saggi, libri di memorie, collabora con giornali e riviste. Divide il suo tempo tra l’attività letteraria e la realtà, da questa trae motivo d’ispirazione per le sue opere, in questa è intervenuto personalmente quando la situazione lo richiedeva. Non ha mai sopportato che nella sua o in altre nazioni si verificassero condizioni di disparità sociale, di sfruttamento economico, di violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, della giustizia, della libertà, dell’uguaglianza. Temi di tante opere sono divenute tali violazioni fossero presenti o passate. Di carattere storico è risultata a volte la sua produzione anche se sempre trasfigurati sono stati gli avvenimenti, i personaggi rappresentati, sempre riportati alle richieste di un racconto, di un romanzo, di un’opera teatrale. Llosa non evade dalla realtà, la accoglie, la contiene e la combina con l’invenzione, la trasforma in immagini altamente significative, la esprime col linguaggio dell’arte, la traduce in un messaggio. Dall’uomo di quella realtà lo ricava, dal suo animo, dal suo spirito, in essi non smette di credere pur tra i tanti drammi nei quali li mostra, in quell’uomo Llosa ha fiducia, nella sua capacità di uscire dalle tenebre, di liberarsi da quanto lo opprime. Di questa scriverà come di un’impresa sempre possibile e da qui le sue opere trarranno l’alto valore morale e sociale che il Nobel ha riconosciuto.

Meno finalizzate in tal senso, più aderenti alla realtà, più crude nell’espressione sono state le narrazioni che lo scrittore produsse agli inizi della sua attività e che giunsero fino agli anni ’70. Tra queste rientra la raccolta di racconti con la quale esordì nel 1959, a ventitrè anni. S’intitola I capi e da essa sono tratti i sei racconti contenuti nel suddetto omonimo volumetto. È la fase prima del Llosa, quella del giovane inquieto, ribelle che vuole gridare la sua protesta contro quanto di arretrato c’è ancora nel suo paese, quanto d’ingiusto, di violento, di barbaro ne deriva e altro modo non conosce se non quello di rappresentarlo nella sua realtà. Non è ancora pervenuto lo scrittore a quelle possibilità di salvezza che saranno delle opere della maturità, a quella condizione ideale utile a riscattare dalla grave realtà. Perciò nei racconti de I capi si legge della confusa, polemica situazione di giovani scolari delle elementari e delle medie che protestano contro gli ordinamenti scolastici e intanto non mancano di fare a pugni fra loro, dell’assurdità di un padre che assiste, partecipa allo scontro armato  tra il figlio ed un altro giovane del villaggio per stabilire chi è il più forte, chi comanda, della vendetta che i due fratelli di una giovane donna violentata da un indio compiono uccidendolo, dei gravi pericoli che corrono due ragazzi ubriachi che si sono sfidati a nuotare d’inverno in un  mare freddissimo per assicurarsi la preferenza di una coetanea, della crudeltà di un negro che giunge a consegnare alla polizia un amico pur di liberarsi dalla pena che incombe su di lui, del piacere che prova un vecchio aristocratico quando riesce a terrorizzare i suoi familiari.

Siamo nel Perù degli anni ’50, nei quartieri di periferia, nei bassifondi, nell’entroterra dove ancora si vive allo stato selvaggio e Llosa ne scrive perché si sappia. È grave quanto avviene, l’alcol, il sesso, la violenza sono le note dominanti e non si profila alcun cambiamento, non si pensa, non si sa che la vita può essere diversa. Ma non poteva uno scrittore rimanere tra tante rovine, fermarsi a documentarle e, maturando, ha intravisto altre possibilità. Le ha scoperte nello stesso uomo che è vittima del male del mondo. Nella sua anima ha scoperto la necessità, la volontà di cambiare, esse ha interpretato, le ha tratte dal silenzio nelle opere maggiori, ha procurato loro una voce.