Archivi categoria: Rubriche

Italia ed Europa di fronte ai BES

Italia e Europa di fronte ai BES, intervento di Simona D’Alessio

Seminario Bisogni Educativi Speciali (BES), Università di Bologna, Dipartimento di Scienze dell’educazione, Aula Magna, via Filippo Re 6, 16 dicembre 2013

J.-C. Izzo, Solea

Un altro tipo di eroe

di Antonio Stanca

izzoPresso le Edizioni E/O di Roma, nella serie Tascabili, è recentemente comparsa, tradotta da Barbara Ferri, la dodicesima ristampa del romanzo Solea, ultimo della trilogia marsigliese dello scrittore francese Jean-Claude Izzo. L’aveva iniziata nel 1993 con Casino totale, l’aveva continuata nel 1994 con Chourmo e conclusa nel 1998 con Solea. Molto successo aveva ottenuto Izzo già con la prima di queste narrazioni perchè completamente nuova si era rivelata nel contemporaneo panorama letterario francese, completamente impegnata ad animare le vicende rappresentate, a farne i motivi di un interminabile movimento, di un insolubile contrasto tra il bene e il male della vita. Anche la lingua dell’Izzo era risultata particolare poiché rapida, svelta, essenziale, fatta di frasi brevi, concise capaci di rendere il continuo susseguirsi di pensieri, di azioni che avviene nell’opera, di adeguarsi ad esso e tradurlo in maniera immediata, vera. E’ una lingua che all’Izzo derivava dalla sua attività giornalistica svolta per molto tempo.

Era nato a Marsiglia nel 1945 e qui era morto nel 2000 a soli cinquantacinque anni. Oltre che scrittore di romanzi e racconti è stato giornalista presso molti giornali e riviste generalmente della Sinistra francese, autore di raccolte di poesie, di testi per il cinema, il teatro, la radio. Ha militato nel movimento cattolico “Pax Christi”, ha lavorato nelle biblioteche come commesso e come bibliotecario, ha preso parte alle elezioni legislative del 1968 nel collegio di Marsiglia, è stato attivista di sinistra, animatore culturale, redattore e caporedattore di giornali. Ha avuto un figlio nel 1972 dalla prima moglie che lasciò per un’altra donna che a sua volta lasciò per un’altra ancora. Ruppe nel 1978 col Partito Comunista Francese al quale aveva aderito dopo essere stato in quello socialista. Visse generalmente a Marsiglia ma non mancarono soggiorni anche prolungati a Parigi, a Saint-Malo e in altri posti.

Una vita irrequieta, che ha assunto direzioni diverse, si è svolta in luoghi diversi, ha seguito il bisogno dell’Izzo di un posto, di un ambiente, di un modo per placare il suo animo sempre agitato perché sempre avverso al malcostume che vedeva diffondersi a livello individuale e sociale, alla rovina che vedeva avanzare per i valori interiori dell’uomo, della sua morale. Sarà questo scontento a muovere la sua opera qualunque sia il suo genere e la sua attività sia essa religiosa, politica o d’altro tipo. La notorietà, però, rimarrà fino ad oggi legata ai tre romanzi della trilogia marsigliese. Questi lo distingueranno tra gli altri autori francesi del momento, ne faranno lo scrittore più letto della Francia di fine Novecento. In particolare Solea riuscirà ad avvincere i lettori fin dall’inizio poiché li metterà nella condizione di una continua, interminabile attesa. Li terrà sempre sospesi, li farà sempre pensare che stia per accadere qualcosa di nuovo, di drammatico. E’ lo stile seguito dall’Izzo per rappresentare il confronto, la lotta con quanto di grave, di estremo può succedere nella vita, nella società, è lo stile del “noir mediterraneo” del quale è considerato il creatore. Solea è un romanzo carico di colpi di scena, di rivelazioni improvvise, di pericoli incombenti, di atti sanguinari che non escludono, tuttavia, i tentativi di fermarli, di evitarli, il desiderio di una vita dove non ci siano. C’è tanta morte nell’opera ma c’è pure tanto bisogno di vita, c’è tanto male ma c’è pure tanta volontà di bene. E compreso tra questi opposti c’è Fabio Montale, il personaggio, l’eroe che Izzo ha creato col primo dei tre romanzi e continuato fino all’ultimo. In Solea Montale ha rinunciato a fare il poliziotto ma non a sapere delle faccende losche, degli intrighi oscuri che avvengono nella Francia meridionale, intorno a Marsiglia, e nei quali sono coinvolti industriali, politici, mafiosi non solo francesi ma anche stranieri. Forti interessi economici, elevati guadagni sono alla base di tanta malavita e in essa, tra i suoi segreti, i suoi meandri, è chiamato a muoversi Montale per capire e agire, pensare e fare pur se impari è la lotta di un uomo solo contro un sistema.

Come i due romanzi precedenti anche questo è ambientato a Marsiglia. A Marsiglia e dintorni si verificano le principali situazioni dell’opera, a Marsiglia si muove Montale, il protagonista delle tante vicende che si susseguono, si complicano, s’intrecciano. Egli vorrebbe fermare la spirale di violenza, la serie di omicidi che i banditi hanno innescato intorno a lui per muoverlo a rintracciare l’amica giornalista Babette ed a convincerla a rinunciare alla pubblicazione della sua inchiesta circa i veri responsabili di tanti traffici segreti, circa gli interessi dei pochi privati che ne usufruiscono pur a costo di impoverire intere popolazioni. Montale non riesce a rintracciare Babette e convincerla. Per questo, per sollecitarlo, per intimidirlo, gli vengono sistematicamente uccisi gli amici più cari. A tante morti deve assistere ed, infine, anche a quella di Babette ed alla propria perché nessun indugio è concesso dai criminali.

Molta violenza, molta crudeltà c’è nell’opera ma è pur sempre attraversata dal desiderio di situazioni diverse, dal sogno di una vita migliore, dal pensiero di una serenità, di una pace che siano di tutti, che valgano per tutti. Sono i desideri, i sogni, i pensieri di Montale, dell’uomo che vive il male, ne diventa vittima ma non smette di pensare al bene di una vita fatta di cose semplici, naturali, dell’amore per una donna, per un figlio, del bisogno di una famiglia, dei piaceri della tavola, del buon vino, della bella musica, delle belle immagini che la natura può offrire, che Marsiglia può assumere all’alba e al tramonto, della luce immensa che a volte producono il suo mare e il suo cielo. Non una dimensione superiore, ideale vagheggia Montale ma una reale, concreta, terrena e neanche questa è possibile poiché guastato è ormai l’ambiente nel quale ci potrebbe essere.

Un tipo di eroe nuovo rispetto a quello tradizionale che viveva di grandi idee, di grandi azioni ha creato Izzo con Fabio Montale. Lui ha fatto interprete delle sue inquietudini, delle sue paure, dei suoi bisogni.

Il cruscotto del Dirigente scolastico

Il cruscotto del Dirigente scolastico

di Vincenzo Campisi

 

Introduzione

In questo contributo presento un ipertesto che contiene una serie di strumenti, testati sul campo, che, mi auguro, possa contribuire a snellire parte del lavoro quotidiano del Dirigente scolastico (d’ora in poi DS), consentendogli di recuperare tempo prezioso per esercitare un ruolo attivo nel processo di insegnamento-apprendimento attuato nella scuola di cui è a capo.

La vigente normativa impone al DS l’espletamento di una serie tale di incombenze burocratiche che doveri inderogabili, quali supportare i docenti nella progettazione di percorsi didattici significativi e riflettere criticamente sul processo di insegnamento-apprendimento, potrebbero non essere svolti in modo efficace, per oggettiva mancanza di tempo.

Il DS deve infatti occuparsi di didattica, sicurezza, organizzazione della Scuola, gestione finanziaria, attività contrattuale e negoziale, gestione dei locali scolastici, gestione della privacy…[1]

Il DS passa buona parte delle sue giornate a leggere e-mail, circolari ministeriali e documenti di varia tipologia, la maggior parte dei quali, però, non riguarda la didattica. Possono così capitare situazioni in cui i docenti siano molto più aggiornati in didattica del DS e questo è un non senso se diamo per buono l’assunto che chi è a capo di una organizzazione deve essere molto esperto nel settore di cui si occupa quella organizzazione. Se la scuola è un’organizzazione che ha come mission produrre apprendimenti, il Capo d’Istituto non può non essere un esperto in processi di apprendimento e, in particolare, nell’organizzazione dei setting di apprendimento.

Il DS dovrebbe essere esperto di pedagogia, didattica, docimologia… non di gestione finanziaria, di attività negoziale, di edilizia scolastica, di normativa sulla sicurezza…

Forse sarebbe opportuno fare un passo indietro nel tempo e ripensare alla vecchia figura del Direttore didattico e demandare al Direttore amministrativo le principali incombenze burocratiche (aumentando a quest’ultimo lo stipendio, ovviamente, già oggi intollerabilmente basso per la mole di lavoro che svolge).

Mi limito a queste poche considerazioni sulla figura del Capo di Istituto, che andrebbe profondamente ridisegnata, poiché scopo di questo contributo è quello di fornire una sorta di cruscotto che possa velocizzare l’espletamento degli adempimenti di routine e consentire al DS di recuperare quanto più tempo possibile da dedicare all’organizzazione pedagogica della Scuola.

Guida all’uso del cruscotto

Al cruscotto si accede aprendo la cartella compressa “CRUSCOTTO DS” e cliccando sul file “indice cruscotto DS”.

Il cruscotto è strutturato in due sezioni: “Documenti” e “Scadenziario”.

La sezione “Documenti” contiene un elenco di possibili documenti che ogni scuola deve avere cura di aggiornare, comunicare e far valutare a tutti i portatori di interesse. Ha il solo scopo di aiutare il Capo d’istituto a verificare la presenza e la comunicazione di alcuni importanti documenti che vengono prodotti in ambito scolastico. Gli elenchi, distinti per tipologia di documento, sono strutturati sotto forma di lista di controllo, offrendo, così, la possibilità di riportare, per ogni documento, la data dell’ultima revisione, la tipologia e la data della comunicazione, il giudizio sul gradimento ricevuto, se, ovviamente, è stato monitorato. Molti dei documenti proposti, se inseriti nel sito web dell’istituto, possono contribuire a dare un’immagine piuttosto ampia di come una scuola funzioni e operi. Ogni scuola, ovviamente, potrà aggiungere alcuni documenti o eliminarne altri, se lo riterrà opportuno. L’elenco dei documenti proposti non ha infatti alcuna ambizione di esaustività.

La sezione “Scadenziario”, pensata per un Istituto comprensivo, è una sorta di lista di controllo dei documenti di routine da trasmettere periodicamente al personale scolastico.

In entrambe le sezioni, sono proposti alcuni esempi di documenti che hanno solo valore esemplificativo; ogni DS potrà eliminare o aggiungere tutti i documenti che ritiene necessari e modificarne la tempistica che, in base alle disposizioni ministeriali, può cambiare.

Gli esempi proposti sono documenti prodotti nella scuola in cui lavoro e, pertanto, non hanno alcuna pretesa di scientificità. Scopo del cruscotto è infatti fornire uno strumento di lavoro per il DS e pertanto può essere utilizzato e modificato nel modo in cui si ritiene opportuno.

Un consiglio: prima di inserire i dati nei vari file del cruscotto, copiare la cartella “CRUSCOTTO DS” e rinominarla “CRUSCOTTO DS A.S. 2014-2015”: a fine anno scolastico, l’intera cartella andrà copiata e incollata nell’archivio presente nella sezione “Documenti”.

CRUSCOTTO DS

 


 

[1] Per avere un’idea, peraltro parziale, dei doveri del DS, si rimanda alla lettura di Marco Graziuso, Avvio del nuovo anno scolastico: adempimenti, in “Scuola & Amministrazione”, n. 7-8, luglio-agosto 2014, pp. 24-44.

Troppo facile sparare sul pianista… di turno!

Troppo facile sparare sul pianista… di turno!

di Maurizio Tiriticco

Tempo fa ho scritto un “pezzo” intitolato “Perché sono per Matteo, nonostante tutto”. Apriti cielo! Sono stati troppi i “benpensanti” che mi hanno criticato, mostrando anche un grande stupore! Forse perché il “nonostante tutto” è stato assolutamente sottovalutato. Ormai siamo abituati alle urla e si fa una gran fatica a distinguere… i “distinguo”. Ho una buona memoria e soprattutto storica, e il paragone ce l’ho sempre davanti agli occhi. Anni fa dati eventi hanno espresso uomini come Togliatti e De Gasperi!

Oggi altri tempi e altri eventi hanno espresso i Renzi e i Salvini! Questo, a mio vedere, è il dato “drammatico”, con tanto di virgolette, se le virgolette hanno un senso in una società in cui si urla più che riflettere. Allora i “fondi” sull’Unità, sul Popolo sull’Avanti di Togliatti, di De Gasperi, di Nenni avevano un senso, perché c’erano un profondo retroterra culturale e una grande vision politica e sociale. Oggi gli spezzatini del talk show servono solo a farci “divertire” un po’! Passatempi serali da un canale all’altro! E facciamo lo zapping da Ballarò a Dimartedì!!! Nulla di più!

Non è un caso che certi tempi “producano” certi uomini ed altri tempi altri uomini. La lotta al fascismo, la Resistenza – non alludo a quella dei partigiani, più nota, ma a quella dei fratelli Rosselli, di Amendola padre, di Gramsci, di Don Minzoni, di Piero Gobetti e di tanti altri, fuorusciti o confinati o carcerati – è stato un fenomeno profondo che ha tessuto tutto il ventennio mussoliniano. In effetti, erano “nate” due Italie, quella dei Resistenti comunque e quella degli Acclamanti, sempre comunque. La tragedia della guerra ha azzittito gli Acclamanti e ha “dato voce” ai Resistenti. Ed è a questi ultimi che dobbiamo la vittoria sul nazifascismo, la nascita della Repubblica e la redazione di una Carta costituzionale che è tra le più belle del mondo… ma in pochi lo sanno! Pochi in effetti la conoscono e, purtroppo, pochi la insegnano! A volte mi viene da pensare che questa Carta non ce la meritiamo, che questa democrazia la stiamo facendo a pezzi!

Abbiamo costruito le Regioni per dare più autonomia ai territori, ma, purtroppo, troppi… cattivi… Consigliori regionali hanno costruito solo il proprio malaffare! E il debito pubblico avanza minuto dopo minuto… Invece di rendere sempre più viva ed efficace la nostra Repubblica Democratica fondata sul Lavoro, ci siamo adoperati per farla a pezzi, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Non mi stupisco che non siamo più in grado di esprimere dei Togliatti e dei De Gasperi e che ci dobbiamo accontentare dei Renzi e dei Salvini. Per queste ragioni profonde sono per Renzi! E non sono per Salvini. E i tempi migliori li dobbiamo costruire. In effetti questa seconda guerra mondiale sembra che non sia ancora finita… e che la nostra Repubblica dobbiamo ancora fondarla!

L’identikit dello studente tecnologico

L’identikit dello studente tecnologico
Caratteristiche e abitudini degli studenti universitari italiani

a cura di Docsity

L’analisi ci ha permesso di definire le caratteristiche degli studenti italiani che utilizzano la tecnologia ( siti educational ) per studiare o reperire materiale didattico in rete, approfondendone le abitudini e i bisogni.
Il campione riguarda 410,314 studenti.

eta studenti che utilizzano l a tecnologia per studiare

L’80% degli studenti ha un’età compresa tra i 20 e 29 anni.

Le donne risultano essere più attratte dall’utilizzo della tecnologia per finalità didattiche degli uomini.
Tra gli studenti più tecnologici 229,775 sono donne mentre gli uomini sono 180,539.

Percentuale di uomini e donne tecnologiche

Le ricerche online effettuate dagli studenti riguardano principalmente:

Cosa cercano gli studenti online

Tra le materie che creano più problemi ai giovani studenti ci sono le materie umanistico-giuridiche.

Le materie che creano più problemi agli studenti

dove si trovano gli studenti  più tecnologici italiani Città da cui si connettono gli studenti italiani Gli orari preferiti dagli studenti per studiare

L. Calcerano – G. Fiori, Clandestini

Clandestini : una storia post-salgariana che viaggia dalle coste dell’Isola al canale di Sicilia, dalla Somalia al lago Vittoria, nel cuore dell’Africa, in un turbine di suspence e di pericoli che si susseguono come una serie di esplosioni in un territorio minato.

I diritti degli autori sono devoluti all’AMREF, l’organizzazione sanitaria no profit che opera in Africa da 60 anni.

CLANDES

Seconda Prova scritta Esami di Stato 2015

Il MIUR, con Nota 26 novembre 2014, AOODGOSV Prot. n. 7354, indica le norme per lo svolgimento della seconda prova scritta negli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado, a decorrere dall’anno scolastico 2014-2015.

La riforma delle superiori arriva a ‘Maturità’
Nella seconda prova debuttano le materie previste dai nuovi ordinamenti

Musica, Danza, Design e Scienze naturali. Sono alcune fra le materie che a giugno debutteranno alla seconda prova della Maturità. L’impianto dell’Esame resta inalterato, ma entrano in gioco le discipline di indirizzo previste dalla riforma delle superiori che quest’anno va a regime. Con la circolare inviata oggi alle scuole viene fornito un quadro completo delle materie fra cui il Ministro sceglierà ogni anno quella con cui i maturandi dovranno cimentarsi il secondo giorno dell’Esame di Stato.

Nessun cambiamento per il liceo classico, Latino e Greco restano le discipline caratterizzanti: gli studenti dovranno tradurre una versione da una delle due lingue all’italiano. Allo Scientifico (anche per l’opzione sportiva) saranno possibile oggetto della seconda prova Matematica e Fisica. Per l’indirizzo Scienze applicate dello Scientifico il Ministro potrà scegliere anche le Scienze Naturali. Per tutti gli indirizzi dello Scientifico continua ad essere prevista la trattazione di un problema a scelta del candidato fra i due proposti più alcuni quesiti. La seconda prova del Liceo delle scienze umane verterà sulle Scienze Umane (Antropologia, Pedagogia, Sociologia) nell’indirizzo di base: sono previsti la trattazione di un argomento relativo a questi ambiti disciplinari più alcuni quesiti di approfondimento. Per chi studia con l’opzione Economico Sociale si aggiunge alle Scienze Umane Diritto ed Economia Politica: qui potrà essere proposta sia la trattazione di problemi o temi disciplinari, sia, in alternativa, l’analisi di casi o situazioni socio-politiche, giuridiche ed economiche. Più ricca la rosa di materie, da quest’anno, al Liceo artistico che ora ha più indirizzi: entra anche il Design. La prova dell’Artistico consisterà nell’elaborazione di un progetto.

Per il Linguistico cambia la modalità di scelta della lingua per la seconda prova: finora era lo studente, il giorno dello scritto, a selezionare quella su cui cimentarsi, potendo optare fra tutte le lingue studiate nel percorso di studi. Ora sarà il Ministro ad indicare la lingua oggetto di verifica. La prova si articola in due parti che prevedono l’analisi e comprensione testuale e l’elaborazione di un testo narrativo, descrittivo o argomentativo.

Quest’anno debuttano alla Maturità anche i licei Musicali e Coreutici. Chi studia musica nella seconda prova dovrà cimentarsi con la Teoria, Analisi e Composizione della Musica o con le Tecnologie Musicali. Nei Licei musicali la prova si svolgerà in due parti e in due giorni: la prima parte può riguardare l’analisi di una composizione o la composizione di un brano, la realizzazione e descrizione di un percorso digitale del suono o la progettazione di un’applicazione musicale. La seconda parte, il giorno successivo, consiste nella prova di strumento.

Le Tecniche della danza saranno oggetto della seconda prova dell’Esame del Liceo coreutico. Anche qui ci saranno due giorni di prove: la prima parte prevede l’esibizione collettiva, su un tema specifico riferito agli ambiti della sezione classica e contemporanea e una relazione accompagnatoria. La seconda parte, il giorno successivo, consiste nella prova di esecuzione individuale. Per i Tecnici e i Professionali si punta sulle Lingue e non solo su materie pratiche negli indirizzi che riguardano il Turismo. Per lo svolgimento della seconda prova, in particolare negli Istituti tecnici e professionali, gli studenti potranno eventualmente avvalersi anche delle conoscenze e competenze maturate attraverso le esperienze di alternanza scuola lavoro, stage e formazione in azienda. Quest’anno l’Esame di Stato comincia il 17 giugno, con la prima prova scritta di italiano, a seguire il 18 la seconda prova di indirizzo, oggetto della circolare odierna.

La Buona Scuola secondo Padoan

La Buona Scuola secondo Padoan
Ma ancora “imperfetta”

di Giuseppe Adernò

Mentre il premier Matteo Renzi registra la soddisfazione per l’ottima riuscita della consultazione che ha creato attese e speranze, pur nell’incertezza che le proposte formulate trovino attenzione e riscontro.

Il 21 novembre il ministro Padoan ha inviato una lettera al Vice-Presidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis e al Commissario agli affari economici e monetari Pierre Moscovici, con gli impegni dell’Italia.

Queste le informazioni e le scadenze fornite per la scuola, tradotte letteralmente dalla lettera inviata in inglese:

Il Sistema Nazionale di Valutazione è già operativo e sarà rafforzato così da diventare più trasparente per i cittadini (inizio 2015);

Rafforzamento del legame fra scuola e lavoro nella scuola secondaria di 2° grado: alternanza scuola lavoro obbligatoria per gli studenti degli ultimi tre anni degli Istituti Tecnici e fortemente raccomandata in tutte le altre scuole superiori.

Più fondi per le iniziative di alternanza scuola lavoro da Dicembre 2014;

Riforma del sistema scolastico, miglioramento delle competenze degli insegnanti attraverso la formazione continua obbligatoria collegata alla possibilità di valorizzazione della carriera. Retribuzioni degli insegnanti collegate alla performance (Febbraio 2015);

Rafforzamento dell’insegnamento delle lingue straniere e delle competenze digitali. Miglioramento della digitalizzazione delle scuole (Banda larga e WI-FI), compresi i servizi amministrativi (Febbraio 2015).

Forse a queste affermazioni c’è da dare maggior credito, anche se non si conoscono ancora i dettagli applicativi della valutazione delle competenze dei docenti, avendo quasi tutti ritenuto inaccettabile la proposta del 66% per scuola.

Dicembre è alle porte e dovrebbero arrivare i fondi per sostenere le iniziative di alternanza scuola-lavoro.

Auspichiamo che l’agenda del Ministero del Tesoro e delle Finanze non vada perduta o sommersa da altre carte e richieste dai diversi settori della società ammalata e stanca.

Il cronoprogramma di Renzi si è spesso allargato a fisarmonica, senza far giungere un armonico suono, aggiungendo altri zeri all’unità nel ritmo di 10,100,1000 passi, lasciando la meta lontana; le dichiarazioni del Ministro Giannini sono rivestite di stagnola luccicante, ma risultano fragili e poco incisive nel concreto, adesso che il Ministro Padoan si è pronunziato, forse c’è ancora da sperare.

Dopo Natale indirizzeremo lo sguardo verso febbraio 2015, altra tappa di partenza per un nuovo cammino verso il miglioramento della tanto desiderata “buona scuola”, che come sostiene Paolo Sestito già commissario e presidente dell’Invalsi, finché la spesa per finanziare la scuola continuerà ad avere le caratteristiche di un costo e quindi qualcosa che si può sempre ‘tagliare’ (scuola senza “S” e quindi “suola”) resterà “imperfetta” .

Il miglioramento si potrà avere quando la spese per la scuola, assumeranno la caratteristica di “investimento”, e quindi una spesa efficace, utile, e perciò non comprimibile.

All’enfatico ottimismo di Renzi si contrappone la complessa pesantezza burocratica del sistema e si ritiene che, forse, il Governo realizzerà, alcune delle promesse annunciate, perché incalzato dalla sentenza della Corte di giustizia europea, ma si teme che la massiccia immissione in ruolo, avverrà senza nessuna valutazione del merito, assorbendo tutte le risorse e pregiudicando in tal modo qualsiasi futura valorizzazione della docenza.

Centrale e determinante per ogni disegno di riqualificazione del sistema educativo, secondo Sestito, è la buona qualità degli insegnanti, che non passa attraverso l’assegnazione di premi individuali (che sarebbe anzi controproducente perché ridurrebbe la propensione al necessario lavoro di team) ma dipende dalla qualità della loro formazione iniziale e soprattutto dalla predisposizione di efficaci filtri all’ingresso nella professione, “con vere prove selettive d’idoneità e meccanismi che confermino nel ruolo solo i capaci e i meritevoli”.

La cultura del merito spesso non dialoga con le emergenze sindacali e delle masse, ma tutto ciò ha prodotto un impoverimento della scuola che scivola verso il basso.

E allora la scuola continuerà a restare “imperfetta” e difficilmente potrà essere “buona”.

La cercan qua, la cercan là, ma “la buona scuola” dove mai sarà?

La cercan qua, la cercan là, ma “la buona scuola” dove mai sarà?

di Giovanni Fioravanti

Della ‘buona scuola’ condivido alcune affermazioni con le quali viene introdotto il progetto del governo. Quando si sostiene che è necessario uscire dal «si è sempre fatto così», che è necessario pensare in grande, penso che significhi ‘con coraggio’, che dobbiamo rivedere le categorie di pensiero finora usate a proposito del ruolo della scuola, infine entrare nel merito di quello che si fa e avviene nelle nostre scuole. Dovrebbero essere i titoli di altrettanti capitoli, ma la promessa iniziale si riduce a una sola petizione di principi, che non trovano alcuno sviluppo nello scorrere le 130 pagine che vi fanno seguito.
Sperare in un programma ambizioso, quasi radicale, ma soprattutto lungimirante, pare uno specchietto per allodole, un invito a leggere il progetto del governo che di tutto si occupa, fuorché di quello che aveva promesso in apertura.
Allora vorrei provare a scrivere in breve, dal mio punto di vista, i quattro capitoli che mancano, che l’estensore si è scordato di trattare, perché preso a occuparsi d’altro.

Capitolo 1. Uscire dalla “confort zone”, dal si è fatto sempre così.

Intanto l’invito ad abbandonare la tranquillità della routine è un invito erga omnes o rivolto a qualcuno in particolare? In mancanza di indicazioni che ne consentano l’interpretazione corretta, voglio intenderlo rivolto a tutto il paese, a partire dai suoi governanti.
A proposito di sistema scolastico, per come noi lo conosciamo, si tratta di una invenzione piuttosto recente, diffusa per lo più nelle nazioni industrializzate, poco più di un secolo e mezzo fa, che considerato nell’arco della storia dell’umanità, supera di poco lo 0,3%.
Prima che apparissero le scuole, l’apprendistato era il mezzo più comune di apprendimento per trasmettere le conoscenze esperte in settori come le arti, la medicina e la giurisprudenza. Del resto quanta parte dei saperi necessari alla nostra esistenza sono appresi informalmente, con metodi non dissimili dall’apprendistato, attraverso osservazioni, tentativi per prove ed errori, ricorrendo all’assistenza dei più esperti.
Coniugare tecniche scolastiche e vantaggi dell’apprendistato, già sarebbe un modo nuovo di pensare e di procedere. Nel merito non ci mancherebbe il conforto di una vasta letteratura e di esperienze sull’argomento a cui poter attingere idee e pratiche. Il pensiero mi corre, per fare un esempio, all’ «apprendistato cognitivo» di Allan Collins, John Seely Brown e Susan Newman. Ma perché negare che pure il più recente ‘knowledge management’ potrebbe fornire utili spunti e indicazioni, soprattutto nella direzione di rendere tutti ugualmente esperti gli elementi di un sistema, in questo caso il sistema formativo.
Se si volesse percorre questa strada come dovrebbe cambiare la nostra scuola?
Innanzitutto credo che dovrebbe somigliare più a un insieme di botteghe che di classi. La sintesi tra bottega e classe fa subito pensare al laboratorio e, quindi, uscire dal ‘si è sempre fatto così’ della tradizionale lezione, per apprendere a manipolare e produrre ‘artefatti cognitivi’, praticare i saperi nel risolvere problemi, nel costruire situazioni sempre nuove, per mettere alla prova le abilità apprese. Luoghi di fermento cognitivo ma anche operativo, di intelligenza pratica ed esperta, luoghi dove le competenze, queste sconosciute, si praticano e si agiscono calandole nella realtà.
Ma due questioni si pongono: ripensare l’edilizia scolastica, ripensare la formazione dei docenti.
Insieme a queste, abbandonare ‘la confort zone’ significherebbe cancellare dall’immaginario collettivo i topos scolastici della cattedra e dei banchi, delle classi, dei voti e dei registri, le interrogazioni, i compiti in classe e le bocciature.
Il guadagno consisterebbe nel restituire alla scuola il compito di coltivare l’intelligenza e il pensiero delle persone, la dignità del saper fare, in definitiva di non tradire la vita reale di ogni ragazza e di ogni ragazzo.

Capitolo 2. Il rischio più grande è continuare a pensare in piccolo, a restare sui sentieri battuti degli ultimi decenni.

Tra il piccolo e il grande intercorre una vasta gamma di gradazioni, e uscire dai sentieri battuti negli ultimi decenni costa. Cosa di non poco conto per un paese indebitato come il nostro.
Sarebbe sufficiente avere un pensiero forte e di lungo respiro.
Sarebbe sufficiente avere un programma di investimenti che ci permettesse di recuperare il divario che i sentieri citati ci hanno fatto accumulare nei confronti delle altre nazioni. Intanto nei livelli di apprendimento e di competenza, non solo di chi è in età scolare, ma anche e soprattutto nei confronti della popolazione adulta.
La prima domanda da porsi è se ha ancora senso affrontare il tema dell’istruzione, a partire da quella scolastica, in una prospettiva che non sia quella dell’apprendimento per l’intera vita, dalla culla alla tomba.
La ‘buona scuola’ all’istruzione degli adulti neppure accenna, come se ancora ci fosse un’età dello studio, una del lavoro e infine della pensione. Già questo dovrebbe suggerire agli estensori del documento la scarsa dimensione dei loro pensieri. Per non parlare del silenzio, del buio profondo sull’istruzione prescolastica.
Chiedo se da pensare in grande è solo la scuola o il diritto all’istruzione di ogni persona?
E se questo è il tema, come ritengo, la prospettiva da assumere può ancora essere quella scuolacentrica?
Si può ancora insistere su un’idea di istruzione a una sola dimensione, quella della scuola?
E tutti gli altri contesti dove avviene l’apprendimento, sono per sempre condannati ad essere ‘informali’ o ‘non formali’?
Nell’epoca delle reti ancora abbiamo difficoltà a far rete con le opportunità formative offerte dai nostri territori, con la vita delle persone. Non è forse questo uno spreco di risorse che non ci possiamo più permettere?
Lo studio, l’impegno, l’istruzione appresa al difuori dei percorsi scolastici e accademici sono solo da relegare in una sorta di ‘scholè’ greca, di acquisizioni relegate al tempo libero delle persone e, quindi, non degne di assurgere a saperi certificati?
Forse cessare di pensare in piccolo significa avere delle idee su tutto questo. Pensare come dare riconoscimento e peso alle competenze che le persone, piccole o grandi che siano, oggi possono acquisire in un mondo che, contrariamente al passato, quando furono inventate le scuole, è ricco di opportunità di apprendimento e di formazione.
Non si può tutte le volte partire da zero, annullare la storia del sapere delle persone. Purtroppo lo facciamo con chi immigrato nel nostro paese non è in grado, perché troppo economicamente oneroso, di ottenere il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti nel paese di origine. È come se i nostri apprendimenti non scolastici e non accademici appartenessero ad un’altra terra da cui dobbiamo emigrare per varcare la soglia dell’istruzione ufficiale.
Se c’è un’espressione che denuncia i pensieri piccoli che hanno segnato i recenti decenni, è quella dei ‘livelli essenziali di apprendimento’. Una sorta di avarizia dell’istruzione.
Pensare grande significa garantire ad ogni singola cittadina, ad ogni singolo cittadino il raggiungimento dei massimi livelli di istruzione possibili. Perché non esiste una misura del sapere, l’ansia della sua conquista, della sua necessità ci accompagna per tutto l’arco della nostra esistenza.

Capitolo 3. Abbiamo bisogno di ridefinire il modo in cui pensiamo, formiamo e gestiamo la missione educativa della scuola.

Pensare, formare, gestire la missione educativa della scuola. Nessuna delle parole che compongono questa proposizione mi piace. Le trovo anacronistiche, fuori dal tempo perché potrebbero appartenere a un tempo qualunque.
Ne colgo però l’intento, buono, positivo: ciò che noi ci proponiamo di conseguire attraverso la scuola necessita di essere ripensato.
Allora partiamo da ‘missione educativa della scuola’. Perché già questo è un pensiero.
La missione è un compito, è un incarico, quindi al nostro sistema scolastico è affidata una funzione specifica che sintetizziamo in ‘educare’.
Si tratta di rivedere i nostri pensieri, le nostre concezioni intorno a questa funzione, che forma essa assume e come deve essere condotta.
Potremmo partire dalla domanda elementare che si pongono i bambini, ‘a cosa serve andare a scuola’? La risposta ovvia degli adulti è ‘a imparare’.
Quando ero bambino io, quel ‘imparare’ mi faceva venire alla mente il mettermi alla pari, essere come gli altri miei coetanei. Non ne conoscevo l’etimologia, del resto la scuola non mi ha mai offerto l’occasione di scoprirla, che è invece ’procurare’. La scuola è il luogo in cui ci si procura il sapere.
Noi oggi usiamo l’espressione ‘imparare ad imparare’, perché il sapere è dinamico, non sta mai fermo. Il diritto allo studio non è più condividere il sapere, ma sapere come sapere, conoscere come conoscere, apprendere ad apprendere. Non so se questa è ‘la missione educativa della scuola’, certo è la sua funzione. Attrezzare le nuove generazioni con tutti gli strumenti della conoscenza.
Per cui la scuola così pensata, va costruita e organizzata.
È il luogo in cui bambine e bambini, ragazze e ragazzi vengono condotti a conquistare la sommità della piramide della conoscenza che dalle nozioni, ai saperi disciplinari, giunge alla ‘saggezza’.
‘Saggezza’ potrà anche apparire un termine desueto per i nostri tempi, ma è il solo corretto per definire in sintesi l’esito a cui dovrebbe traguardare ogni sistema formativo. Prendendo in prestito la definizione che ne dà il dizionario di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, ‘saggezza’ è «L’equilibrio nel comportamento e nel consiglio, che è frutto di una matura consapevolezza ed esperienza delle cose del mondo». Mi sembra che, se proprio di ‘missione educativa’ vogliamo parlare, nulla di meglio la possa sopravanzare.
Una scuola che non sia in grado di condurre i suoi utenti a questo risultato, una scuola che si arresti al piano dei saperi, come è ancora, nella stragrande maggioranza dei casi, la nostra scuola, non solo fallisce la sua missione educativa, ma non assolve neppure alla sua funzione.
Di fronte all’economia della conoscenza, di fronte all’economia del capitale umano che ci sono imposti dalla Banca mondiale e dall’OCSE, c’è un’alternativa, c’è un’altra strada che il nostro paese può decidere di intraprendere, ed è qui che si misura se davvero sapremo ridefinire il modo in cui pensiamo, formiamo e gestiamo la missione educativa della scuola.
L’istruzione non può mai essere estranea nelle sue finalità all’interesse di chi ne intraprende il viaggio qualunque ne sia l’età. Non può essere pensata per un obiettivo che travalichi la persona, per una visione utilitaristica della società e dei suoi mercati.
Ecco perché la ‘saggezza’, perché il fine si fa intrinseco alla persona, alla sua crescita. Perché al servizio della dignità, della libertà, dell’autonomia e del progetto di vita dei nostri giovani.
Temo che questo capitolo necessiterà ancora di molti anni prima di poter essere scritto, soprattutto perché, per poter pensare nuovo, diverso da prima, è necessario sgombrare la mente dai condizionamenti, dai biases, direbbero gli esperti, in particolare quelli che ci sono imposti dalla congiuntura internazionale.

Capitolo 4. Cosa si impara a scuola o come le nostre scuole sono gestite.

Forse il titolo di questo capitolo, che tuttavia pone la questione fondamentale dell’insegnamento, è improprio. Con ogni probabilità se ne può sintetizzare il senso riformulandolo in “Come si impara a scuola”.
Per molti l’esperienza dell’apprendimento scolastico è in solitaria, come se si scalasse la parete di una montagna.
La dimensione individuale domina generalmente le prestazioni richieste dalla scuola, anche se punteggiate da occasionali attività di gruppo, cooperative learning, scaffolding, brain storming che fanno bella mostra di sé nelle programmazioni dei docenti, i quali, per la loro stessa formazione, che ripercorre le orme di quella scolastica, poco hanno dimestichezza con la loro pratica.
I dati confermano il prevalere della lezione frontale. Il lavoro degli alunni è individuale: interrogazioni, esercizi in classe, compiti a casa, in definitiva gli studenti sono giudicati per quello che sanno fare da soli. Una comunità di apprendimento formata da tante monadi.
La vita però delle persone non funziona così, né a casa, né nel lavoro. L’apprendimento fuori della scuola è ricco di interazioni, di strumenti a cui si può ricorrere all’occorrenza, gli ingredienti che si miscelano sono tra i più vari. Tanto che il senso comune ritiene l’apprendimento scolastico lontano dalla vita reale.
È questa discontinuità, questa separatezza, questo isolamento dal mondo di fuori il nucleo che deve essere aggredito, se vogliamo per davvero riformare l’insegnamento. Così come la cronica incapacità di portare a sintesi le due culture, quella umanistica e quella scientifica, che continuano a convivere in un complessivo sbilanciamento della nostra formazione scolastica.
A partire dalle regole del “gioco della scuola” che poggiano sul pensiero puro e astratto, sulla semantica del solo lessico simbolico, spesso mettendo al bando, salvo nei casi certificati, ogni supporto strumentale.
Imparare a pensare e a operare, la confidenza con il problem solving nella scuola non si incontrano mai. Il pensiero è quello che promana dalla voce dell’insegnante e dai libri di testo, il fare è ripetere regole e principi teorici, per poi esercitarsi su di essi.
L’abbiamo già detto, il passaggio dalla classe al laboratorio cambierebbe i ruoli degli attori, in tanto da passivi a attivi, modificherebbe le interazioni e i processi, il sapere non sarebbe fine a se stesso, ma verrebbe praticato nel saper fare. Quell’operare e ricercare che ci accompagnano nel mondo reale, negli apprendimenti della vita, farebbero il loro ingresso a pieno titolo nella scuola, con il vantaggio di rendere famigliari quelle conoscenze che, per come vengono proposte dalla scuola, sembrano abitare un pianeta che non ci appartiene.
È la concezione dell’ambiente di apprendimento come luogo in cui si esercitano non la ripetitività dei saperi, ma l’applicazione, la ricerca, il pensiero critico, la creatività e la produzione. Nulla di nuovo, forse, l’abbiamo sempre detto, però continuando a perseverare nelle nostre tradizionali pratiche d’aula, che hanno finito per dare sepoltura a tutto ciò.
E già, perché se non si prende a mano seriamente il superamento della classe come luogo anonimo e indifferente di apprendimento, per dar vita ad ‘ambienti dedicati’, funzionali a ciò che si vuole apprendere – l’aula di lettere non può essere la stessa di matematica – nessun pensiero critico, creativo, produttivo, nessun apprendistato cognitivo potrà mai essere realizzato. Mai l’extrascuola entrerà nella scuola. Spazi, ambienti, tempi, flessibilità sono la chiave di ‘cosa si impara e di come le nostre scuole sono gestite’. Il tradizionale gruppo classe verrebbe superato e sostituito da gruppi mobili, eterogenei al proprio interno per interesse, motivazione, livelli di competenza. L’insegnante finalmente assumerebbe quelle funzioni prevalentemente di regia, di guida, di tutoring intelligente e di supervisione, di cui tanto inutilmente si continua a dissertare.
Su cosa si impara a scuola ci sarebbe ancora molto da dire. E se ci fosse davvero la volontà e il coraggio di affrontare questo terreno, sarebbe opportuno interrogarsi se tutte le attività che la scuola è chiamata a svolgere, sia proprio necessario perseguirle sempre ed esclusivamente al suo interno. Se solo la scuola è chiamata a fornire legittimità agli apprendimenti. Se forse non sarebbe più vantaggioso, innanzitutto per gli alunni, delegare discipline come, solo per avanzare un esempio, l’educazione motoria e la musica, ma ce ne sarebbero anche altre, a strutture più competenti che operano in modo qualificato sul territorio, creando un sistema formativo, che, superando l’ormai noiosa questione del pubblico e del privato, permettesse di costruire un sistema in rete, mantenendo il fulcro nella scuola. Una scuola che vive e cresce non perché opposta all’extrascuola, ma perché finalmente una ‘scuola-extra’, capace cioè di procedere oltre se stessa.

C. Sposini, Il metodo anti-cyberbullismo

sposiniClaudia Sposini, Il metodo anti-cyberbullismo
Per un uso consapevole di internet e dei social network

Edizioni San Paolo, 1ª edizione novembre 2014
Collana COMUNICAZIONE/STUDI
Numero pagine 112
CDU 22X 110
ISBN/EAN 9788821593598

Fino a un po’ di anni fa, la sicurezza era una questione di protezione dai pericoli del mondo tangibile. Con l’avvento di internet molte cose sono cambiate.

Questo libro intende offrire una guida pratica per comprendere e contrastare il bullismo online in un’ottica educativa e culturale che aiuti concretamente genitori, insegnanti e operatori a ricostruire un quadro articolato di difficoltà e disagi.

Oltre a riportare esempi di studi scientifici sul fenomeno, il testo intende offrire un metodo semplice e pratico che fa leva anzitutto sulla sensibilizzazione di scuola, famiglia e istituzioni. All’orizzonte, la necessità di affacciarsi sul complesso mondo dei nostri ragazzi non con una politica di “tolleranza zero”, ma con l’attenzione sincera di chi vuol proporre anzitutto chiarezza, consapevolezza e responsabilità.

Un “pronto intervento” pratico, leggibile e immediato per affrontare il cyberbullismo e usare consapevolmente i nuovi ambienti comunicativi.