Un’edizione speciale Pickwick, per conto della Sperling & Kupfer, è comparsa lo scorso Gennaio di Segreti e ipocrisie, romanzo di Sveva Casati Modignani. Era uscito nel 2019 presso Mondadori Libri e aveva confermato quello che tante altre opere della scrittrice hanno stabilito come il tema fondamentale, il leit-motiv della sua scrittura, il confronto, cioè, tra passato e presente, tra i tempi, gli ambienti, gli usi, i costumi di prima improntati ai valori dello spirito, alle regole della morale e quelli di adesso devastati dalla diffusione, dall’invasione di una vita fatta solo di interessi materiali, attenta soltanto a quanto vale, a quanto serve per i bisogni del corpo, per le necessità concrete, immediate.
Nata a Milano nel 1938, la Modignani, a ottantasei anni, sta ancora qui nella casa dove è nata che era della nonna. A Milano è cresciuta, si è formata e da quando aveva quarantanni, dopo essersi applicata in vario modo, aveva cominciato a dedicarsi alla scrittura, prima giornalistica, poi narrativa. Anche gli ambienti dello spettacolo l’avevano vista impegnata ma l’attività di scrittrice sarebbe stata la sua preferita. Anche il marito l’avrebbe aiutata finché sarebbe vissuto e molti sarebbero stati i romanzi prodotti, molte le traduzioni ottenute. Una delle più prolifiche, delle più importanti autrici contemporanee sarebbe risultata.
In Segreti e ipocrisie quattro sono i personaggi principali, gli interpreti delle vicende narrate. Sono successe nel periodo delle feste natalizie, di Capodanno, dell’Epifania. Le quattro donne protagoniste, Carlotta, Andreina, Gloria e Maria Sole, sono ancora giovani e belle anche se reduci da difficili rapporti con i loro uomini. Tutte sono colte in un momento di passaggio, di cambiamento, in uno stato di sospensione, d’indecisione tra come era stata e come vorrebbe o potrebbe essere la loro vita, tra quanto era successo e quanto poteva succedere. Vivono a Milano, in ambienti agiati, conducono una vita libera da problemi economici, sono affermate nel privato e nel pubblico, dividono il loro tempo tra case in città e altre in campagna, al mare. Ovunque si muovono tra servitù. Austeri, rigorosi come appunto quelli della vecchia aristocrazia erano stati i tempi, i luoghi della loro formazione, regolati da principi, valori di carattere morale e per questo non riescono a superare le crisi che hanno investito le loro vite. Non capiscono come sia stato possibile che quanto veniva dalla tradizione, dal passato, dalla buona condotta, abbia cessato di valere, come sia stato annullato da verità, sistemi completamente diversi quali quelli apportati dalla modernità. Nessuna di loro è stata risparmiata dalla nuova maniera, nessuna sa come fare per rimediare al problema sopravvenuto, per risolvere il disagio, il danno che sta soffrendo. Tutte si sono trovate di fronte ad una svolta, chi ad una gravidanza inattesa, chi al ritorno di una vecchia passione, chi ad un nuovo amore, chi ad un grave inganno. Tutte vedono finiti i vecchi modi di pensare, di fare, quelli che erano stati delle loro case, tutte vedono stabilirsi, definirsi altri, diversi modi per i quali non si sentono, non sono preparate. In questo stato di mancata convinzione, di difficile decisione mostrano di rimanere ed alla rappresentazione di una simile condizione dell’anima, di un senso perenne di sfiducia, di incapacità, la Modignani dedica lo svolgimento dell’intero romanzo. Farà scorrere le storie, le vite di quelle donne tra quanto richiesto dal passato e quanto dal presente. Continuo, interminabile sarà il movimento tra i due estremi, non si finirà mai di assistere al loro confronto, non si arriverà mai a vederlo risolto. Se questi erano stati i temi propri della Modignani scrittrice non ci poteva essere modo migliore per rappresentarli in una delle ultime opere se non lasciandoli divisi, incompiuti, lasciando ognuno libero di valere, di riconoscere l’altro.
La Flipped Classroom, o classe capovolta, è un’innovativa metodologia didattica che rivoluziona il tradizionale approccio frontale. Invece di dedicare il tempo in aula alla trasmissione passiva delle informazioni, gli studenti apprendono autonomamente i concetti di base a casa, utilizzando risorse come video, letture o piattaforme interattive. Questo consente loro di arrivare in classe già preparati sui contenuti fondamentali.
In aula, il focus si sposta sull’applicazione pratica e sull’interazione, ma uno degli elementi più distintivi della Flipped Classroom è che lo studente diventa il protagonista del processo educativo, assumendo spesso il ruolo di insegnante. Gli studenti, dopo aver studiato a casa, possono essere chiamati a presentare e spiegare l’argomento ai compagni, sostituendo l’insegnante nel ruolo di “docente” per quella lezione. Questo approccio non solo rafforza la loro comprensione del materiale, ma promuove il peer learning, ovvero l’apprendimento tra pari. Quando uno studente spiega un concetto, si sviluppa una comprensione più profonda sia per chi espone sia per chi ascolta.
Il docente, da parte sua, diventa una figura di supporto, facilitando le discussioni, chiarendo dubbi e guidando gli studenti durante le attività pratiche o collaborative. Grazie a questo modello, il tempo in classe è ottimizzato per attività che sviluppano competenze trasversali, come il lavoro di gruppo, la risoluzione dei problemi e la comunicazione.
La Flipped Classroom, dunque, non solo personalizza l’apprendimento, permettendo agli studenti di apprendere a casa con i propri tempi, ma stimola anche l’autonomia e il senso di responsabilità degli studenti, che diventano attori attivi del loro percorso di formazione.
La Flipped Classroom quindi non si limita a invertire il tempo dedicato a teoria e pratica, ma sposta il baricentro dell’apprendimento direttamente sugli studenti. Un aspetto centrale di questa metodologia è il fatto che gli studenti assumono un ruolo attivo nella trasmissione dei contenuti, preparandosi a casa e diventando veri e propri “insegnanti” in classe.
Come funziona il processo
Assegnazione del tema da studiare: Il docente assegna agli studenti un argomento da studiare autonomamente a casa. Può fornire materiali di supporto come video didattici, articoli, letture o piattaforme digitali (ad esempio Khan Academy, Edmodo, o Google Classroom), che gli studenti utilizzano per apprendere i concetti fondamentali. Durante questa fase, gli studenti hanno la possibilità di apprendere secondo i propri ritmi, rivedendo i materiali tutte le volte necessarie.
Preparazione della lezione a casa: A differenza del modello tradizionale, in cui gli studenti svolgono esercizi pratici a casa, qui si preparano attivamente per esporre in classe. Ogni studente o gruppo di studenti prepara una breve presentazione o un’attività interattiva per spiegare il tema assegnato. Durante questa fase, lo studente non solo acquisisce conoscenze, ma sviluppa anche competenze di ricerca, sintesi e comunicazione.
Presentazione e peer learning in classe: Una volta in classe, lo studente diventa il protagonista del processo educativo, assumendo il ruolo di insegnante e spiegando il concetto ai compagni. Questa dinamica non solo responsabilizza gli studenti, ma permette loro di consolidare meglio le informazioni, poiché la preparazione e l’insegnamento ad altri potenziano la comprensione profonda.
Il docente, nel frattempo, non si limita a osservare, ma facilita il processo, chiarendo eventuali dubbi, guidando le discussioni e offrendo feedback. Grazie a questa struttura, l’insegnante ha la possibilità di monitorare l’apprendimento e intervenire dove necessario.
Peer Learning e Flipped Classroom
Uno degli aspetti più significativi della Flipped Classroom è l’integrazione del peer learning. Il peer learning è una metodologia in cui gli studenti apprendono gli uni dagli altri, condividendo conoscenze e competenze. Quando uno studente spiega un argomento a un compagno, non solo dimostra di aver capito, ma stimola anche un apprendimento più efficace nel gruppo.
Il peer learning ha molti vantaggi:
Gli studenti sono spesso più a loro agio nell’apprendere dai pari, poiché si sentono meno giudicati.
Chi spiega sviluppa una comprensione più solida e profonda dei concetti.
Le spiegazioni tra pari tendono a essere più semplici e dirette, aiutando chi è in difficoltà.
Ad esempio, in una lezione di storia in una classe capovolta, lo studente potrebbe essere incaricato di spiegare un periodo storico, organizzando la lezione come un vero e proprio docente. Gli altri studenti, invece di ascoltare passivamente, interagiscono, facendo domande e offrendo spunti, partecipando attivamente alla discussione.
Le piattaforme digitali e la gestione della Flipped Classroom
La gestione della Flipped Classroom si avvale spesso di piattaforme digitali come Google Classroom, Edpuzzle o Khan Academy, che permettono di assegnare materiale personalizzato e monitorare i progressi degli studenti. Un esempio pratico potrebbe essere l’uso di Edpuzzle, una piattaforma che consente di arricchire i video con domande interattive, stimolando la riflessione e verificando la comprensione in tempo reale. L’insegnante può vedere chi ha completato i video e quali sono le aree in cui gli studenti hanno avuto difficoltà.
Questo permette una personalizzazione ulteriore: chi non ha compreso bene un concetto può ricevere aiuto mirato durante la lezione in classe, mentre chi ha già padroneggiato l’argomento può dedicarsi a progetti più complessi o attività di approfondimento.
Le Avanguardie Educative di INDIRE
Il Movimento delle Avanguardie Educative promosso da INDIRE ha incluso la Flipped Classroom come una delle metodologie cardine per il rinnovamento del sistema scolastico. Questa metodologia è vista come una risposta efficace alle nuove esigenze educative, dove lo sviluppo delle competenze trasversali, come il pensiero critico e la collaborazione, è fondamentale.
Nelle scuole che fanno parte delle Avanguardie Educative, la Flipped Classroom viene sperimentata con successo, soprattutto perché consente di trasformare l’aula in uno spazio di cooperazione e creatività. Ad esempio, in un liceo scientifico aderente al movimento, la classe capovolta è stata utilizzata per lezioni di matematica avanzata: gli studenti studiavano i teoremi e le dimostrazioni a casa, per poi risolvere problemi complessi insieme in classe, discutendo strategie e soluzioni in gruppo.
Neuroscienze e apprendimento attivo
Dal punto di vista delle neuroscienze, l’apprendimento attivo, come quello proposto dalla Flipped Classroom, si rivela particolarmente efficace grazie al concetto di neuroplasticità. La neuroplasticità è la capacità del cervello di riorganizzarsi e creare nuove connessioni neuronali in risposta all’esperienza e all’apprendimento. Ogni volta che un individuo è coinvolto in un’attività che richiede riflessione, problem solving o interazione sociale, il cervello si adatta, rafforzando le connessioni esistenti e creando nuove reti neuronali. Questo fenomeno è particolarmente marcato quando l’apprendimento è attivo, ovvero quando l’individuo non si limita a ricevere informazioni passivamente, ma le elabora attivamente.
Nel contesto della Flipped Classroom, l’insegnamento agli altri, tipico del peer learning, è uno degli strumenti più potenti per stimolare il cervello. Quando uno studente spiega un concetto ai compagni, si attivano diverse aree cognitive complesse, tra cui l’ippocampo e la corteccia prefrontale, responsabili della memorizzazione a lungo termine e del pensiero critico. Questo processo non solo migliora la comprensione del concetto, ma facilita anche la capacità di applicare le conoscenze in contesti nuovi, poiché lo studente è costretto a rielaborare e adattare il contenuto per trasmetterlo efficacemente agli altri.
La memoria a lungo termine è notevolmente potenziata da questo tipo di interazione. Studi neuroscientifici dimostrano che quando un concetto viene appreso attraverso l’elaborazione attiva, ossia mediante discussioni, presentazioni o insegnamento ad altri, le informazioni si sedimentano meglio rispetto a un apprendimento passivo. Il processo di insegnamento stimola il riconoscimento e la rielaborazione delle informazioni, due fasi fondamentali per il consolidamento delle conoscenze nel cervello.
Le neuroscienze offrono quindi una solida base per comprendere i vantaggi della Flipped Classroom. Il cervello umano apprende meglio attraverso l’apprendimento attivo, un processo che coinvolge la manipolazione delle informazioni, il problem solving e la collaborazione. Questo modello capovolto si allinea con i principi di neuroplasticità: il cervello si adatta e cresce quando è stimolato attraverso esperienze attive e significative.
Inoltre, uno degli aspetti centrali della classe capovolta è il rispetto dei tempi di apprendimento individuali, un concetto supportato dalla ricerca neuroscientifica. Non tutti gli studenti elaborano le informazioni alla stessa velocità; consentire loro di rivedere i materiali a casa, secondo i propri ritmi, offre l’opportunità di rafforzare le connessioni neurali, consolidando le conoscenze.
Durante le sessioni in classe, il learning by doing (apprendimento attraverso il fare) stimola l’attivazione di circuiti neuronali complessi, associati alla memoria a lungo termine e alla comprensione profonda. Le neuroscienze dimostrano che attività pratiche, come quelle tipiche della Flipped Classroom, attivano diverse aree del cervello contemporaneamente, rendendo l’apprendimento più efficace e duraturo.
Vantaggi e sfide della Flipped Classroom
La Flipped Classroom offre numerosi vantaggi che trasformano radicalmente il ruolo dello studente e dell’insegnante, ponendo lo studente al centro del processo di apprendimento. In questa metodologia, lo studente non è più un semplice ricevitore passivo di informazioni, ma diventa attivamente coinvolto nella costruzione della conoscenza, assumendo un ruolo di leadership durante le lezioni. In classe, lo studente può infatti sostituire l’insegnante, svolgendo la lezione preparata a casa, e in questo processo non solo sviluppa competenze cognitive più profonde, ma è incoraggiato a esplorare nuove tecnologie e metodologie didattiche.
Uno degli elementi più affascinanti della Flipped Classroom è che, nella fase di preparazione della lezione, lo studente può decidere di utilizzare strumenti avanzati per spiegare il concetto ai compagni. Questo può includere l’uso di tecnologie innovative come l’intelligenza artificiale (IA) per creare contenuti dinamici e interattivi, il metaverso per esperienze immersive, o persino l’uso di ologrammi per visualizzare concetti complessi in tre dimensioni. In alcuni casi, lo studente può sperimentare con sensori biomedici per applicazioni scientifiche, o utilizzare software avanzati come CANVA per la creazione di presentazioni visive accattivanti o strumenti di manipolazione video e multimediale per rendere la lezione più interattiva e coinvolgente.
Questa dinamica non solo arricchisce l’apprendimento dello studente, ma trasforma anche l’insegnante in un allievo. Quando gli studenti utilizzano tecnologie avanzate e metodologie innovative, l’insegnante si trova in una posizione di continua formazione, acquisendo nuove competenze grazie al contributo degli studenti stessi. Questo scambio reciproco crea un ambiente di apprendimento bidirezionale, in cui l’innovazione è stimolata da entrambi i lati, con l’insegnante che facilita e supporta, mentre lo studente si avventura in territori inesplorati della conoscenza.
Tuttavia, la Flipped Classroom presenta anche delle sfide. Non tutti gli studenti hanno accesso a strumenti tecnologici avanzati o dispongono di una connessione internet stabile per seguire il materiale a casa. Inoltre, la gestione dell’apprendimento autonomo può risultare difficile per alcuni studenti, richiedendo supporto continuo da parte dell’insegnante, che deve monitorare i progressi e intervenire prontamente in caso di difficoltà. È fondamentale che gli insegnanti forniscano una guida costante e personalizzata per garantire che ogni studente riesca a navigare agevolmente nel proprio percorso di apprendimento, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie senza esserne travolto.
Infine, l’aspetto collaborativo della Flipped Classroom crea una sinergia tra studenti e insegnanti, dove l’apprendimento diventa una co-costruzione di conoscenze, arricchita dall’utilizzo di strumenti tecnologici che potenziano la creatività e l’interazione. Gli insegnanti non solo diventano facilitatori, ma beneficiano della diversità delle esperienze tecnologiche e dei nuovi contenuti epistemologici scoperti dagli studenti, favorendo un ambiente scolastico dinamico e aperto al cambiamento continuo.
Conclusione
Uno studente che diventa insegnante e un insegnante che torna ad essere studente. La classe capovolta rappresenta un luogo di scambio continuo, dove tutto si trasforma in una danza di scoperte, di emozioni, di conoscenze. Le pareti dell’aula si dissolvono, facendo spazio a un universo dinamico, dove il tempo della lezione diventa un’ora di pura innovazione. Ogni gesto, ogni parola, porta con sé la carica emotiva di chi vive la scuola come uno spazio da esplorare, da abitare con il cuore e la mente, seguendo quelle intuizioni che Recalcati descrive come scintille di passione educativa.
Nella Flipped Classroom, lo studente è il centro pulsante di questa nuova visione, pronto a salire in cattedra dopo aver preparato la sua lezione a casa, magari se bambino con l’aiuto di chi lo ama di più: la sua mamma, il suo papà o i suoi nonni. È un ruolo giocato, ma che si trasforma in un’esperienza vera, dove il sorriso dello studente diventa il riflesso della gioia di imparare, mentre gli occhi luminosi dei suoi compagni che assisteranno alla sua lezione lo guarderanno con ammirazione, pronti a imparare non solo dalla stessa, ma dall’energia di chi la vive come un’avventura.
E questa avventura si ripete, ogni giorno, preparando una nuova generazione non solo a essere studenti, ma a essere i costruttori del sapere di domani. Perché la tecnologia, con tutta la sua potenza, ha cambiato i confini del possibile, trasformando i sogni di un tempo non molto lontano in realtà. Eppure, in questa corsa verso l’innovazione, rimane intatto qualcosa di antico e prezioso: la voglia di imparare insieme, di crescere insieme, di sorridere insieme, di stare insieme.
Immaginiamo un’aula dove tutto si capovolge, tranne i sorrisi, tranne gli occhi colmi di meraviglia di chi vivendola, ha capito che ogni momento trascorso insieme è un passo verso qualcosa di più grande. E quegli stessi studenti, che oggi imparano con il cuore pieno di gioia, saranno un giorno gli insegnanti di domani, pronti a trasformare il mondo che verrà con la stessa luce negli occhi, quella luce che dice: ce l’ho fatta, e posso ancora andare più lontano.
Avviso Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione 9 agosto 2024, prot. n. 124319 Procedura di reclutamento riservata di dirigenti scolastici di cui al DM n. 107/2023. Assegnazione ai ruoli regionali
Decreto Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione 9 agosto 2024, n. 2187 Graduatoria generale nazionale della procedura di reclutamento riservata di dirigenti scolastici di cui al DM n. 107 del 2023
Nota 2 maggio 2024, AOODGPER 62602 Concorso per titoli ed esami per il reclutamento di dirigenti scolastici nei ruoli regionali presso le istituzioni scolastiche statali, ai sensi del DM 13 ottobre 2022, n. 194 – Indicazioni relative allo svolgimento della prova preselettiva computerizzata
Avviso 2 maggio 2024, AOODGPER 62313 Concorso per titoli ed esami per il reclutamento di dirigenti scolastici nei ruoli regionali presso le istituzioni scolastiche statali – ai sensi del DM 13 ottobre 2022, n. 194. Calendario della PROVA PRESELETTIVA
Con l’Avviso 2 maggio 2024, AOODGPER 62313, il MIM comunica che la prova preselettiva del concorso ordinario per il reclutamento di 587 dirigenti scolastici, si svolgerà il 23 maggio 2024.
La prova preselettiva si svolgerà in turno unico su tutto il territorio nazionale nella sede individuata dall’Ufficio Scolastico Regionale presso il quale il candidato ha presentato la domanda di partecipazione. Sarà il medesimo USR a rendere nota la sede almeno quindici giorni prima dello svolgimento della prova.
La preselezione si è resa necessaria, in base a quanto prevede il Regolamento del concorso, poiché il numero dei candidati che ha presentato domanda di partecipazione è superiore a quattro volte il numero dei posti complessivamente messi a bando.
Supererà la prova preselettiva e accederà alla successiva prova scritta un numero di candidati pari a tre volte quello dei posti messi a concorso per ciascuna regione. In ogni caso saranno ammessi anche tutti coloro che, all’esito della preselezione, avranno conseguito il medesimo punteggio dell’ultimo degli ammessi.
Avviso 5 aprile 2024, AOODGPER 46322 Convocazione per la prova in modalità SCRITTA di accesso al corso intensivo di formazione di cui al DM 8 giugno 2023, n. 107
Avviso 22 gennaio 2024, AOODGPER 5914 Concorso per titoli ed esami per il reclutamento di dirigenti scolastici nei ruoli regionali presso le istituzioni scolastiche statali – D.D.G. 18 dicembre 2023 n. 2788- Costituzione delle commissioni giudicatrici a norma del D.M. 13 ottobre 2022, n. 194
Avviso 29 dicembre 2023, AOODGPER 79720 DM 8 giugno 2023, n. 107 – Modalità di presentazione dell’istanza di partecipazione alla prova di accesso al corso intensivo di formazione di cui all’articolo 3, co. 1, termini e modalità di versamento del contributo di segreteria, di cui all’articolo 4, co. 2
Decreto Ministeriale 8 giugno 2023, AOOGABMI 107 Modalità di partecipazione al corso intensivo di formazione ed alla relativa prova finale destinata ai partecipanti al concorso di cui al DDG 23 novembre 2017, n. 1259, che abbiano sostenuto almeno la prova scritta della predetta procedura concorsuale (art. 5, commi da 11-quinquies a 11-novies del decreto- legge 29 dicembre 2022, n. 198 convertito con modificazioni con la legge 24 febbraio 2023, n. 14)
Prova scritta concorso presidi, ammesso l’84,9%
Valditara: “Ho disposto accertamento responsabilità per le disfunzioni emerse”
Ieri, presso la Nuova Fiera di Roma, si è svolta la prova scritta della procedura concorsuale riservata ai ricorrenti del concorso per dirigente scolastico del 2017, prova prevista dal D.M. prot. 107 dell’8 giugno 2023, attuativo dell’art. 5 del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito dalla legge 24 febbraio 2023, n. 14.
I risultati ufficiali riportano, a fronte di 2.321 candidati partecipanti alla prova scritta, un numero di ammessi pari a 1.971, e cioè l’84,9%.
Con riferimento ad alcune criticità registrate prima dello svolgimento, segnalate anche a mezzo stampa, il Ministro Giuseppe Valditara ha dichiarato: “Le disfunzioni di cui stiamo avendo notizia sono inammissibili e, per questo, ho disposto che gli Uffici ministeriali acquisiscano immediatamente tutti gli elementi necessari per individuare, tra i vari enti competenti per la procedura, quelli cui siano addebitabili i problemi riscontrati, affinché ne possano rispondere”.
Con Avviso 5 aprile 2024, AOODGPER 46322, tutti i candidati sono convocati alle ore 10,30 del 6 maggio 2024 presso il padiglione n. 7 della NUOVA FIERA DI ROMA, Via Portuense n.1645/1647, ingresso Nord, per la prova in modalità scritta di accesso al corso intensivo di formazione di cui al Decreto Ministeriale 8 giugno 2023, AOOGABMI 107.
Come previsto dall’Avviso 22 gennaio 2024, AOODGPER 5914, nel periodo compreso dalle ore 10:00 del 22 gennaio 2024 alle ore 23:59 del 12 febbraio 2024, saranno aperte le funzioni telematiche per la presentazione delle istanze finalizzate alla nomina a componente delle commissioni giudicatrici del Concorso per titoli ed esami per il reclutamento di dirigenti scolastici nei ruoli regionali presso le istituzioni scolastiche statali (Decreto Dipartimentale 18 dicembre 2023, AOODPIT 2788).
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato l’Avviso 29 dicembre 2023, AOODGPER 79720, che reca le modalità di presentazione delle domande di partecipazione alla procedura riservata di reclutamento per i dirigenti scolastici, alla quale possono candidarsi alcune categorie di partecipanti al concorso ordinario bandito nel 2017. Questa procedura è organizzata secondo le modalità descritte nel Decreto Ministeriale 8 giugno 2023, AOOGABMI. 107. I candidati possono presentare domanda entro il 27 gennaio 2024.
Presentazione istanza di partecipazione al Concorso riservato per l’accesso ai ruoli della dirigenza scolastica, di cui al DM 107 8 giugno 2023
Regioni
Istanze inoltrate
Abruzzo
632
Calabria
1.130
Campania
3.599
Emilia Romagna
1.159
Friuli Venezia Giulia
301
Lazio
2.760
Liguria
270
Lombardia
4.031
Marche
583
Piemonte
1.456
Puglia
2.081
Sardegna
494
Sicilia
2.476
Toscana
1.726
Umbria
265
Veneto
1.981
TOTALE
24.944
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito pubblica il bando per il reclutamento di 587 dirigenti scolastici.
Al concorso – che prevede una prova preselettiva, una scritta e una orale, oltre alla valutazione dei titoli posseduti dai candidati – potrà partecipare il personale docente ed educativo di ruolo con un’anzianità di servizio di almeno cinque anni. I posti disponibili saranno ripartiti tra le regioni tenendo conto delle sedi vacanti nel prossimo triennio. Le domande dovranno esssere inoltrate tramite Istanze on Line (POLIS)entro le ore 23,59 del 17 gennaio 2024.
SEDE
N. POSTI
Abruzzo
12
Calabria
11
Campania
34
Emilia-Romagna
28
Friuli
11
Lazio
50
Liguria
6
Lombardia
156
Marche
14
Piemonte
65
Puglia
32
Sardegna
11
Sicilia
26
Toscana
54
Umbria
5
Veneto
72
TOTALE
587
Pubblicato il Decreto Ministeriale 8 giugno 2023, AOOGABMI. 107, adottato ai sensi dell’art. 5, commi da 11-quinquies a 11-novies del decreto- legge 29 dicembre 2022, n. 198 convertito con modificazioni con la Legge 24 febbraio 2023, n. 14, che definisce la modalità di partecipazione al corso intensivo di formazione e della relativa prova finale. Alla prova di ammissione al corso intensivo di formazione sono ammessi i partecipanti al concorso di cui al DDG 23 novembre 2017, n. 1259, che abbiano sostenuto almeno la prova scritta della predetta procedura concorsuale e, alla data del 28 febbraio 2023, versino in una delle seguenti condizioni: a) abbiano proposto ricorso entro i termini di legge e abbiano pendente un contenzioso giurisdizionale per mancato superamento della prova scritta; b) abbiano superato la prova scritta e la prova orale cui siano stati ammessi in forza di un provvedimento giurisdizionale cautelare, anche se successivamente caducato; c) abbiano proposto ricorso entro i termini di legge e abbiano pendente un contenzioso giurisdizionale per mancato superamento della prova orale.
Con la Sentenza 12 gennaio 2021, n. 395, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello del Ministero relativo al concorso per dirigenti scolastici bandito nel 2017 e ne ha confermato, dunque, la piena regolarità. Sono oltre 3.000 i vincitori della procedura, di cui oltre 2.500 già assunti fra il 2019 e il 2020.
Il 7 agosto 2020 il Consiglio dei Ministri autorizza il Ministero dell’istruzione ad assumere, a tempo indeterminato, per l’anno scolastico 2020-2021, n. 529 dirigenti scolastici.
Decreto Dipartimentale 6 agosto 2020, AOODPIT 986 Rettifica graduatoria generale nazionale per merito e titoli del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. n. 1259 del 23 novembre 2017
Avviso 4 agosto 2020, AOODGPER 23350 Concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le Istituzioni scolastiche statali (D.D.G. n. 1259, del 23/11/2017). Assegnazione ai ruoli regionali
Pubblicata con Avviso 30 agosto 2019 l’assegnazione ai ruoli regionali di 61 vincitori a seguito dello scorrimento della graduatoria del concorso per Dirigenti Scolastici.
Avviso 30 agosto 2019 Concorso dirigenti scolastici. Ulteriore assegnazione dei vincitori alle regioni a seguito di rinunce all’assunzione
Con Avviso 28 agosto 2019, AOODGPER 38777, il MIUR ivita i candidati collocati dal posto 1985 al posto 2045 della graduatoria approvata con Decreto Dipartimentale 1 agosto 2019, AOODPIT 1205, ad indicare l’ordine di preferenza tra le 17 regioni esclusivamente tramite POLIS a partire dalle ore 15:00 del 28 agosto 2019 e fino alle ore 23:59 del 29 agosto 2019.
Avviso 28 agosto 2019, AOODGPER 38777 Concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le Istituzioni scolastiche statali (D.D.G. n. 1259, del 23/11/2017). Ulteriori assegnazioni ai ruoli regionali a seguito di rinunce all’assunzione in servizio
L’8 agosto viene pubblicata dal MIUR l’assegnazione ai ruoli regionali dei vincitori del concorso per Dirigenti Scolastici indetto con il D.D.G. 1259 del 23 novembre 2017. I vincitori sono stati assegnati alle Regioni sulla base dell’ordine di graduatoria e delle preferenze espresse, nel limite dei posti vacanti e disponibili in ciascun Ufficio Scolastico Regionale per l’anno scolastico 2019/2020. Dei 1.984 vincitori assegnati, 1.147 sono stati destinati alla prima Regione scelta, 262 alla seconda e 146 alla terza.
Nota 8 agosto 2019, AOODGPER 36621 Assegnazione ai ruoli regionali dei vincitori del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. 1259 del 23/11/2019
Il 7 agosto il MIUR, ravvisata la necessità di apportare rettifiche ai punteggi relativi agli errori materiali rilevati nella graduatoria allegata al Decreto Dipartimentale 1 agosto 2019, AOODPIT 1205, pubblica la graduatoria definitiva del concorso per dirigenti scolastici.
Il Consiglio dei Ministri, nel corso della seduta del 6 agosto 2019, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione Giulia Bongiorno e del Ministro dell’economia e delle finanze Giovanni Tria, ha approvato un decreto del Presidente della Repubblica che prevedono l’autorizzazione al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ad assumere a tempo indeterminato, per l’anno scolastico 2019/2020, sui posti effettivamente vacanti e disponibili, 2.117 dirigente scolastici.
Pubblicata l’1 agosto la graduatoria del concorso per dirigenti scolastici.
Decreto Dipartimentale 1 agosto 2019, AOODPIT 1205 Graduatoria generale nazionale per merito e titoli del concorso per dirigenti scolastici, formata sulla base del punteggio finale conseguito dai candidati ai sensi dell’articolo 10, comma 7 del Bando e, a parità di punteggio complessivo, delle preferenze di cui all’articolo 5, commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487
Il MIUR ha reso noto che:
gli idonei al concorso sono in totale 3.420, dei quali saranno dichiarati vincitori 2.900;
sono state richieste al MEF 2.117 autorizzazioni all’immissione in ruolo, 1.984 delle quali appartengono alla procedura concorsuale in corso; i restanti posti sono relativi: – 39 alla precedente procedura concorsuale in Campania, – 67 a dirigenti trattenuti in servizio, – 1 a riammissione in servizio, – 21 a provvedimenti giurisdizionali riguardanti la Sicilia;
la graduatoria nazionale è pubblicata l’1 agosto 2019;
dalle ore 15.00 del 1^ agosto 2019 alle ore 23.59 del 4 agosto 2019 i candidati utilmente collocati nei primi 1.984 posti della graduatoria possono indicare l’ordine di preferenza tra le 17 regioni disponibili esclusivamente tramite ‘Polis’;
i vincitori saranno assegnati ai ruoli regionali sulla base dell’ordine di graduatoria e delle preferenze espresse, nel limite dei posti vacanti e disponibili in ciascun USR.
Il MIUR ha inoltre reso disponibile una tabella con la distribuzione provvisoria dei posti nelle diverse Regioni (1.986 posti su 1.984 nominati):
Abruzzo 17
Basilicata 10
Calabria 71
Campania 0
Emilia Romagna 212
Friuli Venezia Giulia (lingua italiana) 66
Lazio 107
Liguria 68
Lombardia 359
Marche 80
Molise 13
Piemonte 240
Puglia 117
Sardegna 73
Sicilia 94
Toscana 158
Umbria 37
Veneto 264
TOTALE: 1986
Il MIUR con Nota 17 luglio 2019, AOODGPER 32565, rende noto il punteggio riconosciuto dalle Commissioni esaminatrici ai titoli dei candidati che hanno superato la prova orale del Concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici.
Nota 17 luglio 2019, AOODGPER 32565 Concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le Istituzioni scolastiche statali (D.D.G. n. 1259, del 23/11/2017). Valutazione dei titoli culturali, di servizio e professionali di cui alla tabella A allegata al D.M. n. 138/2017 e all’errata corrige pubblicata nella G.U. del 21 ottobre 2017, n. 247
Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con ordinanza 11 luglio 2019, n. 3512, “(…) considerato che – a prescindere dal merito delle questioni devolute in appello e da ogni valutazione sull’effettiva portata invalidante dei vizi dedotti (segnatamente dei vizi riscontrati dal primo giudice) –, sulla base di un bilanciamento di tutti gli interessi in conflitto ed alla luce di una valutazione comparativa degli effetti scaturenti dall’esecuzione dell’appellata sentenza nelle more del giudizio di merito, con particolare riguardo all’incidenza sull’assetto organizzativo dell’amministrazione della scuola in prossimità dell’inizio del nuovo anno scolastico, deve ritenersi preminente l’interesse pubblico alla tempestiva conclusione della procedura concorsuale, anche tenuto conto della tempistica prevista per la procedura di immissione in ruolo dei candidati vincitori e per l’affidamento degli incarichi di dirigenza scolastica con decorrenza dal 1° settembre 2019 (…) accoglie le istanze cautelari proposte nell’ambito dei ricorsi principali (…) e, per l’effetto, sospende l’esecutività della statuizione di accoglimento contenuta nella sentenza impugnata; fissa l’udienza pubblica per la discussione dei ricorsi nel merito al 17 ottobre 2019 (…)“.
Il TAR Lazio, Sezione Terza Bis, con sentenza 2 luglio 2019, n. 8655, accoglie il ricorso 6233/2019 “a seguito della riconosciuta fondatezza della doglianza che ha contestato la legittimità dell’operato della Commissione plenaria nella seduta in cui sono stati fissati i criteri di valutazione, con conseguente annullamento in toto della procedura concorsuale in questione.”
Prova orale concorso
La prova orale consiste in:
un colloquio che accerta la preparazione professionale del candidato nelle materie di esame;
una verifica della capacità di risolvere un caso riguardante la funzione del dirigente scolastico;
una verifica della conoscenza degli strumenti informatici e delle tecnologie della comunicazione normalmente in uso presso le istituzioni scolastiche;
una verifica della conoscenza della lingua prescelta dal candidato tra francese, inglese, tedesco e spagnolo al livello B2 del CEF, attraverso la lettura e traduzione di un testo scelto dalla Commissione e una conversazione nella lingua prescelta.
Punteggio e modalità di svolgimento Al colloquio sulle materie d’esame, all’accertamento della conoscenza dell’informatica e all’accertamento della conoscenza della lingua straniera prescelta dal candidato, nell’ambito della prova orale, la Commissione del concorso attribuisce un punteggio nel limite massimo rispettivamente di 82, 6 e 12. Il punteggio complessivo della prova orale è dato dalla somma dei punteggi ottenuti al colloquio e nell’accertamento della conoscenza dell’informatica e della lingua. La prova orale è superata dai candidati che ottengono un punteggio complessivo pari o superiore a 70 punti. La Commissione e le Sottocommissioni esaminatrici, prima dell’inizio della prova orale, determinano i quesiti da porre ai singoli candidati per ciascuna delle materie di esame. Tali quesiti sono proposti a ciascun candidato previa estrazione a sorte.
La lettera estratta per l’inizio della prova orale è la lettera “M”.
Pubblicati il 10 maggio 2019, ai sensi dell’art. 9, comma 5, del Bando, i quadri di riferimento della prova orale del concorso nazionale per dirigenti scolastici
Come previsto dall’Avviso 19 aprile 2019, AOODGPER 18824 (Prova scritta del concorso per l’accesso ai ruoli della dirigenza scolastica – D.D.G. n. 1259 del 23.11.2017 – riscontro plurime istanze di accesso presentate dai candidati) a partire dall’ 8 maggio 2019 i candidati che hanno sostenuto la prova scritta possono prendere visione del proprio elaborato, della scheda di valutazione e del verbale relativo alla correzione del proprio compito, accedendo con le proprie credenziali all’area ‘Altri servizi’ di Polis.
Nota 2 aprile 2019, AOODGPER 13277 Concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le Istituzioni scolastiche statali (D.D.G. n. 1259, del 23/11/2017). Dichiarazione dei titoli culturali, di servizio, professionali e di preferenza a parità di merito e di titoli
Pubblicato il Decreto Dipartimentale 27 marzo 2019, AOODPIT 395 contenente l’elenco degli ammessi alla prova orale del Concorso per il reclutamento di Dirigenti Scolastici da immettere nei ruoli regionali presso le istituzioni scolastiche statali, inclusi i centri provinciali per l’istruzione degli adulti: solo 3.795 candidati ,dei 9.376 partecipanti alla prova (circa 600 dei quali ammessi con riserva), hanno superato lo scritto.
Con nota 22 marzo 2019, AOODGPER 11180, il MIUR ha comunicato che il 25 e 26 marzo 2019 si procederà allo scioglimento dell’anonimato e che successivamente sarà pubblicato il decreto con il nominativo degli ammessi alla prova orale. La stessa nota indica i criteri con i quali i candidati ammessi alla prova orale verranno abbinati ad una delle 38 commissioni/sottocommissioni esaminatrici. Entro aprile saranno individuati i membri aggregati (informatica e lingua) delle commissioni di concorso ciascuna formata da 9 membri, compreso il segretario, per un totale di 342 commissari. Previsto per i primi giorni di maggio l’inizio delle prove orali con conclusione entro la data di avvio degli Esami di Stato per arrivare, a fine giugno, alla pubblicazione della graduatoria e, il 1° settembre 2019, all’immissione in ruolo.
Corso-concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le Istituzioni scolastiche statali (D.D.G. n. 1259 del 23/11/2017). Prova scritta a Roma del 13 dicembre 2018 per i candidati muniti di ordinanze o decreti cautelari
Il 13 dicembre 2018, i candidati di regioni diverse dalla Sardegna muniti di provvedimenti giurisdizionali a loro favorevoli, non riformati dal Consiglio di Stato, con cui è stata disposta l’ammissione con riserva alla procedura concorsuale, potranno sostenere la prova scritta nelle sedi appositamente individuate dall’Ufficio scolastico regionale per il Lazio e che saranno pubblicate sul sito internet del predetto U.S.R. e del Ministero.
I suddetti candidati destinatari di provvedimenti favorevoli dovranno presentarsi presso l’aula indicata muniti del provvedimento giurisdizionale che contenga l’espressa previsione del loro nominativo, di un documento di riconoscimento in corso di validità e del codice fiscale.
Ogni ulteriore informazione e documentazione relativa alla prova scritta è disponibile nell’apposito spazio «Il corso-concorso dirigenti scolastici» sull’home page del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca www.miur.gov.it.
Diario 9 novembre 2018 Rinvio del diario della prova scritta del corso-concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, per i soli candidati della Regione Sardegna
La prova scritta del corso-concorso nazionale per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali si svolge, limitatamente ai candidati precedentemente assegnati alle sedi di esame della Regione Sardegna, in data 13 dicembre 2018, alle ore 10,00.
L’elenco delle sedi della prova scritta, con la loro esatta ubicazione e con l’indicazione della destinazione dei candidati distribuiti, nella Regione Sardegna, in ordine alfabetico, viene comunicato entro il 27 novembre 2018 tramite avviso pubblicato sul sito internet del Ministero.
In tali sedi potranno sostenere la prova eventuali candidati, residenti in Sardegna, muniti di provvedimenti giurisdizionali a loro favorevoli, non riformati dal Consiglio di Stato, con cui è stata disposta l’ammissione con riserva alla procedura concorsuale.
Avviso prova scritta regione Sardegna. Corso – concorso nazionale per titoli ed esami finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali (Decreto Direttoriale protocollo 1259 del 23 novembre 2017)
(Martedì, 30 ottobre 2018) A seguito del rinvio dell’espletamento, nella regione Sardegna, della prova scritta del corso-concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici, disposto a seguito dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Cagliari n. 62 del 17/10/2018, si comunica che il giorno e l’ora di svolgimento della suddetta prova, limitatamente ai candidati precedentemente assegnati alle sedi di esame della regione Sardegna, sarà reso noto con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 4a Serie speciale, Concorsi ed esami, del 9 novembre 2018.
Prova scritta del corso – concorso nazionale per dirigenti scolastici
La prova scritta del corso-concorso nazionale per titoli ed esami finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, unica su tutto il territorio nazionale, si svolge in data 18 ottobre 2018, alle ore 10,00 nelle sedi individuate dagli USR. Lo svolgimento della prova scritta è computerizzato.
Articolazione e durata La prova scritta consiste in cinque quesiti a risposta aperta sulle materie indicate nel bando e due quesiti in lingua straniera. Ciascuno dei due quesiti in lingua straniera è articolato in cinque domande a risposta chiusa, volte a verificare la comprensione di un testo nella lingua straniera prescelta dal candidato tra inglese, francese, tedesco e spagnolo. La prova ha la durata di 150 minuti.
Punteggio e ammissione alla prova orale A ciascuno dei cinque quesiti della prova scritta non espressi in lingua straniera, la Commissione del concorso attribuisce un punteggio nel limite massimo di 16 punti. A ciascuno dei quesiti in lingua straniera la Commissione attribuisce un punteggio nel limite massimo di 10 punti, 2 per ciascuna risposta corretta. Il punteggio complessivo della prova scritta è dato dalla somma dei punteggi ottenuti in ciascuno dei sette quesiti. I candidati che ottengono un punteggio complessivo pari o superiore a 70 punti superano la prova scritta e sono ammessi a quella orale.
Il 31 ottobre 2018 sono pubblicati i quesiti oggetto della prova scritta del corso-concorso per dirigenti scolastici, che si è tenuta in data 18 ottobre 2018. Si comunica che tra le tre prove predisposte è stata estratta la prova “B”. Le opzioni di risposta ai quesiti in lingua straniera sono disposte in ordine casuale. Sono altresì pubblicate le prove non estratte (A e C ).
L’elenco delle sedi della prova scritta, con la loro esatta ubicazione, con l’indicazione della destinazione dei candidati distribuiti, analogamente alla prova preselettiva, nella regione di residenza in ordine alfabetico, e le ulteriori istruzioni operative, viene comunicato entro il 3 ottobre 2018 tramite avviso pubblicato sul sito internet del MIUR.
“Per consultare gli elenchi relativi agli abbinamenti candidati/aule selezionare l’Ufficio scolastico della propria regione di residenza. I candidati residenti all’estero, o ivi stabilmente domiciliati, sosterranno la prova nella regione Lazio. I candidati residenti nelle province di Trento e Bolzano sosterranno la prova nella regione Veneto”
Diario 14 settembre 2018 Prova scritta del corso-concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali
In allegato al Decreto Dipartimentale 24 luglio 2018, AOODPIT 1134, è pubblicato l’elenco dei candidati ammessi alla prova scritta del concorso per dirigenti scolastici. Si tratta di coloro che hanno superato la prova preselettiva, svoltasi il 23 luglio 2018 in tutta Italia, che ha dato ufficialmente il via alla selezione di 2.425 nuovi capi d’Istituto.
Alla prova hanno partecipato 24.082 candidati effettivi sui 34.580 iscritti: 17.279 donne e 6.803 uomini. Gli ammessi allo scritto sono 8.736: gli 8.700 previsti da bando, più 36 candidati che risultano a pari merito con un punteggio di 71,7.
La prova preselettiva del corso-concorso nazionale per titoli ed esami finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, si è svolta il 23 luglio 2018 alle ore 10:00 nelle sedi individuate dagli Uffici scolastici regionali e pubblicate sul sito internet del Ministero entro il 6 luglio 2018. I partecipanti sono stati 24.082 su 34.580 candidati iscritti.
“Per consultare gli elenchi relativi agli abbinamenti candidati/aule selezionare l’Ufficio scolastico della propria regione di residenza. I candidati residenti all’estero, o ivi stabilmente domiciliati, sosterranno la prova nella regione Lazio. I candidati residenti nelle province di Trento e Bolzano sosterranno la prova nella regione Veneto”
Concorso dirigenti scolastici al via domani con la prova preselettiva. I candidati sono oltre 34mila
(Domenica, 22 luglio 2018) Prenderà il via domani mattina, alle ore 10, la prova preselettiva del concorso per il reclutamento di 2.425 dirigenti scolastici, di cui 9 destinati alle scuole di lingua slovena o bilingue presenti in Friuli Venezia Giulia. I candidati sono 34.580. Il 71% dei partecipanti alla prova è donna (24.477 candidate). L’età media è di 49 anni. I candidati, distribuiti in 1.984 aule, avranno a disposizione 100 minuti per rispondere a 100 domande a risposta multipla, estratte da un archivio di 4.000 quesiti.
Si tratta del primo concorso per l’assunzione di dirigenti scolastici dopo sette anni: l’ultimo risale al 2011. L’obiettivo è la copertura dei posti vacanti e disponibili per il prossimo triennio, il 2018-2021, e il superamento del fenomeno delle reggenze. Attualmente sono 6.792 i dirigenti in servizio, 1.189 i posti vacanti, 1.748 le reggenze, tenendo conto anche di scuole sottodimensionate e dei distacchi (comandi) presso altre amministrazioni o sindacali.
“Questo nuovo concorso, che prenderà il via domani – sottolinea il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti – oltre ad essere un’occasione di sviluppo di carriera per i docenti interessati a svolgere un nuovo ruolo, permetterà di riportare alla normalità i carichi di lavoro dei dirigenti scolastici già in servizio. Ben 1.700 di loro sono infatti reggenti di una o più scuole, tutto a detrimento della qualità della gestione dei singoli Istituti, la cui organizzazione diviene tutti i giorni più complessa. È necessario superare il fenomeno delle reggenze e consentire ai dirigenti di lavorare con carichi sostenibili garantendo così agli studenti e alle famiglie il miglior funzionamento degli istituti scolastici”.
Il regolamento del concorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 20 settembre, prevede tre fasi: una concorsuale vera e propria, una formativa di due mesi e una di tirocinio presso le scuole.
La fase concorsuale prevede una prova preselettiva volta a verificare le conoscenze di base per l’espletamento delle funzioni dirigenziali, una prova scritta che si comporrà di cinque domande a risposta aperta e due domande a risposta chiusa in lingua straniera (livello B2), una prova orale. I candidati che supereranno le prove scritte e quella orale saranno ammessi, sulla base di una graduatoria che terrà conto anche dei titoli, al corso di formazione dirigenziale e di tirocinio selettivo, finalizzato all’arricchimento delle competenze professionali delle candidate e dei candidati.
Due i mesi di lezione in aula previsti e quattro quelli di tirocinio a scuola, che potranno essere integrati anche da sessioni di formazione a distanza. Al termine di questo periodo i candidati dovranno affrontare una valutazione scritta e un colloquio orale. Saranno dichiarati vincitori del corso-concorso quanti saranno collocati in posizione utile in graduatoria generale di merito.
Pubblicati il 27 giugno 2018 i quesiti relativi al corso-concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, indetto con D.D.G. n. 1259 del 23 novembre 2017 e pubblicato per avviso nella Gazzetta Ufficiale – 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami» n. 90 del 24 novembre 2017.
Pubblicata la banca dati dei quesiti per la prova preselettiva del corso concorso per dirigenti scolastici
(Mercoledì, 27 giugno 2018) Si comunica che, ai sensi dell’articolo 6 comma 4 del Bando di corso concorso dirigenti scolastici di cui al Decreto direttoriale 1259 del 23 novembre 2017, è stata pubblicata la banca dati di 4.000 quesiti per la prova preselettiva. Sono altresì pubblicati i quadri di riferimento per la prova preselettiva previsti dall’articolo 13 comma 1 lettera c) del Decreto ministeriale 138 del 2017.
La Nota 13 giugno 2018, AOODGPER 27719 fornisce agli Uffici scolastici regionali le indicazioni relative allo svolgimento della prova preselettiva del Corso-concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento dei dirigenti scolastici presso le Istituzioni scolastiche statali, di cui al D.D.G. n. 1259, del 23/11/2017.
27 giugno 2018: pubblicazione dei quesiti oggetto della prova preselettiva
6 luglio 2018: elenco delle sedi della prova preselettiva con la loro esatta ubicazione, con l’indicazione della destinazione dei candidati e le ulteriori istruzioni operative
23 luglio 2018, alle ore 10,00: prova preselettiva
8 maggio 2018: pubblicazione dei quesiti oggetto della prova preselettiva
14 maggio 2018: elenco delle sedi della prova preselettiva con la loro esatta ubicazione, con l’indicazione della destinazione dei candidati
29 maggio 2018, ore 10,00: prova preselettiva del corso-concorso nazionale per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali
Di ogni altra comunicazione relativa al corso-concorso, nonchè di una eventuale modifica delle suddette date, verrà dato avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – 4ª Serie speciale «Concorsi ed esami» – del 24 aprile 2018.
Concorso dirigenti scolastici: il 29 maggio la prova preselettiva, la data pubblicata in GU
(Martedì, 27 febbraio 2018) La prova preselettiva del corso-concorso per dirigenti scolastici si terrà il prossimo 29 maggio 2018 alle ore 10.00. La data è stata pubblicata oggi in Gazzetta Ufficiale, 4^ Serie Speciale, Concorsi ed Esami, insieme ad alcune altre date utili ai partecipanti alla prova.
L’8 maggio sul sito internet del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (www.miur.gov.it), sarà pubblicata poi la banca dati dei 4.000 quiz da cui saranno estratti i quesiti della prova preselettiva e la pubblicazione avrà valore di notifica a tutti gli effetti.
Il 14 maggio, tramite avviso pubblicato sul sito internet del MIUR (www.miur.gov.it), sarà pubblicato l’elenco delle sedi della prova preselettiva con la loro esatta ubicazione. Per esigenze organizzative, i candidati saranno distribuiti, ove possibile, secondo la regione di residenza in ordine alfabetico. Oltre all’elenco saranno fornite le ulteriori istruzioni operative.
Infine, il prossimo 24 aprile, sempre in GU, sarà pubblicata ogni altra comunicazione relativa al corso-concorso ed eventuali modifiche delle suddette date.
Il nuovo un corso-concorso per dirigenti ha come obiettivo la copertura dei posti disponibili per il prossimo triennio, il 2018-2021. Attualmente sono 6.792 i dirigenti in servizio, 1.189 i posti vacanti, 1.748 le reggenze, tenendo conto anche di scuole sottodimensionate e dei distacchi (comandi) presso altre amministrazioni o sindacali. Il concorso consentirà quindi di abbattere il fenomeno delle reggenze sino al 2020/2021, anche perché si tratta di un bando nazionale e non regionale come l’ultimo del 2011. Si eviteranno così casi di graduatorie sguarnite e di altre troppo piene.
Complessivamente sono state 35.044 le domande di partecipazione al corso-concorso inoltrate, il 70,7% sono state inviate da candidate donne, il 29,3% da uomini. L’età media delle candidate e dei candidati è di 49 anni. La Regione nella quale sono state presentate più domande è la Campania (7.039), seguita da Sicilia (5.595), Lazio (3.887), Puglia (3.719) e Lombardia (3.051). Saranno inoltre 15 i candidati residenti all’estero che sosterranno la prova preselettiva nel Lazio, come previsto dall’articolo 6 del bando di concorso emanato a novembre. I posti a bando sono 2.425, di cui 9 destinati al concorso per le scuole di lingua slovena o bilingue presenti in Friuli Venezia Giulia.
Si sono concluse il 29 dicembre 2017, alle ore 14:00, con 39.264 domande presentate, di cui 35.044 effettivamente inoltrate, le iscrizioni al concorso per dirigenti scolastici bandito dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca lo scorso novembre. Si tratta del primo concorso per l’assunzione di dirigenti scolastici dopo oltre sei anni: l’ultimo risale al 2011.
Delle 35.044 domande inoltrate, il 70,7% sono state inviate da candidate donne, il 29,3% da uomini. L’età media delle candidate e dei candidati è di 49 anni. La Regione nella quale sono state presentate più domande è la Campania (7.039), seguita da Sicilia (5.595), Lazio (3.887), Puglia (3.719) e Lombardia (3.051). Saranno inoltre 15 i candidati residenti all’estero che sosterranno la prova preselettiva nel Lazio, come previsto dall’articolo 6 del bando di concorso emanato a novembre. I posti a bando sono 2.425, di cui 9 destinati al concorso per le scuole di lingua slovena o bilingue presenti in Friuli Venezia Giulia.
“Si tratta di un concorso atteso e molto diverso dal passato, che darà una risposta effettiva al problema delle reggenze – dichiara la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli -. Abbiamo un cronoprogramma di lavoro serrato e abbiamo previsto una modalità di selezione che tiene conto dei cambiamenti intervenuti in questi anni nella professione del dirigente scolastico. Non a caso, il nuovo concorso avrà una fase di tirocinio e accompagnamento successiva alle prove scritte, che sarà fondamentale per verificare sul campo le capacità gestionali e di organizzazione del lavoro delle candidate e dei candidati. La figura del dirigente è una figura centrale per la comunità scolastica. Ne siamo convinti. Anche per questo, con l’ultima legge di bilancio, abbiamo deciso di intervenire, anche qui dopo anni di attese e promesse, per armonizzare la retribuzione di chi dirige le nostre scuole con quella degli altri dirigenti della PA”.
Il calendario della prova preselettiva del concorso, comprensivo del giorno e dell’ora dello svolgimento della prova stessa, sarà reso noto sul numero del 27 febbraio 2018 della 4^ Serie Speciale, Concorsi ed Esami, della Gazzetta Ufficiale. Su quello stesso numero della Gazzetta sarà resa nota anche la data di pubblicazione dell’archivio di 4.000 domande da cui saranno estratti i quesiti della prova preselettiva. La banca dati dei quiz sarà comunque pubblicata sul sito del Miur almeno venti giorni prima dell’inizio della prova. L’elenco delle sedi della prova preselettiva e le ulteriori istruzioni operative saranno comunicati almeno 15 giorni prima della data di svolgimento delle prove, tramite avviso pubblicato sul sito internet del Ministero.
Il nuovo un corso-concorso per dirigenti ha come obiettivo la copertura dei posti disponibili per il prossimo triennio, il 2018-2021. Attualmente sono 6.792 i dirigenti in servizio, 1.189 i posti vacanti, 1.748 le reggenze, tenendo conto anche di scuole sottodimensionate e dei distacchi (comandi) presso altre amministrazioni o sindacali. Il 68,2% dei dirigenti in servizio è una donna, il 31,6% ha più di 60 anni (un dato comunque in calo rispetto al passato), l’età media è di 55,6 anni. I posti banditi corrispondono ai posti vacanti nell’anno scolastico in corso, più quelli che si renderanno liberi a seguito dei pensionamenti nel 2018/2019, 2019/2020 e 2020/2021, detratti quelli che si possono coprire con le graduatorie esistenti nonché quelli delle scuole sottodimensionate (che non possono avere un dirigente titolare). Il concorso consentirà quindi di abbattere il fenomeno delle reggenze sino al 2020/2021, anche perché si tratta di un bando nazionale e non regionale come l’ultimo del 2011. Si eviteranno così casi di graduatorie sguarnite e di altre troppo piene. Nel frattempo, nel corrente anno scolastico, sono stati assunti 58 dirigenti scolastici idonei ancora presenti nelle graduatorie dell’ultimo concorso bandito nel 2011: di questi 52 sono stati assegnati a scuole della Campania e 6 a istituti dell’Abruzzo. A seguito di queste assunzioni, la graduatoria dell’Abruzzo risulta esaurita. Sono state inoltre autorizzate 36 richieste di trattenimento in servizio. In attesa dell’avvio delle prove concorsuali, sono state introdotte misure dedicate ai dirigenti scolastici nella legge di bilancio per l’anno 2018: è stata introdotta la possibilità di estendere al massimo per tre anni (erano due) la possibilità di trattenimento in servizio retribuito per chi è “impegnato in innovativi e riconosciuti progetti didattici internazionali svolti in lingua straniera”.
Il regolamento del concorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 20 settembre, prevede tre fasi: una concorsuale vera e propria, una formativa di due mesi e una di tirocinio presso le scuole.
La fase concorsuale prevede una prova preselettiva unica a livello nazionale nel caso in cui le candidature siano almeno tre volte superiori ai posti messi a bando. Le candidate e i candidati dovranno rispondere a 100 quiz che saranno estratti da una banca dati resa nota tramite pubblicazione sul sito del Ministero almeno 20 giorni prima dell’avvio della prova. Le domande punteranno a verificare le conoscenze di base per l’espletamento delle funzioni dirigenziali. La prova sarà svolta al computer. Sarà ammesso allo scritto, in base al punteggio ottenuto (il massimo è 100), un numero di candidate e candidati pari a tre volte il numero dei posti disponibili per il corso di formazione dirigenziale.
La prova scritta prevede: – cinque domande a risposta aperta su: normativa del settore istruzione, organizzazione del lavoro e gestione del personale, programmazione, gestione e valutazione presso le scuole, ambienti di apprendimento, diritto civile e amministrativo, contabilità di Stato, sistemi educativi europei. – due domande a risposta chiusa in lingua straniera (livello B2) su: organizzazione degli ambienti di apprendimento, sistemi educativi europei. Le candidate e i candidati che otterranno il punteggio minimo di 70 punti potranno accedere all’orale che mira ad accertare la preparazione professionale delle e degli aspiranti dirigenti anche attraverso la risoluzione di un caso pratico. Saranno testate anche le conoscenze informatiche e di lingua straniera. Entrambe le fasi sono uniche a livello nazionale.
Le candidate e i candidati che supereranno le prove scritta e orale saranno ammessi, sulla base di una graduatoria che tiene conto anche dei titoli, al corso di formazione dirigenziale e di tirocinio selettivo, finalizzato all’arricchimento delle competenze professionali delle candidate e dei candidati.
Due i mesi di lezione in aula previsti e quattro quelli di tirocinio a scuola, che potranno essere integrati anche da sessioni di formazione a distanza. Al termine le candidate e i candidati dovranno affrontare una valutazione scritta e un colloquio orale. Saranno dichiarati vincitori del corso-concorso le candidate e i candidati che saranno collocati in posizione utile in graduatoria generale di merito.
Sono 2.425 (9 per il Friuli Venezia Giulia) i posti disponibili. Le istanze potranno essere presentate on line tramite la piattaforma Polis dal 29 novembre al 29 dicembre 2017. La data della prova preselettiva (100 quesiti a cui rispondere in 100 minuti) sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 27 febbraio 2018.
Scuola, in Gazzetta Ufficiale il bando di concorso da 2.425 posti per i dirigenti scolastici. Domande per la partecipazione dal 29 novembre al 29 dicembre. Fedeli: “Da bando risposta importante per abbattimento delle reggenze”
(Venerdì, 24 novembre 2017) Pubblicato il nuovo bando di concorso da 2.425 posti per dirigenti scolastici, di cui 9 destinati al concorso Friuli Venezia Giulia. Il bando è oggi in Gazzetta Ufficiale. Le domande per accedere al concorso si potranno effettuare dalle 9.00 del 29 novembre alle 14.00 del 29 dicembre prossimi, tramite la piattaforma del MIUR Polis. Nei prossimi giorni il Ministero attiverà un’apposita pagina web con tutta la documentazione relativa al concorso.
Attualmente sono 6.792 i dirigenti scolastici in servizio, 1.189 i posti vacanti, 1.748 le reggenze, tenendo conto anche di scuole sottodimensionate e dei distacchi (comandi) presso altre amministrazioni o sindacali. Il 68,2% dei dirigenti in servizio è una donna, il 31,6% ha più di 60 anni (un dato comunque in calo rispetto al passato), l’età media è di 55,6 anni.
I posti banditi corrispondono ai posti vacanti nell’anno scolastico in corso, più quelli che si renderanno liberi a seguito dei pensionamenti nel 2018/2019, 2019/2020 e 2020/2021, detratti quelli che si possono coprire con le graduatorie esistenti nonché quelli delle scuole sottodimensionate (che non possono avere un dirigente titolare). Il concorso consentirà quindi di abbattere il fenomeno delle reggenze sino al 2020/2021, anche perché si tratta di un bando nazionale e non regionale come l’ultimo del 2011. Si eviteranno così casi di graduatorie sguarnite e di altre troppo piene.
“I numeri del bando garantiscono una risposta importante e adeguata a scuole, ragazze e ragazzi e famiglie, garantendo l’abbattimento delle reggenze”, spiega la Ministra Valeria Fedeli. “Il ruolo della dirigenza – ricorda – è fondamentale nelle scuole: per il coordinamento del lavoro, per tenere insieme la comunità scolastica. Il dirigente è un punto di riferimento. Abbattere il fenomeno delle reggenze significa, dunque, lavorare per la qualità del sistema”. Il concorso sarà innovativo sotto il profilo della selezione. “Sarà un corso-concorso, con una fase di tirocinio e accompagnamento successiva alle prove scritte, che è fondamentale per verificare sul campo le capacità gestionali e di organizzazione del lavoro delle candidate e dei candidati, chiamati anche a dimostrare la capacità di inserimento nella comunità scolastica ed educante, oltre che le loro conoscenze sulla normativa del settore. Si tratta, in sintesi, di un concorso che tiene conto dei cambiamenti che la professionalità del dirigente ha subito in questi anni per selezionare i migliori profili, valorizzando anche titoli ed esperienze fatte dalle e dagli aspiranti, compresi titoli di dottorato o attività di ricerca”, chiude Fedeli.
Le modalità del concorso Al corso-concorso possono partecipare le docenti e i docenti e il personale educativo di ruolo con almeno cinque anni di servizio. È utile anche il servizio precedente al ruolo. Tre le fasi previste per la selezione: una concorsuale vera e propria, una formativa di due mesi e una di tirocinio presso le scuole. La fase concorsuale prevede una prova preselettiva unica a livello nazionale nel caso in cui le candidature siano almeno tre volte superiori ai posti messi a bando. Le candidate e i candidati dovranno rispondere a 100 quiz che saranno estratti da una banca dati resa nota tramite pubblicazione sul sito del Ministero almeno 20 giorni prima dell’avvio della prova. Le domande punteranno a verificare le conoscenze di base per l’espletamento delle funzioni dirigenziali. La prova sarà svolta al computer. Sarà ammesso allo scritto, in base al punteggio ottenuto (il massimo è 100), un numero di candidate e candidati pari a tre volte il numero dei posti disponibili per il corso di formazione dirigenziale.
La prova scritta prevede: – cinque domande a risposta aperta su: normativa del settore istruzione, organizzazione del lavoro e gestione del personale, programmazione, gestione e valutazione presso le scuole, ambienti di apprendimento, diritto civile e amministrativo, contabilità di Stato, sistemi educativi europei. – due domande a risposta chiusa in lingua straniera (livello B2) su: organizzazione degli ambienti di apprendimento, sistemi educativi europei.
Le candidate e i candidati che otterranno il punteggio minimo di 70 punti potranno accedere all’orale che mira ad accertare la preparazione professionale delle e degli aspiranti dirigenti anche attraverso la risoluzione di un caso pratico. Saranno testate anche le conoscenze informatiche e di lingua straniera. Entrambe le fasi sono uniche a livello nazionale.
Le candidate e i candidati che supereranno le prove scritta e orale saranno ammessi, sulla base di una graduatoria che tiene conto anche dei titoli, al corso di formazione dirigenziale e di tirocinio selettivo, finalizzato all’arricchimento delle competenze professionali delle candidate e dei candidati.
Due i mesi di lezione in aula previsti e quattro quelli di tirocinio a scuola, che potranno essere integrati anche da sessioni di formazione a distanza. Al termine le candidate e i candidati dovranno affrontare una valutazione scritta e un colloquio orale. Saranno dichiarati vincitori del corso-concorso le candidate e i candidati che saranno collocati in posizione utile in graduatoria generale di merito.
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n° 220 del 20-09-2017, il Decreto Ministeriale 3 agosto 2017, n. 138, Regolamento per la definizione delle modalità di svolgimento delle procedure concorsuali per l’accesso ai ruoli della dirigenza scolastica, la durata del corso e le forme di valutazione dei candidati ammessi al corso, ai sensi dell’articolo 29 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dall’articolo 1, comma 217 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Dirigenti scolastici, in Gazzetta Ufficiale il Regolamento del nuovo concorso. Fedeli: “Selezione di qualità. Sarà abbattuto il fenomeno delle reggenze”
(Mercoledì, 20 settembre 2017) È in Gazzetta Ufficiale il Regolamento che definisce le nuove modalità di selezione per il reclutamento delle e dei dirigenti scolastici. Dopo l’ultimo concorso del 2011 ripartono, infatti, le procedure di assunzione che consentiranno di abbattere il fenomeno delle reggenze. Oggi sono 6.792 i dirigenti scolastici in servizio, 1.189 i posti vacanti, 1.748 le reggenze, tenendo conto anche di scuole sottodimensionate e dei distacchi (comandi) presso altre amministrazioni o sindacali. Il 68,2% dei dirigenti in servizio è una donna, il 31,6% ha più di 60 anni (un dato comunque in calo rispetto al passato), l’età media è di 55,6 anni.
Il Regolamento pubblicato oggi, al quale farà seguito il bando di concorso che sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale e sul sito del Ministero dell’Istruzione, prevede un corso-concorso in tre fasi, che ha come obiettivo la copertura dei posti disponibili per il prossimo triennio, il 2018-2021.
“Con il nuovo concorso affronteremo la carenza strutturale di personale dirigente nelle scuole che ha fatto crescere, di anno in anno, il fenomeno delle reggenze, fino a renderlo patologico – sottolinea la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli -. I numeri del bando rappresenteranno una risposta importante, che terrà conto delle necessità attuali e del turn over dei prossimi anni. Il ruolo della dirigenza – prosegue la Ministra – è fondamentale nelle scuole: per il coordinamento del lavoro, per tenere insieme la comunità scolastica. Il dirigente è anche un punto di riferimento per le famiglie. Abbattere il fenomeno delle reggenze significa, dunque, lavorare per la qualità del sistema. Il concorso sarà poi innovativo sotto il profilo della selezione: sarà un corso-concorso, con una fase importante di tirocinio e accompagnamento successiva alle prove scritte che è fondamentale per verificare sul campo le capacità gestionali e di organizzazione del lavoro delle candidate e dei candidati, chiamati anche a dimostrare la capacità di inserimento nella comunità scolastica ed educante, oltre che le loro conoscenze sulla normativa del settore. Si tratta, in sintesi, di un concorso che tiene conto dei cambiamenti che la professionalità del dirigente ha subito in questi anni per selezionare i migliori profili, valorizzando anche titoli ed esperienze fatte dalle e dagli aspiranti, compresi titoli di dottorato o attività di ricerca”.
Le fasi della selezione Al corso-concorso possono partecipare le docenti e i docenti e il personale educativo di ruolo con almeno cinque anni di servizio. Tre le fasi previste per la selezione: una concorsuale vera e propria, una formativa di due mesi e una di tirocinio presso le scuole.
La fase concorsuale prevede una prova preselettiva unica a livello nazionale nel caso in cui le candidature siano almeno tre volte superiori ai posti messi a bando. Le candidate e i candidati dovranno rispondere a 100 quiz che saranno estratti da una banca dati resa nota tramite pubblicazione sul sito del Ministero almeno 20 giorni prima dell’avvio della prova. Le domande punteranno a verificare le conoscenze di base per l’espletamento delle funzioni dirigenziali. La prova sarà svolta al computer. Sarà ammesso allo scritto, in base al punteggio ottenuto (il massimo è 100), un numero di candidate e candidati pari a tre volte il numero dei posti disponibili per il corso di formazione dirigenziale.
La prova scritta prevede:
cinque domande a risposta aperta su: normativa del settore istruzione, organizzazione del lavoro e gestione del personale, programmazione, gestione e valutazione presso le scuole, ambienti di apprendimento, diritto civile e amministrativo, contabilità di Stato, sistemi educativi europei.
due domande a risposta chiusa in lingua straniera (livello B2) su: organizzazione degli ambienti di apprendimento, sistemi educativi europei.
Le candidate e i candidati che otterranno il punteggio minimo di 70 punti potranno accedere all’orale che mira ad accertare la preparazione professionale delle e degli aspiranti dirigenti anche attraverso la risoluzione di un caso pratico. Saranno testate anche le conoscenze informatiche e di lingua straniera. Entrambe le fasi sono uniche a livello nazionale.
Le candidate e i candidati che supereranno le prove scritta e orale saranno ammessi, sulla base di una graduatoria che tiene conto anche dei titoli, al corso di formazione dirigenziale e di tirocinio selettivo, finalizzato all’arricchimento delle competenze professionali delle candidate e dei candidati.
Due i mesi di lezione in aula previsti e quattro quelli di tirocinio a scuola, che potranno essere integrati anche da sessioni di formazione a distanza. Al termine le candidate e i candidati dovranno affrontare una valutazione scritta e un colloquio orale. Saranno dichiarati vincitori del corso-concorso le candidate e i candidati che saranno collocati in posizione utile in graduatoria generale di merito.
Il Metodo di studio nel giardino della vita Radici di felicità
di Bruno Lorenzo Castrovinci
Introduzione
Settembre arriva, portando con sé l’eco lontana dell’estate che si ritira, lasciando spazio al risveglio delle menti e dei cuori che si preparano ad affrontare un nuovo ciclo di apprendimento e lavoro intellettuale. È il mese in cui le aule si riempiono nuovamente di voci, i libri si aprono con promesse di scoperte e gli studi professionali riprendono il loro ritmo, scandendo il tempo con il primo di settembre come un antico orologio che segna l’inizio di un viaggio ciclico e sempre nuovo.
Questo momento dell’anno, così carico di potenzialità, è un invito a riflettere sulle meraviglie delle neuroscienze, delle scienze metacognitive, della psicologia e della pedagogia, tutte unite nel comune scopo di migliorare il nostro modo di apprendere e crescere. Il metodo di studio, quel filo sottile che collega la mente al sapere, diventa protagonista in questo percorso: possederne uno valido ed efficace non è solo questione di successo scolastico o professionale, ma è la chiave per vivere pienamente, liberando tempo e energie per coltivare altre passioni, per respirare a pieni polmoni la vita che ci circonda.
Che tu sia un giovane studente, un universitario in cerca della propria strada, o un professionista impegnato nella formazione continua, il metodo di studio è l’alleato silenzioso che ti accompagna. È grazie a esso che si può trasformare l’apprendimento da un dovere faticoso a un’esperienza che arricchisce e nutre l’anima, offrendo la possibilità di esplorare nuovi orizzonti senza il peso della fretta, ma con la leggerezza di chi sa di avere il tempo dalla sua parte.
Così, in questo settembre che segna l’inizio di un nuovo anno di sfide e di scoperte, lasciamoci guidare dalla bellezza di un metodo di studio ben scelto e ben utilizzato, un compagno di viaggio che ci permetterà di affrontare il cammino con la certezza di poterci fermare, di tanto in tanto, a contemplare il panorama della nostra crescita personale e professionale.
Il metodo di studio infatti è un elemento fondamentale per il successo scolastico e professionale di tutti gli studenti, indipendentemente dal livello di istruzione. Che si tratti di alunni della scuola primaria, studenti universitari o professionisti in fase di formazione continua, un approccio sistematico allo studio può fare la differenza tra un apprendimento superficiale e una comprensione profonda e duratura. Grazie alle ricerche in ambito pedagogico e alle scoperte neuroscientifiche, è possibile adattare e migliorare continuamente il metodo di studio per rispondere alle diverse esigenze degli studenti in tutte le fasi della loro vita.
Scuola Primaria
Nella scuola primaria, il viaggio dell’apprendimento comincia con la costruzione delle fondamenta su cui poggerà tutto il sapere futuro. È un periodo magico, in cui la mente dei bambini, plastica e ricettiva, si apre al mondo come un fiore al sole, pronta ad assorbire ogni nuova esperienza. In questo delicato stadio della crescita, il metodo di studio non può essere una rigida struttura, ma deve fluire come un gioco, danzare come una melodia interattiva che cattura l’attenzione e nutre l’entusiasmo dei piccoli apprendisti.
Le neuroscienze ci sussurrano che in questa fase, la mente è un terreno fertile, dove ogni seme di conoscenza può germogliare rigoglioso se curato con attenzione e creatività. La ripetizione spaziale diventa allora un prezioso strumento, che, come il ritmo di un respiro, scandisce il tempo dell’apprendimento, consolidando le informazioni nel profondo della memoria. La lettura ad alta voce, invece, è come una brezza che soffia attraverso le parole, dando vita a mondi immaginari e stimolando il pensiero critico e l’immaginazione.
I materiali visivi e tattili, con le loro forme e colori, trasformano concetti astratti in realtà tangibili, che i bambini possono esplorare con le loro mani e i loro occhi, rendendo l’apprendimento un’esperienza multisensoriale e, dunque, indimenticabile. Immagina un bambino che maneggia blocchi colorati per comprendere le operazioni matematiche: non è solo un esercizio, ma un dialogo silenzioso tra il suo cervello e il mondo delle idee.
Il gioco, poi, è il linguaggio naturale dell’infanzia. Attraverso il gioco, i bambini non solo apprendono, ma esplorano, sperimentano e, soprattutto, scoprono che sbagliare non è una fine, ma l’inizio di un nuovo percorso. I giochi educativi, che uniscono divertimento e apprendimento, sono ponti verso la comprensione, che i bambini attraversano con leggerezza e curiosità.
E infine, in questo processo, la collaborazione tra insegnanti e genitori è come un abbraccio che sostiene e guida. I genitori, partecipando attivamente all’educazione dei loro figli, creano un filo di continuità tra la scuola e la casa, arricchendo l’apprendimento con attività condivise che rafforzano i legami familiari e il desiderio di sapere.
Così, il metodo di studio nella scuola primaria si rivela essere una danza armoniosa tra il gioco e la scoperta, un percorso che, guidato dalle scoperte neuroscientifiche, prepara i bambini non solo a imparare, ma a vivere con pienezza ogni tappa del loro viaggio verso la conoscenza.
Scuola Secondaria
Gli studenti della scuola secondaria si trovano in una fase cruciale del loro sviluppo cognitivo, dove iniziano a padroneggiare abilità mentali più complesse come il pensiero critico, l’analisi e la sintesi delle informazioni. In questo periodo, il metodo di studio deve evolversi per diventare più strutturato, integrando tecniche specifiche come la presa di appunti, la creazione di mappe concettuali e l’uso di strategie di memorizzazione.
Un esempio di tecnica di memorizzazione è la tecnica dei loci, un metodo che sfrutta la memoria spaziale per ricordare le informazioni, associandole a luoghi specifici. Un’altra tecnica efficace è la tecnica del pomodoro per la gestione del tempo, che divide lo studio in intervalli di 25 minuti seguiti da brevi pause, migliorando così la concentrazione e la produttività.
Le scoperte neuroscientifiche, come quelle relative al “testing effect” di Henry Roediger, mostrano che la pratica del recupero delle informazioni è una delle strategie più efficaci per la memorizzazione a lungo termine. Questo significa che gli studenti possono beneficiare enormemente dall’autovalutazione regolare attraverso quiz e test di pratica, piuttosto che limitarsi a rileggere o ripetere passivamente le informazioni. Questa pratica non solo rafforza la memoria, ma anche la capacità di applicare le conoscenze in contesti diversi.
Inoltre, l’apprendimento autonomo diventa sempre più importante in questa fase. Gli studenti devono sviluppare la capacità di pianificare e monitorare il proprio progresso, adottando un approccio strategico allo studio che li aiuti a gestire meglio il tempo e le risorse a disposizione. L’uso di mappe concettuali è un altro strumento potente per visualizzare le relazioni tra diversi concetti e facilitare la comprensione e l’integrazione delle informazioni.
Queste tecniche e strategie non solo aiutano gli studenti a gestire il carico di studio, ma li preparano anche per le sfide future, rendendoli più autonomi e sicuri nel loro percorso di apprendimento.
Lo studio all’Università
A livello universitario, l’apprendimento si sposta verso un livello più avanzato, concentrandosi sulla ricerca, sull’analisi critica e sulla capacità di applicare le conoscenze teoriche a problemi complessi. Gli studenti devono essere in grado di gestire grandi volumi di informazioni e di lavorare in modo indipendente. Il metodo di studio a questo livello richiede un approccio integrato, che combini diverse strategie come la lettura critica, la scrittura accademica e la discussione interattiva con i coetanei e i docenti.
Barbara Oakley, nel suo libro A Mind for Numbers, propone l’importanza di alternare tra il “focus mode” e il “diffuse mode” del pensiero. Il focus mode è caratterizzato da un’attenzione intensa e mirata, ideale per risolvere problemi specifici e per l’apprendimento dettagliato di concetti complessi. Al contrario, il diffuse mode è più rilassato e aperto, permettendo alla mente di vagare e formare connessioni inaspettate. Questa alternanza è essenziale per risolvere problemi complessi e per favorire la creatività. Oakley sottolinea che gli studenti universitari possono trarre grande vantaggio dall’alternare periodi di studio concentrato con pause rilassanti, poiché ciò permette al cervello di consolidare le nuove informazioni e di integrarle in modo più efficace.
Un esempio di applicazione pratica di questo concetto è l’uso della tecnica del pomodoro: gli studenti studiano intensamente per 25 minuti (focus mode), seguiti da una breve pausa (diffuse mode). Questo ciclo permette di mantenere alta la concentrazione mentre si evita l’affaticamento mentale. Durante le pause, il cervello ha il tempo di riorganizzare le informazioni e di stabilire nuove connessioni, favorendo così un apprendimento più profondo.
Inoltre, gli studenti universitari devono sviluppare la capacità di sintetizzare informazioni complesse attraverso mappe concettuali e di esporre le loro idee in modo chiaro e convincente, sia in forma scritta che orale. L’interazione con i docenti e i coetanei attraverso seminari e gruppi di studio non solo stimola la discussione e il confronto, ma aiuta anche a rafforzare le proprie conoscenze e a scoprire nuove prospettive.
Infine, la gestione del tempo è una competenza cruciale a questo livello. Gli studenti devono essere in grado di bilanciare il carico di lavoro accademico con altre responsabilità, sviluppando un piano di studio che consenta di affrontare le scadenze in modo efficiente. La capacità di prioritizzare i compiti e di pianificare lo studio su un lungo arco temporale è fondamentale per evitare lo stress eccessivo e per raggiungere risultati accademici elevati.
In sintesi, il metodo di studio a livello universitario deve essere flessibile e strategico, capace di integrare diverse tecniche e di adattarsi alle esigenze individuali dello studente. Alternare tra momenti di intensa concentrazione e periodi di rilassamento è fondamentale per promuovere un apprendimento efficace e duraturo.
L’aggiornamento e la Formazione Professionale
Dopo la laurea, il viaggio dello studio non si arresta, ma prosegue con rinnovata intensità nel cuore stesso dell’esercizio della propria professione. Che si tratti di un libero professionista che traccia il proprio sentiero o di un dipendente che opera all’interno di un ente pubblico o di un’impresa privata, la formazione continua diventa un alleato silenzioso, una forza invisibile che guida ogni passo nel mondo in costante mutamento del lavoro.
Nel panorama della formazione professionale continua, il metodo di studio si trasforma in uno strumento essenziale per l’apprendimento permanente. Le competenze richieste evolvono con una rapidità tale che adattarsi non è più sufficiente: occorre anticipare il cambiamento, cavalcarlo con consapevolezza e determinazione. È qui che il microlearning si rivela un prezioso compagno di viaggio. Questo approccio, fatto di piccoli frammenti di conoscenza, consente ai professionisti, spesso stretti tra mille impegni, di acquisire nuove competenze in modo rapido e mirato. Sono pillole di sapere, brevi e incisive, che si inseriscono nella routine quotidiana senza sconvolgerla, ma arricchendola.
E poi c’è l’apprendimento autodiretto, quell’arte di navigare tra le risorse online, le conferenze, i workshop, cercando e trovando esattamente ciò di cui si ha bisogno. In un’epoca in cui l’informazione è a portata di clic, il vero valore risiede nella capacità di saper discernere, scegliere e integrare ciò che serve per crescere e migliorare. Piattaforme come Coursera, LinkedIn Learning e Udemy offrono un universo di possibilità, consentendo a ciascuno di apprendere a proprio ritmo, seguendo il proprio sentiero personale verso l’eccellenza.
Ma c’è di più: l’apprendimento non è un viaggio che termina con il conferimento di un titolo, ma un percorso che dura una vita intera. Il concetto di “lifelong learning” si erge come un faro in un mondo in cui le competenze non sono mai statiche, ma in continua evoluzione. È un invito a rimanere sempre proattivi e flessibili, pronti a imparare, a rimettersi in gioco, a rispondere ai cambiamenti del mercato del lavoro con creatività e resilienza.
In sintesi, la formazione continua non è solo un mezzo per acquisire nuove competenze; è una filosofia di vita, una scelta consapevole di crescita e adattamento in un mondo del lavoro che non si ferma mai. Il metodo di studio diventa allora il nostro compagno più fidato, colui che ci permette di non perdere mai di vista l’obiettivo, di affrontare ogni sfida con la certezza di essere pronti e preparati. E così, la nostra vita professionale si arricchisce di significato, diventando un’avventura continua alla scoperta del sapere e delle nostre potenzialità.
Influenza delle Neuroscienze su Tutti i Livelli di Apprendimento
Le neuroscienze hanno rivoluzionato la comprensione di come il cervello apprende e ricorda, fornendo preziosi spunti su come migliorare le tecniche di studio a tutti i livelli. Un contributo fondamentale in questo campo è il “Brain-Based Learning” di Eric Jensen, che mette in luce l’importanza di coinvolgere tutte le funzioni cerebrali nell’apprendimento. Jensen sostiene che per ottimizzare l’apprendimento, è cruciale stimolare la plasticità cerebrale e considerare i ritmi circadiani. Questi ritmi, che regolano i cicli naturali di sonno e veglia, influenzano i momenti di massima concentrazione durante la giornata. Ad esempio, studiare nelle prime ore del mattino, quando il cervello è più fresco e riposato, può migliorare significativamente la capacità di assimilare e ricordare le informazioni.
Inoltre, le neuroscienze hanno evidenziato il ruolo centrale delle emozioni nell’apprendimento. Le emozioni positive, come la gioia o la soddisfazione derivanti dal successo, facilitano la produzione di neurotrasmettitori come la dopamina, che a loro volta migliorano la memorizzazione e la capacità di apprendere. Questo ha portato a un maggiore focus sulla creazione di ambienti di apprendimento positivi e motivanti, sia nelle scuole che nelle istituzioni di istruzione superiore. Un ambiente di apprendimento che stimola emozioni positive non solo rende lo studio più piacevole, ma migliora anche l’efficacia con cui gli studenti possono apprendere e applicare nuove conoscenze.
In sintesi, grazie alle scoperte neuroscientifiche, possiamo adattare le tecniche di studio per coinvolgere meglio il cervello, favorendo un apprendimento più profondo e duraturo attraverso la considerazione dei ritmi biologici e l’influenza delle emozioni positive.
Principali Testi e Autori sul Metodo di Studio
Il metodo di studio è un tema cruciale per chiunque desideri migliorare l’efficacia del proprio apprendimento, e diversi autori hanno offerto contributi significativi su come sviluppare tecniche di studio più efficaci. Tra i testi di riferimento, spicca “Imparare a studiare: il metodo di studio” di Mario Polito. Questo libro è una guida completa che combina approcci psicopedagogici con tecniche pratiche, fornendo strategie dettagliate per l’organizzazione dello studio, la gestione del tempo e lo sviluppo di abilità metacognitive. Polito insiste sull’importanza della personalizzazione del metodo di studio, adattandolo alle caratteristiche cognitive e motivazionali di ciascun studente. Egli sottolinea anche l’importanza della motivazione intrinseca e della gestione del tempo per ottimizzare l’apprendimento.
Un altro testo fondamentale è “How to Study in College” di Walter Pauk. Pauk è noto per aver sviluppato il metodo Cornell per la presa di appunti, una tecnica che organizza le informazioni in modo da facilitare la memorizzazione e il recupero dei contenuti durante lo studio. Questo sistema è stato ampiamente adottato non solo nelle università americane, ma anche in contesti educativi internazionali, grazie alla sua efficacia nel migliorare la comprensione e la ritenzione delle informazioni.
Il libro “Make It Stick: The Science of Successful Learning” di Peter C. Brown, Henry L. Roediger III, e Mark A. McDaniel si distingue per il suo approccio basato su evidenze scientifiche. Gli autori esplorano concetti come la pratica distribuita, il recupero attivo delle informazioni e l’apprendimento intercalato. Questi metodi sono supportati da numerose ricerche neuroscientifiche e psicologiche che dimostrano come l’apprendimento efficace non si basi solo sulla ripetizione meccanica, ma anche sulla capacità di applicare e richiamare le informazioni in contesti diversi.
Infine, “The Study Skills Handbook” di Stella Cottrell è un testo particolarmente utile per gli studenti universitari e per chi si prepara ad affrontare esami complessi. Cottrell offre una vasta gamma di tecniche per migliorare la concentrazione, la gestione del tempo, la scrittura accademica e la preparazione agli esami. Il libro si distingue per il suo approccio pratico e per l’attenzione dedicata all’autovalutazione e al miglioramento continuo, rendendolo una risorsa essenziale per chiunque voglia affinare le proprie abilità di studio.
Questi testi rappresentano pilastri fondamentali per chi desidera approfondire e migliorare il proprio metodo di studio, offrendo strumenti concreti e strategie basate su solide basi scientifiche per ottimizzare l’apprendimento a qualsiasi livello.
Conclusione
Il metodo di studio è molto più di una semplice tecnica; è il filo conduttore che accompagna ogni studente, dall’infanzia fino alla maturità, nella scoperta del sapere e nella costruzione di una vita piena e soddisfacente. Dalla scuola primaria, dove il metodo di studio è giocoso e interattivo, fino alla formazione continua, dove diventa un alleato essenziale per affrontare le sfide del mondo professionale, l’approccio all’apprendimento evolve e si trasforma, adattandosi alle esigenze specifiche di ogni fase della vita.
Integrando le scoperte neuroscientifiche e le strategie pedagogiche avanzate, possiamo creare percorsi di apprendimento che non solo facilitano il successo scolastico, ma promuovono anche lo sviluppo di competenze fondamentali per la vita. Queste competenze, che vanno dalla capacità di pensiero critico alla gestione del tempo, dall’autodisciplina alla creatività, sono i pilastri su cui costruire una carriera soddisfacente e una vita felice.
Acquisire un metodo di studio efficace è il primo passo verso un successo formativo che non si limita a riempire le pagine di un libro, ma che motiva e ispira, accendendo una passione duratura per la conoscenza. Questo metodo non solo rende ogni istante della nostra esistenza più interessante, ma ci conduce anche verso una comprensione più profonda del mondo che ci circonda. E in questa comprensione, che è il frutto maturo di anni di apprendimento consapevole, troviamo le radici della felicità autentica.
Così, nel cammino dell’apprendimento, che si snoda lungo tutto l’arco della vita, il metodo di studio diventa il nostro compagno più fidato, il mezzo attraverso il quale trasformiamo ogni sfida in una nuova opportunità, ogni dubbio in una porta verso nuove certezze. In questo viaggio, il metodo di studio è la bussola che ci guida, e il traguardo non è solo il successo accademico o professionale, ma la gioia di vivere una vita ricca di significato e di scoperte.
Perché, alla fine, imparare non è solo accumulare conoscenze, ma imparare a vivere, scoprendo in ogni momento un nuovo motivo per stupirsi, crescere e gioire di ciò che il mondo ha da offrire. E così, il metodo di studio, quando ben coltivato, ci regala la più preziosa delle conquiste: la capacità di vivere con pienezza e consapevolezza ogni attimo della nostra esistenza.
Madre: Smettila di commiserarti! Ti comporti come se tutto ciò che ti è capitato fossero disgrazie e tu non avessi alcuna responsabilità.
Figlio: No, Mamma! Il fatto è che, da ogni parte, viene scaricata su di me ogni colpa, come se fossi stato io a compiere tutte le scelte, sin da quando ero piccolo.
M.: Cosa intendi dire? Chi ti ha costretto a fare quel che non volevi?
F.: Nessuno, ma io ero davvero in grado di capire quello che volevo? A undici anni, appena uscito dalle elementari, quando ho formulato l’idea di entrare in seminario, ero in grado di capire cosa significasse questa scelta?
M.: Ti dirò la verità, tuo padre e io non ci siamo posti il problema, forse perché, a quel tempo, avere un prete in famiglia era un titolo di merito, forse perché alcuni genitori sceglievano questa strada per i figli che non erano in grado di mantenere agli studi. In ogni caso, non era una scelta definitiva, era un percorso che si poteva interrompere.
F.: Voi avete guardato al futuro lontano senza considerare quello prossimo. Vi siete chiesti quale sarebbe stata la mia vita in una realtà monca, soltanto maschile, con scarsi contatti con l’esterno? A quell’età, non ero in grado di pormi questo problema. Il mio mondo era popolato da ragazzetti come me, che amavano giocare a calcetto. Ma la preadolescenza era vicina, con la sessualità che avrebbe presto imposto un cambiamento di prospettiva e, in quel momento, io mi sarei trovato chiuso in un mondo senza la presenza femminile. Mi sarebbero state negate tutte le curiosità, le emozioni, anche le difficoltà, le frustrazioni nel rapporto con l’altro sesso. La mia vita sarebbe stata priva di quella molteplicità di stati d’animo che l’attrazione, l’infatuazione, l’innamoramento comportano. Pensi che una simile amputazione possa avvenire senza conseguenze?
M.: Figlio mio, pensavo che si potessero generare forme di trasgressione come la lettura di giornalini scandalistici che quasi costò a tuo zio l’espulsione dal collegio.
F.: No, Mamma, le conseguenze di quella deprivazione erano molto, molto più gravi. Non selezionare i ricordi. Pensa a ciò che ti raccontò tuo marito, che pure era già al ginnasio all’epoca dei fatti: tra i ragazzi c’era l’abitudine di accarezzare quelli con i glutei più rotondi!
M.: E’ vero, ma poi tuo padre ha avuto una vita sessuale normale e io ne sono testimone.
F.: Forse perché, dopo due anni, minacciò di scappare dal collegio se non lo avessero fatto uscire e, comunque, portò a lungo i segni di quelle esperienze.
M.: In concreto, secondo te, cosa avremmo dovuto fare?
F.: Quello che tu stessa mi hai detto che fece tuo padre con te. Mi hai raccontato due episodi. Il primo è di quando eri ancora alle elementari e la suora che ti dava lezioni di pianoforte gli comunicò che intendevi farti suora. Lei ti regalò un libro su Santa Chiara e lui non proferì parola, né in quel momento né in seguito.
M.: Era un uomo saggio, capiva bene che la mia giovane età impediva che si potesse dare un valore permanente a quella mia supposta aspirazione. In effetti, ero semplicemente attratta dalla veste monacale e dal mistero che sentivo aleggiare nella vita del convento.
F.: E quando, a quindici anni, gli comunicasti che volevi fare l’attrice?
M.: Ancora una volta, mio padre fu abilissimo: mi disse che non sarebbe stato un problema ma che prima dovevo finire la scuola.
F.: Lo vedi? Non ti presentò difficoltà ma prese tempo per dare a te stessa il modo di maturare una decisione, tant’è che, dopo la maturità, eri proiettata verso altri obiettivi. Perché non faceste così con me, consigliandomi di proseguire la scuola pubblica per entrare poi in un seminario maggiore? A diciotto anni sarei stato molto più consapevole, avrei saputo agire e reagire adeguatamente nelle varie situazioni. Avrei saputo respingere gesti mai immaginati e rifiutare approcci non desiderati, perché avrei capito e riconosciuto la differenza rispetto alle tenerezze e alle effusioni che avrebbero popolato i miei sogni e regalato magia alla mia realtà. Avrei capito che i compagni di seminario non erano comparabili con le amiche di scuola. Invece l’impossibilità del confronto ha finito col rendere accettabili comportamenti di coetanei e superiori che mai lo sarebbero stati in condizioni normali. Io non sono gay, Mamma!
M.: Sono stata miope e superficiale, figlio mio: mi dispiace non avere colto in tempo le implicazioni della tua situazione e tratto le conseguenze. Non mi ero resa conto del motivo per cui addossavi a me e a tuo padre parte della responsabilità per la tua condizione e non avevo decifrato il dolore e il disagio che ti porti dentro. Solo ora immagino la riluttanza a cedere a desideri che non erano i tuoi, ad abituarti a sollecitazioni non richieste e che, anche per chi le forniva, erano soltanto un ripiego, un surrogato, come il caffè di cicoria che si beveva durante la guerra, come l’omosessualità in carcere. Se soltanto ci avessi pensato per tempo! Sento parlare di una potente lobby gay in Vaticano e mi rattrista pensare che tu, per un’unica ragione, il fatto di essere in procinto di diventare prete, possa essere inquadrato tra i colpevoli mentre sei una vittima. Perché intendiamoci: se si è omosessuali, il problema è costituito dalla mancata astinenza, ma se non lo si è, a questo si aggiunge anche l’aver agito controvoglia o l’avere addirittura semplicemente subito.
F.: Sono vittima ma anche colpevole per non avere avuto il coraggio di ribellarmi, fin dall’inizio.
M.: Ma se tu stesso hai detto che non conoscevi altra realtà! A quell’età, poi, quando non si è ancora definita la propria identità, non si capisce nemmeno bene cosa si vuole e cosa non si vuole e, in ogni caso, non si può rifiutare ciò che non si riconosce, a parte il fatto che ti devi essere trovato in una condizione di impotenza se non addirittura di sudditanza. Da quando ho percepito il tuo problema, mi sono impegnata a studiare …
F.: Ecco, lo sapevo, tu trasformi sempre tutto in una occasione di studio, quasi che così si risolvano le questioni.
M.: E’ vero, figlio mio, che non si risolvono ma conoscere il passato ci offre spunti per decifrare il presente e per individuare spiragli che indichino possibili vie d’uscita, perché – credimi – la storia dell’umanità ha delle costanti che ci possono sorprendere. Pensi forse che il ricevere attenzioni sessuali indesiderate o, peggio, subire atti omosessuali sia una particolarità del nostro tempo? La costante è che gli esseri umani riescono ad abituarsi quasi a tutto, specie quando le regole sono dettate, se non da dominatori, dalle convenzioni o dalle tradizioni. Credi davvero che tutti i giovani gradissero il ruolo passivo che, nelle società tribali, toccava loro nella relazione, anche sessuale, con cui si concretizzava parte del rito di iniziazione che segnava il passaggio all’età adulta, quando era ammesso solo il ruolo attivo, quello che caratterizza il rapporto con la donna?
F.: Certo che no e sicuramente non lo gradivano tutti i ragazzi tra i dodici e i quattordici-quindici anni che, ad Atene, si ritrovavano soggetti passivi, pur “all’interno di un legame affettivo duraturo”. Ne sono testimonianza “le affermazioni di autori come Platone, Senofonte e lo pseudo Luciano, quando parlano del disgusto dei giovani amati, dell’umiliazione e del rancore che essi provavano verso gli amanti dopo il rapporto”[1].
M.: Vedo che hai letto il saggio di Cantarella.
F.: Illuminante. Così ho capito il perché di quei rapporti che alcuni semplicemente accettavano mentre altri, come Aristotele, rimpiangevano: “il ricordo del piacere provato provoca il desiderio di rinnovare il congiungimento che vi si accompagnava”. Non c’era possibilità di scelta, secondo le proprie inclinazioni; erano una “necessità sociale”[2] legata al fatto che, al centro dell’organizzazione della comunità non c’era il rapporto uomo-donna ma il rapporto tra uomini. Cantarella spiega: “il rapporto eterosessuale dava la vita fisica; la funzione di dare vita nel gruppo al maschio adulto, la funzione di creare l’uomo come individuo sociale spettava invece al rapporto omosessuale, che come sappiamo si stabiliva a questo scopo, quasi istituzionalmente, tra un adulto e un ragazzo. Ma questo rapporto doveva durare solo per un periodo di tempo ben delimitato. Una volta raggiunta la maturità, infatti, il ragazzo doveva abbandonare il ruolo passivo (sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista sessuale) e assumere un ruolo duplicemente attivo: quello eterosessuale del marito, e quello omosessuale dell’amante, educatore di un ragazzo amato»”[3].
M.: Vedi, figlio mio, che c’è una ragione per tutto? E’ perché c’era un tempo per tutto, anche per “assumere il ruolo virile con una donna, nel matrimonio”. A questo proposito, c’è una indicazione molto significativa nell’Iliade, quando Teti si rivolge al figlio, disperato per la morte di Patroclo: “Accanto ad Achille sedette l’augusta sua madre, / lo carezzò con la mano e chiamandolo a nome gli disse: / «Figlio mio, fino a quando gemendo e soffrendo dolori / ti roderai il cuore, del tutto oblioso del cibo, / del letto? Eppure è bello congiungersi con una donna / in amore»”[4]. E’ l’immagine di una madre affettuosa che esorta il figlio a superare quello stadio, ad andare oltre il “cameratismo di guerrieri” e “a compiere finalmente il suo dovere sociale”[5].
F.: A me il discorso di Teti sembra quello tipico del genitore che si cura meno dei problemi psicologici che dei problemi sociali.
M.: Sento un tono di rimprovero nella tua voce.
F.: Te ne meravigli? E’ vero che Teti sta agendo su ordine di Giove, adirato per lo scempio che, da nove giorni, Achille sta facendo del corpo di Ettore, colpevole di avere ucciso Patroclo. E’ vero altresì che è difficile il compito di convincere il figlio, caratterizzato dall’«ira funesta», a consegnare la salma a Priamo per la sepoltura. E’ pur vero, tuttavia, che, nel suo discorso, Teti non sembra tenere in alcun conto l’intensità del rapporto che legava i due amici. Noi sappiamo, infatti, che Achille, sperando di essere il solo tra i due a morire a Troia, confidava di poter assegnare a Patroclo il ruolo di tutore del proprio figlio. E sappiamo anche quanto premuroso Patroclo fosse stato con Briseide quando era stata condotta schiava di guerra. A lui, cadavere, la donna rivolge il proprio lamento, quasi possa sentirla: “tu no, non volevi / ch’io piangessi, ma sempre dicevi che resa m’avresti / d’Achille divino la sposa legittima e, a Ftia sulle navi / condotta, il banchetto nuziale tra i Mirmidoni avresti imbandito. / Perciò senza fine io ti piango morto, dolcissimo sempre!”[6].A me sembra altissima la statura umana di questo eroe ucciso: non mi meraviglia che abbia suscitato tanto amore e non mi importa se il legame con Achille avesse o no una componente sessuale. Era amore e tanto mi basta. Per me il problema sorge quando l’amore non c’è o non è reciproco.
M.: Capisco quello che intendi dire: i genitori, nel valutare la condizione dei propri figli, usano parametri che prescindono dal loro benessere presente e futuro. Ad esempio, non tengono in conto se abbiano o no conosciuto una realtà prima di allontanarsene. Forse hai ragione. Il problema è che spesso è così difficile conoscervi! Tu, per esempio, sei sicuro di esserti sforzato di farmi comprendere il tuo disagio, quando ha cominciato a prendere corpo?
F.: Ecco, lo sapevo che, ancora una volta, la colpa era mia! Proprio tu mi parli così, tu che hai sempre sostenuto che ti bastasse uno sguardo per capire se qualcosa non andava! Ma non mi vedevi, in quei brevi periodi che trascorrevo a casa? Non ti rendevi conto di quanto poco sereno fossi? Sembra quasi che tu non mi abbia guardato come persona ma come un esserino da gestire nel modo migliore possibile, quello che potesse darti la massima tranquillità. E dove maggiore tranquillità che in un seminario?
M.: Dimentichi che sei stato tu a chiederlo?
F.: No, ma tu e Papà siete stati pronti ad assecondarmi, come se la mia fosse la migliore delle scelte possibili, come una buona sorte. Non mi avete posto nessun problema, non mi avete presentato nessuna difficoltà. Non vi siete chiesti e non mi avete chiesto se ci fosse un qualcosa che mi sarebbe potuto mancare.
M.: Tu avresti saputo rispondere?
F.: Non credo, ma sarei stato costretto a riflettere. Invece così mi sono trovato in un ambiente sconosciuto, al quale mi sono semplicemente dovuto adattare accettando relazioni che non avevo mai nemmeno immaginato. Mentre rispondeva pienamente alle mie aspettative la realtà educativa, sono stati per me sorprendenti alcuni rapporti affettivi che ho via via individuato e che erano talvolta connotati da una fisicità che mi appariva morbosa e comunque sgradita. Era come se invano fossero trascorsi millenni da quando, nella Grecia precittadina, “i ragazzi apprendevano le virtù che avrebbero fatto di loro degli adulti durante il periodo di segregazione, vivendo in compagnia di un uomo, al tempo stesso educatore e amante”, mentre a Sparta “i ragazzi, a dodici anni, erano affidati a degli amanti, scelti tra i migliori uomini in età adulta, e da questi imparavano a essere dei veri spartiati”[7].
M.: Ma quanti di questi casi hai trovato in tutti questi anni?
F.: Mamma, cosa dici? Fai una questione di numeri?
M.: No, figlio mio, volevo solo dire che in ogni contesto ci sono le eccezioni, le famose “mele marce”, ma questo non consente di generalizzare; come dice il proverbio, di “buttare il bambino con l’acqua sporca”. Nella vita mi è capitato di avere a che fare con un sacerdote che stimavo, al quale mi rivolgevo per le messe ai defunti, e che poi ha dato scandalo, sorpreso a compiere atti sessuali con un ragazzino. Una storia squallida, che però non mi ha indotto a colpevolizzare tutto il clero. Mi rendo conto di quanto sia difficile la rinunzia alla sessualità e come questa, in un contesto in cui non sia possibile la sua libera espressione, possa trovare vie improprie. Mi viene in mente ciò che disse Gesù a conclusione di una discussione sul matrimonio e sul fatto che non convenisse sposarsi se non si poteva ripudiare la propria moglie: “vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli”[8]. Ora, un conto è “la teorizzazione della continenza come valore morale”, un altro è la pratica “dell’astinenza come stato di vita più alto e più vicino al Signore, come strumento per la conquista del premio nella vita eterna”[9]. Non è facile accettare l’idea della “superiorità del celibato volontario”[10], rifiutare la sessualità e rendersi eunuchi, specie per alcuni. Ora ti dico una cosa che spero non ti scandalizzi. E’ un pensiero rimasto confuso finché non ho letto questo passo di Mancuso: “Riferendosi all’espressione «il discepolo che egli amava», presente sei volte nel Vangelo di Giovanni, alcuni hanno ipotizzato una tendenza omosessuale di Gesù. La realtà è che questa figura un po’ enigmatica del discepolo preferito è completamente assente nei Sinottici, ricorre solo nel Quarto vangelo e solo nella seconda parte, forse come proiezione del suo autore, e non ha nulla a che fare con la vita di Gesù quale emerge da tutte le altre fonti, ben più affidabili dal punto di vista storico. Se quindi si vuole ritrovare nel «discepolo che egli amava» un segnale di tendenza omosessuale, essa riguarda non Gesù ma l’autore del Quarto vangelo”[11]. Non avevo mai pensato che Gesù fosse omosessuale semplicemente perché, in quanto Dio venuto in terra come “Figlio dell’Uomo”, cioè figlio dell’Essere Umano, nella mia mente non poteva avere altro ruolo che quello di fratello dell’umanità intera. Avevo sempre pensato che l’espressione di Giovanni potesse essere una vanteria, come quella dei bambini quando sostengono “la mamma vuole più bene a me”. In alternativa, l’espressione mi sembrava interpretabile come “il discepolo che lo amava”, lo amava più di tutti e pertanto era da lui ricambiato con la massima intensità. L’ipotesi riportata da Mancuso mi ha fatto molto riflettere: se davvero Giovanni fosse stato gay, sarebbe stato bellissimo, perché vorrebbe dire che Gesù davvero lo amava particolarmente perché era il più fragile, quello che faceva più fatica a stargli accanto, a “rendersi eunuco per il regno dei cieli”.
F.: Mamma, davvero non c’è limite alle tue elucubrazioni! Però devo ammettere che la tua ipotesi mi intriga. Amare qualcuno e stargli accanto sapendo bene di dover respingere qualunque impulso, di doversi negare qualunque aspettativa, è terribile: vuol dire amare fino al sacrificio. Ora rivedo la mia esperienza con altri occhi ma non cambia la mia convinzione che il seminario minore sia un errore.
M.: Ma, figlio mio, io ho sempre pensato che il seminario fosse, dopo la famiglia e forse più ancora che la famiglia, il luogo più protetto al mondo!
F.: E non hai pensato che una realtà mutilata come quella potesse generare storture e potesse impedire a ciascuno di trovare la propria identità, anche sessuale? Tu non hai idea di come sia triste assistere alle manovre di preadolescenti che cercano di trovare uno sbocco alle loro pulsioni!
M.: Vuoi forse dire che le cose andavano meglio nella Grecia dell’età classica, quando era previsto che il figlio, per il passaggio all’età adulta, venisse affidato a un adulto di valore, che avesse le qualità per fare di lui un degno esponente della propria comunità e che con lui avesse un rapporto esclusivo, anche di tipo sessuale? Andavano meglio quando i genitori, che non ponevano in discussione le convenzioni, si limitavano a proteggere i propri figli dai corteggiatori inadeguati facendoli, come ad Atene, “controllare dai pedagoghi”[12]?
F.: Non dico che era meglio; dico che, già allora, c’erano leggi a protezione dei ragazzi, tese a evitare ai giovanissimi “le possibilità di frequentazioni e di incontri pericolosi” col rischio di diventare prede di avventurieri. Per questo “era considerato infame intrattenere qualunque rapporto” con i minori di dodici anni ed era corposo l’elenco degli amanti di “cattiva qualità” cui era proibito frequentare il locale ginnasio: tra questi gli schiavi, i liberti, i prostituti, i commercianti, gli ubriachi e i pazzi[13]. Alcune cose, a mio giudizio, col tempo sono cambiate ma non tutte con effetti positivi. Per esempio, “l’uomo romano era condannato alla virilità”[14]. Per questo, “a differenza dei greci, i romani non ritenevano che, per i ragazzi, essere soggetti passivi di un rapporto omosessuale fosse educativo. […] Sessualmente […] erano uomini, anche se solo in potenza: e come tali non dovevano mai essere sottomessi”. D’altra parte, mancando la “funzione pedagogica del rapporto, […] fondamentale in Grecia”, veniva meno ciò che dava una motivazione nobile al compito assegnato all’adulto, che pur godeva di una posizione di predominio. Di conseguenza, nel mondo latino, dove “l’adolescenza era breve” tanto che, “a quattordici anni, un ragazzo era già considerato un adulto […] e poteva prendere moglie”[15], “con il giovinetto amato […] si viveva una vera storia d’amore: destinata peraltro a finire […] nel momento in cui l’amante compiva l’atto che per i romani altro non era, di regola, che un dovere sociale, e che segnava l’inizio di una nuova era della vita: il matrimonio”[16]. Questo scatenava i pappagalli stradali, le cui iniziative potevano diventare veri e propri “attentati all’onore” dei “ragazzi di nascita libera”. I “giovani ingenui”, che non potevano uscire da soli, erano protetti dal pretore con la punizione di “chi sottraeva loro la scorta” giacché, “senza scorta, essi si presentavano, a chi li incontrava, come persone di facili costumi”[17].
M.: In conclusione, vuoi dire che c’erano più tutele di oggi? Di nessun rilievo è dunque il fatto che “quel che era riprovato era solo il fatto di amare un giovane libero e cittadino romano”, mentre restava escluso lo schiavo che “non apparteneva, come soggetto, al mondo della città” e che poteva dunque essere sodomizzato senza problemi giacché “subire il padrone era parte integrante del dovere di servirlo”[18]?
F.: Questo è un altro discorso, Mamma. Voglio semplicemente dire che, se certe cose accadono oggi, non si può liquidare la faccenda dando la colpa al fato. A me sembra che le famiglie non si assumano appieno le proprie responsabilità, scaricandole sulla scuola o, più genericamente, sulla società. Penso a quanto si è impoverito il novero delle doti richieste a un compagno di scuola per essere considerato degno di essere frequentato: basta che sia “di buona famiglia” e prenda bei voti. Poco importa se manca di sensibilità ed è anche magari un po’ bullo; se ti capisce; se ha piacere di stare con te o lo fa solo per convenienza; soprattutto, se tu hai piacere di stare con lui.
M.: Figlio mio, non hai idea di quanto sia difficile essere genitore. Mio padre diceva sempre: “io faccio quello che posso; il resto, come Dio vuole”. Io non so se ho fatto tutto quello che potevo. Probabilmente no. Certo mi sono posta il problema dell’identità sessuale ma non ho mai immaginato che potesse essere messa a repentaglio in un seminario. Ho letto tanto, cominciando naturalmente con Platone e quella bellissima immagine che spesso viene citata solo per metà: “Tanto tempo fa la nostra forma non era come adesso, ma diversa. Per cominciare, i generi umani erano tre, non come oggi, due: maschio e femmina. Allora se ne aggiungeva un terzo, partecipe d’entrambi i sessi. […] L’uomodonna esisteva come sesso a parte, allora”. Mi è sembrata rivoluzionaria questa “lezione preliminare sulla fibra umana” perché supera la concezione binaria per cui, sin dalle origini, o si è maschi o si è femmine. Questi esseri sferici “erano mostri d’aggressività e di resistenza. Pieni d’orgoglio assalirono le divinità. […] Zeus ebbe un lampo di genio. Disse: «[…] li spacco tutti in due, ad uno ad uno, così le loro forze caleranno». […] Ora, dopo il dimezzamento della figura umana, ogni parte rimpiangeva quel suo doppio”. Qui finisce la parte più citata della storia. La più interessante è, a mio giudizio, il seguito, in cui Platone fa una casistica di ciò che poteva accadere a ciascuno nella ricerca della metà mancante.
F.: Lo so, ho studiato il Simposio: “Esistono uomini risultato della spaccatura di quel vivo nodo che, allora, si chiamava uomodonna: sono amatori della donna, questi, e la risma degli adulteri, quasi tutta, alligna qui; ed ecco anche le donne appassionate d’uomo, specialmente adultere, tutte dallo stesso ceppo”. Questo è l’effetto del ricongiungimento delle due parti del terzo sesso. Nessun problema per gli altri due. Infatti, “donna nata da spaccatura di donna, non fa tanto caso all’uomo, quanto si orienta sulle altre donne: da qui le donne che vanno con le donne. Chi è taglio di maschio, bracca il maschio”.
M.: E contempla i vari stadi e le varie possibilità di interazione anche sessuale tra due metà con “radici maschili”, concludendo: “Qualcuno dice che sono scandalosi: è una calunnia. Non compiono quell’atto per istinto osceno: anzi, è tutto cuore, fibra maschia, d’uomo vero, è l’attrazione, in loro, per natura affine. Documento sicuro di questo: solo questi, fattisi maturi, riescono uomini versati in politica”[19]. Io penso che dovrebbero leggere questo passo tutti coloro che nascono “taglio di maschio” e soprattutto coloro che li avversano, li denigrano, li dileggiano, li giudicano anormali.
F.: Io lascerei da parte il riferimento alla politica, visto il basso livello di considerazione di cui gode al giorno d’oggi. Piuttosto confronterei il discorso di Platone con le informazioni che, da medico, già venticinque anni fa, ha offerto la monaca benedettina e teologa Teresa Forcades quando, parlando di gender, ha spiegato che esistono almeno tre dimensioni del sesso biologico: “Sul piano cromosomico (genetico) tutti sappiamo che esistono xx(femmina) e xy (maschio) e molti sono convinti che vi siano soltanto queste due possibilità, ma non è così. […] Oltre a xx e xy, che tutti conosciamo, esiste infatti anche xxy: in medicina si chiama «sindrome di Klinefelter». Questa composizione genetica riguarda una persona ogni mille. C’è poi anche un’altra possibilità: x0 («sindrome di Turner»). Questi due sessi genetici che ho nominato cosa sono: femmine o maschi?”[20]. Pensa a quanto è divenuto attuale questo discorso durante le ultime Olimpiadi …..
M.: …con osservazioni e commenti che denotavano estrema ignoranza e volgarità. A me, invece, viene in mente ciò che disse Calvino in una intervista nel 1980: “Nella mia vita ho incontrato donne di grande forza. Non potrei vivere senza una donna al mio fianco. Sono solo un pezzo d’un essere bicefalo e bisessuato, che è il vero organismo biologico e pensante”[21]. Sembra Platone rivisitato ed è stupendo il modo in cui viene proposto il risultato del rapporto che si crea quando c’è vera intimità e appartenenza reciproca. E’ l’effetto dell’amore vero e a me non interessa se si generi tra due persone dello stesso sesso o di sesso diverso e non m’importa nemmeno che sia eterno: mi basta che esista all’interno di una relazione. Sono troppo vecchia per accettare rapporti basati solo su un’attrazione momentanea, su una voglia occasionale. Siamo persone; per me non esiste il “fare sesso”, non ha senso un amplesso equivalente al mangiare quando si ha fame, bere quando si ha sete, e trovo fulminante l’affermazione di Simone de Beauvoir riportata da Forcades: “rispetto alle esperienze sessuali riferite dalle giovani ragazze americane quindicenni sosteneva che avessero fatto più che altro «ginnastica pelvica»”[22]. Per me esiste solo il fare l’amore – come cantava Dalla – “ognuno come gli va”. Mi rendo conto ora di non aver riflettuto sulla condizione di chi l’amore non lo può fare e se ne deve privare senza nemmeno averlo conosciuto. Ci penso e me ne rammarico profondamente.
F.: Peccato che avere studiato tanto ti sia servito tanto poco, come madre!
M.: E’ vero. Il fatto è che, per tanti anni, convinta che, per gli esseri umani, il sesso, non essendo legato alla procreazione, dunque alla conservazione della specie, sia o debba essere semplicemente un piacere, ho trovato normale poterne fare a meno, come col desiderio di cioccolata, cui si rinuncia in tempo di fioretti. Non solo. Non mi sono posta il problema di tutte le persone per cui si tratta di un impulso irrefrenabile, che non possono essere condannate a una vita da eunuchi. Dopo tutto, Gesù stesso parla del “rendersi tali”, cioè di una decisione di cui non può farsi carico un ragazzino.
F.: E ora che l’hai capito?
M.: Ora sono per l’abolizione dei seminari minorili. Ti dirò di più, sarei per la chiusura dei seminari in generale, così da permettere a tutti di conoscere la vita. Farei esistere solo Facoltà universitarie di Teologia analoghe alle altre Facoltà, cioè programmate con un corso base triennale e successivi corsi biennali specialistici, a seconda della branca di studio prescelta. Sarebbero tutte aperte a uomini e donne, sposati e non, che, a seguito di concorsi, potrebbero avere accesso all’insegnamento o ad altre professioni. L’unico corso specialistico riservato agli uomini non sposati sarebbe quello di formazione alla vita ecclesiastica. Così dovrebbe essere fino a quando la Chiesa cattolica non si sentirà pronta per il sacerdozio femminile. In ogni caso, si tratterebbe di una scelta della quale un adulto sarebbe consapevole; soprattutto, una scelta della quale nessuno se non l’interessato potrebbe o dovrebbe sentirsi responsabile.
F.: Questa, secondo te, sarebbe la soluzione di tutti i problemi?
M.: Certo che no, ma toglierebbe spazio alla segregazione che ne causa tanti, su cui i più preferiscono tacere. Per questo ho trovato coraggioso, anche se dirompente, e non mi ha scandalizzata affatto il termine “frociaggine” utilizzato da Bergoglio, che considero un grande Papa. Lui si riferiva a quelle pratiche che poi diventano costume e non cessano con l’età né col mutamento delle condizioni. E’ un termine indubbiamente forte ma che richiama esclusivamente il fare sesso, non riguarda l’amore, che è un sentimento dolce, capace di illuminare un momento di vicinanza fisica tra due persone, uomini o donne che siano. Bisogna guardare in faccia la realtà, affrontarla e non fare come si è fatto per troppo tempo.
F.: Beh, mi complimento. Ne hai fatti di progressi!
M.: So di meritare il tuo sarcasmo; tu però non ti rendi conto del clima in cui sono cresciuta. Non so se ti ho mai detto quello che mi raccontava mio padre: quando lui era ragazzo, in paese tutti sapevano che un certo prete aveva una compagna, peraltro accettata in famiglia, e addirittura potevano vederne uno che si caricava una ragazza sulla canna della bicicletta, la portava in campagna e poi la riportava con grande disinvoltura. Mi spiegò che per tutti era normale distinguere tra ciò che l’individuo faceva in quanto uomo e la sua funzione di sacerdote sull’altare. Sdoppiamento? Sì. Ipocrisia? Forse. Realismo? Certo.
F.: Un po’ tardi, non ti pare, per raccontarmi queste cose? Non mi hai dato la possibilità di pensarci su. Mi sarei posto il problema della castità.
M.: Perdonami. In tanti anni ho assistito a innumerevoli conferenze sull’educazione dei figli ma il tema della castità non è stato affrontato mai. Ricordo le posizioni più diverse, da quella che sostanzialmente richiamava la famosa canzone popolare napoletana, secondo la quale «mazz’ e panell’ fann ‘e figli bell’; panell’ senza mazz’ fann e’ figl pazz’», a quella di ispirazione bucolica che richiamava la consuetudine contadina di affiancare a un alberello ancora instabile un piccolo tronco che lo sostenga e lo aiuti a crescere diritto. La posizione più interessante mi è sembrata quella di uno psicologo che prendeva ad esempio se stesso nel rapporto col proprio cane che, inizialmente, quando erano in giro per strada, scappava costringendolo a lunghi inseguimenti. Quando aveva cambiato strategia e aveva smesso di rincorrerlo, si era accorto che l’animale fuggiva ma poi si fermava dietro l’angolo. Il figlio si aspetta che il genitore lo segua, anche quando sembra sfidarlo.
F.: Appunto, Mamma, il genitore deve accettare sfide, correre rischi, non prendere a scatola chiusa soluzioni rassicuranti.
M.: Pensa che io mi ero posta un unico problema, quello del matrimonio dei preti, perché nell’anno che ho trascorso negli Stati Uniti ho avuto occasione di conoscere due figlie di pastori protestanti, entrambe compagne di scuola. Erano agli antipodi: una quasi una suorina; l’altra del tutto fuori norma, sbandata, non di rado ubriaca. Probabilmente mi sono capitati esempi sbagliati. Certo è che, da allora, penso che avere un genitore ecclesiastico debba essere opprimente, quasi come lo era per me sentirmi dire che non potevo fare varie cose perché mio padre “portava le stellette”, cioè era un militare.
F.: Dunque niente prole, niente matrimonio. Come se ne esce?
M.: In primo luogo, come ti dicevo, eliminando la possibilità di entrare in seminario se non si è maggiorenni.
F.: E poi?
M.: E poi, se ancora di seminari parliamo, dando ampia possibilità di ripensamenti e verifiche. Non ci devono essere condizionamenti morali. Pensa che un anno, nel liceo che dirigevo, è venuto un ragazzo proveniente da un seminario. I suoi occhi erano smarriti quando è arrivato e non mi pare lo fossero di meno quando è andato via, dopo il pur brillante scrutinio finale. Era stato troppo breve il lasso di tempo che si era concesso per capire, per scegliere e forse non lo aveva aiutato la presenza di amici, che c’erano e che presumo si fossero impegnati a fargli conoscere una vita diversa. Credo che decisioni di questo genere richiedano riflessione, silenzio e una lenta maturazione.
F.: E allora?
M.: Ora tocca a te.
F.: Ho deciso: vengo via dal seminario ma non torno a casa.
M.: E dove vai?!
F.: Ancora non so. Ho bisogno di cambiare aria. Voglio andare in una città, finire il liceo e poi frequentare l’università.
M.: Potresti andare dai tuoi cugini. Sarebbero felici di ospitarti.
F.: Mamma, per favore, ho riflettuto su questa possibilità ma non sarete voi genitori a decidere. Se questa lunga esperienza mi ha insegnato qualcosa è che non bisogna delegare le proprie scelte ad altri, nemmeno a chi ci ama moltissimo. D’ora in poi, farò quello che mi sembrerà giusto e, se sbaglierò, pagherò. Tanto il prezzo non potrà mai essere più alto di quello pagato finora.
M.: Figlio mio, io ho semplicemente formulato un’ipotesi, peraltro seguendo la tua indicazione. Ti prego, non estromettermi dalla tua vita. Sarebbe una punizione tremenda.
F.: Non ho nessuna intenzione di estrometterti, in primo luogo perché non voglio e poi perché non potrei, dato che non sono ancora né maggiorenne né finanziariamente autonomo. Ti chiedo solo di non starmi col fiato sul collo e di rispettare il mio bisogno di indipendenza. Dopo tutto, non è questo che vuol dire crescere, diventare adulto? Dovresti esserne sollevata. Invece ti vedo incupita. Vuoi forse suscitare in me nuovi sensi di colpa?
M.: No, per carità!
F.: E allora smetti di preoccuparti per me.
M.: Non ci riesco. Non so cosa darei per garantirti, per il futuro, la serenità che ti è mancata in passato e che ti manca ancora. Mi rendo perfettamente conto di quanto sia difficile questo momento, ma ricordati che non sei e non sarai solo, mai. Abbi fiducia in te stesso e abbi fede: la tua vita è nelle mani del Signore e, come sappiamo, Dio, se ti vuole, ti trova. Quanto a me, non dubitare: se e quando dovessi desiderare avermi accanto a te, in qualunque strada del mondo, ti basterà fermarti dietro l’angolo, ti raggiungerò.
[1] CANTARELLA Eva, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Milano, Feltrinelli, 2021, pagg. 67 e 272-3.
Nei documenti, anche internazionali, tra gli obiettivi o impegni per il presente e il futuro si parla continuamente di istruzione di qualità, ma cosa o chi determina veramente questa qualità? Il pedagogista Pier Cesare Rivoltella afferma: “Nella complessità in cui viviamo oggi servono insegnanti carismatici, esemplari, delle vere e proprie guide di vita. Se sei umanamente un fantoccio, i ragazzi ti scoprono in 5 minuti. Ogni insegnante deve avere alla base la passione per l’essere umano, la consapevolezza di fare il mestiere più bello e più importante del mondo”. Alla base della scuola ci sono gli insegnanti che è necessario che abbiano una loro base.
Il prof. Marco Pappalardo sostiene: “La nostra professione è fondata sulla parola e sull’esempio. […] L’azione dei docenti è generatrice di futuro nel momento in cui, attraverso le discipline e la passione per lo studio, invita le nuove generazioni ad amare la vita in pienezza”. Gli insegnanti, coloro che lasciano un segno, sono “generatori di futuro”, per cui non dovrebbero procedere per metodi precostituiti (per quanto formulati da insigni esperti, Montessori, Steiner o altri), per etichettamenti (come, per esempio, il “pessimismo cosmico” di Leopardi), sigle, acronimi (BES, DSA, PTOF, RAV, …) e affini. La cultura è un processo e non un prodotto.
“Insegnare è creare empatia, saper ascoltare, confrontarsi, dialogare, sorridere, perché solo un ambiente di apprendimento “caldo” ci consente di apprendere di più e meglio, come ci dicono le neuroscienze. Ripartiamo allora dalla relazione educativa basata sull’interazione faccia a faccia, ripartiamo dalla “presenza”, non solo fisica, ma anche emotiva e psichica” (cit.). Insegnare è “in”, entrare in relazione, creare relazioni nuove di giorno in giorno.
Il formatore Raffaele Iosa precisa: “Insegnare a vivere/conoscere attraverso stupore e meraviglia vuol dire creare una relazione empatica tra l’adultità e i nostri piccoli che mette al centro non un lineare e rigido percorso di travasamento del conoscere adulto, adattato a piccole teste, e neppure l’idea che si debba lasciare i piccoli solo in un caotico divertissement”. Insegnare e imparare divertendosi non significa trasformare la scuola in un “divertimentificio” come qualcuno intende fare o già si tende a fare, anche (o soprattutto) per compiacere ai genitori (basti vedere come si svolgono gli open day).
Lo psicologo statunitense Robert J. Sternberg spiega: “Le scuole insegnano ai bambini la conoscenza e a pensare in modo intelligente, ma raramente insegnano la saggezza; anzi, in molte scuole del globo si insegna l’odio per un gruppo o per l’altro. In ultima analisi, se la società desidera combattere l’odio, scuole e istituzioni devono insegnare agli studenti a pensare in modo saggio. Solo a quel punto essi comprenderanno che l’odio non è la soluzione legittima di alcun problema della vita; al contrario, l’odio aggrava i problemi, invece di risolverli” (in «Capire e combattere l’odio», in “Psicologia dell’odio. Conoscerlo per superarlo”, 2007). I bambini e i ragazzi devono mettersi alla prova per provare i loro limiti, conoscerli e riconoscerli negli altri. Accettando se stessi si accoglie l’altro, scoprendo se stessi ci si riscopre nell’altro, schiudendosi ci si apre all’altro. L’altro è specchio riflettente o deformante la realtà, ma comunque rappresentante la realtà. È questa la dimensione che deve essere recuperata e valorizzata nella famiglia, nella scuola e negli ambienti di vita dei bambini e dei ragazzi. Così si promuove lo sviluppo della personalità del fanciullo e si inculca nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 29 lettere a e b Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
Nei confronti dei bambini bisognerebbe adottare la “pedagogia della tartaruga” sulla scia della “pedagogia della lumaca”, formulata dal compianto Gianfranco Zavalloni. “Come insegnanti siamo persuasi dalla logica della lepre che corre per vincere, ma non ama il percorso che compie facilmente? Oppure, almeno idealmente, conserviamo ancora in un angolo della consapevolezza la solidità della tartaruga: un passo alla volta, incurante di chi la beffeggia, protetta dal fermo guscio della dedizione per giungere al traguardo, perdendo il tempo necessario” (prof. Luciano Pace).
Il pedagogista Daniele Novara ammonisce: “Il buon insegnante non funge da “bancomat” di lezioni, “spiegoni” e contenuti nozionistici. Assume piuttosto un ruolo di regia volto a far lavorare gli alunni tra di loro, a costruire calde e intense interazioni sociali che consentano alla classe di funzionare come organismo vivo. Motiva e favorisce lo scambio sia per star bene assieme sia per lavorare bene assieme”. C’è differenza tra insegnante, buon insegnante e insegnante buono: la capacità e il coraggio di fare la differenza. Tra gli adulti di riferimento per bambini e ragazzi gli insegnanti hanno ancora più responsabilità perché dovrebbero essere preparati e qualificati e c’è anche l’atto di affidamento da parte dei genitori.
Daniele Novara si chiede: “Esiste un numero ideale di alunni per classe? Dipende. Certo è che, oltre al numero adeguato di studenti, fondamentale è occuparsi della formazione metodologica e didattica degli insegnanti”. Prima di mirare alle cosiddette “skills life” (competenze trasversali per la vita) degli alunni, gli insegnanti dovrebbero maturare ed essere padroni e consapevoli delle proprie competenze fondamentali, che non sono solo quelle culturali che si acquisiscono con la laurea o corsi di formazione (o pseudotali).
A scuola non sono adeguate né le “classi pollaio” né le “classi bonsai”. Il pedagogista Novara aggiunge: “Anche se va detto che risulta comunque difficile stabilire la misura giusta una volta per tutte. Ecco allora che la professionalità pedagogica diventa decisiva, a maggior ragione in contesti problematici”. Insegnare non è tanto far acquisire competenze trasversali quanto esercitare competenze trasversali, a cominciare dal cosiddetto sguardo pedagogico che, purtroppo, si è perso.
“La scuola dovrebbe essere – secondo la dirigente scolastica Tiziana Brindisi – un continuo programmare e riprogrammare: lo spazio, i tempi, i contenuti”. Un conto è programmare, altro è la programmazione didattica che è concertata solo tra o dagli insegnanti dal loro punto di vista e dimenticando spesso chi li aspetta in classe in una relazione di insegnamento-apprendimento. Altro che don Milani!
L’insegnamento non è fatto di cose, ma di esperienze, condivisione del sé, di incontri, di imprevisti. Si ricordi che l’art. 33 della Costituzione, dove si parla dell’insegnamento, è inserito sotto la rubrica “Rapporti etico-sociali”.
“Il lavoro dell’insegnante non è semplice, è come un mosaico che gli anni di esperienza, le metodologie, le tecniche e i sempre nuovi studi effettuati nell’ambito psico-pedagogico, vanno a comporre, ma affinché il lavoro risulti realmente fatto bene, non devono mai mancare l’entusiasmo, la voglia di imparare, la capacità di sorprendersi… e fare tutto questo insieme ai nostri alunni” (cit.). Insegnare è un continuo aggiornare e aggiornarsi, per esempio conoscere e provare l’efficacia del “controllo prossimale” (avvicinarsi ai bambini e ragazzi che “disturbano”) e dell’“effetto onda” (effetto di un “rimprovero” su tutta la classe) in caso di “comportamenti problematici” e sperimentare nuove metodologie. Insegnare non è inserire dati, ma insaporire, instaurare, insistere, insieme di relazioni, situazioni ed emozioni. Non è inserire pillole di sapere ma instillare emozioni per il sapere. E, soprattutto, autenticità.
“Proporre ai bambini libri che siano profumati di autenticità” (l’esperto Federico Batini in un webinar del 7 dicembre 2023). Gli insegnanti devono proporre letture non sulla scia di successi commerciali o perché sono dei “classici” (che non è detto che vadano sempre bene) o come riempitivo, ma quelle in cui loro credono per primi, di cui sono convinti, che suscitino passioni e discussioni, che abbiano pensato per quei bambini, che abbiano profumo di vita.
Inoltre, genitori e insegnanti devono tener conto dell’esistenza della “biologia della gentilezza” (e non solo della giornata mondiale della gentilezza), spiegata da Daniel Lumera, secondo cui ognuno ha il potere di controllare e influenzare il proprio stato di salute e di benessere, in altre parole il cambiamento in termini di consapevolezza nel proprio mondo interiore influisce positivamente anche sui parametri biologici e sulla qualità della vita personale, relazionale e professionale. La pratica della gentilezza può migliorare, nel caso dei genitori, il clima familiare, nel caso degli insegnanti la gestione della classe, le relazioni con colleghi e genitori e il rapporto tra gli alunni. “Gentile” deriva dal latino “gens”, “gente, stirpe, famiglia”, per cui è proprio dell’essere umano. La gentilezza richiama lo svolgimento della personalità e la solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione.
L’insegnante, più che spiegare argomenti, deve dispiegareargomenti di vita: insegnare non è intasare ma intarsiare.
Allegato a la Repubblica è uscito di recente Vite in gioco (Lo sport che cambia il mondo) di Emanuela Audisio. Nata a Roma nel 1953, l’Audisio si è laureata in Scienze Politiche e dal 1976 si occupa di sport per il quotidiano la Repubblica. Ha scritto quattro libri di argomento sportivo e diretto numerosi documentari di carattere storico e sportivo. Molti riconoscimenti ha ottenuto per questi e per altri lavori. Ha inoltre seguito undici Olimpiadi estive e dieci Campionati di calcio. Nel 2019 è stata la prima donna a vincere il Premio Internazionale di Giornalismo Manuel Vázquez Montalbán per la sezione sportiva.
In Vite in gioco ha dato corpo ad un progetto piuttosto originale, ha raccontato quarantuno storie di uomini, donne, eventi che sono state eccezionali in ambito sportivo, le ha derivate dalla sua newsletter settimanale S-Print per Repubblica e ne ha ricavato quanto in un mondo come il moderno così carico di contraddizioni, d’incomprensioni, serve a risolvere certi problemi, eliminare certi contrasti, recuperare certi svantaggi, correggere certe ingiustizie. Dallo sport, meglio che da qualsiasi altra attività, può venire l’indicazione, il suggerimento, l’esempio perché quanto ancora rimane di irrisolto, di non acquisito, di non ottenuto, di non migliorato possa finalmente esserlo. Quel progresso, quello sviluppo, quell’emancipazione che in certe situazioni stenta ancora ad affermarsi, può diventare possibile grazie a quanto di buono, di utile può provenire dallo sport. Da qui, pensa l’Audisio, possono giungere quegli insegnamenti capaci di favorire, realizzare quel che ancora nel mondo, nella vita sta tardando a succedere. Dai casi che la giornalista riporta nell’opera diviene molto facile trarre ispirazione, rimanere convinti del bene che possono apportare. Un modo per vivere meglio, per stare meglio, per superare ostacoli, per progredire vuole diventare lo sport grazie a questo lavoro della Audisio. Quanto ancora c’è di difficile da pensare, da capire, da fare, può risultare facile dopo l’impresa, il gesto, la parola di uno sportivo.
Davvero singolare è l’opera, molta attenzione merita, molta ammirazione visto che nel movimento proprio dello sport vuole cercare quanto serve per il movimento richiesto dal progresso.
Crescere insieme: strategie per genitori e figli per affrontare serenamente un nuovo percorso scolastico
di Giovanna Giacomini
L’inizio di una nuova esperienza scolastica, che sia l’inserimento al nido o alla scuola materna per i bambini nella fascia d’età 0-6 anni, oppure il passaggio da un ciclo scolastico all’altro, rappresenta un momento delicato, che può generare ansie e preoccupazioni non solo nei bambini e ragazzi ma anche nei genitori. Mentre i primi affrontano un nuovo ambiente e nuove persone, i grandi si preoccupano del benessere e dell’adattamento dei loro figli.
“Se parliamo di bambini piccoli, possiamo dire che questi non sviluppano paure o ansie, semmai riflettono quelle che sono proprie dell’adulto che è il principale responsabile delle emozioni del bambino” dice Giovanna Giacomini, pedagogista, formatrice e ideatrice di Scuole Felici che prosegue “un adulto sereno, che esprime fiducia nel percorso educativo, ha la grande capacità di ridurre di molto la difficoltà percepita dal bambino nell’affrontare una nuova realtà extra familiare. Non dimentichiamoci che è assolutamente normale che il bambino pianga o evidenzi insofferenza, soprattutto nelle prime fasi dell’inserimento. Parlando dal punto di vista dello sviluppo cognitivo, in questa prima fase di vita, il piccolo non è ancora in grado di capire che cosa significa l’assenza di qualcosa, che sia un oggetto o una persona, e di fare quindi una previsione, queste sono tutte capacità cognitive superiori che si sviluppano più avanti. Inizialmente l’assenza del genitore è un evento che ancora non si sa spiegare e come tale lo porterà ad avere delle reazioni. Attraverso l’esperienza e un percorso naturale di crescita il bambino imparerà a gestire queste nuove emozioni, scoprendo che dopo qualche ora ci sarà il ricongiungimento con mamma e papà”.
Il vero primo grande cambiamento avviene in realtà durante la transizione scolastica, quando i bambini si trovano ad affrontare il passaggio ad esempio dalla materna alla primaria e da questa alla secondaria e via dicendo. Questo comporta l’adattamento a un nuovo ambiente, nuove routine e aspettative accademiche più elevate. “Crescendo, il bambino sviluppa una maggiore consapevolezza ed è qui che possono manifestarsi delle preoccupazioni” dice la pedagogista. “La prima, e la più semplice, è di tipo sociale. Come farò a creare nuove amicizie? Come saranno gli insegnanti? Riuscirò a integrarmi nella classe? Queste sono solo alcune delle paure, assolutamente legittime, espresse dai bambini che non devono chiaramente trasformarsi in uno stato di ansia vera e propria. Una cosa alla quale possiamo assistere, e che capita abbastanza spesso a inserimento avvenuto, è che il bambino sviluppi la paura del fallimento. Viviamo in una società che chiede a gran voce di essere performanti e questo fa si che alcuni bambini, in particolare quelli più sensibili, possano non sentirsi all’altezza di quelle che sono le aspettative scolastiche e della propria famiglia. Anche qui diventa fondamentale l’atteggiamento dell’adulto di fronte a un eventuale voto o giudizio negativo. Quando poi si passa dalla primaria alla secondaria, le preoccupazioni aumentano. La paura principale è di sentirsi sopraffatti dal carico di lavoro, e l’ambiente circostante a volte non aiuta. Spesso i ragazzi sono soggetti a frasi del tipo: guarda che l’anno prossimo avrai un sacco di cose da fare, ci sarà da studiare molto di più e i compiti saranno tanti per cui la pressione cresce e con essa anche l’ansia. In più c’è la paura del giudizio dei compagni che si percepisce maggiormente crescendo, soprattutto nell’adolescenza, quando l’opinione dei pari diventa fondamentale”.
Anche i genitori non sono esenti dai passaggi scolastici dei figli e come loro si trovano ad affrontare nuovi pensieri e paure. Le preoccupazioni dei genitori variano in base alla fascia di età del bambino. “Se parliamo di 0-6, queste sono al loro culmine, ma con l’aumento dei gradi scolastici le ansie diminuiscono e rimangono circoscritte ad alcuni aspetti”, dice Giovanna Giacomini. “All’inizio il genitore è preoccupato, in maniera a volte irrazionale, di qualsiasi cosa. Quest’ansia è legata alla separazione e nasce da un eccessivo senso di protezione che si ha nei confronti dei figli. Diventa quindi difficile accettare il pianto del bambino quando lo dobbiamo lasciare al nido o alla materna. Se il genitore non è in grado di riconoscere e gestire queste emozioni ovviamente le trasferirà al figlio. Preoccupazioni diverse invece si possono manifestare quando il bambino si trova già inserito a scuola. In questo caso sono legate al rendimento scolastico, oppure alla capacità del figlio di adattarsi a un nuovo ambiente e stringere nuove amicizie. Anche qui è importante capire se siamo di fronte a una preoccupazione legittima oppure se il genitore sta di nuovo proiettando emozioni e ansie proprie rispetto a quella che può essere invece una dinamica abbastanza normale tra pari”.
Scegliere la scuola giusta può aiutare a ridurre di molto le preoccupazioni. Ci sono diverse strategie che possono essere adottate per fare una scelta consapevole:
La prima cosa da fare è informarsi. Oggi abbiamo a disposizione tantissimi strumenti che permettono di farsi un’idea, di avere una panoramica sui vari istituti scolastici: siti web, social, open day etc.
Tener presenti le esigenze di orario e spostamenti. La vicinanza della scuola a casa o al luogo del lavoro è un elemento da non sottovalutare.
Verificare che la scuola offra un ambiente accogliente, stimolante, sicuro e controllato. Non bisogna mai dare per scontato questo aspetto. È necessario che le scuole rispondano a determinati requisiti. La cronaca è piena di notizie riguardanti scuole improvvisate con personale e strutture non idonei. Quando si sceglie un istituto scolastico, soprattutto nel caso si tratti di una realtà privata o paritaria, occorre assicurarsi che sia all’interno di un circuito ben riconoscibile.
Prediligere strutture che promuovano una buona collaborazione scuola-famiglia e la conciliazione di vita. Verificare che il servizio educativo scolastico possa offrire delle opportunità interne, laboratori ed esperienze extra curriculari che promuovano il benessere (ad esempio progetti sull’affettività e sessualità, che in Italia non rientrano ancora nel programma scolastico, sport e attività fisica, letture, film) che il bambino può fare direttamente in loco. Questo facilita i genitori nella gestione quotidiana mettendoli in condizione di non dover correre da una parte all’’altra. Dobbiamo iniziare a pensare alla scuola come a un polo per la socializzazione e di apprendimento a 360° non semplicemente didattico. Oggi, come non mai, il benessere emotivo dei propri figli, per i genitori è un elemento fondamentale nella scelta di un determinato servizio educativo e scolastico. Nella collaborazione scuola-famiglia si possono valorizzare tantissime attività: interventi formativi con la presenza di esperti che aiutano le famiglie a comprendere meglio alcuni passaggi di sviluppo del bambino, che diano un supporto pedagogico e psicologico in momenti di difficoltà, altri specialisti che possono concorrere al fatto di contribuire con la propria esperienza rispetto al proprio ambito d’interesse. Questi sono tutti servizi aggiuntivi che determinano sicuramente una grande qualità della scuola.
La comunicazione è un plus importante. Attraverso una buona comunicazione scuola-famiglia il genitore ha la possibilità di gettare uno sguardo sulla vita del bambino in quel momento e sulle esperienze che sta vivendo con l’ottica di poter partecipare alla vita scolastica del proprio figlio, non di doverla controllare.
Nel caso si voglia scegliere un determinato approccio pedagogico occorre non farsi trascinare dalle mode del momento. Non ha senso scegliere un metodo educativo che è completamente lontano da quello che poi metto in pratica nella mia vita quotidiana perché sarebbe poco coerente. Il bambino non deve vivere un’incoerenza educativa.
Questo ultimo punto diventa molto importante quando i genitori si trovano a dover fare i conti con il grande dilemma della continuità di metodo. “Ovviamente questo può essere un fattore positivo perché garantisce che il bambino possa sentirsi più sereno durante i passaggi”, spiega la pedagogista. “Adottare il medesimo approccio e declinarlo nelle diverse fasce di età significa continuare a perfezionare e sviluppare le competenze e le specificità del bambino. Se questo non dovesse essere possibile, non occorre allarmarsi, il bambino avrà semplicemente bisogno di un po’ più tempo per adattarsi alla nuova realtà. Pensiamo al passaggio da un metodo senza valutazioni a un sistema ad esempio statale o paritario, dove ci sono verifiche e voti. Se questo cambiamento avviene nei primi anni di età sarà più semplice per il bambino adattarsi. Se invece la transizione da un modello pedagogico a un altro avviene più in là nel tempo, ad esempio alla fine della secondaria, è importante preparare il bambino con largo anticipo evitandogli un salto nel buio. Questo compito non spetta solo ai genitori ma anche alla scuola.”
BIO
Giovanna Giacomini
Formatrice e pedagogista, nel 2015 fonda GD EDUCA, società che si occupa di servizi educativi e di formazione. Utilizzando i propri servizi all’infanzia come officina creativa, dà vita all’esperienza di «Scuole Felici®» che si ispira al modello danese dell’educazione e alle culture orientali. A oggi 10 scuole dell’infanzia in Italia hanno scelto di seguire la filosofia “Scuole Felici”. Giovanna Giacomini è inoltre l’ideatrice del portale Educatori WOW che fornisce corsi online e materiali per genitori, educatori e docenti.
Sarà il caldo, forse la noia, peggio, l’inquietudine che scaturisce dal sentirsi inadeguati, ma con frequenza certosina si succedono fatti e accadimenti che non sono parenti stretti di qualche spaccone di periferia in cerca di notorietà, di qualche bullo di città privato durante l’estate della sua jungla prediletta la scuola. Ci sono le parole che offendono e scavano a fondo, le botte date con le nocche infrante, le lame che appaiono d’improvviso e feriscono a morte. Giovanissimi che non sono delinquenti, ma lo stanno per diventare, giovanissimi che non sanno decodificare un messaggio strampalato, giovanissimi prigionieri di una messaggistica istantanea che non fa sconti a nessuno. Stavo parlando in centro con un ragazzino, perché di ragazzino si trattava, ogni volta che gli dicevo perché quella canna che ti rincoglionisce, perché per te è meglio abbattere cheaccogliere, perché lo strumento della violenza ti fa pensare che puoi risolvere ogni cosa, mentre invece te lo assicuro, traccia la linea di una discesa all’inferno senza tappe intermedie. Una scrollata di spalle licenziava il fastidio di una risposta, di una spiegazione, il suo sguardo era già oltre ogni possibile uso del condizionale. E’ chiaro che tentare di dare chiarimenti a metà non fa altro che tinteggiare di irrequietezza una analisi incompiuta, ci rendono la vita difficile le percezioni più delle realtà con cui fare i conti, invece dovremmo dare più importanza al valore della famiglia, della scuola, della possibilità di incontrare il valore della relazione, senza cui la stessa vita diventa una sopravvivenza priva di incontri emozionanti, deprivata soprattutto dell’esistenza dell’altro. No, non tutti gli adolescenti sono guerrieri in erba, la maggioranza dei giovani non è violenta nè irresponsabile, ma allo stesso tempo è necessario mettersi a mezzo, di traverso a quegli altri ragazzi che liquidano il problema dell’impegno e del rispetto per se stessi e per gli altri con una scrollala di spalle,così facendo eludono la realtà fatta di regole e codici normativi, affidandosi a quel mondo virtuale privo di esempi che non retrocedono davanti alla violenza più insostenibile. Infatti il rispetto lo si apprende solo e unicamente attraverso l’esempio di chi autorevole lo è non sulla carta ma sulla fatica della presenza e dell’accompagnamento. In quel ragazzino spavaldo e un pò guascone c’è tutta la necessarietà di non lasciare scappare la speranza di trovare soluzioni prima che la violenza si concretizzi nel suo dramma e abbia il sopravvento. Ogni volta che la devianza minorile si manifesta nelle sue diverse forme, come il bullismo, la delinquenza, l’uso e abuso di sostanze, la violenza come comportamento antisociale, tutto ciò può deteriorare profondamente quel senso di inadeguatezza di cui parlavo all’inizio, procurando vere e proprie tragedie a se stessi, ai propri cari, all’altro a un palmo dal tuo naso, alle vittime innocenti, all’intera società.
L’Educazione civica è il cardine attorno al quale ruota ogni insegnamento disciplinare: il valore formativo di ogni materia di studio si incentra, infatti, nel contributo che offre allo studente per orientarsi nella lettura consapevole della società in cui vive. Obiettivo principale dell’insegnamento trasversale dell’Educazione civica è, infatti, rendere l’alunno competente nell’analisi del vissuto in continuo divenire in cui si trova immerso, un vissuto che necessita di valori di riferimento che orientino nella scelta dell’agire personale e che contribuiscano a disegnare un orizzonte sostenibile dell’agire sociale.
Pensieri intorno ad uno smartphone cacciato di scuola
di Giovanni Fioravanti
Come volavo con la mente fuori dall’aula, oltre la finestra! Là, fuori, c’era la vita, quella vita che lì, dentro alla scuola, restava sospesa tra le mura della classe. Una vita che brulica, che vive. A scuola si va per imparare la vita, ma la vita resta sempre fuori, la vita che si impara a scuola non è quella viva, ma quella già morta da molto tempo.
A scuola bisogna astrarre la mente dalla vita, concentrarsi sulla sua rappresentazione senza alcuna distrazione, se no non si impara. Eppure è strano perché prima di mettere piede a scuola quello che ci siamo imparati ce l’ha insegnato lei direttamente, la vita, semmai senza tanti riguardi, ma da lei abbiamo appreso quello che siamo. Si sa, alla scuola quello che siamo non gli va bene, la scuola deve formare, raddrizzare le storture, educare, condurci fuori da noi stessi assimilando il verbo docente, il verbo passivo delle parole ascoltate o lette per essere imparate, mandate a memoria, ritornate alle orecchie dell’insegnante così come sono state confezionate per la nostra mente, per la nostra età, che non siano indigeste e storte, che non vadano di traverso, ma ritte e perfette.
Perché la scuola è per carattere riservata, non ha mai amato confondersi con il succedersi degli avvenimenti di fuori, perché il sapere a scuola ha una sua aristocrazia, tramandata di generazione in generazione e più è tramandata più il sapere è nobilitato. Non esistono i quarti di sapere, qui la nobiltà è del casato a cui il sapere appartiene, ognuno con le sue arme, sono discipline, sono materie d’antiche discendenze, già dai Trivi e dai Quadrivi.
Spazio e tempo mutano ritmo e dimensione. Lo spazio è tra il banco e la cattedra, tra le entrate e le uscite, come la vita, anche spazio e tempo restano là fuori. Il tempo si scandisce per suoni di campanelle, per il succedersi di figure alla cattedra, le durate sono ore che, sebbene non siano le ore piene, fanno gli orari quotidiani, settimanali per riempire l’orario e il diario, congiunzione tra dies e orario.
Un tempo usava dire se non studi vai a lavorare, poi anche il lavoro è mancato e ora a non studiare si rimpingue la schiera dei Neet.
Non so come l’avrebbero interpretata gli antichi per il quale lo studio era ozio dai negotia, attività improduttiva, di regola per pochi privilegiati.
Ora non è più un privilegio ma un sortilegio, una sorta di divinazione, un’estrazione a sorte della vita, se la scuola che hai scelto di frequentare ti riserverà più sorprese che delusioni, se sarà un lungo parcheggio o una palestra d’addestramento, se il tuo cervello sarà spento o tenuto sveglio.
Pare che al privilegio sia subentrato il merito. Giusto, democratico! Se non fosse che al merito manca proprio il merito, cioè cosa sia merito e cosa non lo sia. Certo studiare a scuola è merito, mancherebbe altro, è merito dalla notte dei tempi, e dalla notte dei tempi a scuola il merito si misura con i voti. Ma attenzione, qui ci sta l’inganno, o l’equivoco. Perché non è vero che il merito riguarda lo studiare, il merito riguarda solo quello che possiamo definire il risultato dello studio, che a scuola si chiama profitto, il quale deve passare al vaglio delle interrogazioni, dei compiti in classe, o delle verifiche come oggi si usa dire, e degli esami. È il merito della riuscita, della produttività, come a quel merito si arriva conta poco, poco interessa, ciò che pragmaticamente conta è il risultato. E perché il risultato non sia truccato e, dunque, il merito immeritato, a scuola è severamente vietato suggerire e ancor più copiare.
E poi il merito è condotta. Da piccolo la parola condotta l’avevo sentita usare in casa mia solo a proposito del medico, che poi non era condotta, ma condotto, il medico condotto. La condotta era il contratto che i comuni stipulavano col medico, non era una questione di comportamento come a scuola, che del resto anche la condotta dell’alunno è come un contratto stipulato con la scuola a cui corrispondono compensi e sanzioni in voti e provvedimenti.
Ecco la questione del merito, sempre quella vecchia che non cambia con il mutare delle epoche, sempre di premi e di punizioni si tratta.
E allora accostare l’istruzione al merito è come riesumare la pratica della lode e del castigo, arnesi vecchi qualunque sia il restyling a cui si ricorre per rinverdirli, per non dare ascolto ai soliti vecchi sociologi radicali alla Pierre Bourdieu, per i quali la scuola favorirebbe i favoriti e sfavorirebbe gli sfavoriti.
Mentre ci si propone di inculcare le vecchie virtù se ne perdono per strade altre da sempre trascurate. Tipo imparare ad amare lo studio, perché bello, coinvolgente, interessante, indispensabile come l’aria che si respira. Sapersi assumere le proprie responsabilità, apprendere a comportarsi a prescindere dal merito, dai premi e dai castighi. Spogliarsi dalla cultura del peccato a cui deve far seguito l’espiazione, cultura tutta chiesastica che ancora intride le nostre scuole dei suoi miasmi.
La cultura dell’individualismo, a ciascuno il suo banco, la postazione da cui ognuno deve condurre la propria battaglia, ciascuno per sé, compagni ma estranei. Non la cooperazione ma la separazione, non il laboratorio ma l’obitorio in cui sono conservati ed esposti alla classe i cadaveri del sapere.
Quest’anno sono cinquant’anni dalla nascita dei decreti delegati della scuola, quelli con cui si pensava di dare alla scuola “il carattere di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica” (DPR del 31 maggio 1974 n. 416, art. 1).
Comunità che interagisce, attenzione bene ! non comunità che regredisce in se stessa.
Sarebbe il caso di farci su una riflessione, semmai chiedersi anche che fine ha fatto quella spinta al rinnovamento, da quale esaurimento e inversione di senso sia ora affetta, dove risieda il virus che la minaccia.
Nel frattempo, in attesa che di questo qualcuno si preoccupi, pare che ogni tipo di connessione sociale via smartphone sarà radicalmente bandita a partire dall’inizio del nuovo anno scolastico, perché a scuola interagire è sempre complesso, scrivevamo più sopra che la scuola, per carattere, è riservata!
Organi dello Stato come magistrature: giudicante, diplomatica, docente.
Autonomia di funzioni/poteri nello Stato e limiti alla valutabilità
di Gabriele Boselli
Sintesi – Rispetto all’unica magistratura sostanzialmente rimasta e riconosciuta tale (quella inquirente/giudicante) le altre sono fortemente limitate in quanto tali. Dirò qui della sorte non ideale della magistratura diplomatica (deprivazione di status ed efficacia funzionale) e di quella docente (perdita in termini reali di retribuzione e prestigio).
Concetto di magis-stratura
Vi erano un tempo non lontano le magistrature, e sia nel diritto laico che ecclesiastico erano considerate tali non solo quelle inquirenti/giudicanti. Erano magis stratae, in astratto poste sopra, oltre le capacità del pubblico o del privato o di settori della società di condizionarne efficacemente l’esercizio; questo attraverso l’attribuzione di status, la retribuzione e i processi pro-forma di valutazione. A ogni funzione/potere dello Stato, e non solo alla giurisdizione, a partire dal Re o dal Presidente della Repubblica corrispondeva a cascata una magistratura, un corpo professionale culturalmente solido, dignitosamente retribuito, tecnicamente qualificato, custode di una tradizione che assicurava dignità economica, autonomia, capacità deterrente, rispetto e deferenza dei cittadini e delle altre istituzioni.
Una magistratura che conserva forte capacità di deterrenza
Oggi le magistrature sono pressochè estinte e ne resta una sola, quella giudiziaria pur gravata da conflitti teoretici e pratici interni. Per un certo smarrimento del senso del limite, pur conservando autorità, va smarrendo autorevolezza: l’ordine Giudiziario, perso di vista il confine tra produzione e applicazione legislativa è divenuto sempre più, nell’ultimo cinquantennio, autentico co-protagonista della politica. Di fatto, non solo magis stratus ma super stratus. Certo, nel momento in cui non è più credibile come semplice attuatore del dettato legislativo ma ne diviene di fatto co-decisore, perde credibilità (requisito essenziale del magistero) e finisce sotto attacco di parte della politica e dei poteri economici che volentieri l’assoggetterebbero e l’avrebbero già fatto se la magistratura ordinaria non conservasse ancora per Costituzione un forte potere deterrente, soprattutto conservando, quando non l’autorevolezza, le chiavi del carcere e la capacità di efficaci ricatti economici. La magistratura inquirente/giudicante conserva comunque una retribuzione sui parametri di eccellenza rispetto a ogni altra funzione dello Stato e una selezione negli accessi spesso a forte influenza parentale. Gelosamente riservata in proprio pure una valutazione dell’eticità e della professionalità, demandata a organi interni composti in gran parte dagli stessi soggetti valutati. E’ ancora magis strata. Rappresenta -più ancora che una funzione- un potere con capacità di contrapposizione sinora determinante rispetto agli altri poteri/funzioni dello Stato. Scrivo di poteri/funzioni poiché a ogni potere è connessa una funzione ( o dis-funzione) e a ogni funzione un potere (o impotenza/prepotenza).
La magistratura diplomatica
La diplomazia tradizionalmente era ed è in parte rimasta un corpus di alta qualificazione culturale cui si accedeva per concorso e di cui gli organi politici erano costretti a tener conto per limitare i danni arrecati al Paese dalla propria incapacità. La sua missione era essenzialmente nella qualità di ascolto di tutti gli interlocutori significativi presenti e di attenzione a quelli venturi. Svolgeva una funzione di interpretazione altamente professionale degli interessi della nazione o del gruppo delle nazioni rappresentate; ma soprattutto un costante e qualificato lavoro di riconoscimento, riduzione e composizione non militare dei conflitti. Non ci riusciva sempre e quando non accadeva erano dolori per tutti ma a volte, es. dopo il congresso di Vienna o dopo il 1945, il frutto del suo impegno erano molti decenni di pace e prosperità. A tali fini le veniva riconosciuta un’ampia quanto istituzionalmente necessaria autonomia di movimento. Come tutte le persone che lavorano per la nazione, un vero ambasciatore -membro di un corpus integrato ma distinto, non rappresenta solo il Governo del momento, ma -qui il suo essere magis-stratus- lo Stato. Lo Stato che fu, che è e che sarà, come dovrebbe accadere anche per la magistratura docente. Un vero ambasciatore non scrive nei suoi rapporti quel che il governo vuole sentirsi dire, ma quel che in autonomia di giudizio ritiene necessario. A costo di essere valutato male o, ove l’autonomia di giudizio si associ a singolarità caratteriali, al limite defenestrato (caso Basile) . Degli attributi tradizionali, i diplomatici sembrano a volte aver conservato un’ottima retribuzione (dipende anche dal costo della vita delle sedi di lavoro) ma la gestione della politica estera degli stati è quasi tutta in mano ai politici e alle loro fazioni, spesso composte di megalomani o demagoghi ai cui dettati i diplomatici di carriera meno audaci devono sottostare. Penso alla sofferenza del corpo diplomatico francese, un tempo “la diplomazia” per eccellenza tanto da aver imposto la lingua di Francia a tutto il mondo: ora quella nazione si trova isolata e la sua diplomazia mortificata dalle manie di grandezza di Macron. Spesso le immunità e la stessa corrispondenza vengono violate materialmente o elettronicamente dagli stati ospitanti le sedi diplomatiche a e i diplomatici sono compromessi nella loro funzione magistrale dal non rispetto della tradizione che assicurava protezione penale e fiscale sia da parte degli stati mittenti che da quelli ospitanti. Qualche attenzione nella valutazione dell’ambasciatore agli effetti economici dell’azione dell’ ambasciatore rimane ancora ma in genere la valutazione del lavoro diplomatico prescinde da ogni logica scientifica ed è affidata alla discrezionalità dei politici professionals che occupano i piani nobili dei ministeri degli esteri. O delle fazioni che volta a volta sui singoli casi riescono a imporre la propria politica, vedi distruzione di gasdotti o il recente attacco al territorio russo del Kursk, decisi da qualche fazione di politici ucraini per far fallire le iniziative diplomatiche sotto traccia. Risultato: autonomia talora fortemente limitata, attenzione al raggiungimento di meri obiettivi a corto raggio, valutazione dei diplomatici principalmente centrata sul tasso di conformità agli indirizzi delle capitali. Risultati a lungo termine: precarietà delle relazioni economiche (caso dele ondivaghe Vie della seta), una successione di guerre senza fine e senza intelligenza dello scopo o conflitti economicamente perniciosissimi.
La magistratura docente
La magistratura docente (il magis è qui legittimato dalla preparazione culturale), da quella dell’infanzia a quella universitaria, se la passa anche peggio delle precedenti. Condivide con le altre e non solo ai livelli apicali la formazione universitaria e l’accesso ordinario ai ruoli attraverso concorsi pubblici per titoli ed esami; è praticamente a vita, il che consente ai suoi addetti di dedicarsi serenamente agli studi; è soggetta a sistemi di valutazione opinabili (come tutte le altre) ma altrettanto teoricamente escludenti i soggetti incapaci solo in teoria. Mentre i concorsi per l’accesso ai ruoli dirigenti avvengono nelle prime fasi attraverso test che favoriscono il pensiero convergente e una selezione inversa rispetto alle capacità critiche, costruttive e creative, la permanenza in servizio è garantita a vita qualsiasi cosa il dirigente combini. Rispetto alle altre sopra analizzate, questa funzione e’ meno condizionata dal potere politico, non per rispetto del valore della cultura e dell’educazione ma per una percezione di irrilevanza della funzione docente diffusa tra i gestori del potere e i decisori di opinione dei media. A fronte di quest’ultimo indubbio vantaggio, il resto è in perdita: retribuzione, capacità di promozione e deterrenza, status sociale.
Tratti magistrali di docenti e dirigenti scolastici
Cultura. Insegnanti e dirigenti sono persone di cultura che amano la propria patria, i propri allievi e le scienze e che per vivere hanno scelto questa professione. Sono persone che tentano incessantemente di capire di più del mondo e di prender responsabilmente parte alla storia e all’epoca.
Autonomia intellettuale e morale. Costruttive e creative, sanno ofrire la propria asimmetrica e disinteressata compagnia per un’ampia frazione di esistenza. Sono Maestre (magis), ofrono un campo di avventure felicemente non protetto dal rischio e apertp alle possibilità cognitive del Novum.
Costruzione di relazioni. Come per ogni buon magis- strato che operi nella giustizia o nella diplomazia, l’ascolto è sua dote essenziale. Il corpo docente/dirigente dell’ Istruzione sa in genere su questa base instaurare con l’altro (persona o istituzione) una relazione costitutiva dell’esistenza e della conoscenza, articolata in un tessuto complesso e pedagogicamente orientato. Invita a estendere l’altrui orizzonte degli eventi di cultura, aiuta ad articolare in forma più evoluta il mondo vitale. Amplia ed arricchisce i vissuti dello spazio e del tempo degli alunni e per questo nella scuola opera in ben relata autonomia di proposta. Ofre aiuto a essere in quanto essere-a, qui, ora, con me/noi, in questo frammento di storia nella multipreposizionalità degli esistenti concreti (Heidegger). Ofre non certezze ma sicurezza, insieme a (plurali) indicazioni di senso.
Conclusione
Le attuali classi dirigenti politiche, in Italia come altrove, non sono in grado di riconoscere alle magistrature dei propri paesi la necessaria autonomia istituzionale. Ogni società, ogni Stato abbisognerebbero di soggetti professionali che esercitassero in libertà intellettuale e in pur relativa autonomia le funzioni e le facoltà di indirizzo e deterrenza. I poteri dotati di superiore capacità deterrente tollerano invece con difcoltà l’autonomia delle magistrature e tendono a sottoporle a processi di valutazione discriminante. Le magistrature giudiziaria, diplomatica e docente richiederebbero per il disinteressato esercizio delle loro funzioni la massima autonomia e non dovrebbero essere sottoposte a valutazioni esterne inevitabilmente condizionanti il loro operato.
G. Grasso, R. Manfrellotti Poteri e funzioni dello stato: una voce per un dizionario di storia costituzionale• SSM Storia della magistratura Quaderno 6 G. Massolo Il diplomatico nell’era della globalizzazione e dell’informatizzazione in “La Comunità internazionale” 2/2007 (PDF) La rivista Limes, Gedi
Decreto carceri, bello che fatto, lanciato oltre le linee, nel bel mezzo della contesa, ma non delle leggi giuste che fanno del bene, bensì addosso a chi già è morto penzoloni in qualche letto a castello arrugginito, a chi domani o dopo morirà un’altra volta ancora, in barba alle leggi appunto, quelle leggi varate per fare giustizia dell’ingiustizia. Perché questo decreto carceri? Le sintomatologie che ne hanno richiesto l’urgenza sono differenti, da una parte i morti ammazzati a raffica che non suscitano vergogna, neppure casi di ansia in chi nasconde la verità sotto la bandiera sdrucita della pena certa, quando morire in questo modo è sicuro ben di più della pena certa, quella che comunque dovrebbe consistere in un inizio e in una fine, quindi di certo allo stato attuale c’è soltanto l’uso improprio delle parole o meglio delle ideologie inconcludenti in questi tempi di poca umana compassione. Più la galera assume i connotati di una bolgia indegna di un paese civile, più sorgono anfratti politico gestionali causati dall’intorpidimento ad affrontare con cognizione di causa le sfide quotidiane di quella pena si da scontare ma nella umanità e rispetto della dignità di tutte le persone, anche quelle ristrette che intendono scontare la propria pena nel tentativo di riparare al male fatto. I decreti si varano inarcando le sopracciglia per poi richiedere ulteriori sedute all’insegna di una riflessione che possa correggere gli interrogativi rimasti a metà del guado. Nel frattempo si muore, ci si ferisce, si protesta, ci si rivolta, innocenti e colpevoli si scambiano di posto tra lividi e disperazione, dimenticando che chi è disperato è colui che non ha più sentore della più remota speranza. Il carcere è ormai ridotto a un lazzaretto disidratato, sappiamo fin troppo bene che non può esserci salute senza salute mentale e non è più accettabile che nelle diverse situazioni di bisogno occorra ogni volta ricorrere alla protesta, alla violenza, a pagare prezzi inusitati per diritti palesemente negati, una gravissima e persistente violazione dell’articolo 32 della nostra Costituzione.Dell’articolo 27 della stessa carta magna mi sembra davvero una bestemmia a questo punto continuare a parlarne.
Per conto della casa editrice TEA, su licenza dell’editore Guanda, è da poco comparsa, tradotta da Simona Viciani, un’edizione speciale di Post Office, primo romanzo dello scrittore e poeta statunitense Charles Bukowski. Lo pubblicò nel 1971 quando, a cinquantuno anni, aveva lasciato definitivamente il suo lavoro presso gli Uffici Postali della periferia di Los Angeles ed era stato assunto per sempre dalla casa editrice Black Sparrow. Il romanzo avrebbe avuto molto successo e con questa casa editrice Bukowski avrebbe pubblicato in volume non solo le opere venute dopo, altri romanzi, racconti, poesie, ma anche quanto, brevi lavori, appunti, riflessioni, ricordi, note, saggi, era comparso in precedenza su giornali locali.
Bukowski è nato ad Andernach, Germania, nel 1920 ed è morto a San Pedro, California, nel 1994. Qui, nella periferia di Los Angeles, i genitori, lei tedesca, lui americano, si erano trasferiti quando Charles aveva due anni. Qui era cresciuto, aveva studiato fino all’Università e nel 1944, a ventiquattro anni, aveva cominciato a scrivere, soprattutto racconti. Non erano stati notati e l’autore si era messo a vagabondare tra diversi stati americani. Aveva svolto diversi mestieri, aveva cominciato a darsi all’alcol, al sesso e non si era fermato neanche quando, rientrato a Los Angeles, aveva fatto il postino. Irregolare, ribelle era risultato il suo rapporto con l’ufficio, spesso ripreso, ammonito, multato era stato finché non si era giunti, intorno agli anni ’70, al licenziamento. Il nuovo lavoro presso la casa editrice sembrerà apportare qualche beneficio nella vita, nella condotta di Bukowski ma si tratterà di una fase transitoria e ben presto l’alcol, le donne, con le quali sarà sempre difficile distinguere il tipo di legame che correva, e il gioco alle corse dei cavalli torneranno a riprendersi gli spazi principali della sua vita. Una vita disordinata, improvvisata, priva di certezze anche se altra, diversa l’avrebbe voluta. Soffriva Bukowski per quanto non riusciva ad ottenere, per quella pace, quella stabilità che continuavano a mancargli ma che non aveva modo di procurarsi, di far rientrare tra le sue cose e rimasto sarebbe a desiderarle invano, a vivere d’altro. Ne avrebbe patito ma non al punto da negare la sua condizione. L’avrebbe accettata come la più vera fino a farne il motivo, il tema principale della sua scrittura, il carattere dei suoi personaggi. L’intera opera, composta soprattutto da racconti e poesie, i romanzi sarebbero stati soltanto sei, è impegnata a dire di quella che in realtà era stata la sua vita, delle difficoltà delle quali non aveva saputo liberarsi, delle abitudini, dei vizi che aveva accumulato quasi fossero delle scelte, delle volgarità nelle quali era caduto, dei piaceri ai quali non aveva saputo rinunciare. È la vita di quella periferia americana dove Bukowski era cresciuto: tanto di volgare, di violento, di aggressivo vi faceva parte e tanto ha trovato posto nelle sue opere. Non si può negare che non siano percorse da aspirazioni diverse, da propositi, credenze di altro genere ma lo stato nel quale hanno preferito rimanere è soprattutto quello del mondo, della vita che avviene ai margini, che va alla deriva. E Post Office, proprio perché il primo romanzo di questo autore, sembra voglia preannunciare la sua maniera, la sua tendenza, la sua scrittura. Vi si dice di quanto lungo e complicato era stato il suo rapporto con le poste di quella periferia, di come gli risultassero difficili i modi, i tempi, gli scambi con l’ufficio, con il personale, di come l’alcol e il sesso avessero finito col rappresentare una soluzione o almeno un sollievo. Di sé scrive non solo in questa ma in tutte le sue opere Bukowski. Autobiografico è il suo genere narrativo. Ha sempre molto da dire, rimane sempre un disagiato, un escluso, non si acquieta mai il suo scontento, non si colma mai il suo vuoto. Non c’è, però, una lingua che si dispera ad esprimere tanto travaglio poiché facile, chiara vuole essere la lingua di chi scrive, scorrere vuole, far apparire un fenomeno naturale quanto sta dicendo. Non c’è alterazione nella forma espressiva, è una lettura che piace quella di Bukowski, è abilità la sua: letteratura riesce a fare anche di quanto non lo è!
Danza di sinapsi Verso una nuova didattica educativa
di Bruno Lorenzo Castrovinci
Introduzione
Sinapsi danzanti, al ritmo delle reti neurali dell’Intelligenza Artificiale, illuminano il panorama di un’era in cui la tecnologia avanza inesorabilmente, quasi in punta di piedi, lasciando dietro di sé un’umanità spesso impreparata ad accoglierla. Tuttavia, in questo vortice di innovazione, emergono con forza le connessioni profonde create dalle tecnologie che ci permettono di accedere a internet, rete delle reti, che siano computer, smartphone, tablet o smartwatch. Viviamo in un tempo segnato da profonde contraddizioni, dove la bionica e la robotica sono ormai realtà concrete, e dove il metaverso inizia lentamente a dissolvere i confini tra il reale e il virtuale.
Questo nostro tempo è caratterizzato da nostalgici ritorni al passato e a metodi secolari d’insegnamento, che si contrappongono a investimenti senza precedenti nelle tecnologie didattiche. Ambienti di apprendimento sempre più digitali si scontrano con una popolazione di analfabeti digitali, che difficilmente riusciranno a sfruttare appieno i nuovi strumenti prima che questi diventino superati e obsoleti. Basti pensare alla storia delle LIM (Lavagne Interattive Multimediali): pochi le hanno davvero utilizzate appieno, mentre molti si sono limitati a considerarle come semplici sostituti dei proiettori, non riuscendo a sfruttarne il potenziale.
Eppure, in questo panorama di luci e ombre, le Neuroscienze hanno compiuto passi da gigante negli ultimi anni, integrandosi con lo sviluppo delle scienze cognitive. Questo progresso ha portato alla creazione di nuovi approcci didattici finalizzati alla realizzazione di ambienti di apprendimento ideali per ogni studente. Le Neuroscienze ci insegnano che ogni cervello è unico e che la didattica deve essere personalizzata per rispondere alle esigenze individuali. Questo significa formare una nuova generazione di insegnanti capaci di andare oltre la didattica trasmissiva, utilizzando in modo efficace la tecnologia e le nuove scoperte per garantire un successo formativo certo agli studenti.
Le neuroscienze, con la loro bellezza e complessità, ci svelano i misteri del cervello umano, un organo straordinariamente plastico e adattabile. Scopriamo che l’apprendimento non è un processo lineare, ma una danza sinaptica, una coreografia intricata che coinvolge emozioni, motivazioni e contesti ambientali. Ogni nuova scoperta ci avvicina di più a comprendere come creiamo e manteniamo i ricordi, come sviluppiamo le competenze e come possiamo sostenere ogni studente nel suo percorso di crescita.
In questo scenario, l’entusiasmo per le neuroscienze non è solo accademico, ma profondamente umano. Ogni connessione sinaptica che comprendiamo, ogni rete neurale che mappiamo, ci avvicina di più a un futuro in cui la didattica non è solo trasmissione di conoscenze, ma un viaggio condiviso verso la realizzazione del potenziale umano. È una chiamata all’azione per educatori, ricercatori e studenti, affinché si uniscano in un impegno collettivo per costruire un mondo in cui la tecnologia e la scienza lavorano in armonia con le aspirazioni umane, per creare ambienti di apprendimento che siano non solo efficienti, ma anche profondamente umani.
Oltre il Velo della Mente: La Danza delle Neuroscienze
Le neuroscienze, con la loro capacità di penetrare i misteri del sistema nervoso, ci offrono una lente attraverso cui osservare il cervello umano, questa meraviglia biologica che governa ogni aspetto del nostro essere. È attraverso lo studio delle sue intricate reti neuronali che scopriamo come impariamo, ricordiamo e trasformiamo le informazioni in conoscenza viva. Tra le scoperte più affascinanti vi è quella della plasticità cerebrale, un fenomeno che rivela la straordinaria capacità del cervello di riorganizzarsi e adattarsi in risposta alle esperienze.
La plasticità cerebrale ci racconta una storia di cambiamento e adattamento continuo. Immaginiamo il cervello come un paesaggio in costante mutamento, dove i sentieri neuronali si costruiscono e si demoliscono, si rinforzano e si ridimensionano, a seconda delle esperienze e degli stimoli che riceviamo. Ogni nuova esperienza, ogni nuovo apprendimento, lasciano un’impronta, modificano le connessioni sinaptiche, creano nuove vie attraverso cui i pensieri possono fluire. Questa dinamica continua di costruzione e ricostruzione ci dice che l’apprendimento non è mai statico, ma un viaggio perpetuo di scoperta e crescita.
Questa comprensione della plasticità cerebrale ha profonde implicazioni per l’educazione. Se il cervello è capace di adattarsi e trasformarsi, allora l’insegnamento deve essere altrettanto flessibile. L’educazione non può più essere vista come un semplice trasferimento di conoscenze predefinite, ma deve diventare un processo fluido, in grado di rispondere alle esigenze e alle esperienze uniche di ogni studente. Deve essere capace di stimolare il cervello in modi che siano significativi, rilevanti e coinvolgenti.
L’Intersezione del Pensiero: Neuroscienze e Scienze Cognitive
Gli studi cognitivi, concentrandosi sui processi mentali come la percezione, la memoria, l’attenzione e il linguaggio, offrono una mappa dettagliata delle funzioni della mente. Le neuroscienze, invece, penetrano i misteri biologici che sottendono questi processi, rivelando i meccanismi profondi che li governano. L’integrazione di queste due discipline ci permette di ottenere una comprensione più completa e sfumata del cervello e della mente, creando una base solida per sviluppare strategie didattiche che siano al contempo efficaci e mirate.
La percezione e l’attenzione, ad esempio, sono processi selettivi che influenzano in modo determinante l’apprendimento. Le neuroscienze cognitive hanno dimostrato come il concetto di “carico cognitivo” giochi un ruolo cruciale: sovraccaricare gli studenti con troppe informazioni contemporaneamente può ostacolare la loro capacità di comprendere e memorizzare. Invece, segmentare le informazioni in parti gestibili e utilizzare elementi visivi e uditivi per mantenere alta l’attenzione, può migliorare significativamente il processo di apprendimento. Immaginiamo un’aula dove le lezioni sono progettate non solo per trasmettere informazioni, ma per farlo in modo che il cervello degli studenti possa processarle efficacemente, senza essere sopraffatto.
La memoria, componente essenziale dell’apprendimento, segue un percorso complesso che va dall’acquisizione delle informazioni al loro consolidamento e recupero. Gli studi cognitivi ci mostrano queste fasi, mentre le neuroscienze chiariscono i meccanismi cerebrali sottostanti, come il ruolo dell’ippocampo nella formazione dei ricordi a lungo termine. Le tecniche didattiche che incorporano ripetizioni spaziate nel tempo e il recupero attivo delle informazioni sfruttano questi meccanismi naturali del cervello, potenziando la ritenzione delle conoscenze. Immaginiamo ora un ambiente educativo dove le lezioni sono strutturate in modo tale da favorire questi processi di consolidamento, con ripetizioni intelligenti e attività che stimolano il recupero attivo delle informazioni.
La metacognizione, o la consapevolezza e il controllo dei propri processi cognitivi, è un altro pilastro fondamentale per l’apprendimento efficace. Insegnare agli studenti strategie metacognitive, come la pianificazione, il monitoraggio e la valutazione del proprio apprendimento, può migliorare significativamente la loro autonomia e le capacità di problem-solving. Le neuroscienze cognitive suggeriscono che questi approcci non solo aiutano gli studenti a diventare più consapevoli dei propri processi mentali, ma anche a gestire meglio le loro risorse cognitive, rendendo l’apprendimento più efficiente e personalizzato. Immaginiamo quindi una didattica che non si limiti a trasmettere nozioni, ma che insegni anche come pensare, come riflettere sul proprio processo di apprendimento e come migliorarlo continuamente.
Neuroscienze in Aula: Una Sinfonia di Apprendimento
Le neuroscienze ci raccontano una storia profonda e affascinante su come apprendiamo, rivelando che ogni studente possiede un modo unico e irripetibile di assimilare il sapere. Immaginiamo una scuola dove le tecnologie avanzate, come l’intelligenza artificiale, diventano alleate preziose nel creare percorsi di apprendimento personalizzati. Ogni studente può essere guidato attraverso un cammino educativo che tiene conto delle sue specifiche esigenze, dei suoi punti di forza e delle sue passioni. Questo non solo aumenterebbe la motivazione, ma renderebbe l’apprendimento un’esperienza profondamente efficace e gratificante.
Ma c’è di più: le emozioni giocano un ruolo cruciale in questo viaggio. Gli studi neuroscientifici ci insegnano che emozioni positive, come la gioia e l’entusiasmo, possono agire come potenti catalizzatori per la memorizzazione e la comprensione dei concetti. Un ambiente scolastico che coltiva il benessere emotivo diventa così un terreno fertile dove le menti possono fiorire. Pratiche di mindfulness, tecniche di gestione dello stress e un curriculum che valorizzi le competenze socio-emotive sono strumenti essenziali per creare questo ambiente. In una scuola così, l’apprendimento diventa non solo un processo cognitivo, ma anche un’esperienza emotiva positiva.
E poi c’è la memoria, quella componente essenziale dell’apprendimento che ci permette di trattenere e richiamare le informazioni nel tempo. Le neuroscienze ci suggeriscono che la ripetizione spaziata e il recupero attivo delle informazioni sono strategie potenti per consolidare la memoria a lungo termine. Gli insegnanti, con questa conoscenza, possono pianificare le lezioni in modo da massimizzare la ritenzione delle informazioni, creando un ciclo continuo di apprendimento e rafforzamento.
Infine, il cervello apprende meglio quando viene stimolato in modo multisensoriale. Un’aula moderna e futuristica trasforma l’educazione in un’esperienza sensoriale senza precedenti. Le pareti dell’aula, animate da schermi interattivi, pulsano di vita, mostrando contenuti educativi in tempo reale, pronti a rispondere al tocco curioso degli studenti. Le scrivanie, con superfici tattili avanzate, invitano a esplorare modelli 3D virtuali, rendendo tangibili concetti complessi e astratti.
Nel cuore dell’aula, un santuario di realtà aumentata e virtuale attende. Qui, gli studenti indossano visori VR e vengono catapultati in mondi straordinari, da intricati laboratori di scienze a antichi siti storici ricostruiti con precisione. I suoni ambientali, perfettamente sincronizzati con le esperienze visive e tattili, avvolgono gli studenti, trasformando l’apprendimento in un’avventura coinvolgente e dinamica.
In questo spazio, la tecnologia non è un mero strumento, ma un compagno vibrante nell’odissea dell’apprendimento. Essa accende la curiosità e alimenta la creatività, facendo di ogni lezione un viaggio emozionante e indimenticabile. La realtà aumentata e virtuale aprono portali verso universi lontani, rendendo i concetti più complessi accessibili e comprensibili attraverso esperienze immersive e pratiche.
In questo ambiente magico, l’apprendimento si eleva a un’avventura multisensoriale, dove ogni senso, stimolato e coinvolto, contribuisce a costruire una comprensione profonda e duratura del mondo. Le lezioni diventano racconti epici, le conoscenze acquisite si intrecciano con emozioni vivide, e ogni giorno di scuola si trasforma in un capitolo straordinario della grande storia della conoscenza.
Conclusione
Nonostante le infinite potenzialità, l’integrazione delle neuroscienze nell’educazione incontra sfide formidabili. C’è la necessità imperiosa di formare adeguatamente gli insegnanti, affinché possano abbracciare e applicare le scoperte neuroscientifiche con la maestria di un artigiano che plasma l’argilla. Ma c’è di più: la delicatezza delle implicazioni etiche, come la privacy degli studenti e l’uso responsabile delle tecnologie, ci richiede una prudenza amorevole e una saggezza profonda.
Le neuroscienze offrono un’opportunità unica per rivoluzionare il sistema educativo, trasformandolo in un organismo vivente, vibrante, in perfetta sintonia con le esigenze del nostro tempo. Immaginiamo di applicare le conoscenze sul funzionamento del cervello per sviluppare strategie didattiche che non solo migliorano l’apprendimento, ma che accendono la scintilla della motivazione e nutrono il benessere emotivo degli studenti. Tuttavia, queste meravigliose innovazioni devono essere affrontate con un approccio etico e consapevole, garantendo che ogni passo avanti sia compiuto in modo responsabile e inclusivo.
Eppure, nonostante tutto, ecco mille classi, mille alunni, tantissimi docenti, che giorno dopo giorno, anno dopo anno, reiterano lo stesso rituale. Le lezioni si ripetono nella loro identica ritualità, come una danza antica, ciclica, inesorabile. Si ripetono, rinascendo come una fenice dai ricordi degli insegnanti, che rivedono se stessi bambini, seduti nei banchi di scuola. Un rito semplice, fatto di lezioni frontali, compiti per casa, interrogazioni e compiti in classe. Un rito che, reiterandosi, celebra se stesso, rendendo vane tutte le meraviglie pedagogiche, cognitive, scientifiche e neuroscientifiche che il nostro tempo ci offre.
È come se il tempo si fosse fermato, un perpetuo ritorno all’uguale, una liturgia educativa che resiste al cambiamento. Eppure, il mondo fuori corre veloce, evolve, si trasforma. Le neuroscienze ci hanno mostrato che l’apprendimento è un processo dinamico, un continuo divenire. La plasticità cerebrale ci invita a innovare, a creare, a esplorare nuovi modi di insegnare e apprendere. Ma nella sacralità della classe, spesso, tutto rimane immutato, in un’eco infinita di passato.
Possiamo immaginare un futuro diverso, dove le aule siano vivaci fucine di idee, dove le tecnologie si integrino armoniosamente con la didattica, dove ogni studente sia visto e valorizzato nella sua unicità. Un futuro in cui l’educazione sia una danza armoniosa tra scienza e arte, tra rigore e creatività, tra tradizione e innovazione. Un futuro dove le neuroscienze non siano solo una promessa lontana, ma una realtà viva, pulsante, che trasforma ogni giorno la vita degli studenti e degli insegnanti.
Perché, in fondo, l’educazione è questo: un atto d’amore, un impegno verso il futuro, un sogno che diventa realtà. E le neuroscienze sono il soffio vitale che può risvegliare questo sogno, che può farci volare alto, oltre i confini del conosciuto, verso un orizzonte di infinite possibilità.
Fonti
Eric R. Kandel, “In Search of Memory: The Emergence of a New Science of Mind”, W. W. Norton & Company, 2007.
Howard Gardner, “Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences”, Basic Books, 1983.
Carol S. Dweck, “Mindset: The New Psychology of Success”, Random House, 2006.
Stanislas Dehaene, “How We Learn: Why Brains Learn Better Than Any Machine…for Now”, Viking, 2020.
John Hattie, “Visible Learning: A Synthesis of Over 800 Meta-Analyses Relating to Achievement”, Routledge, 2008.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.