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18 dicembre Concorso Dirigente Tecnico

Con Avviso 18 dicembre 2012, il MIUR rende noti i nomi dei 79 candidati ammessi alla prova orale del concorso indetto con DDG 30 gennaio 2008 per 145 posti di dirigente tecnico (45 per la scuola dell’infanzia e primaria e 100 per la scuola secondaria di primo e secondo grado).

Le prove pre-selettive si erano svolte il 21 settembre 2009; gli ammessi avevano svolto le prove scritte il 28 febbraio e 1 marzo 2011, le prove disciplinari dal 2 al 24 marzo 2011.

Pulizie di Natale

Pulizie di Natale

 di Claudia Fanti

Caspita, che analisi meticolosa e rigorosa!

L’articolo del 16 dicembre sul Corriere della Sera, indigna ancor più di ogni corbelleria che ci è stata propinata negli ultimi anni sia dal potere politico, sia da quello “tecnico”, sia dai vari cocchieri obbligati a diramare, sostenere, formare secondo i diktat  di persone lontane anni luce dalla scuola, quindi non certo abilitate a decidere di organizzazione, metodi, didattica e pedagogia.

Chissà se a qualcuno interessa ancora, oltre alla politica spicciola e alle enormi difficoltà contingenti, indignarsi dinanzi ad articoli e analisi del tipo qui proposto! Un vero schiaffo all’intelligenza di tutti coloro che insegnano nella scuola primaria. Qui, non una parola di alcuno degli interpellati, Roberto Ricci in testa, su ciò che ha subito quest’ordine di scuola. Accidenti, ormai siamo alle insinuazioni sulle differenze di genere e  genetiche, pur di nascondere la realtà della scuola primaria distrutta dalle politiche scolastiche volute dai politicanti al potere. In questi mesi ho seguito con viva partecipazione personale tutto il dibattito sulla scuola e tutte le rivendicazioni, ma purtroppo nessuno, nemmeno la massa arrabbiata dei colleghi degli altri ordini di scuola, ha difeso oltre se stessa anche le generazioni dei totalmente indifesi, di quelli che non possono andare né in piazza né, per via della loro tenera età, sostenere i propri diritti argomentando con la parola. Chi parlerà allora per loro a parte i quattro soliti gatti spelacchiati di cui faccio parte nella pratica quotidiana?

Vediamo in questa fredda domenica di dicembre di pulire un po’ la casa dalla spazzatura che si è accumulata sotto i divani.

Spazzatura:

-numero esorbitante di alunni per classe

-più inserimenti in un’unica classe di 25 bambini di alunni con disagi di varia tipologia senza sostegno adeguato

-scomparsa dei moduli paritari, tre insegnanti su due classi, che permettevano sia la specializzazione sulla propria disciplina d’insegnamento (tanto utile per esempio a incentivare la lettura, citata nell’articolo del Corriere, e l’analisi di una molteplicità di testi) sia una stretta programmazione con i colleghi e una scelta, condivisa giorno per giorno, di linea educativa.

-introduzione lenta e inesorabile del maestro prevalente, poi divenuto “unico” o quasi unico (in realtà per coprire l’orario eccedente le 22 ore, gli insegnanti in organico nei plessi vanno a coprire le ore con insegnamenti come storia, geografia, scienze, immagine, motoria…: insegnamenti che divengono quasi un’ appendice, con ovvia perdita dell’interdisciplinarità

-eliminazione o erosione progressiva dei tempi delle compresenze che permettevano sia il recupero del disagio, sia l’arricchimento dell’offerta formativa

-riduzione dell’orario di scuola

-introduzione di progetti e progettini voluti dal territorio, ma spesso subiti o accettati dagli insegnanti stanchi di combattere una battaglia persa contro chi li ritiene sempre non all’altezza di “competere” con le novità. Anche in questo caso perdita della gestione dei tempi di apprendimento e di interdisciplinarità

-erosione continua e costante dell’ autostima degli insegnanti per mezzo di campagne mediatiche vergognose, con il risultato di far perdere fiducia nelle proprie competenze pedagogiche agli insegnanti di classe con un progressivo spostamento degli stessi verso l’accettazione dell’introduzione di esperti dall’esterno, ognuno con esigenze di orario che interrompono, nella maggioranza dei casi, la continuità didattica su tutte le materie e ovviamente anche sulla lingua italiana, quella che insieme con la matematica, viene poi testata dall’Invalsi. Anche in questo caso perdita della gestione dei tempi di apprendimento e di interdisciplinarità

-introduzione del voto numerico e di fatto una valutazione sempre più schematica e giudizi sommari in funzione dei documenti di valutazione ministeriali e di ricerca di medie matematiche impossibili nella primaria. Una tipologia di valutazione forse comoda per molti, ma francamente pedagogicamente insostenibile perché tanti danni produce a una serena e distesa creazione dei rapporti fra bambini, fra bambini e famiglie, tra famiglie e docenti, i quali tutti insieme dovrebbero invece mirare a far sì che la scuola elementare sia ricerca del sapere allo stato puro, la più pura e cioè quella che rispetta le condizioni di partenza di ognuno e le stimola attraverso una didattica scevra da verifiche continue e da paletti numerici. Il voto è una vera misura, anche se nei vari documenti ufficiali che la scuola produce, lo si maschera per mezzo di giudizi descrittivi accanto, si cerca di renderlo soft comunicando ai genitori i significati più gentili e rasserenanti possibili. Favole! Il voto introduce una bieca differenziazione troppo precoce e le sfumature di significato attribuite dagli adulti a esso, non sono comprese dai bambini. Mi dilungo sul voto, perché anche la lettura, oggetto dell’articolo del Corriere e dei dati esaminati, è qualcosa di estremamente condizionato dagli stati emotivi, dall’autostima e dalle relazioni con i compagni e le compagne. Chiaramente, non basta eliminare i voti per raggiungere la serenità in classe, ci vuole molto altro e questo molto altro lo si dovrebbe  incentivare con risorse e formazione sulla gestione dei conflitti, sulla relazione fra persone, sulle strategie di conduzione delle classi, strategie che esistono e danno ottimi frutti

-eliminazione delle sperimentazioni, anche di quelle a costo zero e produttive (non c’è bisogno  neppure di commentare il fatto che nella scuola eliminare la diversità, la ricerca, le strade divergenti, significa eliminare tout court la vivacità culturale, l’impegno, la passione per finire nell’appiattimento e nel grigiore più totale: perfino gli adulti rischiano di non leggere più indotti da una depressione costante dei loro impulsi intellettuali, figuriamoci le bambine!

Quadro finale: bambini in corsa per apprendere in meno ore  con insegnanti che perdono di anno in anno, da anni, la consuetudine ad aggiornarsi metodicamente concentrandosi sulla propri materia di insegnamento disperdendo energie culturali e professionali sia su altre materie  (ad esempio vedi la questione tutta italiana dell’aggiornamento obbligatorio in lingua inglese di docenti non laureati in tale ambito e che spesso addirittura non l’hanno mai studiato in tutto il proprio percorso scolastico) sia in miriadi di impegni da onorare per le varie commissioni nelle quali si devono portare avanti conversazioni estenunati e di solito conflittuali su come redigere varie tipologie di documentazioni atte a dimostrare che la scuola è preparata in materia di organizzazione, di relazioni con il pubblico, di programmi ministeriali (che nella primaria cambiano alla velocità della luce sempre in peggio, ma si finge che sia in meglio per accontentare prima un ministero, poi un altro, poi un altro…)

Per conoscere la scuola primaria e le maestre veramente non si devono frequentare i Collegi dei Docenti, bensì il backstage: là si sentono i problemi, là c’è il polso della situazione, là si parla di rabbia, di dolore per non avere più niente di ciò che si era ottenuto in anni e anni di lavoro e di battaglie per una scuola inclusiva, accogliente e competente al tempo stesso. Il resto sono chiacchiere cari giornalisti e prof. di Invalsi & Co.

Ora poi molte scuole saranno chiamate a formare i cosiddetti Comprensivi, insiemi di scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Altre energie verranno spese  altrove per ricominciare a intrecciare nuove relazioni, a riempire in centinaia i Collegi, presieduti da un unico dirigente, il quale insieme coi docenti dovrà cercare nel tempo le vie giuste per riorganizzare il tutto. So che ci sono anche buone esperienze partite anni fa sul territorio, ma ora la questione è alquanto complessa e pericolosa per gli equilibri ormai divenuti instabili a causa dei tagli continui, delle fibrillazioni costanti indotte dalle politiche scolastiche di riforme e controriforme per nulla amate…il buon senso avrebbe richiesto di fermarci tutti a riflettere su ciò che non funziona nell’attuale organizzazione, nell’attuale situazione. Un bell’altolà per riprendere fiato, invece no…avanti tutta, mentre schiere di bambini e bambine avranno sempre maggiore bisogno di tutte le nostre energie.

Allora agli estensori dell’articolo dico: ma cosa state analizzando! Ma di che vi state occupando! Ma cosa state elucubrando!

 

M.G. Mazzucco, Il bassotto e la Regina

Una favola per Natale

di Antonio Stanca

mazzuccoA Marzo di quest’anno aveva pubblicato, presso Einaudi, il romanzo Limbo, dove aveva narrato delle drammatiche vicende vissute in Afghanistan da una donna sottufficiale degli Alpini, a Novembre ha pensato ad una favola per Natale che è diventata Il bassotto e la Regina, comparsa pure presso Einaudi e composta da cento pagine con illustrazioni di Alessandro Sanna. La scrittrice è Melania Gaia Mazzucco di quarantasei anni. E’nata a Roma nel 1966 dallo scrittore Roberto Mazzucco,  è vissuta a Roma durante l’infanzia e l’adolescenza e qui si è laureata in Lettere presso l’Università La Sapienza. Come scrittrice aveva esordito con il racconto Seval nel 1992, a ventisei anni. Il primo romanzo è stato Il bacio della Medusa del 1996. Sono seguite altre narrazioni e nel 2003 col romanzo Vita, dove ricostruisce in maniera fantastica l’emigrazione in America del nonno paterno e di suoi amici avvenuta ai primi del ‘900, ha vinto il Premio Strega. Altri riconoscimenti ha avuto la Mazzucco sia per le opere di narrativa sia per quelle teatrali sia per i radiodrammi. Molto operosa si è rivelata finora se si tiene conto che collabora pure con importanti testate giornalistiche.

Storico si potrebbe definire il genere nel quale far rientrare la sua produzione narrativa. A ricostruire eventi, ricordare personaggi del passato più vicino o più lontano tende spesso la scrittrice nelle narrazioni, a recuperare, ristabilire valori che le sembra non siano stati evidenziati, a ricavare messaggi morali, spirituali tanto utili in tempi come i nostri  invasi da interessi soltanto mondani.

A questo intento ubbidisce pure la recente favola del piccolo cane Platone che s’innamora della giovanissima e bellissima levriera afghana Regina ma non ha  possibilità di essere corrisposto per la sua condizione d’inferiorità. Il suo aspetto, il suo spirito di bassotto non sono all’altezza di quelli di Regina, è lei stessa a dirglielo quando Platone le dichiarerà il suo amore. Lui farà di tutto per conquistarla, userà le sue qualità di filosofo, poeta, cantore, le canterà canzoni d’amore, la salverà dalla grave situazione nella quale viveva. Era tenuta nascosta, insieme ad altri animali rari, nella cantina sudicia di un palazzo perché di proprietà di un trafficante che, tra l’altro, la maltrattava. Niente, nessuna delle parole, delle azioni di Platone farà breccia nell’animo di Regina e dovrà egli rassegnarsi a rimanere solo perché rifiutato. Così sarà anche quando le sue azioni lo avranno distinto al punto da renderlo degno di premi. Neanche allora Regina si piegherà. I premi da lei riportati saranno superiori, vincerà tutti i concorsi di bellezza, giungerà ad essere dichiarata il cane più bello del mondo. Ma quando crederà di essere l’unica, la migliore, scoprirà di essere stata soprattutto usata per la sua bellezza, per il suo corpo, di non aver goduto e non godere di nessun affetto, di aver bisogno di essere corrisposta nei sentimenti, essere amata. Si ricorderà, quindi, di Platone poiché era stato l’unico che lo aveva fatto. Lo cercherà, lo troverà e sempre insieme rimarranno. A dire di tutto questo, a raccontare la favola è un pappagallo sapiente che di tutto sa poiché di tutto ha visto, dappertutto è volato, si è fermato, si è adoperato affinché vincesse il bene.

Antico è il genere letterario della favola e nelle sue antiche caratteristiche lo ripropone la Mazzucco, nell’eterna lotta da essa sempre rappresentata tra il bene e il male della vita, nel loro interminabile conflitto prima di giungere alla vittoria definitiva del bene. Come in altre favole anche in questa ci sono animali che pensano, capiscono, sognano, parlano, amano, fanno. Qui la levriera Regina dovrà scoprire, nella sua superba bellezza, quello che il bassotto, il pappagallo e la tartaruga sanno già, cioè che nella vita bisogna impegnarsi, resistere se si vuole ottenere il bene giacché essa è percorsa dalla cattiveria, dalla malvagità, in essa il cattivo vuole valere più del buono, vuole sopraffare, annientare chi gli sta intorno. Era tanto sicura di sé  Regina da credere di poter sfidare ogni pericolo. I suoi successi riempivano i suoi pensieri fin quando non si accorgerà di essere vissuta solo di esteriorità, soltanto della sua bellezza e di non essere stata mai appagata nell’anima, nello spirito. Correrà subito a colmare questo vuoto e la favola si concluderà con la vittoria di quel bene che il bassotto aveva tanto a lungo perseguito. E se il bene del cane è quello di sempre, di ogni favola, di ogni tempo, il male al quale allude la Mazzucco è quello dei nostri giorni, degli ambienti, dei costumi che oggi si sono diffusi e che continuamente traspaiono nel corso della narrazione, continuamente sono accusati e confrontati col bene che servirebbe per correggerli.

Un invito vuole essere, questo della scrittrice, a riflettere, resistere, lottare, a non rinunciare a sperare che si potrebbe star meglio.

Il Furore metaforico in Ludovico Ariosto

“…Il Furore metaforico e da Topoi/Finzione di Teoreticità estetica della Poesia Lirica d’Incanto,…in Ludovico Ariosto…”

Nota Essenziale di Gianfranco Purpi.

 

…E sta proprio qui la massima grandezza (…di precursore da personalista critico ,…esistenzial/tomistico!) …e la linguistica poetica ed estetica di Ludovico Ariosto,…dato che il suo far “cercare la luna al suo Orlando”…è una metaforizzazione sublimante e pregevolmente trasformazionale del senso del trascendimento di ogni fissistico dato storico/percettivo rigido di riferimento al reale ipostatico (…”da opinione pubblica di gregge”!),… e quindi fortemente ironica/caricaturale rappresentazione sempre da teoreticità estetica della Paideia/Filosofia dell’Umano …e del suo peculiare far “introitare” transferialmente/osmoticamente (… del sollecitare perentoriamente !) …il penetrare singolarizzante e conviviale ecumenico di …ogni frammento epistemico/emozionale e catartico/criticistico di poeticità veritativa…dentro l’anima accorata del lettore “pre/disposto”!…Vale a dire,…di tutti i frammenti semiologici e artistici da tesoreggiare …costituenti…il fondamento critico esistenzial/problematicistico del “dondolare” e “altalenare” imprevedibile del Logos Fertile Poligonico e sempre Inquirente sperimentalista letterario;…dunque,da continua ricerca analogica di scientificità su cose,fatti e persone e “intrapersone” in immediatezza espressiva intuizionista,…epperò sempre umanizzata in termini di “continuum ” intellegibile mirato/mirabile…da “interesse etico/politico” di conoscenza/I-Care , … e da spasmodica incessante ricerca delle vie e dei meandri di ogni organica interiorità di soggettività umana …(…id est, …da ricerca denotata comunque …dalla valenza olistica sempre rivelante fusione mistica ed estatica di sentimento pulsionale “furioso” e di razionalizzazione paidetica personalistica comunque autogeneticamente ipotetico/deduttiva/sperimentaliste…ed etico/universalizzanti “erga omnes”;…di cuore e di ragione!)…

…Laddove la “teoresi” di ogni prassi estetica e intellegibile (e dunque la prassi stessa di ogni tal presupposta teoreticità davvero umanistica e speculativamente deduttivistica/aprioristica/sintetica/induttivistica,…nello stesso tempo e per lo stesso motivo!)…trascendono sempre “il viaggio tribolato di angoscia,tormento o euforia felicitante”… di tutte le possibili “poiesis/poieton/thecnèe” dell’Io e della sua “Politeia/Polis”…progettualizzate e ideate in prima germinale istanza di Logos Sincretico (…da “mano sinistra” di immediatezza espressivo/metaforica… di Jerome Bruner!)…

…E ogni stessa progettualità e ogni conseguente teleologia/assiologica …dei fini antropologici e degli approdi deontologici speculati in raffronto alle istanze palpitanti di Pubblico e Privato,…sono sempre provvisori e sempre da confutare/autorettificare/autoreinventare scientificamente,…e mai da considerare “raggiunti” in proiezione mentale di totalizzazione cognitivo/ipotetica… una volta per tutte ,…o addirittura in prospettiva di ipotesi finalistiche da valorialità di sterile feticistico/reificante …comunque emergente in quanto macigno cosale di sostanzializzato ossimoro idelologico e di conseguente mistificazione beffarda di Potere egemonizzante/spersonalizzante/alienante/vessatorio …

…E,così,nella stesso tempo e per lo stesso motivo,…Ludovico Ariosto viene a far comprendere a chi ha intelligenza criticistica e vero Logos etico/poligonico fertile, …che ogni nuova esperienza e ogni nuova ulteriore/eccedente prospettiva narrativa e finalità paidetico/storicistica e quindi artistico/poetica …di Bene o di Male (…di Giusto o di Ingiusto,…di Bello o di Brutto,…ecc.) …non può non essere sempre percepita che…come “novità” di esperenziale intuizionistica possibilità problematicistica …di esistenza passata,presente e futura trasfigurata e sublimante irriflessamente…”da furiosi o addirittura pazzi”;…da sognatori o idealisti;…”da matti” o poeti presuntuosi o di estro scomodo;…da mille e una notta fantasticata verace (…di vero innamoramento,…o da “spacconeria” da stolto)…; …psicanaliticamente ed eticamente addirittura…”al di là del bene e del Male millantati e pseudo/oggettivamente Rivelati satanicamente e clericalmente”;…ma di quello risultante dialogicizzato in prospettiva laico/laicista …a seguito e nel vivo operazionale/fruitivo …del “cum/sentire”,…”cum/scire” e …”cum/agere” di intersoggettivo sinolo umanistico conviviale sempre fondante/criteriante/creante …ogni prassi/poiesis/thecnè di conseguente produttiva espressività polisemica e semiologico/sintattica (…sempre divergentemente ulteriore/eccedente ogni storicità di un attualizzante “hic et nunc”…sempre appena di un attimo…”passato” …dal successivo impercettibile presente ontico,entro l’incombere di un lampeggiante guizzo di presenzialità immediatistica da “attimo stesso eterno …solo temporalizzante rievocativamente!)…

…Ma noi sappiamo che gli stolti si precipitano sempre dove gli angeli hanno paura di camminare…perchè sempre hanno e suonano corde …”monocordi” …di cuore e di anima,…e di ,Logoi e di Topoi,…e di “chitarra” della storia e della vita da Pratico/Inerte puramente contemplativo/rivelativo;…da sovente inconscia/squallida … “Non/Filosofia/della/prassi”,…o da insussitente personalismo critico da rischio e naufragio e…approdo finale sulla mareggiata esaltante …da vera persona in grazia di Dignità !…E sappiamo bene da persone con gli occhi scaltriti e intrisi di problematicismo esistenzialistico e criticistico autenticamente da veri neo/kantisti e neo/tomisti ,…che tale “personalismo critico” (…sempre risultato di storicizzazione e mai di apriorismo imbelle che scaturisce da meccanismo di fuga di chi ha pausa/paura/insicurezza …di vivere la vita dove si sceglie di …scegliere sempre e per sempre le ipotesi e gli esiti della storia e dell’Esserci),…è,al postutto,il fondamento e il principio della poetica e della letteratura mirabile (… fresca sgorgante di Umanizzazione verista …) del Nostro Autore!

…Ed è così che l’Ariosto stesso ,al postutto,…profila l’essenzialità e l’emblematicità davvero religiose e laiche allo stesso tempo , …tipiche di una vera persona laicista e cristiana autentica,…che comunque ,per questo, …si dovrebbe mettere …sempre “in gioco” , …senza certezze precostituite o imposte autoritativamente/oppressivamente…a livello di opinione pubblica/slogan occulta o violentemente “vessata” e “predata”,…risultando solo così …”Essere/di/se/stessa/sempre/dubitante/per/metodo/di Pensiero/Pensare”,…e non già Repellente espressione di Logica dell’Avere appropriantisi ricettivamente o addirittura in senso di plagio…dei “luoghi comuni” delle pseudo/razionalizzazioni scientifiche vetero/positivistiche …o…dei dogmatismi illibertari/clericali/chiesastici comunque da Casta asfissiante mediatica e senza cuore (…id est, dei dogmatismi antiumanistici …e ,al postutto, deterministico/necessitaristici di Ragione…ed epistemologia della pulsionalità emozionale anti/Maslowiana/Junghiana/Freudiana…)!

…Laddove credo,alla fin fine ,…che il Pazzo e Furioso non sia per davvero…”l’Orlando Furioso”…o un Gianfranco Purpi “di turno” dei tempi nostri…di marcata affinità generativa filogenetica/ontogenetica con queste prospettive romanzate ,…epperò di trasfigurazione metaforica ed astratto/astraente …da esistenzialità/datità “realissime”,…e indubbiamente “scomode” agli Indifferenti o ai “Parassiti/Servi” di tutti i tempi con i vessilli dei chierici e dei pretini…

…Ma altri ,…magari portatori cinici e cattivi (…o idioti e ignari Gattopardi di Potere Forte Narcisistico Privatistico!);…o poveri di cuore,di anima e di intellegibile forza/coraggio/criticità di vivere in prospettiva di sempre ricercata Dignità personalistica olistica dell’Umano Vero…e “senza paura” di Comporre e Ricomporre continuamente, …se occorre …anche “sovversivamente” in pace amore e legalità, …le dialettiche di tutte “le cose e le persone della vita” Pubblica o Privata che sia…

 

Jacques Maritain

“Jacques Maritain : propositore di un Umano Integrale in quanto Persona; o di una Persona in quanto Uomo Olistico ?” – Nota essenziale di Gianfranco Purpi

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…Il Fondamento teoretico/ontologico dell’Umanesimo integrale e delle riflessioni paidetiche di Jacques Maritain (…si veda la sua classica opera “L’educazione al bivio” – La Scuola , Brescia ) , … è pur sempre peculiarità essenzialistica …e pregnanza genetico/generativa …di un’opzione gnoseologica del Logos in quanto onto/teo/logica rifrangenza e assimilazione di rispecchiamento “irriflessamente” anticriticistico; …al postutto, …di un tomismo regredito e depurato in modo carismatico …dai prodomi indubitabilmente auspicabili di un vero “personalismo storico/critico” …e da “nuce pregiata di evolutività neo/kantista” (…quindi… in ragione di un Fondamento/Principio epistemologico di un Maritain stesso …campione di un neotomismo dall’aureola “francese”… ,di maniera … ,che depriva il Logos da ogni Logica Investigativa Sperimentalizzante,…e …lo riveste furiosamente con l’eclatante risonanza mistificante di una Metafisica dell’Essere tutta musicalizzata esperenzialmente …entro gli ambiti del parallelo razionalismo neo/positivistico da “induttivismo scaltrito” empiricamente ipostatico !)…

…Si!…In ragione di una “Coscienza Umana” che cerca e ricerca sempre entro…”il Lago Dorato” di una “Rivelazione” escatologicamente “monoteistica/biblica/tabulata” ,comunque…giammai epistemologicamente sperimentale , …e ,in ogni caso…, …”antiscientificamente”… sempre denotata dalla “Principiazione/Verifica/Autorettifica” soltanto Eteronoma/Eterointenzionale/Eteroontologica ,…a carattere deduttivistico/analitico ;…al postutto,…sempre nella prospettiva del pensiero/pensare “dettato” dalla Rivelazione assiomatica di una fabulazione biblica carismaticamente e (…soltanto così!) apparentemente storico/esistenzialista,…e da fascino di Riforma Cristiana conciliarmente papalina!

…Ed è,così,…che l’Umano non può non sortirne ,…anche nelle sue evoluzioni e nei suoi labirinti storicistici,…sempre soggetto oggettivizzante labirinti e cerchi cinconcentrici di esistenzialità…da sempre “dati” e “decretati” …dal …Causans Causa Omnia;…in quanto perenni e ipostatici “Principiati/Principianti” …giammai realmente e criticisticamente olodinamici …entro un palcosceni della Storia e della Vita della Persona in nucleo personalizzante bio/chimico evolutivo ed effettivamente contingentista/possibilistico/problematicistico conten

…E’ certo ,comunque…, che nelle sue teoresi e paideie/politeie,…ed epistemologie intellegibili della riflessione umana sulla Filosofia dell’Essere e in quanto Mefasica …dell’Esserci Rivelazionista,…il Nostro Autore resta sempre ancorato nelle secche e nelle esaltazioni effimere della Speculazione Riflettente delle fittizie dialettiche …di una integrazione degli “Estremi della Contraddizione gnoseologica” …sempre,al postutto,…essenzialmente speculativa …e giammai propulsiva di una Dialettica Contaminante Onticamente …tutta indirizzata/intenzionata teleologicamente e assiologicamente verso una effettiva “novità d’esperienza” dell’Umano di una Persona Critica in quanto … “produttrice/autocreazionista” … di sempre ulteriore/eccedente razionalizzazione etica/antropologica “erga omnes” …votata all’autoverifica/autorettifica/autoriproponibilità dei “Topoi” e dei “Logoi” dello stesso Concetto di Persona ……Ed è,in questo modo, che quest’ultimo Concetto,…al contrario,…in Maritain viene a profilarsi chiaramente …sempre genetico/generativo di un “Vecchio Personalismo Dogmatico” ,…da “Metafisica Indiscutibile dell’Essere”…(…mai intravisto …o intravedente…, l’esistenzialità in quanto svolgimento imprevedibile e contingentista/possibilistico della Storia/Storiografia e della soggettività ecumenica o singolarizzante/umanizzante); … e pure “regressivo” ,al postutto,…rispetto al Tommaso D’Aquino Vero delle “Summae” (…dunque,… ponendosi ,…il Nostro filosofo francese,…un inguaribile fedelissimo delle speculazioni rifrangenti tutti gli “ideali regolativi” del …”Principio di Rivelazione” ,…e quindi emergendo in quanto “Campione Emblematico” del Cristianesimo Tomistico assolutamente Cattolico …che cerca di “univocare” sempre gli estremi della “contraddizione” filosofica (…gnoseologica/ontologica!)…ellitticamente e provvidenzialisticamente (…e quindi senza solidi coerenti “pilastri” bio/chimici di strutturazione esistenzialistica da personalistico realismo critico o autenticamente kantista ,…e da razionalizzazione criticistica/fenomenologica problematicistica…riluttante i “compromessi gesuitici” da sempre oppositivamente ostili alla Fondazione di un Orizzonte Cristiano Teistico …e,allo stesso tempo,…Deistico Illuminato in quanto “ideale assiologico regolatore”!)…

…Ma dobbiamo riconoscere che , nella sua evidente scissione e nel suo affrancamento emancipante rappresentativo…da “forbice” antropologica,…il Filosofo Francese configurò l’identità e l’essenzialismo del concetto di Persona/Uomo …entro una “originale” pseudopluralistica costruzione di “piani e ripiani della personalità umanizzante”;…cercando di recuperare e occultare,…allo stesso tempo,…elementi fecondi del freudismo e della neo/olistica visione candida della soggettività del suo Umanesimo “impegnato” ,… personalizzante un “I Care” comunitario e singolarizzante …solo sul piano della prassi poietica mai dialettica…e …della teoresi socio/politica da “sacrestia di Lovanio”!

…Ciò,…anche attraverso un “sovraconscio” ed un “inconscio” solo apparentemente in contraddizione o stratitificazione oggettivizzante intrapsichica …realmente conflittuale e da “Divisione dell’Io” ,…che paiono univocare gli indirizzi olistici della personalità Maslowiana e Mouneriana (…eporsi,così,…curricolarmente razionalizzante ogni Politeia/Paideia già teleologicamente “confezionata” ed eticamente criteriata in assiologia di ferro …dalle Guarde/Svizzere/Ideologiche/Curiali…del Dio che protegge la frontiera e custodisce la ferrovia ,…e legittima aprioristicamente/empiriocriticisticamente “ogni legge di Diritti Naturali da esaltante Santa Scrittura”;…con le evidenze più “dibattute” (…nel novecento!) …di una psicologia dell’Umano freudiano/creativizzante …e strutturalistico/sistemico razionalizzante,…allo stesso tempo e per lo stesso motivo,…da Mistero inconsciamente problematicistico/possibilistico,… e ,in definitiva,…subliminale i Misteri dell’ “onticità agra” di tutte le menti dei Poveri Veri Cristi terrestri!

…Ma io…potrei non pensarla “così”,…e averla qui scritta …”così”…

…Io … non dico mai le stesse cose,…ma dico,al contrario…, le stesse cose…sempre!

…E giammai da Sofista,..ma da Figlio Spirituale di Mario Manno…che sempre mi legge (…anche a costo di far tardi la notte…perchè sa bene della mia imprevedibilità anche verso la dialettica esistenzialistica sempre incessante e tormentante …tra me…e me medesimo,…alla Gabriel Marcel sartrianamente innamorato dell’Alfabeto di Dio in quanto “lettura continua del Creato” ,… sempre meravigliosamente nuova/eccedente, …e artificialistica e autoteleologica,…e da Stupore e Incanto da…”in-finire ontico/ontologico…; “da …quasi matti …per i perbenismi di ogni Storia e di ogni Geografia Antropologica”!)…

…Alla fin fine,…sempre da gnoseologico …”ripiego dubitabile …e di scelta di scegliere sempre”,…per essere “certi”…che “tutto” è sempre “dubbio” e …”non certezza” di/su niente e su/di nessuno”!

…Nemmeno del mio continuo tentativo di falsificare/confutare,in ogni attimo…, il “mio” Concetto di Io/Cartesiano chiaro ed evidente …solo nell’unilinearità delle “res extensa” della Logica Quantistica e Unilineare/Algebrica/Algoritmica;…tranne a decidermi di “scommetere” col cuore e con il sentimento di un Logos Fertile Poliarchico/Poligonico/Polifonico/Poliprospettico… da Pendolo di Foucault sempre oscillante in irrazionalismo che …fonda il razionalismo mio;…e viceversa;…con lo “slancio vitale” del pascaliano “ésprit de finèsse”! …Quando proprio …non ne posso più…di vivere così angosciato …e amando pur sempre in grazia emozionale e in ragione sentimentale …attraverso la speranza tormentata/tormentante!……Finchè io “ce la farò” ;…e mi dirò sempre tenace e coriaceo,…tra me e me:…”Io,…speriamo che me la cavo !”…

Moralità, Onorabilità, Incorruttibilità

Moralità, Onorabilità, Incorruttibilità

di Vincenzo Andraous

Moralità, onorabilità, incorruttibilità: se lo si dice a un bambino, potrebbe farci una bella rima. Se lo si dice a un adolescente, potrebbe travestirsi da samurai e inscenare battaglie epiche dei sogni e delle parole. Se lo si dice a un adulto, a una persona dall’intelligenza sviluppata perché formata dall’educazione, dovrebbe ritenerli carne e sangue di ogni pre-requisito per una buona vita.

Dovrebbe e potrebbe esser così, purtroppo così non è, ci sono innumerevoli motivi che si stagliano all’orizzonte e si frappongono per questo dire e non fare. Motivi seri e motivi artefatti, altri motivi creati ad arte per disegnare confusione e spostare l’attenzione, per irreggimentare le sensibilità, fino a farle diventare sussulti di indignazione a scoppio ritardato.

Quando poi l’indignazione avrà toccato il fondo più inclinato della disperazione, sarà terreno fertile per ogni ulteriore indifferenza.

Un bimbo cresce aggrappato al seno della propria madre, sicuro al suo calore, un adolescente va incontro alla sua maturità attraverso un valore che non è scambiabile con nessuna altra merce: il rispetto.

Il rispetto per se stesso, per gli altri, per la vita che non rilascia patenti da clandestino per meglio riuscire a barare, rispetto che non si  impara con una formuletta chimica edulcorata da un disegno tracciato alla lavagna. Rispetto che si apprende attraverso l’esempio che non fa passi indietro, non si nasconde, che proviene dall’insegnamento delle persone autorevoli che non temono la fatica, l’impegno della solidarietà, quella costruttiva dell’accogliere e accompagnare, nel sudare insieme per un obiettivo comune, un bene comune, una società in comune, rispettosa delle cose e delle persone.

Moralità, onorabilità, incorruttibilità, grandi idealità abbandonate alle intemperie ormonali, senza vergogna o disturbo di coscienza, mentre dovrebbe apparire da ogni azione e comportamento uno stile di vita corretto e condiviso, da perseguire in età dolce, negli anni ancora da venire, da amare, da costruire, da custodire. Invece è sotto gli occhi di tutti il suo esatto contrario: il fastidio e l’imbarazzo con cui si trattano e argomentano i più giovani,  lasciandoli a margine, nella precarietà, privandoli di note importanti di coinvolgimento, di corresponsabilità, di complicità mai sottobanco, come accade sempre più spesso quando si tratta di impegnare tempo e pazienza in spiegazioni plausibili per consentire scelte libere di responsabilità.

Una società più giusta non significa più ricca, opulenta, invasiva e pervasiva dei sentimenti altrui,  una società più equa potrebbe volere dire meno disattenta, meno oppressa dalla droga sparata in vena, inalata o bevuta. Maestro inadempiente che non scende dal pulpito, non riconosce errore, non abilita alcun servizio né utilità sociale, bensì gonfia le tasche dei pochi a dispetto dei tanti, sospinti all’indietro con disprezzo della pietà per ogni dignità calpestata.

Una collettività più giusta non ha paura della verità, di ciò che non è stato fatto, di quanto è da migliorare, non mette in evidenza i soli tratti vincenti, mimetizzando quelli perdenti, i quali hanno contrassegnato un agire passivo  e parassitario, un operare che non è agire, ma barcollare da un bicchiere all’altro di inutili bugie.

Moralità, onorabilità, incorruttibilità, sembrano altezze inarrivabili, un’estenuazione così estenuante da non poter esser scalfita se non addirittura pronunciata, figuriamoci raggiunta.

Eppure è in questa linea mediana, in questa terra di ognuno o forse di nessuno, che è possibile ritrovare un senso da confidare ai nostri figli, soprattutto per tenere barra a dritta noi adulti, evitando di incorrere in quel “ tronco funesto che è l’indifferenza “, quel modo di non essere che induce a non chiamare le cose con il loro nome, non volendo conoscerle per quello che sono.

13 dicembre Organici di Fatto A.S. 2012/2013

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

 

Organici di Fatto anno scolastico 2012/2013

Dati di sintesi

Per l’anno scolastico 2012/2013 il decreto legge 6 luglio 2011, n.98 convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, all’art.19, comma 7, ha previsto che a decorrere dall’anno scolastico 2012/2013 le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed ATA della scuola non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell’anno scolastitco 2011/2012. Così come avvenuto per l’organico di diritto (600.829 posti) anche l’organico di fatto è stato autorizzato per lo stesso numero di posti previsto per il decorso anno 2011/2012 (625.878 posti).

 

La famiglia nella legge istitutiva degli asili-nido

La famiglia nella legge istitutiva degli asili-nido

di Margherita Marzario

Abstract:L’Autrice, esaminando la funzione dell’asilo-nido, evidenzia i ruoli e le responsabilità delle persone protagoniste delle relazioni domestiche.

 

  1. L’asilo-nido

Gli anni Settanta hanno prodotto leggi che rappresentano ancora delle pietre miliari sotto il profilo giuridico, sociale e culturale. Tra queste la legge 6 dicembre 1971 n. 1044 “Piano quinquennale per l’istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato” che, seppure discussa allora e disattesa oggi, presenta aspetti costituzionali di un certo rilievo e ha anticipato alcuni elementi delle leggi successive, come la riforma del diritto di famiglia, ed anche della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989 (cosiddetta Convenzione di New York).

Gli articoli di cui è possibile una lettura attualizzata sono in particolare l’art. 1 e l’art. 6.

I primi due commi dell’art. 1 recitano nel modo seguente: “L’assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a tre anni nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico. Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l’accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale”.

“Assistenza”, termine che ricorre spesso anche nella Convenzione di New York, non deve essere intesa nel senso negativo di passivizzazione del soggetto, ma nel senso positivo e primitivo di stare accanto, stare presente (dal latino “adsistere”, stare presso), quindi aspettare e rispettare i tempi del bambino, i diritti naturali (enucleati da Gianfranco Zavalloni), in particolare “il diritto all’ozio a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti” e “il diritto a un buon inizio”. Ogni bambino, come ogni persona, ha diritto che venga rispettata la sua natura, quella “inclinazione naturale” di cui all’art. 147 cod. civ., ad essere considerato “naturus”, colui che nascerà perché ogni giorno è un’occasione per rinascere. È questo il significato di “libertà di espressione” e “libertà di ricercare” (art. 13 par. 1 Convenzione di New York) e di “rivelare le sue risorse” (Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance del 2007). “In sostanza occorre che la famiglia si renda conto della autonomia del fanciullo e carattere decisivo che ha per il suo sviluppo e fin dai primi mesi di vita il fatto di non essere subordinato alle esigenze di vita dei genitori (art. 3 Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro del 1967) e in ciò un grosso contributo è dato dall’assistenza dell’asilo-nido.

“Servizio sociale” richiama le “prestazione sociali” per la famiglia di cui all’art. 16 della Carta sociale europea e i “servizi adeguati e sufficienti” per i bambini dell’art. 17 della Carta; inoltre ha anticipato la ratio della legge 328/2000 sul sistema integrato di interventi e servizi sociali come si legge nel primo comma dell’art. 1: “La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”. Bisogna investire di più negli asili-nido e nelle scuole e non nelle comunità e nei carceri minorili, di più nella prevenzione primaria e non nella prevenzione secondaria e terziaria. La necessità della prevenzione (senza cadere negli eccessi) è confermata dal fatto che responsabile degli asili-nido è il Ministero della sanità (artt. 2 e 3 legge 1044/1971) e per due volte è menzionato il profilo sanitario (art. 6 n. 3 e art. 7). In Italia ci sono diverse associazioni (per es. “Mamme per la Salute e l’Ambiente Onlus”) che promuovono tenacemente la salute dell’infanzia, in particolare la prima infanzia, visto che l’infanzia italiana è una delle più a rischio in Europa per incidenza dei tumori, conflitti familiari, disimpegno sociale e mancanza di strutture.

“Politica per la famiglia”: il nome singolare “politica” auspica l’organicità e l’univocità delle scelte e degli interventi a favore della famiglia, politica che agendo sulla dimensione “biopsicosociale” (locuzione usata nella legge del Brasile del 2011 contro la PAS) delle persone è manifestazione della “biopolitica” in un’accezione ampia. Inoltre è più indicativa l’espressione “politica per la famiglia”, cui bisognerebbe aggiungere “con la famiglia”, e non “politiche familiari”.

“Temporanea custodia”: custodire significa proteggere, preservare qualcosa di prezioso, tutelare i diritti di qualcuno che non può farlo, significati che riecheggiano quelli di coltivare, ovvero attendere con premura, rispettare. L’asilo-nido ha di nome e di fatto, quindi, il compito di custodire e coltivare la prima infanzia, la vita in divenire: la protezione e la promozione di cui si parla anche nelle fonti internazionali. Concetti che evocano l’enunciato, che sinora rimane unico nell’ordinamento italiano, dell’art. 1 della Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro: “La personalità del fanciullo è sacra”. “Temporanea custodia” è una formula che ricorre spesso in alcune relazioni educative riguardanti i bambini, per esempio nell’affidamento in caso di separazione e divorzio dei coniugi oppure in alcune soluzioni alternative all’asilo-nido, come la cosiddetta “famiglia diurna”, esperienza caratteristica della Svizzera e sperimentata pioneristicamente in Lombardia.

“Assicurare” (dal latino “sine cura”, senza preoccupazioni, senza timore, senza pericolo), verbo presente in alcuni articoli della Costituzione, come l’art. 37 comma 1 “assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”, e più volte ripetuto nella Convenzione Internazionale del 1989, per esempio nell’art. 3 par. 2 “assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere”.

“Facilitare l’accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale”, oltre a richiamare l’art. 37 comma 1 Costituzione e l’art. 9 “Misure per conciliare tempi di vita e tempi di lavoro”, richiama le fonti internazionali in cui si prevede espressamente che il bambino ha diritto alla sicurezza sociale (art. 26 par. 1 Convenzione di New York). Tanto il concetto di “assicurare” quanto quello di “sicurezza sociale” inducono a riflettere sugli ambienti di vita dei bambini, dalla strada alla scuola, che non sono affatto sicuri e sugli effetti negativi dell’iperprotezionismo dei genitori. Prima ancora della sicurezza sociale, il bambino ha bisogno “di sicurezza materiale e morale” (art. 6 Dichiarazione dei diritti del bambino del 1959).

L’espressione “esigenze delle famiglie” dell’art. 6 n. 1 della legge n. 1044, che richiama la stessa usata nell’art. 144 cod. civ., presuppone una ponderazione delle singole esigenze tenuto conto dell’“interesse superiore del fanciullo” (art. 3 par. 1 e art. 18 par. 1 Convenzione di New York).

La previsione dell’art. 6 n. 2 “essere gestiti con la partecipazione delle famiglie e delle rappresentanze delle formazioni sociali organizzate nel territorio”, riformulata nell’art. 5 “Innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia” della legge 285/1997, riprende l’espressione “partecipazione” dell’art. 3 comma 2 Costituzione e l’altra “formazioni sociali” dell’art. 2 Costituzione; quest’aspetto avvalora che la cittadinanza e l’educazione alla cittadinanza si manifesta già nei confronti della prima infanzia.

La prescrizione “essere dotati di personale qualificato sufficiente ed idoneo a garantire l’assistenza sanitaria e psicopedagogica del bambino” dell’art. 6 n. 3 ha anticipato il contenuto dell’art. 3 par. 3 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Inoltre, la specificazione “assistenza sanitaria e psicopedagogica” ricorda che il benessere del bambino non si basa solo sullo “stare bene” ma anche sull’“essere bene”. L’assistenza psicopedagogica, di cui si è parlato per la prima volta in questa legge, è stata poi prevista solitamente nelle leggi sui disabili, come per esempio la legge 104/1992 quando, invece, l’assistenza psicopedagogica dovrebbe caratterizzare ogni relazione educativa.

La locuzione “garantire l’armonico sviluppo del bambino” dell’art. 6 n. 4 ricorda le premesse delle fonti internazionali, tra cui quella della Dichiarazione dei diritti del bambino in cui si afferma che “il bambino […] ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali compresa una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita” e l’art. 1 della Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro.

Il fatto che la legge n. 1044 riproponga alcune espressioni della Costituzione relative alla tutela del lavoro (artt. 35-38) conferma che il lavoro e la famiglia (con l’arrivo dei figli) sono la massima espressione della persona e per questo si devono adottare tutte le misure per conciliare lavoro e famiglia, come nel progetto europeo Audit Famiglia e lavoro.

  1. L’asilo della famiglia

Parafrasando questa legge e assimilando la famiglia all’asilo-nido, si potrebbe dire che la famiglia costituisce un servizio sociale di interesse pubblico che ha lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini e di garantire l’assistenza sanitaria e psicopedagogica del bambino. La famiglia costituisce un servizio di interesse pubblico, soprattutto per i compiti di educazione e di istruzione, e non semplicemente un luogo d’affetti come è intesa oggi in cui si assiste sempre di più all’individualismo della famiglia e nella famiglia. La famiglia è etimologicamente e ontologicamente un “servizio”, infatti deriva dal latino “famul” o “famulus”, cioè servitore che a sua volta deriva dall’osco “faama”, cioè casa, origine che avvalora l’inviolabilità (come nel significato etimologico di “asilo”) e la domesticità (nel senso di sfera domestica contrapposta alla crescente violenza domestica ed extradomestica) dell’infanzia e quindi l’assimilazione della famiglia all’asilo-nido.

“Temporanea custodia” per rammentare che i figli non sono né oggetto di proprietà né di desiderio. Anzi l’uso dell’aggettivo “sociale” per tre volte nella legge, deve far riflettere che l’asilo-nido contribuisce alla socialità della famiglia e dei bambini, pure nel senso che i bambini sono essi stessi una risorsa da condividere.

“Assistenza” – nel senso di essere presente a un atto per vedere e udire, oppure star presso ad alcuno per aiutarlo, soccorrerlo o altrimenti giovargli – che i genitori devono assicurare ai figli perché costoro hanno bisogno della presenza dei genitori (e non della televisione baby-sitter) e in particolare di assistenza psicopedagogica perché chi meglio dei genitori li può conoscere e educare. L’assistenza ai bambini è il riflesso di quell’assistenza morale e materiale dovuta tra i coniugi (art. 143 cod. civ.).

La famiglia si deve riappropriare del suo essere “formazione sociale ove si svolge la personalità” (art. 2 Cost.) e del suo essere “società naturale” (art. 29 comma 1 Cost.) e in special modo occorre che il padre si riappropri delle sue funzioni.

  1. L’asilo della paternità

Se la legge istitutiva della scuola materna sembra delineare quello che dovrebbe essere il “codice materno”, la legge istitutiva degli asili-nido sembra riferirsi, invece, al “codice paterno”.

Infatti, all’asilo-nido spettano tre “strappi” necessari per la crescita, che una volta erano realizzati nei riti di iniziazione che spettavano al padre: la fine della condizione prenatale e neonatale, dell’allattamento e del legame esclusivo con la madre. Mentre la madre è portata a “consolare” (che implica un portare verso di sé e non un allontanare), al padre, etimologicamente “colui che protegge, dà nutrimento” (come l’asilo-nido), tocca “conciliare” (mettere insieme, rendere amico, guadagnarsi l’affetto, come nel significato e nell’essenza dell’asilo-nido), gli si chiede di conciliare i tempi per consentire alla donna lavoratrice l’adempimento della sua essenziale funzione familiare (mutuando la terminologia dell’art. 37 comma 1 Cost.), senza essere né il “padre padrone” del passato né il “mammo” di oggi, gli si chiede di conciliare “securitas” e “auctoritas” (dal latino “augere”, far crescere, far avanzare), in altre parole protezione e promozione. È forse questa la spiegazione dell’art. 316 comma 4 in cui si prevede: “Se sussiste un incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili”; unica norma in cui continua a farsi riferimento solo al padre anche dopo la riforma del diritto di famiglia.

Ognuno deve tenere a mente che “il vuoto strutturale della moderna società occidentale proviene dall’assenza del padre. In un certo senso l’affievolimento o addirittura la scomparsa di tutti gli altri ruoli parentali derivano da quella lacuna che sta al vertice della famiglia” (Eugenio Scalfari[1]).



[1] E. Scalfari, Il padre che manca alla nostra società, in La Repubblica, 27 dicembre 1998.

La revisione delle classi di concorso

La revisione delle classi di concorso

di Max Bruschi

“Bertoldo . Eccomi dunque pronto, o Re, a essequire quanto hai ordinato. Ma, prima ch’io muoia, io bramo una grazia da te e sarà l’ultima che mi farai più.

Re. Eccomi pronto per fare quello che domandi, ma di’ presto, ché m’hai fastidito con quel tuo longo cianciume.

Bertoldo. Comanda, ti prego, a questi tuoi ministri, che non mi appicchino sin tanto che io non trovo una pianta o arbore che mi piaccia, che poi morirò contento.

Re. Questa grazia ti sia concessa. Su, conducetelo via, né lo sospenderete se non a una pianta che gli piaccia, sotto pena della mia disgrazia. Vuoi altro da me?

Bertoldo. Altro non ti chieggio, e ti rendo grazie infinite.

Re. Orsù, a Dio Bertoldo, abbi pazienza per questa volta.

Non comprese il Re la metafora di Bertoldo, onde costoro lo menarono in un bosco pieno di varie piante, e, quivi non ve n’essendo nissuna che gli piacesse, lo condussero per tutti i boschi d’Italia, né mai poterono trovare pianta, arbore né tronco che gli piacesse; onde, fastiditi dal lungo viaggio e ancora avendo conosciuto la sua grande astuzia, lo slegarono e lo posero in libertà, e ritornati al Re gli narrarono il tutto. Il quale, oltra modo si stupì del gran giudicio e sottile ingegno di costui, tenendolo per uno de’ più accorti cervelli che fossero al mondo”.

Ecco, il grande Giulio Cesare Croce perdonerà, ma la pluriennale vicenda della revisione delle classi di concorso assomiglia, irresistibilmente, al passo citato. In alcune versioni apocrife, si narra addirittura che Bertoldo, condannato comunque a scegliere, tirasse fuori dalla palandrana un alberello di quercia in vaso, soggiungendo: “Sire, per averlo trovato, io lo ho trovato … ma che fretta c’è? Lasciate che cresca, no?”.

Solo che a crescere, in questo caso, non è stato un alberello. Il lungo e tormentato travaglio dello schema di regolamento, approvato in prima lettura dal consiglio dei ministri nel 2009 e variamente modificato, tanto da renderlo irriconoscibile, con l’accompagnamento di confluenze provvisorie a volte alquanto spericolate, risultava, citando Federico De Roberto, sin troppo simile negli esiti al parto di Chiara Uzeda, il “prodotto più fresco della razza dei Viceré”,  conservato, con grande cura, in una boccia sotto spirito.

Occorreva ripartire da capo e da nuovi presupposti. E si è provato a farlo. La scelta è stata di dividere nettamente il vecchio dal nuovo, con riguardo da un lato a una impostazione di carattere culturale, in grado di disegnare le nuove classi di concorso a partire dall’assetto dei cicli scolastici; dall’altro alla necessaria tutela degli attuali docenti di ruolo e dei meccanismi di scorrimento delle attuali graduatorie; dall’altro ancora, all’esigenza di rendere il meccanismo di passaggio e di transizione il più semplice possibile.

Partire dall’assetto futuro ha consentito di proporre una rivoluzione copernicana, in grado di ribaltare i presupposti tanto del precedente schema di regolamento, quanto del decreto ministeriale 39/1998 e di rendere possibile un disegno totalmente nuovo, senza che le linee ne fossero ineludibilmente tracciate sulla falsariga del pregresso.

 

E fermiamoci dunque, innanzitutto, sulla revisione. Le classi di concorso sono state drasticamente ridotte nel numero e corrispondono, ciascuna, a vaste aree disciplinari, funzionali a una ottimale gestione degli organici, dei percorsi di abilitazione, dei concorsi. L’attuale frammentazione non risulta, infatti, più giustificabile a seguito della revisione degli ordinamenti, così come altrettanto obsoleta è, nelle abilitazioni future, la separazione tra “classi liceali” e “classi dell’istruzione tecnica e professionale”.

Abbattuta è stata anche la separazione degli organici degli istituti secondari superiori: istituto unico deve significare organico unico, consentendo una più ampia flessibilità, l’acquisizione di esperienza e competenza, magari contemporanee, sull’intero arco della secondaria di secondo grado, la fine delle incredibili transumanze di insegnati catapultati altrove pur in presenza di spezzoni o cattedre che avrebbero potuto occupare, con indubbi benefici di continuità.

Ulteriore innovazione è costituita (come ha colto bene la CGIL, pure, non si sa perché, contestando la scelta) dall’identificazione tra titolo di accesso alla classe di concorso e abilitazione, mandando in sostanza ad esaurimento le attuali terze fasce di istituto e in soffitta il concetto di “titolo di insegnamento”, foriero di sanatorie e guai. Chi entra in classe, insomma, paritarie comprese, deve comunque e a prescindere possedere lo standard fissato dalla norma: competenze disciplinari, certo, ma anche professionali (trasversali o specifiche), acquisite e verificate da un percorso selettivo in ingresso, in itinere, in uscita.

Ciascuna classe di concorso dell’allegato A ha alle spalle, idealmente, percorsi di laurea magistrale o di diploma accademico di secondo livello, o, in alcuni casi, percorsi misti (completati, beninteso, dal tirocinio formativo attivo) specifici, nella progettazione dei quali ogni istituzione sia chiamata a dare il meglio delle proprie risorse. Tuttavia, la scelta che spetta al livello politico (percorsi ad hoc completati dal TFA, revisione dei titoli di accesso al TFA, doppio canale) è lasciata aperta e demandata a specifico decreto: anche se nel frattempo è preservato, intatto, il valore dei titoli già acquisiti o che nel frattempo lo saranno.

Così come, per la prima volta, è stabilito un percorso ordinamentale per la “tabella C”. Occorre parlar chiaro: se gli insegnanti tecnico pratici sono previsti dagli ordinamenti (e lo sono, e la scelta avrebbe potuto essere diversa), è doveroso offrire loro una strada per il conseguimento dell’abilitazione ordinamentale, punto e stop, senza trascinare una situazione che, per lustri, ha visto incredibilmente la categoria in balia di sanatorie e riservati.

E aggiungo, per il futuro si spera prossimo: sarebbe errato perseguire una impossibile standardizzazione dei livello dei titoli di accesso (laurea, laurea magistrale, percorso di ITS, etc.) ai percorsi di abilitazione  al posto di una sacrosanta valutazione caso per caso del bagaglio di conoscenze e competenze disciplinari e della definizione degli standard in uscita. Spesso domando agli allievi degli alberghieri se preferirebbero avere come insegnante Gordon Ramsey, Buddy Valastro, Alessandro Borghese o qualche signor nessuno purché laureato… come ho sentito con le mie orecchie proporre da un sé dicente esperto. Inutile dire quali sono le risposte.

Ulteriore e rilevante novità, la trasformazione, nella secondaria, del sostegno in classe di concorso. Disposizione che intende perseguire una qualificazione del servizio offerto ai disabili e alle classi e porre un freno a un mercato simoniaco che ha fatto di una funzione delicatissima, in troppi casi, una sorta di pagamento di indulgenze per un più rapido accesso alla cattedra.

 

Quanto alla gestione dell’hic et nunc, le situazioni da regolare sono sostanzialmente due. La prima, riguarda per così dire lo “straordinario”: in sostanza, i soprannumeri e gli esuberi. Ora, l’articolo 14, commi da 17 a 21, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha inglobato ed elevato al rango di norma primaria le disposizioni che, in precedenza, erano state previste all’articolo 4 del vecchio schema di regolamento in materia di utilizzazioni del personale docente in esubero, togliendo in sostanza di mezzo l’unica ragione che, agli occhi del ministero dell’economia e delle finanze, poteva giustificarne l’adozione.

C’è, in aggiunta, nel decreto una norma specifica che riguarda le situazioni “di fatto” venutesi a creare a seguito delle sperimentazioni e tutela, senza se e senza ma, le posizioni degli attuali titolari. E’ previsto, infatti, che “i docenti con incarico a tempo indeterminato attualmente titolari di insegnamenti attribuiti, ai sensi del presente decreto, a una diversa classe di concorso, mantengono le attuali sedi e cattedre o posti di titolarità. Qualora risultino perdenti posto, hanno diritto alla mobilità per gli stessi insegnamenti nella stessa tipologia di percorso”.

La seconda situazione riguarda la gestione delle attuali graduatorie. Si è scelto di canalizzare le classi di concorso attualmente vigenti nelle nuove attraverso l’uso di sottocodici, in modo da fissare la loro confluenza negli insegnamenti dei nuovi ordinamenti del secondo ciclo di istruzione.

Gli allegati B e D sono stati predisposti tenendo come punto di partenza il DM 39/1998, il DM 22/2005 e una puntuale verifica dei titoli di accesso, rapportandoli ai nuovi ordinamenti. Occorreva, soprattutto, allineare le competenze e le conoscenze specifiche previste dalle previgenti classi di concorso ai traguardi (obiettivi di apprendimento, pecup) posti ai nuovi insegnamenti. In tal modo, pur ampliando le possibilità di mobilità all’interno del sistema e pur rendendo più flessibile la gestione del personale docente, è assicurato un immutato livello qualitativo. Nei casi in cui nessuna abilitazione/idoneità prevista dal previgente ordinamento sia stata ritenuta in grado di garantire l’intero novero degli insegnamenti attribuiti alla nuova classe di concorso, gli insegnamenti sono stati ripartiti tra più sottocodici.

Il tutto, ovviamente, dovrà essere attivato all’atto di aggiornamento delle graduatorie, con norme amministrative delicate, in particolare sul calcolo dei punteggi, ove sarà necessario partire per tempo e con grande equanimità. Si può discutere a lungo sulla trasformazione delle attuali GAE, e sussistono pro e contro. C’è però un punto (di diritto) sfuggito ai più. Le graduatorie ad esaurimento hanno maturato, nel tempo, alcune caratteristiche che in parte, grazie alle sentenze della magistratura e alle spesso inefficaci pezze a colore politico-amministrative, hanno superato o mutato la volontà del legislatore, a dire la verità non compiutamente espressa all’epoca della “chiusura”. Risultano, di fatto, “chiuse” a nuovi ingressi. Ma non risultano in alcun modo “ibernate”. E’ possibile cioè aggiornare periodicamente i punteggi, mutare addirittura la provincia… e siccome nessuna norma le vincola a particolari codici, risulta fattibile riaggregarle sulla base dei nuovi sottocodici.

 

Quanto alla transizione, la questione riguarda il valore dei titoli attualmente posseduti e il loro impiego nel nuovo ordinamento. La soluzione più praticabile e più equa è sembrata essere, anche, la più semplice. In sostanza, il possesso di una abilitazione nelle classi vecchie confluite nelle nuove consente di accedere alle prove concorsuali per il “pacco completo”, così come il possesso di un titolo di studio dà diritto a partecipare alle prove di accesso ai percorsi di tirocinio formativo attivo sulle nuove classi di concorso. E’ stata messa in primo piano, insomma, la libertà del singolo di curare, come meglio crede, la propria preparazione, anziché allestire macchinose procedure di allineamento “quo ante” con la conseguente acquisizione coatta (e, presumibilmente, selvaggia) di crediti formativi universitari o accademici, o a procedure di riqualificazione sempre possibili in itinere, ma che l’esperienza ha mostrato essere inversamente proporzionali tra impegno e risultato in termini di acquisizione delle competenze didattiche e disciplinari. Anteporre, nel Paese dei certificati, la competenza reale a quella cartacea, non è di poco conto.

 

Concludendo: ogni intervento sulle classi di concorso, storicamente, provoca il silenzio dei soddisfatti e la reazione di chi, a torto o a ragione, si sente in qualche modo defraudato o danneggiato dal nuovo assetto. A volte, si tratta di rimostranze ben motivate (e che comunque hanno visto, contrapposte, altrettante ragioni); altre volte, della difesa di situazioni di fatto acquisite nella maniera più varia (sino ad alcune paradossali situazioni, assolutamente misteriose nel perché, nel percome, nel chi: come può un docente di pittura o scultura insegnare, senza altro titolo, discipline audiovisive e multimediali?). Altre volte ancora ci si intestardisce su casi particolari, anziché sulla filosofia generale. Eppure, sarebbe importante che il dibattito, breve ma intenso, affronti i diversi livelli del provvedimento che ho cercato di indicare, correggendo ciò che c’è da correggere e spiegando pubblicamente perché occorra farlo.

 

Ricordati… per il merito a scuola… 2+2=5

Ricordati… per il merito a scuola… 2+2=5

di Enrico Maranzana

La situazione della scuola è sotto gli occhi di tutti; sorprendente il fatto che nessuno si curi d’individuare i responsabili del disservizio. Tra questi risaltano:

  • I docenti che hanno nei libri di testo il loro Vangelo.

In essi trovano sicurezza, sicurezza contrapposta all’ansia indotta da una nuova professionalità fondata sulla progettazione, sull’ideazione di percorsi su terreni inesplorati. Eppure, per ridar credibilità e incisività al servizio, sarebbe sufficiente far emergere, finalizzare e coordinare parte della loro ordinaria operatività.

  • I dirigenti scolastici che difendono a oltranza lo stantio modello organizzativo gerarchico: l’essere al vertice della struttura di comando è gratificante.

La loro responsabilità primaria sarebbe quella di orientare gli organismi di governo alla progettazione di itinerari finalizzati al conseguimento della finalità del sistema: la promozione e il consolidamento delle capacità e delle competenze degli studenti;

  • I sovraintendenti scolastici e i ministri dell’istruzione che non hanno onorato il punto più qualificante del mandato loro conferito: governare l’attività delle scuole affinché fluisca nell’alveo istituzionale;
  • La scuola nel suo complesso che si rifiuta di progettare, impermeabile ai dettami delle scienze dell’organizzazione.

 

F. Cassano, L’umiltà del male

L’uomo di Cassano

di Antonio Stanca

Non un messaggio ma un richiamo è da considerare quello espresso da Franco Cassano nel suo recente, breve volume L’umiltà del male pubblicato dalla casa editrice Laterza di Bari nella “Serie Economica”. Cassano è nato ad Ancona nel 1943, insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bari, è membro del comitato scientifico “Laboratorio Progetto Poiesis”, della redazione della rivista “da QUI” e presiede, a Bari, il movimento “Città plurale”. E’ stato uno dei maggiori rappresentanti del marxismo meridionale e senza rinunciare a tali prime posizioni si è, poi, mostrato impegnato in altri ambiti.

Nuovo e libero è stato nei suoi studi, aperto al confronto tra discipline diverse. La sua opera più nota è Il pensiero meridiano, comparsa nel 1996 presso Laterza. In essa l’autore si mostra convinto che il Sud del mondo non è in condizioni di arretratezza rispetto al Nord, che è soltanto diverso da questo perché diverso è stato ed è il suo procedere, diversa la sua vita, la sua cultura, diversi i suoi luoghi. Ha diritto, perciò, a vedersi riconosciuta una sua autonomia, ad essere apprezzato nel suo spirito, nei suoi valori, nelle sue espressioni. In altre opere Cassano insiste nella ricerca di una comunicazione estesa tra i paesi, i popoli del mondo, di una modernità da controllare perché non annulli la dimensione umana, di uno scambio tra discipline e culture diverse per affrontare i problemi del futuro. Di sociologia, filosofia, letteratura, scienza, politica si nutrono i suoi lavori, da ovunque attingono, autori ed opere, pensieri e correnti, passato e presente, e tutto riportano all’uomo, alla sua condizione, alla sua realtà. Per chiarirle, spiegarle si muove Cassano, per l’uomo pensa, per l’uomo scrive. Un esempio di moderno umanesimo è il suo e continui sono, nelle opere, i riferimenti a quanti prima di lui e insieme a lui, studiosi, intellettuali, artisti, hanno detto e scritto dell’uomo. A volte accetta, conferma, a volte discute le loro posizioni poiché col suo pensiero le confronta, con la sua convinzione che serve l’azione, che l’agire è più importante del subire, l’essere più del dover essere.

Anche adesso, a sessantanove anni, con L’umiltà del male si propone un obiettivo, tende ad una meta. Non concede riposo Cassano al suo uomo, lo vuole sempre all’opera e soprattutto al giorno d’oggi quando più difficile è diventato conservare la propria identità poiché teso ad annullare le differenze, amalgamare, massificare è ormai l’ambiente sociale. Al potere dei mezzi di comunicazione, dei pensieri, delle azioni correnti, delle mode, dei gusti, del costume diffuso tende esso ad assoggettare intere masse. Disperdere vuole il nuovo ambiente ogni segno distintivo in nome di una parità, di un’uguaglianza estesa, di un comportamento diventato di tutti poiché tutti lo hanno accolto. E’ stato comodo, tutti si sono lasciati prendere, sono stati deboli, non hanno resistito, non hanno pensato che era un male diventare vittime di un sistema, rafforzarlo al punto da renderlo stabile, unico, definitivo. Anche chi sarebbe venuto dopo sarebbe stato da esso assorbito e non avrebbe potuto sperare in una liberazione. Il male sarebbe stato ancora accolto ed avrebbe determinato per sempre la vita degli uomini.

Pochi, pochissimi sarebbero sfuggiti poiché diversi dalla moltitudine, diverso il loro pensare, sentire, fare. Sarebbero stati i forti di spirito, avrebbero rappresentato il bene ma avrebbero considerato il loro un privilegio, un segno di distinzione e sarebbero rimasti lontani dagli altri. Da una parte ci sarebbe stata la moltitudine dei deboli, dei sottomessi, dall’altra la solitudine dei forti, dei liberi. Questi dovrebbero, secondo Cassano, adoperarsi per portare, convertire alla propria posizione anche gli altri, per liberarli dalla grave dipendenza nella quale sono caduti. Non è un’operazione facile, non hanno, quei pochi forti, i tanti mezzi dei quali dispone l’ambiente per tenere in subordinazione la gente ma non dovrebbero essi rinunciare all’impresa poiché sarebbe come accettare che si aggravasse sempre più quello che è un pericolo per l’umanità. L’impegno, l’azione chiede Cassano ai forti di spirito, ai diversi, il loro bene vuole confrontare col male dilagante. E a sostegno di questo suo intento adduce, nell’opera, tre esempi illustri di confronto tra male e bene.

Il primo è ricavato dal Libro quinto de I fratelli Karamazov, romanzo dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij. Cassano cita il racconto che Ivan fa al fratello Alioscia della “Leggenda del Grande Inquisitore”, il lungo monologo di questi di fronte al Cristo che ha fatto arrestare in una piazza di Siviglia, dove era comparso durante il periodo dell’Inquisizione spagnola nel XV secolo ed aveva fatto dei miracoli. L’Inquisitore rappresenta il potere della Chiesa e dello Stato che per tenere assoggettati migliaia, milioni di fedeli e cittadini perseguita, punisce, condanna, diffonde la paura, il terrore, egli è il segno del male. Cristo rappresenta quel bene che è di pochi e che egli vorrebbe far giungere a tutti.

Nel secondo esempio, tratto dal romanzo I sommersi e i salvati di Primo Levi, Cassano identifica il male con la “zona grigia”, con quella parte, cioè, di prigionieri che nel lager di Auschwitz, dove Levi era stato tenuto, si mostra disposta a collaborare con i tedeschi, a tradire i propri compagni, e il bene con la constatazione di una simile disgrazia da parte di chi ne subisce le conseguenze e con l’impossibilità di porvi rimedio.

Il terzo esempio è rappresentato da un dialogo radiofonico avvenuto molti anni fa tra i filosofi Arnold Gehlen e Theodor Adorno. Il Gehlen, conservatore, sosteneva l’importanza delle istituzioni perché la società non sfociasse nel disordine, perché gli uomini sapessero dell’esistenza di un potere costituito e ad esso si adeguassero. Adorno, progressista, pensava che in tal modo non si sarebbe mai progredito e che per farlo bisognava che l’uomo mettesse in discussione quanto aveva ereditato e creasse delle nuove maniere di essere, di vivere. Per Cassano il primo va paragonato all’Inquisitore, a chi vuol far rimanere per sempre l’uomo debole e assoggettato, il secondo al Cristo che vuole l’uomo forte, libero di pensare, di fare, capace di rinnovarsi, il primo al male, il secondo al bene.

Esempi di forza, di resistenza da parte del bene di pochi al male di molti ha voluto fare lo studioso nel libro e molto originale è riuscito poiché per testimoniare di un problema umano, sociale dei tempi moderni e contemporanei si è riferito al passato,  ne ha fatto un problema di sempre, esistenziale. Come altre volte il Cassano, con un linguaggio chiaro e scorrevole, con continui riferimenti ad altre opere, si sofferma su quanto avviene nella vita, ne coglie gli aspetti più complicati ed esorta ad impegnarsi per una loro correzione. Se si tiene conto che altri pensatori, non solo in Italia, si sono adeguati al sistema costituito si capisce l’importanza del pensiero e dell’opera del Cassano, il significato di una figura che  non si è arresa alla situazione e non intende farlo perché ancora convinta è delle possibilità dell’uomo.

DISABILI E SCUOLA

da SIR

Sabato 08 Dicembre 2012

DISABILI E SCUOLA

Rischio discriminazione

In Italia per 215.590 alunni permangono molteplici barriere

Potenziamento della cultura dell’inclusione scolastica, valorizzazione della funzione del docente per il sostegno, interventi personalizzati per alunni con bisogni educativi speciali. Sono alcuni dei punti contenuti nella direttiva presentata in questi giorni dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) che definisce, dopo trentacinque anni dalla legge che diede avvio al processo d’integrazione nelle classi comuni, un’unica strategia di inclusione condivisa tra scuola, territorio e famiglie. Per riflettere sulle linee guida tracciate dal Miur e fare il punto della situazione, Riccardo Benotti ha intervistato, per il Sir, Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della Fish (Federazione italiana superamento handicap) e già presidente del Movimento apostolico ciechi, esperto di politiche di integrazione scolastica.

Quali sono gli elementi più importanti della nuova direttiva?

“L’intesa con il Ministero della salute è certamente importante, come lo è la scelta di valutare gli alunni sulla base degli Icf (classificazione del funzionamento, della disabilità e della salute promossa dall’Oms, ndr). In relazione a questo grande lavoro, tuttavia, abbiamo delle perplessità. Le Asl, infatti, sostengono di non avere personale sufficiente per far fronte ad un impegno simile: la diagnosi in base all’Icf è decisamente più lunga rispetto a quella strettamente sanitaria. Ho timore che, malgrado l’intesa, i criteri dell’Icf saranno difficilmente attuati. Altro grave aspetto, poi, è che in alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, solo la prima visita di incontro è a spese dell’Asl mentre le successive sono a carico degli utenti. È un fatto molto grave perché genera discriminazione ai danni delle persone con disabilità: gli altri studenti, infatti, non hanno bisogno di questa macchinosa e costosa documentazione”.

Il Ministero ha fatto passi avanti sui Disturbi specifici di apprendimento (Dsa)…

“Il lavoro sui Dsa è davvero positivo. D’altra parte, come risvolto contrario, si deve ancora una volta rilevare l’aumento considerevole del lavoro per le Asl. Fino ad ora, infatti, questi disturbi non andavano certificati. Dal momento che sembra siano circa 350.000 gli studenti affetti da Dsa, il lavoro a carico delle Asl sarà certamente oneroso. Sarebbe necessario che i due Ministeri, d’intesa con la Conferenza Stato regioni, intervengano. Certamente le parole del presidente Monti riguardo al Sistema sanitario nazionale (Ssn), che potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento, gettano inquietudine per tutte le persone con disabilità che hanno bisogno del Ssn oltre che per la propria salute anche per delle prestazioni di carattere socio-assistenziale o sanitario”.

In un recente rapporto, Cittadinanzattiva ha rilevato una situazione deficitaria della scuola italiana: scalini all’ingresso, ascensori assenti o non funzionanti, barriere architettoniche, assenza di bagni accessibili…
“È una fotografia veritiera dello stato dei fatti. In molte scuole, almeno per l’accesso, sono state trovate soluzioni con scivoli mobili o entrate secondarie. Il problema, però, resta per la mobilità all’interno dei locali. Gli studenti con disabilità motoria sono circa il 20% sul totale di quelli con disabilità. Non c’è dubbio che si tratta di un problema grave. Il ministero si era impegnato a predisporre un piano di eliminazione delle barriere architettoniche ma ora non ci sono più i fondi. Non si può negare che il Miur stia facendo sforzi incredibili per garantire la qualità dell’integrazione. Ma i risultati non sono all’altezza”.

In Italia sono 215.590 gli alunni con disabilità. L’attuale sistema di insegnanti di sostegno è sufficiente per fare fronte alle diverse necessità?

“La media è di un insegnante di sostegno ogni due alunni, che sarebbe accettabile se non fosse per la distribuzione non omogenea sul territorio. È molto più alta al Sud, dove si raggiunge la media di un insegnante ogni alunno e mezzo, e bassa al Nord, con un’insegnante ogni due alunni e mezzo, nonostante il numero di certificazioni sia in proporzione superiore che nel Meridione. Quando il rapporto è rispettato, la didattica funziona bene”.

Cosa fanno le famiglie nel caso di inosservanza delle norme?

“Laddove un genitore non si sente soddisfatto, ricorre al Tar. Ci sono due impedimenti principali per la qualità dell’integrazione: il primo è costituito dalle classi sovraffollate, nonostante il Miur abbia emanato una norma che stabilisce il numero massimo di 20 alunni; il secondo è dato da quegli insegnanti curriculari che dovrebbe occuparsi dell’integrazione scolastica con l’aiuto dell’insegnante di sostegno e che, invece, si disinteressano dello studente con disabilità demandando interamente il compito all’insegnante di sostegno. I genitori, quindi, sono costretti a fare causa. Stiamo arrivando all’assurdo che ormai le ore di sostegno non le assegna più l’Ufficio scolastico ma il Tribunale. Quello che abbiamo chiesto come Fish è un rispetto della normativa sul numero massimo di alunni per classe e l’istituzione di corsi di formazione obbligatoria, sia iniziale che in servizio, per i docenti curriculari”.