La crisi? E’ più marcata in Italia che nel proprio Paese per più della metà di loro (57%). Ma il 50% tornerebbe nella Penisola per proseguire gli studi per diventare stilista o chef.
Gli adolescenti italiani? Non sono per niente mammoni, anzi sono molto intraprendenti (lo pensa il 41%) e se solo i loro genitori non li controllassero, imparerebbero più facilmente a cavarsela da soli (55%). La famiglia? E’ il motore trainante della società italiana: unita, affiatata, dinamica, come in nessun altro Paese al mondo, è l’aspetto più positivo riscontrato da uno su tre (36%).
A dirlo sono 110 studenti stranieri provenienti da più di 40 Paesi dei 5 continenti che quest’anno stanno studiando in Italia grazie a Intercultura, onlus che dal 1955 promuove programmi di studio per gli studenti delle scuole superiori. Ogni estate partono 1800 studenti italiani per un periodo lungo di studio e di vita all’estero, scegliendo sempre più Paesi dell’Asia e dell’America latina e, parallelamente, 800 loro coetanei arrivano in Italia, accolti da una famiglia come dei veri e propri figli, con lo stesso carico di oneri e di onori dei membri naturali del nucleo familiare che li ospita. Un numero sempre in crescita: dalle 53 famiglie pioniere del 1965 al migliaio che ha dato disponibilità quest’anno, per un totale di venticinquemila famiglie in mezzo secolo di apertura interculturale.
«Non è solo la dimensione internazionale ed interculturale di quest’esperienza a costituirne la particolarità -spiega Roberto Ruffino, Segretario Generale di Intercultura – Vivere per mesi fianco a fianco con un giovane adolescente di un altro Paese instaura dinamiche nuove nella famiglia che lo ospita; c’è chi testimonia la soddisfazione di avere vissuto diversamente il proprio ruolo di genitore; c’è chi racconta la gioia di avere vissuto un’esperienza comune a tutta la famiglia, ossia lo sforzo di sentirsi “famiglia ospitante” e di aiutare il “nuovo venuto”, nell’esplorazione del “nuovo mondo”. Si creano relazioni e affetti che durano una vita e che generano, a catena, nuove opportunità di incontro, conoscenza, esperienza».
Arrivati lo scorso settembre, questi studenti non solo hanno imparato ormai bene la nostra lingua, con tanto di inflessioni dialettali, ma anche a riflettere sulle caratteristiche dell’identità italiana, andando oltre gli stereotipi di pizza, mafia e mandolino. Il loro sguardo si è posato soprattutto sulle modalità di risposta della famiglia italiana alla crisi economica che questi ragazzi stranieri hanno notato essere più marcata che nel loro Paese di origine nel 57% dei casi (fa però da contraltare quel 18% che afferma, al contrario, che a casa loro si sta peggio).
Una volta tanto, a non essere additati come elemento negativo sono i coetanei italiani: sfatata l’immagine di “mammoni” che ormai ha bollato le nostre giovani generazioni a cui, forse più per pigrizia, non si vuole riconoscere capacità critiche e imprenditoriali. All’opposto, secondo il 41% di questi adolescenti i loro coetanei italiani non lo sono per nulla, anzi sono molto intraprendenti:«i ragazzi che ho conosciuto non mollano mai e quando hanno qualcosa in mente, ce la fanno sempre in qualche modo a realizzarla» dice l’austriaco Georg, per un anno a Roma.
Come nella terza legge della dinamica, a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. In questo caso, quella esercitata da mamma e papà, visti come i tipici genitori “chioccia”, incapaci di lasciare libere le briglie e di smetterla di controllare i propri figli, che, con questo atteggiamento protezionista, non impareranno mai a cavarsela da soli (55%). Così Karla Miranda, dal Guatemala a Palermo per un anno: «gli adulti pensano che i giovani non sono capaci di essere al loro livello e così li lasciano fuori dalle situazioni più importanti senza rendersi conto che sono il futuro di questo Paese e che, senza di loro, sono persi».
Gli studenti stranieri si sbilanciano e danno anche qualche consiglio ai genitori italiani sulla base della loro esperienza personale: per il 14% basta paghetta («In Cina se faccio dei lavori in casa, come lavare i piatti, mia mamma mi dà dei soldi, così imparo il valore del lavoro» spiega Mengh Zehn per un anno a Rivoli), per il 18% basta cucinare e, soprattutto stigmatizzata da un altro 18%, la prassi ormai consolidata di trovare sempre una scusa per gli errori dei figli («I genitori italiani stanno sempre attenti ai figli però quando questi sbagliano non li puniscono, per forza non imparano a cavarsela da soli» osserva la brasiliana Lara, per un anno a Cremona), mentre per il 10% basta regali, perché altrimenti «i ragazzi pensano che i soldi crescono sugli alberi», come riassume sagacemente il danese Jannik, per un anno a Novara. E per finire, il monito è: fuori di casa appena diventati maggiorenni, «i giovani italiani non dovrebbero abitare così tanto tempo a casa dei genitori, dovrebbero avere una casa propria a partire dai 20 anni» consiglia l’austriaca Katharina, per un anno a Castellammare di Stabia.
Non tutto è da buttare. Anzi, a rappresentare la chiave di successo per la ripresa italiana è proprio la famiglia, nel suo ruolo aggregante, uno dei piloni dell’identità italiana che gli studenti stranieri stanno scoprendo nel corso della loro permanenza nella nostra Penisola con Intercultura. I ragazzi, nel corso di questi mesi, sono infatti rimasti particolarmente colpiti dal fatto che ci si ritrovi tutti assieme a tavola (41%), una pratica pressoché sconosciuta nelle proprie dinamiche famigliari e dal forte senso di collaborazione per aiutare la famiglia o gli amici in difficoltà (36%). Risultato, i genitori italiani sono molto apprezzati da questi ragazzi: la mamma perché è organizzata, lavora, torna a casa e trova il tempo per dedicarsi alla famiglia (50%) e il papà, perché è dinamico e pieno di interessi (31%), tanto da far dire alla cinese Xiaorui, per un anno a Varese: «il mio papà è l’uomo più figo d’Italia».
Altro pregio dei genitori italiani è far sentire questi ragazzi stranieri come parte integrante del nucleo famigliare, come afferma entusiasta Ivan, dalla Bosnia a Piacenza per un anno: “la cosa che più mi piace della famiglia ospitante è che mi sento a pieno titolo un suo membro, con gli stessi diritti e dover» . L’integrazione nel tessuto comunitario e culturale italiano è ormai talmente radicata, da indurre la metà esatta (50%) degli studenti intervistati a dichiarare di voler tornare in Italia per gli studi universitari. Non solo perché in alcuni casi la nostra scuola è ritenuta più di alto profilo rispetto a quella del loro Paese (“Gli studenti delle università italiane studiano di più dei studenti nelle università cinese» secondo Xiaofei, per un anno a Treviso) o perché hanno seguito delle lezioni che li hanno appassionati, ma soprattutto, è interessante notare che alcuni lavori hanno molto a che fare con la realtà che hanno trovato in Italia: dallo chef (come Soshi, dal Giappone a Conegliano V.to) alla stilista (come Daniela dal Messico a Olbia-Tempio Pausania), dal giornalista di moda (come Valeria dal Perù a Parma) a professioni legate all’arte e al turismo, a chi sceglie economia e commercio “Per trovare un modo come migliorare l’economia in Italia» come afferma Martina, altoatesina, madrelingua tedesca, per un anno a Catania.
Dunque, mamme, papà, fratelli e sorelle italiani promossi sul campo? Sembrerebbe di sì, ma la vera sfida ora per i 4.000 volontari di Intercultura sull’intero territorio è trovare le nuove 1.000 famiglie che dal prossimo settembre vorranno aprire le porte della propria casa a uno studente straniero.