TFA: stato di agitazione e ricorso al Tar Lazio per l’inserimento nelle GaE

TFA: ANIEF avvia lo stato di agitazione e il ricorso al Tar Lazio per l’inserimento nelle GaE

Per il sindacato è illegittima l’esclusione dei nuovi abilitandi dall’esercizio alla professione insegnante, dopo aver consentito l’inserimento, nel 2008 e 2012, nelle ex-graduatorie permanenti degli specializzati del IX ciclo SSIS e dei laureati in Scienze della Formazione primaria. Contestato il c. 27, art. 15 D.M. 249/2010, introdotto dal c. 1, lettera m, art. 4 del Regolamento di modifica del 25 marzo 2013. Scrivi a tfa@anief.net per la preadesione non vincolante al ricorso. Diventa coordinatore ANIEF nella tua università per preparare la manifestazione nazionale e sensibilizzare la politica.

La storia è nota da tempo: nel dicembre 2006 (legge 296) si trasformano le graduatorie permanenti (GP) in graduatorie ad esaurimento (GaE), unico canale di assunzione (50% dei posti) per il personale abilitato attraverso i corsi universitari, fin dalla loro istituzione nel 1999.

Nell’a. a. 2007-2008 parte il IX ciclo SSIS (Scuole di Specializzazione), ma nei diversi Atenei – con speciali avvisi – si rimarca nel bando di ammissione che l’abilitazione rilasciata non sarà utile per l’ammissione nelle GaE. L’allora Anief Onlus denuncia tale interpretazione e organizza una nuova mobilitazione, coordinando gli studenti di tutta Italia e riuscendo, nell’ottobre 2008, a seguito di una manifestazione tenutasi a Roma con più di 2.000 persone, ad ottenere – legge 169/2008 – la loro iscrizione nelle GaE.

Nel dicembre 2008, all’Anief Onlus subentra l’ANIEF Sindacato, che allarga la sua azione a tutto il personale della scuola, precario o di ruolo, dopo la chiusura delle SSIS ma non dei corsi abilitanti presso Scienze della Formazione Primaria, Accademie e Conservatori, dove si continua a formare docenti che rimangono esclusi dalle GaE. L’ANIEF riparte con la mobilitazione, li coordina e promuove tre manifestazioni a Roma che in due anni portano all’approvazione di un emendamento al Decreto Milleproroghe 2012 che ne consente l’inserimento in GaE, sia pure nella IV fascia e non nella terza come richiesto, nel maggio 2012.

Nell’ultimo anno accademico 2012-2013, con la partenza dei TFA ordinari, ANIEF annuncia di voler riprendere la mobilitazione dopo il conseguimento dell’abilitazione dei nuovi aspiranti insegnanti che chiedono l’inserimento nelle GaE all’atto dell’aggiornamento del 2014, ma il nuovo Regolamento sul TFA (che modifica il Decreto 249/2010) introduce – senza averlo sottoposto alle rispettive Commissioni parlamentari – uno specifico comma che prevede il divieto espresso di inserimento nelle GaE. Per questa ragione, ANIEF ha deciso di rompere ogni indugio e di avviare fin da subito la campagna di mobilitazione degli studenti iscritti al TFA ordinario, prima ancora del conseguimento dell’abilitazione, per coordinarli ed avviare uno stato di agitazione che porti a una o più manifestazioni nazionali, a eventuali iniziative giudiziarie e alle necessarie iniziative politiche tese all’approvazione di un emendamento legislativo.

Non esistono abilitazioni di serie A e di serie B. Il riconoscimento dell’abilitazione per la sola II fascia delle Graduatorie d’Istituto è illegittimo e ridicolo, né l’ipotesi di nuovi concorsi può portare speranza visto che sembrano mancare addirittura i posti del concorso a cattedra attualmente in corso. Chi ha superato l’accesso a numero chiuso per il TFA ordinario e ha conseguito l’abilitazione ha diritto all’inserimento nell’unico canale di reclutamento a lui deputato, le GaE. I ricorsi mirano a ripristinare la parità di trattamento tra docenti. Il mancato inserimento appare decisamente una truffa, considerato che questi docenti hanno superato un accesso a numero programmato in base all’esigenza di posti rilevata dal Miur, per andare ad insegnare insieme agli iscritti delle Facoltà di Scienze della Formazione primaria nel 2012 e nel 2013 e a coloro che si iscriveranno al TFA speciale.

Se vuoi coordinare i tuoi colleghi con ANIEF presso la tua Università sede di TFA ordinario, o la Facoltà di Scienze della Formazione Primaria, o sede di TFA speciale (dopo le iscrizioni), al fine di programmare assemblee informative sulla legislazione scolastica e sul reclutamento, una manifestazione nazionale e la campagna di preadesione ai ricorsi, invia il modulo di candidatura a tfaingae@anief.net.

Per preaderire  al ricorso, invece, invia il modulo di preadesione a tfa@anief.net.

È ovvio che la via giudiziaria e la campagna di sensibilizzazione politica che mira all’approvazione di un emendamento analogo a quelli approvati in passato, potranno funzionare soltanto se si raggiungerà la stessa unitarietà di interventi e lo stesso coordinamento avuto negli anni passati. Per questa ragione, non c’è più tempo da perdere: unisciti all’ANIEF per rivendicare un diritto già tuo.

Dimensionamento rete scolastica – organico dirigenti 2013-2014

Politica scolastica

Dimensionamento rete scolastica – organico dirigenti 2013-2014

In data odierna, presso il MIUR, si è svolto l’incontro con le OO.SS. dell’Area V per informazioni sul dimensionamento della rete scolastica nelle varie regioni.
La Direzione generale del personale della scuola ha presentato una tabella con dati provvisori da cui risulterebbero attive, per il prossimo anno scolastico, 8.646 istituzioni scolastiche di cui 553 sottodimensionate (per un totale di 8.093 sedi di dirigenza) oltre ai 55 CPIA che, a conclusione dell’intesa Stato/Regioni, dovrebbero essere attivati sul territorio nazionale.
Il dimensionamento attivato dalla maggior parte delle Regioni ha consentito il recupero di molte sedi di dirigenza su istituzioni scolastiche ormai non più sottodimensionate.
L’ANP ha chiesto di fissare al più presto un prossimo incontro per discutere, alla luce del quadro completo delle domande di pensionamento, delle possibili assunzioni di dirigenti scolastici per il prossimo anno.

Emanato il Decreto che istituisce i TFA speciali

Emanato il Decreto che istituisce i TFA speciali

Il testo del Decreto ministeriale istitutivo dei TFA speciali è stato firmato dal Ministro il 25 marzo 2013. Oltre all’istituzione dei TFA speciali, vengono apportate anche altre modifiche al regolamento sulla formazione iniziale dei docenti (D.M. 249/2010).

Il Decreto (non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) prevede che le Università e le Istituzioni AFAM organizzino corsi di abilitazione destinati al personale non abilitato che abbia almeno tre anni di servizio (di cui almeno uno sulla specifica classe di concorso).

I corsi sono previsti per tutte le classi di concorso della scuola secondaria (incluso lo strumento musicale) e per la scuola dell’infanzia e primaria.

Requisiti per la partecipazione

Non avere un contratto a tempo indeterminato nella scuola statale
Non essere già abilitati per l’insegnamento richiesto
Essere in possesso del prescritto titolo di studio
Avere 3 (tre) anni di servizio (incluso il sostegno) prestati tra il 1999 e il 2012 nelle scuole statali o paritarie o nella formazione professionale, di cui almeno 1 (un) anno sulla specifica classe di concorso nella quale ci si vuole abilitare.

Durata dei corsi

Scuola dell’infanzia e primaria: la durata è di un anno accademico (pari a 60 crediti finalizzati al rafforzamento delle competenze generali pedagogico/didattiche, all’acquisizione delle competenze di livello B2 in lingua inglese, alla didattica dei vari ambiti disciplinari, alle competenze digitali e all’integrazione degli alunni con disabilità).

Scuola secondaria: un anno accademico (ma i crediti richiesti sono solo 41 essendo considerato già svolto il tirocinio per 19 CFU). I 41 crediti sono relativi a competenze pedagogico/didattiche, alla didattica delle discipline, alle competenze digitali e all’integrazione degli alunni con disabilità. Analogamente al TFA ordinario, non è richiesto il livello B2 in lingua straniera.

Attivazione dei corsi

Il Decreto prevede un successivo provvedimento del Ministro per quanto riguarda le modalità di presentazione delle domande e i criteri per l’eventuale dilazione in più anni accademici (2013/2014 e 2014/2015) dei percorsi abilitanti in considerazione del probabile alto numero di domande.

Classe di concorso di strumento musicale (A077)

Ricordiamo anche che, in seguito alla recente equiparazione alle lauree magistrali, la Nota MIUR Prot. n. AOODPIT 0000206 del 25/1/2013 ha sancito che i diplomi di II livello e quelli del vecchio ordinamento dello specifico strumento costituiranno (insieme ai requisiti di servizio) titolo valido per l’accesso al TFA speciale per la A077.

Studenti italiani primi in Australia alle finali mondiali di tennis

Studenti italiani primi in Australia alle finali mondiali di tennis

In Australia, all’International School Sport Federation per le finali mondiali di tennis, gli studenti italiani si sono classificati primi. La squadra azzurra è stata rappresentata dai vincitori delle finali nazionali dei Giochi Sportivi Studenteschi che si sono svolte a Roma nel novembre scorso. La squadra maschile, rappresentata dall’Istituto Laziale IIS Pacinotti di Roma, ha schierato i seguenti giocatori: J. Berrettini, M. Berrettini, A. Cortegiani, A. Procopio, G.M. Moroni, M. Mosciatti capitanata dal prof. Achille Fraja. Hanno sconfitto la squadra del Belgio 6/0, poi Taipei 5/1, Australia 4/2, Francia nei quarti 4/0, Turchia in semifinale e in finalissima contro la Gran Bretagna 4/2.
La squadra femminile classificatasi 11° è stata rappresentata dall’Istituto Piemontese IIS Vittorini di Grugliasco Torino con le seguenti giocatrici: G. Gozzi, F. Gardella, F. Martucci, G. Scaglia, M. Venturini, M. Zmau, capitanata dalla Prof.ssa P. Ronco; Capo Delegazione Prof. Luigi Casale, coadiuvato dal Prof. Mauro Zuaro Delegato FIT e Docente Esperto MIUR e dal Medico Dott.ssa Stefania Corda.

ITALIA 1 CLASSIFICATA

CONCORSO PRESIDI TOSCANA: LEGGEREZZE INAMMISSIBILI

CONCORSO PRESIDI TOSCANA, GILDA: LEGGEREZZE INAMMISSIBILI

“Condividiamo pienamente le ragioni che hanno portato il Tar della Toscana ad annullare il concorso per nominare 105 presidi”. La Gilda degli Insegnanti si schiera al fianco della decisione assunta dal tribunale amministrativo con la sentenza del 19 aprile scorso, definendo “inammissibili le leggerezze commesse nella gestione della procedura concorsuale”.

“L’amministrazione scolastica – afferma la Gilda – si è resa protagonista dell’ennesima brutta figura, gettando discredito sulla figura dei dipendenti pubblici le cui prestazioni, proprio in questo periodo, sono oggetto di un acceso dibattito riguardante la loro valutazione. E’ scandaloso – sottolinea il sindacato – come tante risorse economiche, intellettuali e professionali siano state dissipate da prassi che denotano una superficialità sfociata addirittura nell’illegittimità”.

“Centinaia di concorrenti si sono preparati duramente, e purtroppo inutilmente, per le prove scritte e lo Stato dovrà sborsare non pochi soldi per pagare le spese processuali a cui è stato condannato (3000 euro per ogni sentenza, e se ne preannunciano molte altre ancora). Senza considerare – aggiunge la Gilda – i costi che dovrà sostenere l’Avvocatura dello Stato, un organismo pagato dal cittadino con le proprie tasse ma che si erge a difensore di un’amministrazione indiscutibilmente colpevole di non aver proceduto secondo la legge. Per non dimenticare le 105 scuole che si ritrovano adesso senza un dirigente scolastico”.

Miur uniformi sul territorio modus operandi amministrazione

Scuola, Mascolo (Ugl):
“Miur uniformi sul territorio modus operandi amministrazione”

“Al fine di evitare ulteriori azioni legali invito a voler dare disposizioni alle amministrazioni periferiche ed alle istituzioni scolastiche, in merito al trattamento da adottare nei confronti dei lavoratori della scuola nominati a tempo determinato, uniformando, su tutto il territorio, il modus operandi dell’amministrazione”.
Lo scrive il segretario nazionale dell’Ugl Scuola, Giuseppe Mascolo, in una lettera indirizzata al Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca spiegando che “per i lavoratori della scuola nominati a tempo determinato con contratto stipulato fino all’avente diritto, ma su posto vacante o disponibile, lo stesso deve essere equiparato alla supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche e la retribuzione deve porsi a carico degli uffici del Tesoro e, di conseguenza, in caso di assenze per malattia, deve essere corrisposto un trattamento economico per intero nei primi trenta giorni di assenza e ridotto al 50 per cento nei successivi sessanta”.
“E’ impropria – conclude il sindacalista – l’applicazione del Miur che ha comunicato che a detto personale, nei limiti della durata del contratto, spetta la conservazione del posto per un periodo non superiore a 30 giorni annuali, con retribuzione al 50 per cento”.

La qualità dell’Istruzione sia centrale per il nuovo Governo

La qualità dell’Istruzione sia centrale per il nuovo Governo

CONSIGLIO NAZIONALE UIL SCUOLA

        Investimenti, stabilità, sburocratizzazione. Riconoscere il lavoro che si fa nelle scuole.

In tempo di promesse pre-elettorali abbiamo scelto di adottare un profilo diverso: non un generico richiamo alle tante esigenze della scuola ma la scelta di attendere l’esito delle elezioni, fare proposte concrete una volta formato il nuovo governo.

Una linea che sostanzialmente dice: confrontiamoci sui temi concreti e non sulle promesse.

L’esito del voto ha dato testimonianza di una grande richiesta di cambiamento. Come Uil Scuola abbiamo richiesto e continuiamo a richiedere un Governo attento ai problemi della gente e all’individuazione delle soluzioni.

La politica deve risolvere i problemi, non solo esaminarli, valutarli.

Auspichiamo che si formi un governo che punti sul cambiamento e con cui poter aprire il confronto. Siamo convinti che ci sono proposte fattibili anche nel momento difficile che viviamo. Proprio ora c’è ancora più bisogno di far sentire la voce della scuola, di chi a scuola ci lavora ogni giorno, chiamando ad una assunzione di responsabilità chi, chiedendo il voto ai cittadini, ha il dovere di praticare una soluzione concreta a questi problemi.

Il richiamo all’istruzione come elemento fondamentale per lo sviluppo del Paese è unanime.
Vogliamo che questa centralità venga resa una pratica concreta, che vengano date risposte a chi fa funzionare la scuola.

E’ il lavoro che, con impegno e passione, si fa ogni giorno a scuola che garantisce continuità e qualità del nostro sistema di istruzione. Non si può, però, pensare che si possa andare avanti così all’infinito senza i necessari interventi di supporto e di riconoscimento professionale.

La Uil Scuola indica tre direttrici.

Serve una politica economica che sposti risorse da sprechi e privilegi a favore della scuola.
Il Def è stato approvato e, – a saldi dati– per l’istruzione non c’è un euro.
Per cambiare le poste occorre un nuovo Governo. Serve un esecutivo autorevole per il cambiamento.
Bisogna decidere di uscire da una politica scolastica restrittiva e investire sulla scuola italiana portandola al livello degli altri Paesi europei.

                                    Va risolta la questione del precariato:

le scelte da assumere sono quelle della continuità e della stabilità degli organici.

                                    Va sburocratizzato il sistema.

La Uil Scuola non può e non vuole essere un sindacato ‘ in attesa’.
Per il cambiamento serve più sindacato, un sindacato autorevole, con solide competenze, con idee chiare. Se pensiamo a questi ultimi mesi, tra gli obiettivi che sono stati raggiunti, pur in una situazione economica molto complessa, c’è il pagamento degli scatti di anzianità. Una condizione che si è realizzata perché il sindacato si è preso la responsabilità di trovare una soluzione, di individuare gli strumenti per realizzarla.

L’Italia sta viaggiando con il ‘pilota automatico’. Ci sono scadenze che vanno rispettate, impegni di spesa che vanno pagati, provvedimenti che reiterano i loro effetti. Se non ci saranno interventi, automaticamente ci sarà da pagare l’IMU, l’aumento dell’IVA e, in autunno, una ulteriore tassa sui rifiuti.

E’ del tutto evidente l’esigenza di un governo che caratterizzi il cambiamento nella soluzione dei problemi concreti delle persone. Il ruolo del sindacato è quello di rappresentare un riferimento solido e necessario per i lavoratori con una forte pressione capace di spostare decisioni, migliorare le condizioni.

Partiamo dalla condizione retributiva: occorre risolvere la questione dei bassi stipendi.
Riceviamo molte lettere e mail che segnalano l’innalzarsi dei livelli di difficoltà economica nel personale della scuola. Un collaboratore ci ha scritto che con il suo basso stipendio (poco più di mille euro) e due figli non ce la fa, riconosce di avere quello che lui definisce ‘ un impiego stabile’ ma denuncia anche una condizione di impoverimento preoccupante. Di tenore simile sono le mail che giungono dagli insegnanti che si trovano quotidianamente a fare i conti con le ristrettezze dell’attuale situazione economica e che comprendono con sempre maggiore difficoltà il divario crescente tra il loro stipendio e quello dei colleghi europei.

Serve una inversione di tendenza. Va lanciato subito il rinnovo contrattuale per il triennio successivoa2013.
Bisogna cambiare il sistema delle retribuzioni per il personale della scuola che va adeguato alla specificità della professione, rimettere al centro del sistema l’istruzione pubblica.
Va modificato il decreto 150, riconoscendo la specificità della scuola e rinviando alla contrattazione la regolamentazione del rapporto di lavoro.La parte più difficile è far diventare questo obiettivo oggetto di concreta decisione politica, legislativa, amministrativa.

E’ possibile farlo. I paesi europei che hanno scelto di puntare sull’istruzione, pur in tempi di difficoltà dei mercati finanziari internazionali, spostando risorse nei loro bilanci, hanno un quadro economico più favorevole.
In questo periodo, la stessa scelta la sta perseguendo il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, che pur in presenza di vincoli di bilancio rigidi (la manovra proposta dal presidente dovrebbe ridurre il deficit di 1.800 miliardi di dollari in 10 anni) con interventi di riduzione della spesa ed entrate fiscali, prevede comunque un programma di investimenti in infrastrutture e istruzione.

Assieme al tema delle risorse, quelle per l’adeguamento delle retribuzioni e per gli investimenti in istruzione, si può affrontate subito la questione del personale precario assegnando tutti i posti disponibili nell’organico di diritto, sbloccando le immissioni del personale Ata, modificando il sistema di reclutamento degli insegnanti dando un ruolo alla scuola e agli insegnanti e modificando l’attuale meccanismo a partire dai tirocini formativi attivi.

Per la Uil Scuola gli organici devono essere: stabili, pluriennali, di rete.
Su questo impianto tutti ci danno ragione, esiste già una legge che deve essere solo attuata. Un ritardo che va colmato senza ulteriori indugi.

E poi ci vuole meno burocrazia. Bisogna puntare sull’autonomia scolastica, sulle reti di scuole, trasformando il ministero da organo di gestione amministrativa in organo di supporto professionale.
Oggi la burocrazia è tale che ogni atto ministeriale necessita di più livelli di autorizzazione, di passaggi da un ufficio all’altro di amministrazioni che non si fidano l’una dell’altra. Bisogna ridare centralità alla didattica.

Risorse, precariato, sburocratizzazione: sono i versanti sui quali la Uil Scuola intende far valere la propria capacità di azione per individuare soluzioni concrete.

Abbiamo la responsabilità di condurre questa azione.

 

Il programma c’è, ora il ministro

da ItaliaOggi

Il programma c’è, ora il ministro

Più tempo scuola, lotta alla dispersione e risorse Ue

Alessandra Ricciardi

L’indicazione è tutta nell’agenda dei saggi. É su quella linea che il successore di Francesco Profumo al ministero dell’istruzione dovrà plasmare la propria azione di governo: più tempo scuola, lotta alla dispersione, ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse Ue.

Il lavoro dei saggi (si veda ItaliaOggi di martedì scorso), lungi da essere dunque un mero esercizio accademico, sarà messo sul tavolo dal neo presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, per le consultazioni che inizieranno oggi. L’agenda è del resto il frutto di un confronto sulle riforme urgenti e condivisibili e dunque ben si presta a essere il brogliaccio di quel governo di larghe intese che nascerà nei prossimi giorni. É nelle priorità indicate che si sostanzia la convivenza possibile di Pd, Pdl, Scelta civica e probabilmente anche della Lega. Resta da individuare il responsabile del dicastero dell’istruzione, università e ricerca nell’ambito di un esecutivo per la cui guida restano gettonati i nomi di Giuliano Amato ed Enrico Letta. I rumors parlamentari per viale Trastevere parlano di Mario Mauro, ex Pdl, uomo vicino a Cl, oggi capogruppo di Scelta civica al senato, di Salvatore Rossi, vicedirettore di Banca d’Italia, che al documento dei saggi sulle risorse sociali ed economiche ha lavorato; ma potrebbe anche toccare a un uomo come Maurizio Lupi, pdl, vicepresidente della camera; sembra invece destinata a tramontare la figura di Anna Maria Carrozza, deputato pd, che i listini davano in pole in un governo guidato da Pier Luigi Bersani. «Il programma dei saggi segna quella discontinuità sulla scuola necessaria dopo le politiche di tagli dei precedenti governi», ragiona Francesca Puglisi, senatrice, responsabile scuola del partito democratico. Nel programma del Pd campeggia infatti l’estensione del tempo scuola come strumento per la lotta alla dispersione scolastica, proposta che è nel dna anche del Pdl. Restano tutti da affrontare invece i nodi dell’articolazione oraria del lavoro dei docenti e della maggiore copertura finanziaria. L’aver legato l’aumento del tempo scuola alla lotta alla dispersione scolastica consente di utilizzare i fondi europei nelle regioni svantaggiate. Ma solo in queste.

Se dovesse essere un rappresentate di Scelta civica a salire all’Istruzione diventerebbe molto più difficile attuare in un clima di condivisione alcuni punti del programma della lista di Mario Monti, quali per esempio l’assunzione diretta dei docenti e la revisione dello status giuridico dei docenti che comportrebbe anche la modifica dei meccanismi di progressione economica.Terreno minato per i rapporti con il Pd e i sindacati.

L’Italia che spende male le poche risorse che ha

da ItaliaOggi

L’Italia che spende male le poche risorse che ha

Investimenti in discesa così come i rendimenti degli studenti. Il confronto con la Finlandia

Giovanni Bardi

In Europa l’Italia è fra i paesi che spendono meno e peggio sulla scuola. Nell’ultimo decennio il Paese ha disinvestito quando non ha investito male, al punto da ritrovarci sempre fanalino di coda anche in fatto di apprendimento degli studenti a fine obbligo ai test dell’Ocse Pisa. È recente la notizia che l’Italia resta di gran lunga staccata dal resto d’Europa in fatto di investimento pubblico in istruzione.

Secondo l’Eurostat statistics in focus, che studia i trend strutturali delle politiche economiche dei governi europei nel finanziamento delle politiche sociali e di pubblico interesse, mentre sanità e stato sociale tengono. Anzi dal 2002 la spesa in questi settori aumenta di 4 punti percentuali sul totale delle uscite, mentre per l’istruzione siamo finiti al penultimo posto in Europa. Con una media dell’8,5% del totale della spesa pubblica contro una media Ue del 10,9%, peggio di noi fa solo la Grecia con il 7,9%. Mentre in Finlandia, paese in testa da più di dieci anni nelle classifiche Ocse Pisa sull’apprendimento in lettura, scienze e matematica, lo Stato impegna l’11,6% del totale della spesa per la collettività sulla scuola.

Se si va a vedere il dato di spesa pubblica in istruzione sul Pil, in Europa si spende (i dati sono riferiti 2009) circa il 5,4% sul totale della spesa pubblica in istruzione contro il 4,7% dell’Italia. La Finlandia, a riguardo, impegna 6.8 punti percentuali di spesa pubblica in istruzione sul Pil. Secondo le stime dell’Eurostat Yearbook 2012, dal 2003 al 2008 l’investimento pubblico in istruzione sul Pil è passato da 4.74 a 4.58, sebbene la spesa pubblica per studente sul Pil sia aumentata da 6.118 a 6.609. Questo andrebbe supposto soprattutto in ragione della necessità di coprire i maggiori costi dell’innalzamento dell’obbligo d’istruzione e della massificazione dell’istruzione secondaria superiore. Un passaggio che diventa un nodo gordiano. I soldi che infatti servono per garantire un banco, una sedia e un professore davanti agli studenti che non terminano più gli studi alla fine delle medie, da qualche altra parte devono essere nel frattempo usciti. Se si guarda alla media di spesa annuale per studente delle scuole statali rispetto all’Europa allargata a 27, si vede che l’Italia, nel 2003, spendeva più della media europea con 6.469 contro 5.074 euro dell’Ue, per poi calare tendenzialmente nel decennio ed impennarsi nel 2008 a 7.122 euro, tornando poi a calare nuovamente a 6.751 euro del 2009.

Il contrario avviene invece in Finlandia che sembra aver proceduto, in confronto, come fa la formica rispetto alla cicala. Mentre nel 2008 noi spendevamo più dei finlandesi, nel 2009 torniamo a investire di meno, continuando a perdere terreno anche nel 2010. Secondo Eurostat, in Finlandia spendevano 5.812 euro per studente nelle scuole pubbliche nel 2003 e arrivano a riservare 7.365 euro l’anno per studente, contro i nostri 6.698 del 2010. Insomma, i numeri parlano da soli.

Valutazione sì, ma oltre i test

da ItaliaOggi

Valutazione sì, ma oltre i test

L’Ocse individua la nuova frontiera dell’accountability. In Italia sciopero contro l’Invalsi
Lo screening deve estendersi ai processi di apprendimento

di Giovanni Brusio

Se l’istruzione riesce a mantenersi al passo coi tempi è merito della valutazione. Senza i sistemi di valutazione, come da noi ad esempio i test Invalsi, secondo l’Ocse la scuola sarebbe peggiore. Mentre in questi giorni torna d’attualità l’agitazione contro le prove Invalsi (per impedire lo svolgimento-dei quiz, i comitati di base hanno indetto lo sciopero il 7maggio alle elementari, il14 alle medie e il16 alle superiori), l’Ocse pubblica uno studio da titolo «Synergies for better learning», in cui constata come la valutazione nel mondo è sempre più un fatto scontato nella vita degli studenti ma anche dei dirigenti scolastici e docenti.

Insomma, sottolineano dall’Ocse, la valutazione, soprattutto quella tesa a dare un voto alla scuola oltre che agli studenti, è diventata ormai il core business dell’autonomia scolastica. Ma soprattutto diventerà cruciale man mano che si allargherà a comprendere, oltre che il dato sommativo, anche quello formativo, ampliando il proprio orizzonte dalla sfera delle prestazioni sic et simpliciter ai test, a quella dei processi di apprendimento delle persone. L’universo studentesco, afferma Andreas Schleicher, patron dell’Ocse Pisa, diventa sempre più differenziato al proprio interno; di conseguenza diventa sempre più importante esercitare letture diverse e a più livelli del micromondo della scuola, cosa che si può fare attraverso un attento uso dei sistemi di valutazione e autovalutazione. Se la tendenza dei vari Paesi è di coagulare le politiche scolastiche intorno alla valutazione, le declinazioni che se ne registrano possono variare sensibilmente da paese a paese. C’è da dire che nel dibattito in corso, anche nei sistemi scolastici più accountabilizzati, cioè responsabilizzati rispetto ai risultati della valutazione, in gioco c’è un’idea di competitività delle persone che, pare, resta ancora da esplorare in tutti i suoi anfratti. In Italia, ad esempio, il timore degli scettici è quello che attraverso il tracciamento delle prestazioni degli studenti ai test, questi rischino di restare prigionieri dei propri risultati. Dall’Invalsi invece spiegano che l’ancoraggio dei test invalsi all’anagrafe degli studenti serve a dare al sistema scolastico italiano uno strumento statistico per l’analisi delle coorti con cui orientare meglio le politiche scolastiche del futuro, e alle singole scuole uno strumento per misurare anche e soprattutto i processi di apprendimento di ciascuno studente, misurando lo scarto tra i test di entrata e quelli d’uscita, e tra i diversi intervalli delle misurazioni dell’apprendimento nel corso dell’obbligo. D’altra parte che i soli risultati ai test di apprendimento non bastino più lo dimostra la stessa insistenza con cui l’Ocse sta battendo il ferro in questa congiuntura economica.

L’Ocse, infatti, rileva che proprio i paesi che già attribuiscono alla valutazione un ruolo centrale e strategico, sono gli stessi che ne stanno espandendo l’uso e la funzione. Nei Paesi più avanti di noi in fatto di valutazione, ci si sta orientando verso approcci di valutazione sempre più globali, tesi a dare valore soprattutto al processo di apprendimento degli studenti. In tutti i sistemi più accountabilizzati, mentre cresce il peso della valutazione esterna, aumenta anche quello della valutazione dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, ma anche il peso della valutazione delle competenze sociali e trasversali degli studenti, come il pensiero critico, la capacità di collaborare ecc.. Insomma per l’Ocse non ci sono dubbi: senza la valutazione la scuola non reggerebbe l’urto del cambiamento. Ma adesso più che convincere gli irriducibili, la vera sfida pare essere quella al superamento dei limiti stessi della valutazione educativa, soprattutto se quantitativamente intesa. Testare le competenze matematiche e scientifiche, oltre a rispondere a istanze strategiche legate prevalentemente al mercato del lavoro, connesso ai settori dell’innovazione tecnologica a breve e medio termine, oggi corrispondono anche ad esigenze economiche. Da una parte oggi conviene concentrarsi sulle competenze che risultano più appetibili all’economia della conoscenza, ma c’è anche da dire che la valutazione è costosissima, soprattutto se si vuole fare bene. Ma quando prima o poi anche i costi della valutazione si abbatteranno grazie alle nuove tecnologie, si potrà allargare il campo al resto delle competenze che contano: l’obiettivo dell’Ocse sono i risultati più formativi che addestrativi. Fattori che, per lo meno qui in Italia, rischiano di restare però soltanto una chimera

Scuola, non mancano solo i soldi

da L’Espresso

Scuola, non mancano solo i soldi

L’ennesimo confronto con gli altri paesi europei mostra che restiamo fanalino di coda per i finanziamenti all’istruzione. Ma il problema non è solo questo: mancando gli investimenti strutturali, la qualità è a macchia di leopardo. E soprattutto non si riesce a capire qual è il progetto per il futuro

Galatea Vaglio

Ennesima tabella di confronto con i paesi europei, ennesimo scappellotto: l’Italia (non è una novità, ma una triste conferma) per la cultura e scuola spende poco, pochissimo. Molto meno, per dire, di Stati che hanno un patrimonio artistico ridicolo in confronto al nostro.
E’ per questo, si dice, che la scuola italiana è di bassa qualità: ci sono pochi investimenti, pochi fondi.
E’ vero. O meglio, è vero che la scuola arranca. Non è del tutto vero che sia “di bassa qualità”, come viene dato per scontato ogni volta negli articoli: il problema della scuola italiana, semmai, è che è di buona e media qualità, talvolta anche alta ed altissima, ma questa qualità è distribuita a casaccio, a macchia di leopardo, proprio perché, non essendoci in realtà finanziamenti certi e investimenti strutturali e strutturati, le scuole si reggono sulla buona volontà del corpo docente che capita in servizio, e quindi se un anno in un istituto ti ritrovi con personale motivato e disposto a fare anche senza finanziamenti, la cosa funziona, se invece l’anno dopo il personale cambia o non è più disposto a lavorare molte ore gratis e solo per la gloria va tutto a catafascio e amen.
I soldi, dunque servono: servono per dare continuità ai progetti, servono per far funzionare a regime le sperimentazioni inventate per spirito di servizio dai docenti e dai dirigenti illuminati, servono per l’organizzazione ed il mantenimento delle buone pratiche. Ma non sono solo quelli il problema. Il problema fondamentale, secondo me, è che noi tutti, docenti, dirigenti, anche genitori, vorremmo sapere e capire, prima di avere i soldi e presentare i progetti, che cavolo di scuola si vuole in Italia.
Perché vi giuro, da addetta ai lavori che ormai da anni lavora nel settore, io, per esempio, non lo so. Abbiamo avuto diverse riforme, e Ministri dell’Istruzione che si sono succeduti in governi fra i più vari. Ma quale sia l’idea che sta sotto alla scuola italiana di oggi, l’idea didattica fondante, il progetto non l’ho capito.
A scuola, come in ogni altro settore dell’economia italiana (e la scuola è un settore dell’economia, anzi, è quello che deve dare il la allo sviluppo economico) si naviga a vista, e ognuno un po’ facendo come gli pare. Le indicazioni ministeriali e le riforme arrivano, vengono applicate anche, ma un po’ così come capita, anche perché un po’ così come capita paiono fatte. Un anno ci dicono che dobbiamo digitalizzarci, e noi ci digitalizziamo: mettiamo le lim in classe, ci arrivano i nuovi libri in formato ebook, ci dicono che quello è il futuro ma non ci mandano un “foglio del come”, fidandosi nell’italica arte di arrangiarsi ad imparare cosa serve, o sul tacito patto che il docente che non vuole in realtà adottare la novità si limiterà ad adottarla per pro forma continuando a fare come ha fatto prima.
Ci dicono che gli alunni devono imparare a rispondere ai test INVALSI, secondo i criteri OCSE PISA, ma poi a cosa servano gli INVALSI non è neppure ben chiaro nella scuola, vengono inseriti come prova agli esami di terza media non si sa perché, gli altri dati restituiti alle scuole dove come al solito sta alla buona volontà del docente farsene qualcosa, e la valutazione dell’istituto che dovrebbe dipendere da loro non si sa come verrà fatta e che ricadute pratiche avrà.
Ci dicono che la scuola per dimostrare di essere dinamica deve fare progetti, ma, a parte che poi si tagliano i fondi per finanziarli, non è chiaro come venga poi valutata la ricaduta pratica di questi progetti stessi: perché se io durante l’anno faccio cinque progetti bellissimi ma poi nella mia classe i ragazzini non sanno distinguere un complemento oggetto da un predicato sono io una insegnante più valida di quella che non fa nessun progetto ma gli insegna la banale sintassi?
E il mio ruolo del docente, qual è? Mi dicono che devo essere più severa e bocciare di più? Ok, ma quelli che non ce la fanno, magari non solo per cattiva volontà loro ma per problemi sociali e famigliari pregressi? Li boccio e basta, confidando che qualche altra istituzione dello Stato se ne faccia carico, e ci sia qualcuno che applica quel famoso articolo della Costituzione che dice che gli ostacoli economici e sociali vanno rimossi per garantire a tutti i cittadini la libertà? Non li boccio, ma non avendo soldi per corsi di recupero che aiutino loro a colmare le lacune, li mando allo sbaraglio promuovendoli a caso, e così facendo mi assumo la responsabilità di abbassare il livello medio dell’istruzione impartita? E i miei obiettivi, come insegnante, quali sono? Un livello medio stantard uguale in tutti gli istituti, per cui io mi devo limitare ad insegnare ai ragazzini le tecniche per rispondere ai test che certificano le loro competenze, e se lo faccio sono una brava insegnante, oppure un apporccio creativo, che magari li renda un po’ meno veloci a rispondere ai test, ma insegni loro il pensiero creativo e critico? Un mix fra i due? Ma poi questo “mix” come fa ad essere valutato e controllato, se poi ho un sistema valutativo a test che raramente riesce a tener conto di altri aspetti? Ecco, io, prima ancora dei soldi, vorrei delle risposte. Delle risposte qualunque, dal Ministero, che mi spiegassero in maniera chiara e una volta per tutte, che idea di scuola e di apprendimento si ha e si vuole applicare. Perché dopo io, al limite, da bravo soldatino, la applico, anche. Ma se si vuole che i docenti siano motivati, che sappiano cosa fare esattamente in classe e lo facciano, bisognerebbe anche che qualcuno, finalmente, ci convocasse ad un tavolo e ce lo spiegasse. Perché così, con riforme e circolari che arrivano ad ogni piè sospinto e dicono di applicare ora un modello educativo e didattico ora un altro, ora nessuno, noi per primi siamo spiazzati, in classe e con i ragazzi.Quando si dice che gli insegnanti sono demotivati, è vero. Parte della nostra insoddisfazione è dovuta al fatto che siamo diventati meri esecutori, ma non capiamo nemmeno bene di cosa. Ci proviamo, andando in classe, ma non abbiamo nemmeno la certezza assoluta che la nostra interpretazione sia quella giusta e quello che progettiamo per la nostra classe sia del tutto corrispondente allo spirito o alla sostanza delle direttive. E questo non perché siamo fanulloni poco aggiornati e resistenti al cambiamento, ma perché proprio il cambiamento nemmeno si capisce esattamente in cosa consista e cosa sia. E’ come se ci dicessero che dobbiamo andare in un posto, ma non ci dicessero quale e come ci si deve arrivare.
Insomma, io credo che il problema della scuola italiana non siano “solo” i soldi. E’ che bisognerebbe che qualcuno discutesse poi decidesse che cosa è la scuola, a che cosa serve e come va di conseguenza impostata. Ci vuole un confronto e una riflessione: aperta, franca, di quelle che anche finiscono in rissa, ma chiarificatrice. Non solo fra politici e parlamentari, e neanche solo fra Governo e Sindacati. Bisogna proprio che se ne parli con il corpo docente, che si ascolti, che si spieghi, che si decida un modello nuovo e valido per tutti, per poter ripartire da quello come base condivisa.
Finché non ci sarà questo, continueremo con le riforme applicate un po’ qua e un po’, là, le resistenze, le incomprensioni, i progetti bellissimi ma estemporanei, il dover impapocchiare le cose alla bell’e meglio per far finta che le direttive vengano applicate. Poi, secondo me, i soldi in qualche modo si trovano e le cose si fanno. Ma prima bisogna decidere cosa e come fare, uff.

DSA, da settembre le rilevazioni in classe

da Tecnica della Scuola

DSA, da settembre le rilevazioni in classe
Profumo e Balduzzi firmano il decreto che consente un monitoraggio precoce dei disturbi fin dalle prime classi della primaria
Il Ministro della Salute Renato Balduzzi e il Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo hanno firmato il decreto per le attività di individuazione precoce dei DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) a scuola. Le Regioni e gli Uffici Scolastici Regionali dovranno firmare a breve protocolli di intesa per regolamentare modalità e tempi delle rilevazioni, che potranno essere avviate già a partire dal prossimo anno scolastico. Tali attività hanno il fine di individuare casi sospetti o a rischio di DSA sin dai primi anni del percorso scolare. Infatti, secondo i protocolli scientifici, la dislessia si può certificare soltanto a partire dalla fine della seconda classe elementare, mentre la discalculia può essere diagnostica alla fine della terza classe. Vi è così un periodo critico nel quale potrebbe non esservi consapevolezza della presenza del disturbo di apprendimento, mentre risulta estremamente importante per l’azione educativa e didattica conoscere per tempo l’esistenza del disturbo, così da poter attivare in via preventiva tutte le misure previste dalla normativa sui DSA. Con questo provvedimento si completa l’iter attuativo della Legge 170 dell’8 ottobre 2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”

Tfa ordinari, solo in casi eccezionali potranno terminare ad ottobre

da Tecnica della Scuola

Tfa ordinari, solo in casi eccezionali potranno terminare ad ottobre
di A.G.
L’indicazione è contenuta nei chiarimenti forniti dal capo dipartimento Lucrezia Stellacci a Usr, Univeristà e Crui: chi “sfora” il corrente anno scolastico dovrà darne motivata giustificazione agli Uffici scolastici regionali. Per i candidati che hanno svolto almeno 360 giorni di servizio, il tirocinio di 150-200 ore si dimezza. Valgono anche tutte le attività contunute nel Pof. E una parte vanno dedicate al sostegno.
Il ministero dell’Istruzione torna a ribadire un concetto espresso gà da qualche settimana: i Tfa ordinari, aperti a tutti, devono terminare entro il prossimo 31 agosto. Solo “in casi eccezionali”, sempre comunque “documentati” e “comunicati agli Usr”, sarà consentito concluderli entro settembre, al massimo ottobre 2013. L’obiettivo dichiarato è quello di permettere ai neo-abilitati di far valere la loro abilitazione in vista del prossimo anno scolastico. Oltre che di farli partecipare alla prossima tornata concorsuale.
Le intenzioni del Miur sono state espresse a chiare lettere nella comunicazione inviata dal capo dipartimento Lucrezia Stellacci ai direttori degli Usr, ai rettori delle Università e al presidente della Crui. Nel testo, avente come oggetto “Percorsi di Tfa ai sensi del DM 249/10. Schede di lavoro”, viale Trastevere ammette che nella fase attuativa atenei e Uffici scolastici regionali hanno condotto percorsi troppo dissimili. Pertanto, almeno in questa fase finale, occorreva tornare non tanto imporre una certa omogeneità ma soprattutto indicare una serie di “suggerimenti”, soprattutto a “quelle Università che, per una serie di motivi, si trovano in difficoltà”. Le indicazioni vengono espresse attraverso una serie di punti.
Si torna a ribadire che il tirocinio avrà, come minimo, “un peso di 19 crediti formativi” e che “convenzionalmente ad un CFU corrispondono 25 ore”, in parte comunque dedicate allo studio individuale. In termini pratici si tratterà di svolgere tra le 150 e le 200 ore, da dimezzare nel caso in cui il docente abbia svolto almeno 360 giorni di servizio (vale la pena ricordare che si tratta di un’eventualità, visto che stiamo parlando di Tfa aperti a tutti). Il Miur specifica, inoltre, che non si tratta di ore passate ad assistere a mere lezioni, ma anche a tutte le attività previste dal Pof, oltre che alle riunioni degli organi collegiali e dei dipartimenti. Comprese le progettazioni e correzioni degli elaborati degli studenti. Nel monte di ore di tirocinio andrebbero infine inglobate almeno 18/24 ore svolte nell’ambito del sostegno agli alunni diversamente abili.
Alcune indicazioni vengono date anche per le abilitazioni, originali, riguardante la lingua araba, russa, cinese e giapponese: considerando la non facilità a riscontrare organismi in grado di accogliere i tirocinanti, il Miur auspica l’avvio di tutor e strategie “innovative”. Ricordando anche la possibilità di rivolgersi a “istituti di cultura e enti di formazione riconosciuti”.
A proposito della non sempre facile disponibilità da parte dei tutor coordinatori, soprattutto per alcune materie, il Ministero indica quali sono le modalità da adottare per allargare la rosa di possibilità. Da considerare, in ultimi analisi, anche l’eventualità di attingare da graduatorie di tutor appartenenti a materie affini.
Uno dei punti controversi su cui si sofferma il dicastero di viale Trastevere è quello dell’esclusione di candidati con punteggi uguali. Nei casi, evidentemente non rari, in cui gli atenei non abbiano ammesso, sempre a parità di punteggio di ammissione, il candidato con maggiore servizio svolto, il Miur chiede ora di ammetterli con procedura d’urgenza, facendogli svolgere corsi e tiricini in programma. E prevedere nei loro confronti adeguati recuperi “compensativi”.
Il dicastero dell’Istruzione, infine, sottopone a Usr, atenei e Crui un questionario da riempire e inviare, al fine di superare “le criticità” di questa prima tornata di tirocini abilitanti.

Il MEF cancella di fatto i residui attivi delle scuole

da Tecnica della Scuola

Il MEF cancella di fatto i residui attivi delle scuole
di Reginaldo Palermo
La circolare n. 17 del MEF mette una pietra tombale sui residui attivi che le scuole vantano nei confronti del Miur. Si tratta di una quantità ingente di denaro (non meno di mezzo miliardo di euro) che le scuole ha anticipato e che quasi certamente verrà cancellata dai bilanci delle istituzioni scolastiche.
Con la circolare n. 17 del 18 aprile il Ministero dell’Economia ha deciso di fatto che i residui attivi che le scuole vantano nei confronti del Ministero dell’Istruzione si devono intendere sostanzialmente radiati dai bilanci delle Istituzioni scolastiche. In altre parole le scuole che hanno pagato con proprie risorse spese che avrebbero dovute essere coperte con fondi statali non avranno diritto di ricevere alcun “rimborso”. Come dire che le scuole “virtuose” che hanno gestito bene e con oculatezza i propri bilanci saranno castigate. Saranno invece di fatto premiate proprio quelle scuole che non hanno pagato tempestivamente forniture e prestazioni professionali in quanto a queste ultime verranno accreditati i fondi necessari. In realtà la circolare si è resa necessaria per fornire indicazioni su come applicare nella scuola le norme del D.L. 35/2013 che prevede il pagamento in tempi certi delle forniture esterne. Anche il Miur è intervenuto sulla questione con una propria nota esplicativa precisando che la rilevazione non riguarda i pagamenti verso il personale. Questo significa che le scuole che devono ancora liquidare compensi al proprio personale per supplenze, commissioni d’esame e per altre attività svolte negli anni passati dovranno attendere ancora. Ma l’aspetto più grave della circolare del MEF riguarda il silenzio assoluto sulla vicenda dei residui attivi cioè su quelle somme che il Ministero aveva a suo tempo “promesso” alle istituzioni scolastiche e che non sono mai state erogate. Secondo un calcolo approssimativo i residui attivi che le scuole vantano nei confronti del Miur superano sicuramente il mezzo miliardo di euro. Si tratta per lo più di fondi relativi agli anni finanziari tra il 2006 e il 2009 che dovevano servire per pagare supplenze e compensi accessori al personale docente e Ata. All’epoca, la stragrande maggioranza delle scuole aveva sopperito utilizzando risorse proprie (risparmi derivanti da una parsimoniosa gestione dei fondi per il funzionamento amministrativo e didattico, contributi delle famiglie, contributi degli Enti Locali). Adesso a queste stesse scuole MEF e Miur e mandano un messaggio chiaro: “Se avete pagato senza che noi vi mandassimo i fondi, è perché avevate la cassa piena. Quindi non vi daremo più nulla”.
La buona educazione avrebbe voluto che un messaggio del genere si chiudesse almeno con un “grazie”. Ma di questi tempi chi lavora nella scuola sa bene che questa parola è ormai scomparsa dal lessico degli uffici minsiteriali.

La sentenza sul concorso Ds in Toscana sarà trasmessa alla Procura regionale della Corte dei Conti

da Tecnica della Scuola

La sentenza sul concorso Ds in Toscana sarà trasmessa alla Procura regionale della Corte dei Conti
di Aldo Domenico Ficara
Nel concorso per dirigenti scolastici svolto in Toscana la sentenza del Tar oltre all’annullamento della prova concorsuale, apre un altro fronte: quello del possibile danno erariale.
Infatti nella sentenza si scrive testualmente “Ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere copia della presente sentenza alla Procura regionale della Toscana della Corte dei Conti”. Per Procura regionale territorialmente competente si intende, di norma, la Procura della Corte dei conti situata nella regione in cui è avvenuto il fatto segnalato nella denuncia.  In ogni capoluogo di regione esiste, infatti, una sede della Corte dei conti. Di solito si fa un esposto per mettere al corrente la Corte dei conti su presunte irregolarità nella gestione del denaro o del patrimonio pubblico, al fine di attivare la competente Procura regionale per i necessari accertamenti sui fatti fino ad un’eventuale citazione in giudizio dei presunti responsabili, allo scopo di chiamarli al risarcimento del danno. Nel caso del concorso per dirigenti scolastici svolto in Toscana la segnalazione parte direttamente dal Tar competente per territorio, che mette al corrente la Procura regionale della Corte dei conti territorialmente competente rispetto al luogo in cui è avvenuto il presunto danno erariale.  Quindi la Procura regionale della Corte dei conti con sede in Firenze, potrebbe approfondire le argomentazioni della sentenza del Tar della Toscana al fine di riscontrare l’eventuale o possibile danno erariale commesso dall’amministrazione. Intanto non è da sottovalutare il pronunciamento del Tar toscano sul pagamento delle spese di giudizio, in quanto condanna l’Amministrazione scolastica al loro pagamento in favore della parte ricorrente nella misura di € 3.000,00 (tremila/00) oltre agli accessori di legge.