Fondi sperperati

FONDI SPERPERATI di Umberto Tenuta

CANTO 264 FONDI BUCATI

Versa tutto l’olio che vuoi, se la pentola è bucata non si riempie mai.

Ed è bucata la pentola della Scuola!

Con tutti i suoi Progetti e Progettini.

Vacanze PROGETTO SCUOLA a Miami, con la famiglia al completo.

Tanto paga Pantalone.

Pantalone con le tasche bucate!

 

Piazza Gaetano Argento.

Al centro del mio Paese, salotto della città.

Arriva, arriva, LUI, Il Professore!

E se ti capita una peritonite, a chi ti rivolgi all’ospedale provinciale, se non a LUI.

Giovanissimo Sindaco, oso chiedere:

−PROFESSORE, una Sua parolina per l’acquedotto! Qui la gente beve solo vino, l’acqua manca!

Una pacca sulle spalle: O giovinetto imberbe, se i rubinetti qui non chiudi, puoi deviare il Crati, ma l’acqua qui nessuno berrà.

−Le lattughe se la bevono, tutta, l’acqua!

Salgo al Convento, chiamo l’alta e robusta unica Guardia Municipale e gli firmo l’ordine di servizio: CHIUDERE IMMEDIATAMENTE TUTTI I RUBINETTI DEGLI ORTI PAESANI.

Ma le lamentele non finiscono mai, ché il lamentar cole!

−Sindaco, ora le case sono tutte allagate!

Impudenza giovanile: −Lasciali morire affogati!

Forse, anche la SCUOLA sarebbe allagata, se Progetti e Progettini, Visite di diporto e Missioni ad Atene fossero aboliti.

Tanto nulla cambierebbe!

Gli insegnanti continuerebbero ad insegnare.

Gli alunni ad ascoltare.

Come diceva il Buon Gabelli:

−CAMBIAR METODO è COME CAMBIAR LE TESTE ALLE PERSONE.

Ma la Speranza è l’ultima a morire.

SPES ULTIMA DEA!

Non si mai, però,

Forse qualche giovine dirigente, sprovveduto come me, ne approfitterebbe per cercar di girare le teste dei docenti, pardon, i rubinetti delle scuole, per acquistar un tablet, un solo tablet, per ciascun alunno.

Non senza prima aver riempito le aule delle Cianfrusaglie agazziane e dei materiali strutturati della Montessori.

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE!

La pentola della Scuola non si ripara.

È di terracotta!

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

 

Bullismo

BULLISMO ELIMINARLO O SUBLIMARLO di Umberto Tenuta

CANTO 263 BULLISMO DA ELIMINARE O DA SUBLIMARE?

Istinto di vita: essere.

Per essere occorre essere riconosciuto.

Essere ri-conosciuto nella propria identità, che è diversità dagli altri, e quindi identità: come me non c’è nessuno!

La nostra identità si afferma se ciascuno assume uno degli infiniti colori.

Ma la Scuola coltiva la diversità?

 

Bisogno di essere riconosciuti ella propria identità.

Verità lapalissiana, verità che purtroppo quasi sempre la Scuola nega.

Nel buio della notte tutte le vacche sono nere.

Studenti omologati!

Alimentati tutti con lo stesso omogeneizzato.

I libri sono uguali per tutti.

Le LIM sono uguali per tutti.

Le lezioni sono uguali per tutti.

I tempi sono uguali per tutti.

Le risposte uguali per tutti; guai a che introduce delle integrazioni!

Omologazione.

Omologazione perfetta.

Perfetta per tutti.

Nessuno escluso.

Oh Pasolini!

Omologazione forzata, innaturale.

E la Natura si vendica.

Si prende la rivincita!

Volete omologarmi?

Io non ci sto.

Non importa che io non posso avere i muscoli di TARZAN.

Io fiacco i muscoli degli altri.

Abbassatevi tutti, perché io, miserello nano, emerga!

Se non vi abbassate, vi piego io.

Starete tutti sotto di me.

Io sono la pianta che svetta sovra tutte le altre piante, incontro al sole.

Il sole me lo prendo tutto io, e voi inaridite, diventate rami secchi, humus per le mie radici.

È questa la logica della foresta.

Vegetale ed animale.

Ma gli uomini non sono solo vegetali.

E non sono solo animali.

Gli uomini sono cultura!

È la cultura che fa uomini i figli di donna.

È la cultura nelle sue mille e mille forme e sfaccettature.

Da quando il primo bestione è sceso dall’albero fino ai nostri giorni, sulla faccia della Terra non vi sono stati due uomini uguali.

E non vi saranno mai, fino alla fine dei secoli.

E la scuola, tempio della cultura, che fa?

Impiega tutte le sue forze per omologare.

Ma l’istinto di vita è più forte della scuola!

La fiumana straripa.

Rompe gli argini e si spande per mille rivoli.

Dentro le aule, fuori dalle aule.

Ogni giovane lotta per affermare la propria identità.

Per essere riconosciuto una persona unica, singolare, irripetibile.

Un valore infinito!

E gli Infiniti sono tutti eguali.

Infiniti i numeri naturali.

Infiniti i numeri pari.

Infiniti i numeri dispari.

La scuola questo non insegna!

La Scuola omologa.

La Vita fa nascere Alessandro Magno, Cleopatra, Cesare, Dante, Colombo, Kant, Beethoven, Francesco…

La Scuola impone la casacca.

La Vita offre le Carte di identità.

Meraviglia che nella Scuola si manifesti il BULLISMO?

Se due rose perfettamente uguali non esistono in nessun giardino del mondo, vi meravigliate che esse non accettino di nascere nemmeno nella Scuola?

Malgrado tutti gli sforzi che la Scuola fa per omologare!

 

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:

http://www.edscuola.it/dida.html

La Buona Scuola

La Buona Scuola

di Tommaso Montefusco

La Buona Scuola di Matteo Renzi  indica certamente, come è ovvio, più che lo stato di salute della scuola italiana di oggi, un auspicio, una direzione di marcia, una meta, anche con una buona dose di ottimismo, immaginando  le resistenze aperte che incontrerà in molti. Ma anche con la speranza e la fiducia di tanti che, come me, sperano che si smuovano le acque stagnanti della nostra scuola, che tutto permettono e tutto celano.

Dopo tante modifiche introdotte con varie riforme agli ordinamenti scolastici, si affronta finalmente dopo circa vent’anni lo stato giuridico dei docenti: formazione iniziale ed in itinere, concorsi, abilitazione,  carriera, tempi di lavoro, figure intermedie, valutazione, etc. Oltre che alcune questioni tanto annose quanto importanti: stabilizzazione dei precari, rapporto scuola-lavoro, dispersione scolastica.
Insomma “La buona scuola” è un documento ampio, scritto da chi sa certamente di scuola, con un ponderoso indice di questioni che si trascinano da decenni. Finalmente.
E’ ovvio che tra le innumerevoli questioni sollevate e le proposte di soluzione offerte alla discussione ci siano, a mio sommesso avvivo beninteso, proposte che reputo senz’altro giuste, altre discutibili, altre ancora sbagliate.
Ma, in ogni caso, meglio dell’insulso chiacchiericcio di molti, delle continue sostanziali resistenze al cambiamento dei sindacati, della difesa ad oltranza dello status quo che si cela sotto molte proposte di cambiamento avveniristiche quanto nebulose. Molto meglio, insomma, della morta gora attuale.

La Buona Scuola mi sembra un documento globalmente buono e condivisibile per molti aspetti, direi i più, anche se scritto a più mani, come lasciano trasparire vision e logiche scolastiche non sempre collimanti.

Entrando nel merito.

  1. Positiva mi sembra la stabilizzazione dei precari di prima fascia. Qualcuno ha arricciato il naso sul fatto che vengano assunti senza concorso, il quale, dicono, è pur sempre una selezione che premia in larga misura i migliori. Potrebbe essere vero, ma si deve pensare che i docenti di prima fascia sono già abilitati e molti di loro insegnano da molti anni. Altro che tirocinio di 6 mesi guidato dal “mentor”. Più della metà di essi dovrebbe essere destinata, poi, alla scuola primaria che, in tal modo, potrebbe utilizzarli per il tempo pieno! L’assunzione di 150.000 precari, risorse finanziare permettendo ( un’incognita non da poco), significherebbe, si dice, consentire la creazione di un organico funzionale di scuola o di rete.  Il che pare senza dubbio positivo a condizione, però, che ogni scuola o rete di scuola definiscano la “funzionalità” di detto organico. Sarebbe umiliante e demansionante se fosse utilizzato per tappare i buchi che si aprono quotidianamente negli orari di servizio. L’organico funzionale, secondo me, dovrebbe essere legato e, quindi concesso, dietro elaborazione e presentazione di precisi progetti di innovazione didattico-metodologica, di ampliamento dell’offerta formativa, mettendo anche in conto, eventualmente forme di codocenza ove possibile ed auspicabile.

  2. La valutazione dei docenti ed il merito.
    Non è plausibile una carriera che si sviluppi solo per anzianità. Non c’è dinamismo, non ci sono stimoli professionali, non c’è differenziazione alcuna che tenga conto di chi lavori e di come lavori, di quanto si lavora in classe innanzi tutto,  nella  propria scuola, nel contesto del territorio.
    Nell’immaginario sociale è ferma l’immagine del docente che transita nelle aule “a sua insaputa”. Ciò provoca scarso riconoscimento del lavoro dei docenti, diffusione di favole metropolitane come i 4 mesi di vacanza (includendo le interruzioni didattiche per Natale, Pasqua e altre feste comandate). Ritengo positivo, perciò, che i docenti siano valutati per quello che fanno in classe e per come lo fanno (crediti didattici) e per la loro formazione professionale in continuum. Basti pensare che la professionalità non può essere un dato acquisito una volta per tutte; ma essa ha un’evoluzione che segue il progresso sociale, tecnologico, lo sviluppo e l’implementazione dei saperi vecchi e nuovi. Ciò che si chiedeva ad un docente 30 anni fa, oggi risulta assolutamente insufficiente. Ben venga quindi la valutazione che riconosca il merito, certificato da crediti didattici, formativi, professionali.

  3. Tuttavia occorre, secondo me, chiarire alcune questioni:
    Definizione, chiarificazione e quantificazione dei crediti.
    Riconoscimento che anche l’anzianità ha bisogno di un qualche riconoscimento.
    Il merito non può, secondo me, garantire meccanicamente solo a 2/3 dei docenti di ciascuna scuola la progressione degli scatti di “competenza”; ammettiamo che io mi trovi in una scuola di docenti bravi e preparati; per avere il riconoscimento degli scatti, che non mi è possibile ottenere nella mia scuola, dovrei trasferirmi in un’altra meno accreditata per “disseminare” il mio lavoro. Mi pare una vera assurdità.
    Occorre trovare un sistema diverso di distribuzione degli scatti per merito e, comunque, accompagnato al riconoscimento anche dell’anzianità. Non si può terminare la propria carriera dopo 40 anni di servizio col medesimo stipendio iniziale. Solo il tasso inflattivo basterebbe a decurtarlo di non so quanto.
    Da considerare bene, poi, il problema di chi sarà chiamato a valutare i crediti e di come essi saranno valutati; oltre al docente mentor, nulla si dice. A mio parere deve esserci anche il d.s. a condizione che anch’egli sia sottoposto a valutazione e valutato attraverso vari parametri, tra cui quello dei risultati. Infatti, a parte la buona fede, l’impegno e la serietà della maggior parte dei dd.ss., occorre che tutti i dd.ss. lavorino per migliorare e valorizzare la risorse umane  di cui dispongono a vantaggio della scuola, dei risultati e, quindi, di conseguenza anche di se stessi. Non è corretto che i dd.ss. ricevano già oggi un’indennità di risultato senza alcuna valutazione dei risultati stessi.
    Taluni sostengono che questo metterebbe i docenti in “concorrenza” tra loro, piuttosto che stimolarli al lavoro comune e organizzato nella propria comunità educante. Mi chiedo, non c’è una sorta di concorrenza anche ora per l’elezione da parte del Collegio delle Funzioni strumentali, dei Tutor vari per i PON, stages, ecc.? E mi chiedo ancora, accrescere la propria professionalità, impegnarsi nel lavoro didattico innovativo, vederselo riconoscere e al tempo stesso metterlo al servizio della propria comunità è così assurdo? E se poi si rivedono, come auspico, i meccanismi di “distribuzione” degli scatti di competenza, uscendo dalla “gabbia” di ogni singola scuola e pensando a possibilità di accesso più “aperte”, fermo restando il budget complessivo messo a disposizione per tali scatti, avrebbe senso ancora parlare di concorrenza e di inficiamento del lavoro collaborativo nella propria comunità educante?

4.    Trovo importante la creazione di figure intermedie. Da definire meglio, tuttavia, l’accesso a tali figure: tipologia di crediti, curriculum del docente candidato, trasferibilità o meno di tale incarico e  dell’esperienza acquisita nella propria scuola, tempo dell’incarico.
5.    Sulla valutazione di sistema, concordo sostanzialmente con l’impianto del d.p.r. 80/1013 e sul VALES  come paradigma. Credo, tuttavia, che occorra limare ancora di più l’eccesso di autoreferenzialità che si intuisce.

Insomma, “La Buona Scuola” è un macigno lanciato nello stagno. Spetta ora lasciar decantare gli schiamazzi,  osservare come il dibattito si sviluppi, raccogliere i contributi migliori anche se polemici purché costruttivi, correggere ciò che sarà indicato dai più e passare prima che si può a legiferare. La scuola italiana non può attendere oltre.

E. Savarese, Le inutili vergogne

Non più “diversi”

di Antonio Stanca

savareseEduardo Savarese è nato a Napoli nel 1979, è magistrato e studioso di Diritto Internazionale. Già a ventisette anni, nel 2006, ha cominciato a scrivere di narrativa con il racconto Cicatrici inserito nella raccolta La città difficile, Edizioni Ippogrifo. Sono seguiti altri racconti che in altre raccolte sono stati compresi. Savarese vive a Napoli, si adopera per i diversamente abili tramite corsi di scrittura creativa ed altro segnale del suo interesse per chi è “diverso”, del suo impegno a procurare ai “diversi” un valore, un’identità è l’ampio saggio del 2009 circa il travestitismo nell’opera lirica.

Il suo primo romanzo, L’amore assente, è comparso nel 2010 ed è stato finalista al Premio Italo Calvino. L’opera, rielaborata, diventerà nel 2012 il romanzo Non passare per il sangue. Ora, ad Aprile del 2014, all’età di trentacinque anni Savarese ha pubblicato, presso le Edizioni E/O di Roma, un altro romanzo Le inutili vergogne, pp. 227, € 16,50. Come nelle opere precedenti anche in questa l’autore dice di persone “diverse”, della loro “diversa” condizione sociale, sessuale, fa capire che queste diversità possono, devono essere accolte e non respinte, che queste persone hanno diritto ad essere riconosciute, a stare, a vivere insieme alle altre, a valere come le altre.

In Le inutili vergogne la situazione si fa più articolata, più complicata rispetto alle altre narrazioni. Anche qui ritorna il tema della vita di un omosessuale, il protagonista Benedetto de Notaris, ginecologo cinquantenne che proviene da un’antica, ricca e nobile famiglia napoletana, che a Napoli, in ospedale, svolge il suo lavoro. Molte, diverse saranno le circostanze nelle quali lo scrittore lo mostrerà, molti, diversi i piaceri omosessuali, gli amanti che gli farà cercare. Ma insieme alla sua vita, ai suoi pensieri, ai suoi “vizi”, Savarese mostrerà la vita dei suoi famigliari a Napoli e quella di tante altre persone legate a Benedetto ed ai suoi da quando avevano perso prematuramente il padre. In ogni posto del circondario napoletano lo scrittore farà scoprire loro parenti, amici, ovunque li farà vedere conosciuti, stimati e soprattutto presso gli ambienti religiosi, i centri di assistenza perché avevano fatto opere di beneficenza. Un’ampia costruzione risulterà il romanzo, un movimento continuo, incessante lo percorrerà, luoghi, tempi, avvenimenti vicini e lontani, passati e presenti, vecchi e nuovi lo animeranno, una lingua agile, svelta nel passare tra tante situazioni lo caratterizzerà.

Parallelamente alla vicenda principale, quella di Benedetto, della sua vita, della sua gente, dei suoi posti, dei suoi “amori”, Savarese fa scorrere, in carattere corsivo, l’altra di una sua zia, Gilda, morta in solitudine dopo un’esistenza travagliata che l’aveva fatta apparire strana, “stonata” agli occhi della gente. Nelle parti dell’opera a lei dedicate si ripercorre brevemente la sua vita, dai primi tempi nella casa della famiglia de Notaris, dai rapporti innocenti, affettuosi con il bambino Benedetto ai tempi degli studi universitari, della laurea, del matrimonio col medico ospedaliero Renato, del difficile rapporto conseguito, dell’amore sempre crescente per il giovane infermiere Ottavio mentre l’Europa veniva devastata dalla seconda guerra mondiale, della perdita prima del marito, poi dell’amante, della condizione di solitudine nella quale si era venuta a trovare e nella quale aveva scelto di continuare a vivere, del dramma che aveva sofferto per aver tradito Renato, della definitiva redenzione che aveva pensato di poter ottenere scrivendo le sue meditazioni e paragonandole alle verità della religione cristiana, cioè capaci di spiegare, accogliere anche quanto sembra colpa, peccato poiché è parte della vita, è uno dei suoi tanti aspetti, dei suoi tanti modi di essere.

Più lungo, più travagliato sarà il percorso che Benedetto dovrà compiere prima di sentirsi assolto dai suoi “peccati”. Quella di Gilda è una vita trascorsa della quale lei ricorda, quella di Benedetto una vita che si sta svolgendo alla quale lui partecipa, la prima risale agli anni ’40 e di essa non si dice molto, la seconda agli ultimi anni del secolo scorso ed è rappresentata in ogni minimo particolare. Ad unire le due vite c’è stata la donazione di oggetti sacri che la zia ha fatto al nipote. Ma è successo quando lei, invecchiata, era pervenuta alla purezza, alla salvezza tramite la fede mentre Ottavio era ancora giovane e soltanto visioni, voci misteriose gli procuravano quegli oggetti. Motivo di travaglio, di tormento gli erano perché sempre in contrasto li vedeva con la ricerca dei suoi piaceri, di quanto lo attraeva, lo seduceva. Anche padre Vittorio, il religioso amico e confessore di Ottavio, rappresenterà un ostacolo, un problema per le sue tendenze e mai si giungerà ad una qualche soluzione. Un pervertito si convincerà di essere, tra pervertiti penserà di dover vivere, alla perversione di doversi rassegnare.

Saranno, tuttavia, quelle immagini, quelle parole misteriose che provengono dai doni della zia ad avviare in lui un cambiamento, a fargli ritenere “inutili” le sue “vergogne”, a mostrargliele come una delle tante possibilità di essere, di vivere. Infine anche per lui, come per la zia, saranno la religione, la fede a fargli credere di potersi salvare, di potersi considerare uguale agli altri nonostante i suoi “vizi”. Saranno le Sacre Scritture a svelargli che ogni cosa dell’uomo è pure di Dio, che non è solo l’uomo a volerla ma anche Dio e che la sofferenza vale per il bene degli altri come era successo con Cristo.

Tra sacro e profano si muove in continuazione il Savarese di questo romanzo e al primo giunge ad assegnare il compito di comprendere il secondo, la virtù giunge a mostrare capace di contenere il vizio.

Attesa per l’audizione del Ministro sull’avvio del nuovo anno

da La Tecnica della Scuola

Attesa per l’audizione del Ministro sull’avvio del nuovo anno

Martedì 30 settembre, Giannini avrà l’occasione per fare il punto sui problemi d’inizio d’anno, ad iniziare dalla mancata nomina dei supplenti in tante province. Inevitabili i riferimenti alle linee guida, anche se per le conclusioni bisognerà attendere un paio di mesi, e alle indiscrezioni sui tagli al personale Ata e all’eliminazione dei commissari esterni della maturità.

Martedì 30 settembre alla Camera è prevista un’audizione del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini: presso la Commissione Cultura, con inizio alle ore 13.30, Giannini parlerà “dell’avvio dell’anno scolastico 2014-2015”.

Per il responsabile del Miur sarà l’occasione per fare il punto sulle problematiche di questo inizio di anno, ad iniziare dalla mancata nomina dei docenti e Ata in tante province a seguito dei ritardi nella formulazione delle graduatorie e della mancata uniformità nel nominare i supplenti fino all’avente diritto. Ma l’audizione potrebbe essere anche l’occasione per rendere pubblici i numeri su coloro che hanno partecipato alla consultazione on line sulle linee guida di riforma (alcuni giorni fa si conteggiavano 180mila contatti).  Non pochi addetti ai lavori si aspettano anche indicazioni sui possibili sviluppi delle linee guida. Anche se su questo punto bisognerà attenderà almeno la fine di novembre, quando dovrebbero essere resi pubblici gli esiti dei tanti contribuiti offerti dai cittadini attraverso il portale internet www.labuonascuola.gov.it.

Nell’intervento del Ministro potrebbero, infine, essere presenti gli obiettivi normativi su cui stanno lavorando Governo e amministrazione scolastica per i prossimi mesi, da includere nella Legge di Stabilità: negli ultimi giorni, si è parlato insistentemente di tagli al personale Ata e dell’eliminazione dei commissari esterni negli esami di maturità.

Sempre presso la stessa Commissione parlamentare ella stessa giornata e nei giorni seguenti, sono previste, una serie di audizioni sulla statizzazione ex istituti musicali pareggiati: ad essere ascoltati, tra gli altri, i rappresentanti dell’Anci e del Coordinamento presidenti istituti musicali pareggiati.

“Servono più prof uomini”

da La Tecnica della Scuola

“Servono più prof uomini”

 

Barbara Mapelli, docente di pedagogia delle differenze all’Università Bicocca di Milano, spiega che l’insegnamento è considerato ancora tra i lavori di cura e quindi femminile, e poco prestigioso nei gradi inferiori

Ma il dibattito è antico, rileva Il Fatto quotidiano, e da decenni si parla di eccessiva femminilizzazione della scuola italiana. Secondo i dati più recenti le donne rappresentano il 79% del corpo docente, percentuale che sale fino a quasi il 100% nelle scuole dell’infanzia, al 95% nella scuola primaria e all’85% nella scuola secondaria di primo grado. La situazione cambia un po’ nella scuola secondaria di secondo grado dove le professoresse rappresentano in media il 59% del totale anche se le percentuali variano in base al tipo di istituto. Ad esempio, si sale all’85% nei licei pedagogici.

Sulla base di queste percentuali, la prof Mapelli spiega: “La conseguenza della femminilizzazione è che vengono meno figure maschili autorevoli di riferimento che sarebbero importanti per i bambini e per i ragazzi che in genere hanno come unico parametro il padre, spesso assente. Inoltre molti di loro vivono la scuola come un luogo di donne, dalle quali mantengono un certo distacco e diffidenza. Questo crea un allontanamento verso la cultura in generale che viene identificata come femminile. Il fenomeno ha conseguenze disastrose: gli uomini leggono meno, vanno meno a teatro e al cinema, rendono meno a scuola in termini di voti e si laureano meno delle donne”.

La femminilizzazione diminuisce però con l’aumentare del livello: all’università le docenti universitarie e le ricercatrici sono il 35% del totale (erano il 14% nel 1959) e si scopre pure che le donne che coprono il ruolo di rettore sono poche unità in tutta Italia (secondo i dati del Miur del 2013 sono 5 su 78).

E’ considerato invece poco prestigioso insegnare nei gradi inferiori della scuola. “Le ragioni sono soprattutto culturali – dice Mapelli. – Infatti si ritiene che l’insegnamento rientri nella categoria dei lavori di cura e quindi femminili. C’è un evidente stereotipo di genere alla base di questa situazione. E’ un discorso complesso che con altre studiose e studiosi abbiamo affrontato negli anni scorsi senza però mai riuscire a trovare i luoghi adatti per avviare un cambiamento. Purtroppo è un fenomeno che penalizza i pochi uomini che invece riconoscono l’importanza del valore sociale e culturale dell’essere insegnanti. Si tratta di uomini motivati che però si trovano in un mondo tutto femminile che li tratta con un certo sospetto. Mi raccontava un maestro di asilo che il primo giorno di scuola è sempre un disastro perché quando le mamme accompagnano i figli e si trovano davanti un uomo dimostrano una forte resistenza. Questi uomini devono conquistarsi una fiducia che non è scontata. Senza contare che, a livello sociale, sono considerati dei lavoratori di serie B”.