Una buona scuola… senza dirigenza

UNA BUONA SCUOLA…SENZA DIRIGENZA!

di Francesco G. Nuzzaci

Ripetersi  non è, propriamente, un’ operazione elegante, ancor più in un breve arco temporale e contrassegnato da interventi ripetuti, su questa rivista e altrove. Dobbiamo, però, in parte, farlo. Perché avevamo lasciato il nostro discorso sospeso. Sospeso in attesa della preannunciata palingenetica e, perciò, stupefacente riforma della scuola – anzi, di una buona scuola – da parte del nostro magniloquente Presidente del Consiglio.
Quindi, dobbiamo ripeterci. Ma proveremo a essere lievi.
Si ricorderà che a fine aprile erano state emanate le Linee guida di Renzi-Madia sul radicale – rivoluzionario? – riassetto della dirigenza, all’interno della riforma della Pubblica Amministrazione.
Sull’abbrivo dei ponderosi studi dell’Università Bocconi (I manager pubblici che vogliamo), delle analisi comparative del consigliere economico di Palazzo Chigi, prof. Roberto Perotti (in lavoce.info.it), non ultimo delle relazioni, rigorosamente secretate, del commissario per la spending review Carlo Cottarelli, è stato prefigurato il ruolo unico per la dirigenza pubblica, con l’ abolizione delle due fasce, per l’interscambiabilità e rotazione degli incarichi in ragione delle competenze culturali e professionali di ogni dirigente, sulla scorta di una rigorosa valutazione degli obiettivi assegnati e delle capacità organizzative-gestionali dimostrate.
Ne è seguita l’istanza di omogeneizzazione-perequazione delle retribuzioni, in esito alla riparametrazione e razionalizzazione delle voci componenti il trattamento economico complessivo, rapportate ai carichi quali-quantitativi di lavoro e correlate responsabilità: per espressa dichiarazione in Parlamento della signora Madia, conta quello che uno fa e non dove lo fa.
Si è dunque passati dalla concezione di una dirigenza career based a quella di una dirigenza position based, denominata  manageriale o dirigenza tout court, intestataria di autonomi poteri di gestione di risorse umane-finanziarie-strumentali e loro combinazione ottimale per la realizzazione dello scopo-programma-progetto predefinito dal committente politico o ex lege, ed esclusiva responsabilità di risultato.
Questa ridisegnata, e ristretta, dirigenza è così distinta sia dai professional  che, a fortiori, dai funzionari: i primi soggetti operanti all’interno della struttura organizzativa nell’esercizio di qualificate, circoscritte e infungibili competenze di natura squisitamente tecnico-professionale, ma privi di poteri gestori in senso tecnico-giuridico; i secondi soggetti , parimenti interni, titolari di competenze intermedie specializzate e, di regola, come  primi, privi di rappresentanza esterna.
Dopo tre mesi dal conio di accattivanti slogan e dalla proiezione di variopinte slide, seguite prima da un testo apocrifo, poi da uno semi-ufficiale, poi da uno definito ufficiale, finalmente è pervenuta alla Presidenza del Senato – nella quarta versione in poco più di trenta giorni! – la stesura definitiva del disegno di legge delega n. 1577, a firma del Presidente del Consiglio, di concerto con il Ministro della Pubblica Amministrazione e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, corredato di relazione illustrativa, relazione tecnica, analisi tecnico-normativa e analisi di impatto della regolamentazione.
Il predetto disegno di legge, di Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, dedica l’articolo 10 (già art. 3 nella prima bozza apocrifa) alla riforma della dirigenza pubblica. E, con somma incoerenza, priva della minima connessione logica, viene statuito che quella esercitata nelle istituzioni scolastiche non è una dirigenza manageriale, siccome preposta alla conduzione di strutture organizzative dotate di intrinseca complessità, tramite la gestione di risorse umane, strumentali e finanziarie ( e correlate, esclusive, responsabilità  giuridicamente esigibili).
Non lo è, nonostante l’inoppugnabilità del dato normativo( artt. 5, 17, 25 e 29 d. lgs. 165/01 e s.m.i.; d.p.r. 275/99; d. i. 44/01), le puntuali e argomentate pronunce sia della Magistratura contabile (Corte dei conti per la regione Sicilia del 4 marzo 2014; Corte dei conti nazionale-SS.UU. di controllo, adunanze del 7 aprile 2006 e del 14 luglio 2010) che del Consiglio di Stato (Comm. Spec. P.I., n. 529 del 16 ottobre 2003), la conforme dottrina (ex multis cfr  L. Paolucci, Il diritto per il dirigente scolastico, Spaggiari, 2012, p. 167 e p. 180), secondo la quale Il dirigente scolastico, seppure con caratteri di specificità…indubitabilmente partecipa comunque della funzione dirigenziale pubblica ed in particolare statale, come attesta la collocazione sistematica degli artt. 25 e 29 che il d. lgs. n. 59 del 1998 ha inserito dapprima nel d. lgs. n. 29 del 1993 e poi nel d. lgs. n. 65 del 2001, interpolando il Capo della “Dirigenza” (Capo II). Tale collocazione sistematica impone, dal punto di vista interpretativo, di ritenere applicabili alla dirigenza scolastica, ove non espressamente e diversamente disposto dalla norma speciale, le disposizioni generali sulla dirigenza ivi previste…L’articolo 25 costituisce dunque settoriale applicazione delle prerogative attribuite alla dirigenza.
E non lo è nonostante il mero riscontro fattuale percepibile – beninteso, se correttamente informato – dall’uomo comune, al quale – peraltro-  é impensabile, di questi tempi, chiedere indulgenza per chi uno stipendio comunque ce l’ha: giusto per rendersi avvertiti delle distorsioni della pseudo democrazia diretta, che salta a pié pari i corpi intermedi, negandosi al confronto con i soggetti istituzionali e professionali. Insomma, mandateci un twitter e poi decidiamo noi!
Poiché abbiamo promesso di essere lievi, segnaliamo solo che nella prima versione delle stringatissime Linee guida è semplicemente scritto, senza alcuna aggettivazione, Ruolo unico della dirigenza. Ma nella seconda versione, un po’ più articolata e susseguente all’avvenuta consultazione on line, si aggiunge che E’ esclusa dal ruolo unico la dirigenza scolastica.
Passando alle bozze normative, nella prima apocrifa ( 20 giugno 2014) è dunque Esclusa dai ruoli unici la dirigenza scolastica.
Ma nel testo semi-ufficiale del 10 luglio 2014 è specificato che nei predetti ruoli unici confluiscono i dirigenti di carriere speciali (come quella diplomatica) e sono confermate le sezioni speciali del corso-concorso per i dirigenti tecnici ( che però, stricto iure, dirigenti non sono, quanto, piuttosto, professional);  mentre non è  più menzionata la dirigenza scolastica, che quindi deve intendersi compresa nel ruolo unico : ubi lex voluit dixit, quod noluit tacuit, secondo gli elementari canoni ermeneutici che si insegnano al primo anno di Giurisprudenza.
Nel terzo testo, quello ufficiale pubblicato il 24 luglio 2014, si legge però nuovamente Con esclusione dai suddetti ruoli unici della dirigenza scolastica, formula infine replicata dal testo rassegnato –  il giorno prima, 23 luglio, e, in alcuni punti ancora modificato! – alla Presidenza del Senato. Lo sintetizziamo di seguito per quel che qui ne occupa:
-Ruoli unici della dirigenza pubblica, con eliminazione delle due fasce, rispettivamente per Stato, regioni, enti locali, basati sul principio del merito e della formazione continua, omogeneamente reclutati e formati dalla SNA, caratterizzati dalla piena mobilità tra i ruoli e conseguenziale omogeneizzazione-perequazione giuridica ed economica, previa revisione e razionalizzazione delle voci retributive; ma – si ponga attenzione all’inciso – nei limiti delle risorse complessivamente destinate dalle vigenti disposizioni legislative e contrattuali, poi evidenziato nella relazione tecnica sull’articolo 10, laddove si legge che La disposizione, di natura ordinamentale, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
-Sezioni per le professionalità speciali nel ruolo unico della dirigenza statale, con possibile confluenza di dirigenti delle carriere speciali;
-Esclusione dai suddetti ruoli unici della dirigenza scolastica.
Ora, qualche domanda s’impone.
In primo luogo, chi ha scritto questo testo ballerino, tecnicamente approssimativo e contraddittorio, poi divenuto il disegno di legge delega n. 1577?: l’Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio, diretto dall’ex  comandante dei vigili urbani di Firenze?,  mani anonime dei burocrati del MEF, preoccupati dell’esborso finanziario per remunerare ottomila anime come dirigenti “veri”?, la lobby delle dirigenze forti per preservare le consolidate rendite di posizione?
Seconda domanda: dov’erano i cinque sindacati rappresentativi della dirigenza scolastica mentre, nel loro assordante silenzio, si consumava questo inverecondo scempio?
Terza domanda: oltre alla trentareenne leggiadra ministra per la Pubblica Amministrazione, Matteo Renzi  questo benedetto testo lo ha letto?
Dovremmo dire, decisamente, di no. Altrimenti dovremmo concludere che il livello di schizofrenia imperante in questo nostro singolare Paese ha trasbordato dal suo apice. Sennò come potrebbero spiegarsi le testuali affermazioni contenute nel suo  programma La buona scuola, lanciato in pompa magna, che di qui a quattro mesi dovrebbe tradursi in un decreto legge, a tenore delle quali anche i presidi (sic!) sono prima di tutto dirigenti… pienamente responsabili della gestione generale e della realizzazione del progetto di miglioramento definito sulla base della valutazione?  E nei cui riguardi, mantenendo e rinforzando le indiscutibili competenze gestionali necessarie per promuovere l’efficienza di una organizzazione complessa, andranno parimenti rinforzate le competenze professionali e ridefiniti i poteri connessi  alla promozione della didattica e della qualificazione dell’offerta formativa, tanto ciò vero che anch’essi andranno reclutati tramite corso-concorso affidato alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione, la stessa istituzione che seleziona e forma tutti i dirigenti dello Stato?
Sembra fuori discussione che i soggetti oggi preposti alla guida di istituzioni scolastiche funzionalmente autonome, costituzionalmente protette, non possono essere dei semplici funzionari intermedi, come già non lo erano i vecchi presidi e direttori didattici nel previgente assetto del sistema scolastico.
Ma non possono neanche qualificarsi professional, la cui funzione – supra – inerisce   all’esplicazione di qualificate, e circoscritte, prestazioni tecniche, in via esclusiva o prevalente, come nel caso dei  circa centoventimila su centotrentamila odierni dirigenti medici del SSN; che difatti, insieme ai dirigenti tecnici del medesimo Servizio, non saranno più inquadrati nel ruolo unico regionale, nel mentre e all’opposto, con somma incoerenza, continueranno a far parte del ruolo unico della dirigenza statale i dirigenti tecnici del MIUR, ex ispettori scolastici, in ordine ai quali non si riesce proprio a rinvenire  nell’odinamento una disposizione-una che a ciò li legittimi siccome attributari di competenze organizzativo-gestionali.
In conclusione, la dirigenza scolastica, non essendo compresa nel nuovo ruolo unico, neanche in un’ apposita sezione speciale del medesimo, è, semplicemente, una non dirigenza, nei cui confronti non valgono l’abolizione delle distinzioni tra prima e seconda fascia; la conseguente mobilità sia in verticale (c.d. carriera) che in orizzontale, cioè nei diversi settori delle amministrazioni statali e, latamente, pubbliche; la consustanziale omogeneizzazione-perequazione delle retribuzioni nell’ambito del ruolo unico, in esito alla riparametrazione di tutte le voci retributive.
Per converso, la non dirigenza scolastica non sarà incisa da un’ordinaria valutazione dei risultati e delle prestazioni organizzative: né in positivo, a fini premiali, né in negativo, comportante extrema ratio il licenziamento. Sembrerebbe un trattamento di riguardo, ma in realtà – ed ora sancito per legge – è l’ennesima replica di una collaudata, e mai contrastata, strategia per non attribuire la ( una non risibile e offensiva) retribuzione di risultato. In sostanza, a significare che, quella scolastica, è una dirigenza – se ancora la si vuole così denominare – farlocca, destinata a restare  imbutata nella riserva indiana per contemplarvi la propria sublime specificità; vieppiù contrassegnata da nuovi carichi di lavoro, e correlate responsabilità – si veda il capitolo 3 della Buona Scuola –,incomparabili rispetto a tutta la dirigenza pubblica di – ancora – pari seconda fascia. E retribuita esattamente per la metà: in media 55 mila euro lordi annui per chi è specifico, a fronte di 110 mila, sempre lordi, per chi è , e resterà, generico!
Tutto normale, può ben affermarsi. Perché, secondo quanto perspicuamente rimarcato dal presidente provinciale dell’ANDIS di Viterbo, la più antica delle associazioni professionali dei dirigenti scolastici, mentre parte la campagna renziana, col seguito delle immancabili consultazioni libere on line, si espellono i dirigenti scolastici dalla dirigenza statale. Perché?, si domanda, dal momento che è del tutto evidente che solo un incompetente o chi vuole male alla scuola può pensare di collocare alla gestione delle istituzioni scolastiche attuali una “figurina” di livello non dirigenziale.
E’ una domanda che però dovrebbe rivolgere anzitutto alla propria Associazione professionale, di cui è membro autorevole. Che, nel mentre ha completamente ignorato il d.d.l. 1577, ha prodotto un compatto comunicato ufficiale che canta le lodi della Buona Scuola, dedicando alla dirigenza scolastica quattro righe e mezza per puntualizzare che il nuovo sistema di reclutamento affidato alla SNA non può restringersi al solo ambito amministrativo, ma deve tenere soprattutto conto della specificità della dirigenza scolastica, che si qualifica come leadership per l’apprendimento.
E, sempre a proposito della Buona Scuola, è proprio necessario annotare il completo disinteresse dei sindacati di comparto, parimenti rappresentativi della dirigenza scolastica, con riguardo a tutti quei passaggi, testé sunteggiati, che la concernono, per contro impegnati a stigmatizzare l’esproprio delle loro prerogative in materia di carriera dei docenti (rectius: progressioni economiche non più per anzianità, bensì per merito) e la marginalizzazione del personale ATA?
C’è, per il vero, un’eccezione di chi, sempre commentando La buona scuola, scrive essere un peccato che, appena un mese fa, lo stesso Governo abbia negato ai dirigenti scolastici l’inclusione nel ruolo unico con l’argomento che la loro dirigenza non sarebbe gestionale. Semplice distrazione? Ci pare un po’ poco per il più rappresentativo e più autorevole sindacato della dirigenza scolastica.
Dobbiamo concludere. E, anche qui, dobbiamo ripeterci: la dirigenza scolastica, a quattordici anni dalla sua nascita, fa ancora affidamento sulle improbabili benevolenze altrui. Ma se non si determina a dotarsi di proprie gambe per poter camminare e di una sua voce per potersi “raccontare”, il suo deteriore destino  sarà irreversibilmente segnato.
Ora, o mai più.
Perché, alla fin fine, essa sarà quel che avrà meritato.

Comunicazione delle basi dati Scade il 18 settembre il termine di legge

Comunicazione delle basi dati

Scade il 18 settembre il termine di legge

Scade domani 18 settembre il termine fissato dal decreto legge n. 90/2014, convertito in legge 114/2014, per la comunicazione all’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) delle basi dati detenute dalle Pubbliche Amministrazioni e dei software che le utilizzano.
Sembra caduta l’ipotesi di un rinvio del termine, mentre alla data del 15 settembre solo 2.851 amministrazioni avevano provveduto all’adempimento. Vi sono tenute anche le istituzioni scolastiche, che da sole rappresentano oltre ottomila soggetti: il che significa che molte di loro sono tuttora inadempienti.
Si specifica che la comunicazione riguarda tutte le basi di dati gestite dall’amministrazione per il perseguimento dei fini istituzionali, comprese quelle connesse al funzionamento dell’amministrazione stessa (personale, alunni, bilancio, protocollo informatico, gestione documentale, ecc.) e quelle relative a banche dati eventualmente gestite esternamente (es cloud)

Il riferimento va fatto alla base dati (es. alunni) e non alle singole tabelle (residenza, data di nascita, ecc.) che la compongono. Non vanno invece comunicate eventuali basi di dati a servizio dell’infrastruttura tecnologica (ad es. backup)

Per quanto riguarda gli applicativi, la norma prevede che le amministrazioni debbano procedere alla trasmissione dell’elenco di tutti i software che utilizzano ciascuna base di dati.

Nel modulo da inviare c’è un campo “riferimento normativo” che non va compilato per le basi di dati di funzionamento (es. personale, alunni, contabilità, protocollo, ecc.).

Il campo identificatore va definito secondo i criteri ritenuti più opportuni (ad esempio va bene anche una numerazione progressiva). L’importante è tenere conto che questo codice, anche in futuro, consentirà di individuare la banca dati cui si riferisce.

Nel ricordare a tutti i colleghi Dirigenti l’imminente scadenza, riteniamo utile fornire il collegamento al sito dell’AgID, dal quale è possibile scaricare tutti i riferimenti normativi, le istruzioni per procedere alla registrazione, i modelli da utilizzare e le FAQ aggiornate, che rispondono ai principali dubbi sollevati in merito. Alleghiamo anche un documento AgID (set informazioni) in cui sono elencati tutti i dati che devono essere trasmessi.
Ci sarà consentito, da ultimo, annotare fin da adesso questa norma nell’elenco delle 100 più “fastidiose, vincolanti ed inutili”, da segnalare senza indugio al presidente Renzi in vista della sua abrogazione. Forniamo anche questo collegamento per chi volesse provvedere in merito: https://www.labuonascuola.gov.it/

Concorso per dirigenti scolastici in Campania: il relativismo einsteiniano

Concorso per dirigenti scolastici in Campania: il relativismo einsteiniano

In questi giorni si è tornato a parlare della vexata quaestio legata all’ultimo concorso per dirigenti scolastici in Campania, riportando alla ribalta delle cronache una vicenda che merita ulteriori precisazioni, anche alla luce degli ultimi eventi. Da parte di chi ha un evidente interesse a che la graduatoria venga pubblicata al più presto, vengono poste in grande risalto le vicende amministrative, alcune delle quali peraltro ancora in itinere, connesse a tale procedura nel mentre si liquida con poche parole l’aspetto più importante, quello che poi avrebbe effettivamente prodotto lo stallo attuale. Parrebbe infatti, leggendo questi interventi, che l’indagine penale faccia parte solo di una notizia giornalistica. Ebbene, così non è. Infatti la notizia non è stata diffusa solo dalla stampa, che peraltro ha anche offerto elementi abbastanza circostanziati sulla delicata vicenda, ma è stata ampiamente confermata dai vertici della stessa amministrazione, al punto che, nelle premesse del provvedimento con il quale il dirigente coordinatore dell’ufficio scolastico regionale per la Campania, con nota del 3 settembre scorso, ha di fatto esautorato l’intera commissione del concorso, sostituendone tutti i componenti in carica, si legge: “ visto il decreto di sequestro preventivo notificato  in  data  23.02.2014  a quest’Amministrazione, relativo al proc. Penale n. 47048/11 RG n.r., convalidato dal GIP presso il Tribunale di Napoli con provvedimento del 06.03.2014, con il quale si provvedeva al sequestro di alcune documentazioni cartacee relative ai titoli di altrettanti candidati e, contestualmente, al sequestro di tutti i registri della Commissione, il tutto afferente al concorso sopra indicato. In particolare, dal complessivo contenuto dell’indicato atto di sequestro emergevano delle anomalie procedimentali “, e più avanti: “ visto il provvedimento dell’ 11.04.2014 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli con il quale si autorizza il rilascio in “copia conforme dei documenti sequestrati con il decreto” di cui innanzi trasmessi in data 29.05.2014 a quest’Amministrazione dalla competente Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli “. Dunque l’indagine c’è, e come se c’è, ed il provvedimento di sequestro di alcuni atti è stato convalidato anche dal GIP. Non solo, la documentazione sequestrata è ancora al vaglio degli inquirenti, al punto che è stata rilasciata dalla Procura solo una copia conforme degli atti sequestrati. Quanto al “relativismo” richiamato in alcuni interventi, mi piace ricordare una bella frase del grande scienziato Albert Einstein: “ Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività “. Ora è comprensibile che chi ha partecipato al concorso e ne ha pure superato le prove si senta come l’uomo seduto sulla stufa. Ma è ancora più legittima la posizione di quanti vogliono vedere chiaro in questa vicenda costellata da tanti punti oscuri, aspettando che la magistratura penale si pronunci, dopo aver espletato tutte le indagini ritenute opportune nei tempi consentiti dalla legge.

Gennaro Capodanno

Censis boccia la connessione a Internet nelle scuole: “Servono 650 milioni”

da Il Fatto Quotidiano

Censis boccia la connessione a Internet nelle scuole: “Servono 650 milioni”

Il centro studi stima una bolletta per la rete veloce di 7,9 euro al mese per studente. Costi che possono essere sostenuti solo con nuovi impegni di spesa sul bilancio dello Stato o col contributo dei privati. “Dopo la chiusura nel 2013 del progetto Scuole nell’ambito del Sistema pubblico di connettività, gli istituti hanno visto azzerati i contributi”

Il digitale nelle scuole italiane non decolla. Con il suono della prima campanella arriva anche la bocciatura del Censis sulla connettività degli istituti italiani. Per far partire il digitale in classe, secondo i risultati dell’ottavo “Diario della transizione” presentato dal noto istituto di ricerca, servono 650 milioni di euro l’anno. Tradotto in costo medio, si stima una bolletta per internet veloce nelle scuole “chiavi in mano” di 7,9 euro al mese per studente. Un traguardo che è possibile raggiungere solo con nuovi impegni di spesa sul bilancio dello Stato o delle amministrazioni territoriali o con un maggiore coinvolgimento dei privati (escluse le famiglie) che finora “contribuiscono solo per il 2,3 %” ai costi della scuola.

La fotografia fatta dal Censis arriva come un fulmine a ciel sereno per il governo che nelle 136 pagine della “Buona scuola” ha dedicato un capitolo alla connettività sprecando parole ma poche cifre legate agli investimenti. “Secondo le migliori pratiche internazionali, la didattica digitale – scrive il Censis – richiede connessioni veloci e robuste: almeno 100 Mbps oggi e, in prospettiva, almeno dieci volte tanto fra tre anni. A causa del gravissimo ritardo negli investimenti di rete, oggi il nostro Paese non è in grado di far fronte a questa domanda. Secondo gli obiettivi europei, nel 2020 il 100% della popolazione dovrebbe essere connesso ad almeno 30 Mbps e il 50% ad almeno 100 Mbps ma ad oggi le aree territoriali oggetto di nuovi investimenti per le connessioni veloci coprono solo il 20% della popolazione italiana. Dopo la chiusura nel 2013 del progetto Scuole nell’ambito del Sistema pubblico di connettività, gli istituti hanno visto azzerati i contributi”.

L’istituto di ricerca prova a guardare oltre la contingenza: arrivare a connessioni standard nelle scuole di almeno 30 Mbps equivale a stimare per l’anno prossimo costi correnti per circa 650 milioni di euro, dei quali 184 milioni per la connettività, 274 milioni per la sicurezza e 192 milioni per l’utilizzo delle infrastrutture e delle apparecchiature tecnologiche. Il fabbisogno di connettività si inserisce tra l’altro in un contesto di spesa ben esaminato dal Censis: “Le spese di funzionamento nei bilanci delle scuole (al netto delle retribuzioni del personale) ammontano complessivamente a 2,5 miliardi di euro. Queste spese sono sostenute per il 37,2 % dallo Stato, per il 29,7% dalle famiglie (mense, gite, contributi volontari), per il 13% dai fondi europei, per il 7,5% dai Comuni. In fondo alla classifica i costi a carico delle Regioni (7,1%) e delle Province (3,2%)”.

Promossa l’Italia solo per l’utilizzo dei fondi europei dove la scuola si dimostra un buon attrattore e utilizzatore di risorse dato che rappresenta il 13,3% del parco progetti finanziato e il 7,3% del valore complessivo. Dati che sono accompagnati da un duro commento del Censis nei confronti delle scelte del premier: “Avviare la transizione verso un’infrastruttura didattica moderna in qualità educativa significa operare in due direzioni: sulle risorse umane e sulle dotazioni strutturali. Con il recente piano per la scuola, il Governo ha promesso la stabilizzazione di 148.000 docenti a tempo determinato. Si tratta di un obiettivo importante, ma che ha ancora il difetto di guardare alla scuola in modo autoreferenziale, secondo una logica corporativa, non toccando tutti i difetti strutturali sui quali è necessario investire ulteriori e significative risorse per attuare una riforma di sistema della funzione educativa”.

Riforma della scuola: le lacune, oltre il marketing degli annunci

da Il Fatto Quotidiano

Riforma della scuola: le lacune, oltre il marketing degli annunci

L’avv. Corrado Mauceri, dell’Associazione nazionale Per la Scuola della Repubblica, richiama l’attenzione su un punto importante del documento “La Buona Scuola”, presentato da Renzi qualche giorno fa con un video e non in Consiglio dei Ministri e attualmente sottoposto ad una consultazione online di cui avremo modo di occuparci in futuro. Una riforma della scuola presentata non dal legittimo titolare del dicastero di Viale Trastevere; a firma esclusiva del presidente del Consiglio e non del Parlamento che, nell’ordinamento costituzionale, detta le norme dell’istruzione. Nella proposta di Renzi è annunciato “un piano straordinario per assumere a settembre 2015 quasi 150 mila docenti; tutti i precari storici e tutti i vincitori idonei dell’ultimo concorso”.

Mauceri segnala alcune interessanti circostanze, che rendono il piano meno “straordinario” di quanto marketing mediatico e comunicazione smart possano far pensare. Le direttive europee vietano nel reclutamento dei lavoratori ripetute assunzioni e licenziamenti sullo stesso soggetto: un sistema sul quale la scuola italiana, come è risaputo e come vedremo, è andata avanti per anni. E’ molto probabile che la Corte di Giustizia dell’Ue si pronunci in merito, senza attendere il settembre del 2015; è altrettanto probabile che, di conseguenza, si chieda la reintegrazione di quanti hanno lavorato per 3 anni consecutivi nella Pa, sebbene con contratti frammentati.

La legge finanziaria del 2007, poi, aveva disposto che “con uno o più decreti del Ministro P.I. sono adottati per (…) c) la definizione di un piano biennale per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente per gli anni 2007/2009 (…) per complessive 150.000 unità, al fine di dare adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico ed evitarne la ricostruzione, stabilizzare e rendere più funzionali gli assetti scolastici”. Questa norma, disattesa e violata dal più grande licenziamento di massa ideato l’anno dopo da Gelmini-Tremonti e dal concorso di Profumo del 2012 (che sottraeva posti destinati all’abolizione del precariato), rende l’annuncio di Renzi ulteriormente meno “rivoluzionario” di quanto voglia farci credere. In conclusione: non è detto che l’Europa non lo costringa ad anticipare – volente o nolente, fondi sì o fondi no (l’altro grande interrogativo irrisolto che accompagna la campagna mediatica) – i tempi della “rivoluzione”. Ed è in ogni caso evidente che, se ci fosse la reale volontà da parte del Governo di portare avanti quanto promesso, non ci sarebbe alcuna necessità di aspettare settembre, né di provvedere ad atti normativi, che esistono già. Da domani i 150mila potrebbero assumere servizio, in virtù delle norme preesistenti.

C’è poi un altro aspetto della vicenda che non tutti hanno sottolineato. Se è vero che i docenti inseriti nelle Graduatorie ad Esaurimento (GAE) sarebbero stati in qualche modo “destinati” ad entrare in ruolo (per il naturale avvicendamento sui posti lasciati liberi dai pensionamenti), quale sarà – invece – la sorte di tutti gli altri precari – circa 450mila donne e uomini – che affollano II e III fascia in un sistema di precariato a vita, artatamente e colpevolmente creato negli anni precedenti per dare energia a basso costo alla scuola? Per i non addetti ai lavori: in II fascia si trovano grosso modo tutti coloro che si sono abilitati (con concorso, Tfa, Pas ecc.) ma che non si trovano nella GAE; in III fascia tutti coloro che sono forniti del titolo di studio valido per l’accesso all’insegnamento. Si badi bene: da entrambe le fasce le scuole attingono a piene mani per tutti i tipi di supplenze (di giorni, di un mese, di un anno: malattie, maternità, congedi ecc).

Secondo le previsioni della “Buona Scuola”, però, solo dalla II fascia e in forma residuale sarà possibile attingere le supplenze, che dovrebbero essere sempre di meno, grazie alla messa in regime dell’”organico funzionale”. Si tratta (a seconda dei casi e delle classi di concorso), chi più chi meno, di persone che hanno svolto spesso anni di insegnamento e che ora si trovano nel guado della condizione che Renzi e Giannini hanno tanto esplicitamente descritto: “Noi diciamo basta ai precari e alla supplentite; dobbiamo avere il coraggio di dire che si devono giudicare gli insegnanti e gli scatti devono essere sulla base del merito e non sulla base dell’anzianità”. Basta. Di quei vezzosi ed inconcludenti protagonisti della “supplentite” (quasi avessero volontariamente scelto la propria precarietà) non si ricorda però che le alternative per queste centinaia di migliaia di persone, che hanno devoluto parte della propria vita alla scuola, che sono stati cooptati da un sistema che li ha sfruttati e ora minaccia di gettarli via, sono oggi solo due: tentare, nel momento del climax della più terribile crisi economica degli ultimi decenni, altre strade; accedere alla stabilizzazione attraverso un concorso che dovrebbe essere bandito nel 2015. Età media: 39 anni. Fate i vostri conti.

Questi docenti, questi lavoratori, che per anni sono stati alle dipendenze del Miur, nominati da graduatorie di merito, devono – secondo il Renzi-pensiero – pagare il fatto di aver, per anni, insegnato, in accordo con la normativa fissata dal Miur. Ora, in modo del tutto arbitrario, senza l’avallo del Parlamento, si sta decidendo ex post che quella normativa è superata. Durante la partita le regole del gioco sono cambiate. E l’arbitro (e gli arbitri, noi italiani) non dicono niente?

Sport, nella scuola arrivano i tutor: “Sconfiggiamo la sedentarietà”

da Repubblica.it

Sport, nella scuola arrivano i tutor: “Sconfiggiamo la sedentarietà”

Annunciato un progetto per le ultime tre classi delle primarie che estende l’alfabetizzazione motoria dei bambini italiani. La nuova figura affiancherà gli insegnanti. Delrio: “Giornata decisiva per il mondo dell’istruzione”

ROMA – Un cambiamento epocale nella scuola. Non ha dubbi il presidente del Coni, Giovanni Malagò presentando il progetto “Sport di classe” che introdurrà il tutor sportivo, una figura che aiuterà gli insegnanti. Un colpo alla sedentarietà.

Il nuovo piano partirà inizialmente per le classi terze, quarte e quinte della scuola primaria: gli alunni faranno due ore di educazione fisica a settimana. L’alfabetizzazione allo sport dei bambini italiani fino ad oggi si limita all’11% degli istituti italiani. “La cosa che volevamo fare concretamente era quella di mettere insieme quelle forze che si occupano di sport”, ha spiegato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, all’istituto comprensivo Manin di Roma. Viene introdotto, infatti, un nuovo sistema di organizzazione dell’educazione fisica nelle scuole: per la prima volta vengono integrate le competenze del Miur e del Coni per una gestione condivisa delle attività sportive, attraverso organi provinciali e regionali.

“Questo progetto è nel mio programma da quando mi sono candidato. Ho detto che questa era la madre di tutte le battaglie” ha spiegato soddisfatto Malagò. “Ho litigato con qualcuno all’interno del nostro mondo che mi diceva di non preoccuparci del tema scuola che non ci compete – ha sottolineato -. Io sono andato avanti lo stesso e siamo partiti dal format portato avanti con determinazione dai miei predecessori. Cambiando il nome, alfabetizzazione motoria, che a me non era mai piaciuto e andando su un percorso più chiaro”.

Prevista una attenzione particolare ai disabili, grazie al coinvolgimento del Comitato italiano paraolimpico. “Se lo sport oggi ha un valore di crescita culturale del paese è dovuto alla scelta di abbattere un grande muro”, ha detto il presidente del Cip, Luca Pancalli.

Lo sport sarà più presente nella scuola, è questo il senso del progetto. “C’è una sinergia con lo Stato che ha capito che non si poteva andare avanti così. E’ un momento epocale, noi mettiamo le nostre risorse a disposizione”. Anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio è soddisfatto: “Per noi lo sport fa parte del grande progetto educativo della scuola: c’è la competizione, ma anche il gioco di squadra e il sapere accettare le sconfitte. Oggi dunque è una giornata decisiva per la scuola italiana, ma anche per lo sport italiano”.

Giannini e Malagò: sport a scuola è fondamentale

da La Stampa

Giannini e Malagò: sport a scuola è fondamentale

Presentato il progetto “Sport di Classe”, promosso da Miur, Coni Cip e presidenza del Consiglio dei Ministri

«Credo che lo sport, come lo studio, sia una delle cose più belle e appassionanti che si possano fare nella vita. Lo sport è per tutti, ma ci vogliono anche insegnanti di educazione fisica che da subito vi insegnino questi sport». Il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Stefania Giannini, parla così agli alunni dell’Istituto comprensivo “Daniele Manin” di Roma, alla presentazione del progetto “Sport di Classe”, promosso da Miur, Coni Cip e presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

«La cosa che avremmo voluto fare concretamente è quella di mettere insieme quelle forze che si occupano di sport e il Coni è una fondamentale figura di coordinamento. Non ce l’avremmo fatta da soli -spiega Giannini- la buona scuola parte dal collegamento diretto con il Coni e il Comitato Paralimpico, oltre a una presidenza del Consiglio che ha fatto subito della scuola la bandiera di questo governo. Aiutateci a tenere alta questa bandiera, come quella italiana. È il messaggio più forte che noi cerchiamo di dare».

 

«Si deve imparare da subito la familiarità con la disciplina del nostro corpo, altrimenti è difficile avere uno stile di vita salutare e diventare campioni», conclude il titolare di Viale Trastevere.

 

«Questo progetto è nel mio programma di quando mi sono candidato. Ho detto che questa era la madre di tutte le battaglie». Giovanni Malagò ha iniziato così il suo discorso alla presentazione del progetto alla presidenza del Consiglio dei Ministri e al Comitato Paralimpico.

 

«Ho litigato con qualcuno all’interno del nostro mondo che mi diceva di non preoccuparci del tema scuola che non ci compete -sottolinea il presidente del Coni all’istituto comprensivo Daniele Manin di Roma-. Io sono andato avanti lo stesso e siamo partiti dal format portato avanti con determinazione dai miei predecessori. Cambiando il nome, alfabetizzazione motoria, che a me non era mai piaciuto e andiamo su un percorso più chiaro».

 

Il progetto che partirà inizialmente per le classi terze, quarte e quinte della scuola primaria prevede infatti una gestione condivisa tra Miur e Coni, con l’introduzione della figura del tutor sportivo scolastico che svolgerà un ruolo di supporto a tutte le istituzioni scolastiche italiane.

 

«Questa nuova governance ci responsabilizza -conclude il numero uno dello sport italiano-, c’è una sinergia con lo Stato che ha capito che non si poteva andare avanti così e getta un ponte con le linee programmatiche del prossimo anno del percorso tracciato da Renzi e Giannini. È un momento epocale, noi mettiamo le nostre risorse a disposizione. Infine noi siamo per il coinvolgimento dei privati per completare il cerchio».

Ata, 28mila precari e non basta

da ItaliaOggi

Ata, 28mila precari e non basta

Tagliati fuori dal piano di stabilizzazione del governo

Franco Bastianini

Precari storici, in lizza da anni per entrare in ruolo. Eppure tagliati fuori dalla stabilizzazione del governo. Nonostante ci siano posti vacanti in organico, criterio questo che, associato alla reiterazione dei contratti a tempo determinato, potrebbe costare allo stato italiano una sentenza di condanna da parte della Corte di giustizia europea. Sono gli assistenti amministrati e tecnici, i collaboratori scolastici e le altre figure di personale Ata (addetti alle aziende agrarie, guardarobieri, infermieri e cuochi) inseriti nelle graduatorie permanenti provinciali o negli elenchi provinciali ad esaurimento ovvero nelle graduatorie di prima e seconda fascia dei circoli didattici e degli istituti, con alle spalle anni di incarico annuale o fino al termine delle attività didattiche. Personale non preso in considerazione dal piano preannunciato dal presidente del consiglio e dal ministro dell’istruzione che prevede la stabilizzazione di 150.000 unità di soli docenti inclusi nelle graduatorie provinciali permanenti.

Si tratta di una semplice dimenticanza o è una esclusione voluta? Difficile dare una risposta. Sulla base dei dati in possesso di Azienda Scuola, al 1° settembre 2014 la composizione del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, esclusi gli 8.053 direttori dei servizi generali ed amministrativi, risulta essere quella riportata nel prospetto.

Dall’esame dei dati riportati, risulta chiaramente che il totale dei posti non coperti da titolari con contratto a tempo indeterminato sarebbero sull’organico di diritto 4.723 (visto che per gli altri 11 mila sono congelati per fare spazio agli ex Lsu), mentre sull’organico di fatto 24.118 per un totale quindi di 28.841 posti che dovranno essere coperti, se non lo sono già stati, ancora una volta solo con contratti a tempo determinato annuali o fino al termine delle attività didattiche, proseguendo quindi in una pratica già condannata dalla Comunità europea.

L’esclusione del personale Ata dal piano di stabilizzazione, se sarà confermata, difficilmente potrà essere giustificata se si considera che sono state soprattutto le proteste di quel personale che hanno dato un notevole contribuito alla messa in mora dell’Italia in Europa circa l’abuso di precariato.

Linee guida, quello che non va: ‘Quota 96’ spariti dai radar, troppo potere ai ds e addio scatti d’anzianità

da La Tecnica della Scuola

Linee guida, quello che non va: ‘Quota 96’ spariti dai radar, troppo potere ai ds e addio scatti d’anzianità

A rilevare i bug è Fabrizio Bocchino, senatore del Gruppo Misto Italia Lavori In Corso e vicepresidente della 7ª Commissione: manca un intervento sistemico e tanti i punti da rivedere; dai ‘Quota 96’, spariti dai radar, alla mancanza di prospettive per i prof in II fascia; dai dirigenti che potrebbero scegliersi il proprio staff di docenti, allo stipendio dei prof affossato fino al 2018. Sul nuovo reclutamento: serve un concorso a numero programmato, che dia accesso alla laurea abilitante biennale dopo il triennio con un anno di tirocinio aggiuntivo.

Continua il percorso di approfondimento della ‘Tecnica della Scuola’ sulle linee guida proposte dal Governo e da poche ore presentate alla cittadinanza, attraverso il percorso di consultazione nazionale, per coglierne opinioni e umori. Dei possibili sviluppi e dei rischi insiti nel progetto di riforma del settore, abbiamo parlato con Fabrizio Bocchino, senatore del Gruppo Misto Italia Lavori In Corso (ILIC) e vicepresidente della 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) di Palazzo Madama.

 

Senatore Bocchino, cosa pensa della riforma sulla Scuola che il Governo Renzi ha appena sottoposto al giudizio di cittadini, studenti, genitori e addetti ai lavori?
Non siamo di fronte a una riforma della scuola, perché manca un intervento sistemico sul settore. Il presidente del Consiglio, da questo punto di vista, è stato astuto, preferendo la formula delle ‘linee guida’. Forse, chissà, proprio perché in passato la parola riforma non ha portato molta fortuna.
Fatta questa premessa, nel piano Renzi-Giannini ci sono interventi dovuti, quali l’assunzione dei precari, a fronte dei circa 60 mila posti vacanti e disponibili, ma non mancano le lacune. A cominciare dai ‘Quota 96’, al momento spariti dai radar. Così come non c’è traccia dei docenti di seconda fascia (delle graduatorie d’istituto n.d.r.) per i quali ‘La buona Scuola’ non prevede alcun concorso ad hoc. Grandi assenti, poi, sono i provvedimenti sul diritto allo studio. Mentre l’implementazione del potere dei dirigenti scolastici, così come concepita, è sbagliata.
A tal proposito, le linee guida contengono un incremento dell’area di competenze in mano ai dirigenti scolastici: più di qualcuno teme che si tratta dell’anticamera della chiamata diretta. Che ne pensa?
Il rischio c’è e dobbiamo tenere alta la guardia. Sono del parere che una forma di autonomia debba essere data ai dirigenti scolastici. Ma a fronte di un processo valutativo serio. Insomma, l’autonomia deve essere responsabile. Proprio quello del reclutamento potrebbe rivelarsi un aspetto pericoloso: il dirigente, infatti, alla fine del tirocinio di un aspirante docente, decide in solitaria la sua eventuale immissione nel sistema nazionale dell’istruzione. Ed è proprio questo il nodo da sciogliere. La decisione non può rimanere in capo solo al singolo dirigente, ma va ampliata. Per esempio all’università in cui l’insegnante si è formato.
Sulla riforma del reclutamento, quale sarebbe il modello da intraprendere?
L’intero processo va rivisto a partire dalla formazione universitaria e fino all’immissione in ruolo. Anche perché la proposta Renzi, così com’è, finirebbe per generare sacche di precariato. Con il concorso ex post, in caso di mancato superamento delle prove, gli aspiranti insegnanti si ritroverebbero in una situazione problematica, vanificando gli anni investiti nella loro formazione.
Ecco perché noi, come Italia Lavori In Corso, proponiamo un concorso a numero programmato, che dia accesso alla laurea abilitante biennale dopo il triennio e contempli un anno di tirocinio aggiuntivo. Alla fine del percorso, quindi, il docente sarebbe immesso in ruolo, previa conferma da parte della scuola di appartenenza. Ma anche dell’università frequentata.
Ma lei crede che con l’assunzione di 150mila docenti precari e l’introduzione dell’organico funzionale, si potrà davvero fare a meno dei supplenti ‘brevi’?
Sì. A patto che si organizzino bene le reti di scuole e i team di docenti. Insomma, l’obiettivo si può raggiungere solo se si punta a un’appropriata ottimizzazione delle risorse.
L’ultima domanda riguarda gli stipendi dei docenti: lo sa che i neo assunti vincitori di concorso, senza servizio alle spalle, guadagnano poco più di 1.200 euro al mese per diversi anni?
Gli insegnanti italiani rimangono i meno pagati rispetto ai colleghi del resto d’Europa. È un problema antico che mortifica la dignità di chi esercita questa professione e sul quale bisognerebbe intervenire con convinzione. Ma a quanto pare il tema non è all’ordine del giorno. Come dimostrano i contratti bloccati da anni e l’ulteriore doccia fredda dell’abolizione degli scatti d’anzianità del piano targato Renzi-Gelmini. Ben venga il merito degli insegnanti, ma non dimentichiamo che gli scatti sono una compensazione della mancanza di progressione di carriera dei docenti che, nell’attuale cornice normativa, non può essere abolita con un colpo di spugna.

Le assunzioni saranno 50mila, non 150mila

da La Tecnica della Scuola

Le assunzioni saranno 50mila, non 150mila

Assunzioni scuola? Le cattedre realmente disponibili  dovrebbero essere 50.000 e non 150.000. Noi forniamo tutti i numeri giusti, perché magari se li appunti anche Renzi. Così l’On.Elena Centemero commenta  il via libera formale ad oltre 30 mila assunzioni nella scuola.

La ratifica, secondo la responsabile scuola di Forza Italia, ci rivela i numeri reali e veramente possibili delle assunzioni nella scuola, ossia delle assunzioni che hanno copertura finanziaria. Numeri senza dubbio ben diversi dalla stabilizzazione di quasi 150.000 precari promessi dal Governo Renzi nel documento “La Buona Scuola”

E’ doveroso, dunque,  fare alcune precisazioni, che mirano solo a fare chiarezza e a non creare illusioni nei lavoratori.

Il numero di “ingressi” autorizzato  dal Consiglio dei Ministri, infatti, secondo FI, copre solo per il 65% quello dei posti vacanti ed è relativo solo al turn over.

In ogni caso rimangono ancora per quest’anno 10 mila posti da coprire, per i quali evidentemente non è possibile copertura finanziaria.

La conclusione, secondo la Centemero, è amara: allo stato attuale nella scuola è possibile coprire solo i posti dei docenti e del personale tecnico e amministrativo resi disponibili dai pensionamenti, cioè 30.000 – 40.000 posti non 150.000.

Fin dal Decreto scuola della Ministra Carrozza Forza Italia ha sempre chiesto, attraverso la presentazione di emendamenti, di coprire tutti i posti vacanti e disponibili nella scuola, eliminando così il valzer delle supplenze annuali, che vanno a scapito della continuità didattica e dunque della formazione degli studenti, ma avevano sempre avuto parere contrario perché per l’Economia non era possibile dare la copertura finanziaria.

Dunque le cattedre realmente disponibili per le  assunzioni dovrebbero essere 50.000 e non 150.000.

Genitori, fate attenzione: è reato far perdere l’anno ai figli per le troppe assenze

da La Tecnica della Scuola

Genitori, fate attenzione: è reato far perdere l’anno ai figli per le troppe assenze

Il 16 settembre 165 persone sono state denunciati dai carabinieri del Gruppo di Locri perché avrebbero “mandato a scuola i loro figli o hanno permesso loro di assentarsi dalle lezioni per un periodo superiore al 25% delle giornate di assenza consentite, pari a 50 giorni su 200 di frequenza previsti”. Le denunce partite dalle scuole.

Far perdere l’anno scolastico ai propri figli senza un motivo valido costituisce un reato penale. Ne sanno qualcosa i 165 genitori, denunciati dai carabinieri del Gruppo di Locri perché avrebbero “mandato a scuola i loro figli o hanno permesso loro di assentarsi dalle lezioni per un periodo superiore al 25% delle giornate di assenza consentite, pari a 50 giorni su 200 di frequenza previsti”.

Le denunce sono scattate dopo un monitoraggio svolto in tutte le scuole dei 42 comuni ricadenti nel territorio e riguardano le famiglie con bambini e ragazzi di età compresa tra i 6 ed i 15 anni.

L’attività di controllo, svolta dalle Compagnie di Roccella Jonica, Locri e Bianco, ha riguardato sia l’anno scolastico 2012/2013, con 87 genitori denunciati, sia quello successivo 2013/2014, con 78 denunce. Le motivazioni alla base della mancata frequenza scolastica, secondo quanto emerso dagli accertamenti, sono molteplici, spesso aggravate da condizioni socio-economiche difficili in cui i minori sono vere risorse per la famiglia che li avvia a saltuari lavori piuttosto che alla gestione quotidiana di mansioni di controllo su fratelli più piccoli.

La mancanza di cultura da parte delle famiglie, tuttavia, non può bastare per giustificare le assenze perpetrate nel tempo di giovani in età di obbligo scolastico. Allo stesso modo, le scuole hanno l’obbligo – come accaduto in Calabria – di segnalare alla pubblica autorità la mancata regolare frequenza della scuola.

Maturità troppo costosa: va rottamata

da La Tecnica della Scuola

Maturità troppo costosa: va rottamata

Ci risiamo: la scuola è un costo. Con la scusa che la riforma Gelmini è arrivata al quinto anno, quale occasione migliore per rimaneggiare (al ribasso) l’esame di maturità?

“L’esame di maturità deve perdere quell’aspetto da giudizio divino- ha dichiarato il ministro Giannini-  che tra l’altro lo ha fatto diventare costoso”.

La battutina del “giudizio divino” ci ricorda un po’ certe amenità stile Gelmini, tipo “in Italia ci sono più bidelli che carabinieri”. Ma è buttata lì per mimetizzare la parola chiave di tutto il discorso: “costoso”. Eh sì, siamo sugli 80 milioni di euro all’anno, e sulla spending review il ministro Padoan preme e non transige.

Dunque basta commissari esterni, solo un esame fatto da interni. Una “farsa” è il commento più ricorrente nel web. Perché allora il tandem Renzi-Giannini non ha il coraggio di abolirlo del tutto se vuole risparmiare?

Per qualche anno, l’esame “farsesco” era andato in scena ai tempi della Moratti. Se ne resero conto proprio tutti, anche i vertici politico-ministeriali. Indecoroso. Nel 2007, la parziale marcia indietro con l’allora ministro Fioroni: l’esame tornò, in parte, con i commissari esterni. Ridare “dignità” era la parole d’ordine. L’esame doveva avere almeno l’abito più formale, più serio, trasmettere quel minimo di timore da “esame” appunto. Altro che “giudizio divino”. Lo studente, giunto a fine percorso, doveva dimostrare le proprie capacità e competenze in una prova valutata anche da qualche commissario esterno. Tutto “grigliato” per carità, il più oggettivamente possibile, con punti, crediti, bande di oscillazione, bonus definiti al centesimo. Ma apparentemente un po’ più serio.

Allora, molti temevano che, dietro all’esame-farsa dell’era Moratti, si nascondesse la volontà politica di arrivare in breve all’abolizione del valore legale del titolo di studio. Adesso con la Giannini di Scelta civica si direbbe una certezza, visti i tentativi già fatti dal governo Monti, benché finiti male perché qualcuno –guarda caso- si era sognato di fare una “consultazione” pubblica. Tre italiani su quattro, un paio di anni fa, hanno detto no. Ma anche Matteo Renzi il rottamatore ha sempre considerato “maturo” il tempo di abolire il valore legale del “pezzo di carta”. E, passo dopo passo, ci si arriverà.

Intanto, per sapere qualcosa di certo (una norma insomma e non una boutade) dovremo aspettare gennaio, forse. Le regole cambieranno in corsa. Negli ultimi mesi gli studenti, alacremente seguiti dai propri insegnanti (quelli con stipendio bloccato per anni perché fannulloni, senza merito, e che non si aggiornano mai), dovranno darsi un gran da fare a “presentare un progetto che riguardi tutto l’anno trascorso: un lavoro più teorico per i licei e un prodotto finito per i tecnici”.

A questo punto sarebbe ora di risparmiare anche su quelle che stanno diventando le farse della comunicazione. Non sarebbe meglio andare dritti al nocciolo del problema: esame sì o esame no?

Invece di un nuovo esame-farsa non può bastare una bella certificazione delle competenze acquisite?

Renzi alla Camera: i bambini sono la ragione per cui voi siete qui

da tuttoscuola.com

Renzi alla Camera: i bambini sono la ragione per cui voi siete qui

Non andremo da nessuna parte se non avremo il coraggio di affrontare il tema della scuola”, ha detto  oggi il presidente del Consiglio Matteo Renzi nella sua informativa alla Camera sul programma dei 1000 giorni, ricordando che al di là dei docenti e del personale amministrativo ”sono i bambini la motivazione profonda per cui il pacchetto scuola è dovuto”.

Insomma, ha spiegato il premier, ”quello che ci muove è l’interesse nazionale. Un interesse non in contrasto con gli ideali europei ma il cui perseguimento deve far sì che l’Italia recuperi il proprio ruolo nel mondo”, con ”una classe politica che pensi all’Italia, che torni ad aprire le finestre e guardare fuori”.

Poi, rivolgendosi ai parlamentari, “Qualcuno ha detto che ieri è stato un errore che i ministri siano andati a scuola. Qualcuno ci preferisce chiusi nei palazzi, ci preferisce asserragliati dentro una dimensione di casta. Mi dispiace per questi autorevoli colleghi, quei bambini che avete incontrato non sono solo destinatari del documento ‘La buona scuola’, ma sono la ragione stessa per cui voi siete qui. Se continuamo a considerare la scuola come volentorosi ma senza politica – ha sottolineato – perdiamo di vista l’idea stessa idea di Paese“.

Edilizia scolastica, on line elenco interventi realizzati

da tuttoscuola.com

Edilizia scolastica, on line elenco interventi realizzati

E’ disponibile da oggi, sul sito Miur dedicato all’edilizia scolastica, l’elenco dei lavori conclusi al 15 di settembre nell’ambito dell’iniziativa #scuolebelle. La tabella riassume anche gli interventi che saranno terminati nel mese di settembre e quelli che saranno realizzati fra ottobre e dicembre.

È possibile conoscere lo stato dell’arte scuola per scuola. Il progetto #scuolebelle, che è uno dei tre filoni del Piano per l’edilizia scolastica del governo, prevede, per il 2014, oltre 7.000 interventi di piccola manutenzione, decoro e ripristino funzionale. Nel dettaglio, sono 918 gli interventi realizzati a luglio e agosto e già conclusi. Altri 3.585 sono in corso di realizzazione e saranno conclusi entro il mese di settembre. Gli ulteriori 3.230 interventi saranno eseguiti fra ottobre e dicembre. Si tratta di opere che riguardano tutti gli ordini di scuola, dall’infanzia alle superiori, finanziate direttamente con 150 milioni di euro.

Nella giornata di ieri, poi, è partita una comunicazione ai Sindaci e ai Presidenti di Provincia che ricorda loro la scadenza del 31 dicembre prossimo per poter affidare le opere incluse nel progetto #scuolesicure, altro filone del Piano per l’edilizia che prevede uno stanziamento di 400 milioni. Alcuni Comuni hanno già avviato gli interventi. Gli altri cantieri partiranno nelle prossime settimane con l’affidamento delle opere. Nei prossimi giorni sarà diffuso anche lo stato dei progetti delle #scuolenuove che saranno realizzate grazie allo sblocco di patto.

Dalla prossima settimana si apre poi la fase due del Piano per l’edilizia con l’approdo in Conferenza Unificata Stato-Regioni del decreto attuativo della legge 128 del 2013 sui mutui agevolati per l’edilizia scolastica, con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, che renderà possibile la realizzazione di altri interventi già in avanzato livello di progettazione, tramite graduatorie regionali. Nel frattempo il Miur sta lavorando alla riprogrammazione delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione 2007/2013 e alla programmazione di quelle per il 2014/2020 per sostenere ulteriormente interventi in materia di edilizia scolastica.