Sordità e lessico

Sordità e lessico: facciamo chiarezza sulle parole da usare
Disabili.com del 03/04/2022

Molti giornali hanno utilizzato ancora termini come “sordomuto” e “linguaggio dei segni” nel dare la notizia della recente vittoria agli Oscar del film CODA su una famiglia di persone sorde

In questi giorni è come se si fosse acceso un grande faro collettivo sulle persone sorde e la loro realtà, grazie alla vittoria ai recenti Oscar della pellicola “I segni del cuore – Coda”, che racconta le vicende di una famiglia i cui componenti, quasi tutti sordi, comunicano con la lingua dei segni. La pellicola è stata premiata con le statuette per il miglior film, la miglior sceneggiatura non originale e per il miglior attore non protagonista (Troy Kotsur).

LA NOTIZIA NEI MEDIA ITALIANI
La notizia degli Oscar, ben accolta dalla comunità sorda che ha visto un improvviso interesse nei suoi confronti e un importante riconoscimento ad attori sordi, è stata riportata da molti media nostrani, evidenziando però in numerose occasioni una scarsa conoscenza della cultura della disabilità, ed in particolare dei termini correlati alla sordità. A farlo presente, scrivendo direttamente all’Ordine dei Giornalisti, sono state le associazioni di categoria Movimento LIS subito ed Emergenza Sordi, che hanno rilevato, appunto, molte lacune in questo senso negli organi di stampa italiani. 

I TERMINI SCORRETTI
Le due associazioni hanno evidenziato come nel dare la notizia degli Oscar per CODA non siano mancati, nei vari articoli giornalistici e servizi tv, termini molto obsoleti usati assai di frequente per riferirsi alla comunità sorda, a partire da “sordomuto”, ma anche la locuzione “linguaggio” dei segni, “linguaggio mimico-gestuale”, l’espressione “non udente”, ecc… 
Si tratta di termini ed espressioni che non rappresentano il vero lessico italiano ma è solo la dimostrazione di una carente informazione sul mondo della disabilità, senza esprimere un segno di profondo rispetto e comprensione, secondo Vanessa Migliosi e Luca Rotondi, presidenti, rispettivamente, del Movimento LIS Subito e della associazione Emergenza Sordi

I TERMINI CORRETTI
L’associazione chiede quindi agli organi di stampa di adottare la corretta terminologia, ricordando ad esempio che si dice:

SORDO
Grazie alla Legge 95/2006 art.1 la persona è definita sorda a tutti i sensi di legge e decade il termine “sordomuto” inappropriato, dal momento che il sordo può imparare a parlare , in quanto l’apparato fonatorio è integro. 
Si ricorda inoltre che i sordi preferiscono il termine “sordo”, invece di “non udente” perché è la negazione di un qualcosa che non esiste.

LINGUA DEI SEGNI ITALIANA
Sono errati i termini Linguaggio dei Segni Italiano; Linguaggio Italiano dei Segni, Linguaggio mimico-gestuale. 
La Lingua dei Segni Italiana (LIS  – senza i puntini fra una lettera e l’altra) è una lingua che ha una propria struttura, le proprie regole grammaticali, sintattiche, morfologiche e lessicali come una qualsiasi lingua parlata. 

Ogni Paese ha la propria Lingua dei Segni. Non esiste la lingua dei segni universale, perché sarebbe come dire che tutto il mondo parlasse l’esperanto.
Inoltre, non è neanche corretto dire o scrivere Linguaggio mimico-gestuale. I sordi usano i segni che non vanno confusi con la comune gestualità utilizzata dagli udenti per enfatizzare un discorso e non hanno un significato verbale, mentre i segni hanno un significato proprio e sono formati rispettando regole sintattiche ben precise.
La lingua dei segni italiana è stata riconosciuta ufficialmente con la approvazione dell’art. 34 ter Decreto legge 22.03.2021, n. 41 e permette la comprensione e la produzione di concetti astratti come oggetti ed immagini alla pari della lingua vocale, pertanto è una lingua utilizzata dai sordi ed udenti bilingui. Questa lingua garantisce pari dignità ai sordi in quanto cittadini dello stato Italiano.

L’APPELLO
L’appello delle due associazioni è quindi quello di prestare una maggiore attenzione da parte di tutti gli operatori della comunicazione – giornalisti in primis – affinché venga adottata la terminologia corretta nel rispetto e la dignità della comunità sorda.

DS: comunicazione, management e leadership

Il Dirigente scolastico
La comunicazione, il management e la leadership o leadershare per la governance delle scuole, come organizzazioni complesse

di Pietro Boccia

 Il comunicare non corrisponde solo al parlare. Ci sono, infatti, tre codici della comunicazione che si diversificano e si completano reciprocamente. Il primo è verbale (i contenuti della comunicazione: parole, linguaggio, gergo e così via). Il secondo è non verbale (posizione del corpo, contatto visivo, gestualità, abbigliamento e così via). Il terzo è paraverbale (tono della voce, altezza della voce, ritmo e velocità – numero di parole nell’unità di tempo-, sottolineature, esitazioni – non volute -, pause – volute -, volume del parlato determinato da quanto tempo si parla prima di lasciare la parola all’interlocutore-).

Secondo Mehrabian(Nonverbal Communication, 1972), le persone decretano il nostro successo (o insuccesso) secondo quanto siamo credibili, quando parliamo, analizzando prima di tutto il non verbale (55%) e il paraverbale (38%), fattori spesso del tutto estranei al contenuto di quanto affermiamo.

Per questo motivo, riteniamo importante rafforzare proprio questi aspetti. E così, per migliorare la nostra immagine, spendiamo molto nel non verbale, vale a dire in abiti, parrucchiere, cosmetici, profumi, palestra e accessori. Ilverbale è, invece, rappresentato soltanto dal 7%. I tre codici, per comunicare correttamente, dovrebbero armonizzarsi tra loro; per un efficace rapporto comunicativo, la voce, l’intonazione e l’espressione dovrebbero sincronizzarsi perfettamente.

Un utilizzo congiunto dei diversi codici comunicativi produce risultati più efficaci (la comunicazione efficace). Anche l’apprendimento varia al variare delle tecniche comunicative e, dunque, dei diversi canali di percezione.

La comunicazione può diventare efficace applicando alcune semplici regole, quali:  –  adoperare il pronome noi, trasformando, ad esempio, la frase le idee che io intendo presentarvi consistono in nella frase le idee che noi vedremo insieme consistono in (…). Con la seconda frase, infatti, viene proposto qualcosa che coinvolge tutti.  Il noi, cioè, crea spirito di appartenenza, di solidarietà e spirito di gruppo;

  • impiegare il verbo indicativoal posto del condizionale; ad esempio, invece di dire domani ti inviterei al teatro, sarà opportuno dire domani ti porto al teatro.

    Nel primo caso prevale, difatti, una situazione d’incertezza, che potrebbe portare a una risposta negativa; ciò è meno probabile, viceversa, nel secondo caso;

  • servirsi delle espressioni a suggestione positiva: è regola essenziale della comunicazione proporre il messaggio sempre in termini positivi, poiché l’obiettivo è quello di generare nell’ascoltatore una sensazione di sicurezza e di certezza.

   La legge n. 150 del 7 giugno 2000(Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni) rappresenta gli esiti della normativa n. 241/1990, come legge che predispone l’amministrazione pubblica al servizio dei cittadini. La legge n. 150 individua, perciò, le attività di informazione e di comunicazione interna ed esterna.

    La comunicazione istituzionale ha il compito di evitare lo scollamento tra i bisogni sociali e le dinamiche di innovazione istituzionali (per esempio la costante domanda culturale e la crescita di nuovi bisogni come l’informatica e la lingua inglese). L’intelaiatura dell’utenza scolastica è ampia; essa va dai fruitoripiù diretti (studenti, genitori, personale scolastico), agli stakeholders.

      I target di riferimento sono: la famiglia;  la società civile; il mondo produttivo;gli Enti locali;  il personale della scuola.

   La comunicazione esterna e interna ha, come presupposizioni, la credibilità, la trasparenza, i valori, l’interazione sociale e la relazione empatica.

     Il Dirigente scolastico: manager e leader

L’articolo 3 del Decreto Legislativo n. 29/1993, attuativo dalla riforma dell’organizzazione amministrativa della Legge Delega n. 421/1992, sostiene che compete al Dirigente scolastico non solo gestire a livello finanziario, tecnico e amministrativo la scuola, che dirige, ma anche adottare e sottoscrivere autonomamente ogni atto che  impegna l’amministrazione scolastica.

Il Dirigente per conseguire risultati con efficienza ed efficacia  deve, pertanto, essere manager e leader. Egli, come manager, progetta, pianifica, gestisce e controlla le attività dell’istituzione scolastica.  Ogni manager ha, come interessi determinanti, il conseguimento dei risultati e le relazioni interpersonali.

     Nel primo caso (coneguimento dei risultati) il manager è concentrato sul compito; nel secondo (relazioni interpersonali) rivolge, invece, l’interesse alle persone.

    Per il Dirigente scolastico l’attività di management è la capacità di trasformare gli input in output attraverso un processo di progettazione, organizzazione del lavoro, nonché di controllo e di stima valutativa dei risultati raggiunti. Il management è, dunque, un insieme di azioni da porre in essere affinché la scuola, come tutte le organizzazioni complesse, possa perseguire gli obiettivi prefissati e fare scelte adeguate.

    Il Dirigente, come leader, propone, viceversa, un obiettivo da raggiungere, sollecitando e attivando partecipazione, condivisione e coinvolgimento. Egli deve essere un esempio e un modello. Il leader, coprendo, così, posizioni e ruoli di prestigio tra pari, si pone, come uno stratega, all’avanguardia.

          Ogni Dirigente deve, in realtà, svolgere contemporaneamente un insieme di leadership, vale a dire.

  • culturale, per attuare, condividendolo e sviluppandolo con il personale e con gli stakeholder, ilpiano triennale dell’offerta formativa;
  • educativa, per promuovere ogni forma di apprendimento, e per realizzare il successoformativo degli allievi;
  • strategica, per percepire i bisogni del personale, degli allievi e del territorio, e riportarli,attraverso la mediazione e la negoziazione, all’emersione e a sintesi per favorirne il successo.  La leadership nella conduzione di un’organizzazione complessa

La leadership si qualifica in base all’approccio teorico. Essa, in senso più generale, è considerata  come una relazione sociale che, realizzandosi in un particolare contesto, esige scelte di principio e di comportamento.

Nelle organizzazioni complesse, di norma, ci sono due stili di leadership contrapposti: – uno stile che si concentra soltanto sui risultati – autocratico o paternalistico, che ordina o persuade i suoi dipendenti -;

– uno stile, che  coinvolge  tutti per il miglioramento dei processi e il raggiungimento degli obiettivi previsti (democratico e consultivo).

      La contrapposizione di leadership viene superata nel 1964 da Robert Blake e Jane Mouton, che, invece, propongono e manifestano non solo il bisogno di preoccuparsi per le persone ma anche per la produzione. La preoccupazione per le persone indica il grado in cui un leader considera le esigenze dei membri del gruppo, i loro interessi e il loro sviluppo personale; quella per la produzione fissa, al contrario, il livello di enfasi che il leader pone su obiettivi, efficienza organizzativa e produttività.

    Blake e Mouton indicano cinque modelli di leadership, che mettono in stretta corrispondenza entrambi gli stili:

  1. il modello autoritario/aggressivo

  • esige che ogni cosa venga realizzata alla sua maniera;
  • predilige parlare piuttosto che ascoltare;
  • è disinteressato alle opinioni degli altri;
  • assume comportamenti aggressivi quando si sente sfidato;
  • è tenace nel portare a termine tutto quello che inizia a fare;
  • verifica, monitora e controlla direttamente il personale dipendente.

2. il modello sollecito

  • è preoccupato per ogni interazione umana;
  • predilige mettersi a disposizione di tutti e vuole piacere al prossimo;
  • si sottrae agli scontri aperti e, nei momenti di difficoltà e di conflitto, cerca di calmaregli animi anche con lusinghe;
  • pretende e si impegna per un ambiente scolastico sereno e appagato;
  • magnifica ogni forma di successo anche con l’adulazione;
  • è incurante delle disattenzioni e delle prestazioni non adeguate degli altri;
  • predilige il management corale e collettivo;
  • è premuroso e sollecito.

                                              3. il modello motivazionale

  • si mette d’accordo sugli obiettivi con l’intento di acquisirli;
  • controlla e si accerta delle prestazioni in rapporto agli obiettivi;
  • appoggia e aiuta tutti nel ricercare soluzioni alle prestazioni che non risultano adeguate;
  • affronta ogni problema con ordine e tranquillità;
  • condivide e valuta tempestivamente i piani d’intervento;
  • motiva tutto il personale nelle decisioni che intraprende;
  • delega con facilità e a tempo opportuno gli altri;
  • assume impegni e prende decisioni quando è opportuno e nel modo giusto.

4. il modello amministrativo

  • opera seguendo regole prestabilite;
  • è un tradizionalista;
  • è attendibile e credibile;
  • è preciso piuttosto che creativo.

5. il modello passivo o politico

Lo stile di leadership passivo o politico è caratterizzato da una dirigenza che ritiene di essere frustrata e disillusa e, perciò, non rivolge l’attenzione verso gli altri né l’interesse verso i risultati da raggiungere. Si ha, quindi, un comportamento passivo o politico.

Ogni Dirigente scolastico conil comportamento passivo:

  • agisce e fa solo quello che gli viene richiesto;
  • è contrario ad ogni tipo di cambiamento;
  • risulta negligente quando non viene monitorato e controllato;
  • rimprovera tutti i dipendenti e collaboratori, accusandoli di aver prodotto condizioni inaccettabili.

Il Dirigente scolastico con il comportamento politico, è, invece, caratterizzato da:

  • una continua disapprovazione e un’accurata disamina;
    • un meticoloso interesse e una particolare attenzione agli errori commessi dagli altri;
    • una perseverante e preoccupata apprensione.

La leadershare nella conduzione delle organizzazioni complesse

Oggi, però, per governare le scuole, come organizzazioni complesse, bisogna promuovere la leadershare. Questa è una leadership dinamica, circolare e legata al contesto.

La leadershare è una modalità per il Dirigente di immaginarsi, all’interno di un’istituzione scolastica, come un soggetto in possesso di un’elevata competenza, che lo mette nelle condizioni di modellare bene le strategie per organizzarsi, per operare, per prendere decisioni e per assumere e dividere ruoli e responsabilità; inoltre, con il contributo di ognuno e di tutti, deve diventare, attraverso la consapevolezza e una possibile comprensione della complessità, costruttore di senso e di orizzonti ideali.

La leadershare si basa su tre dimensioni delle attività di lavoro:

  • auto-guida (Leading self);
  • organizzazione di spicco, di primo piano o di punta (Leading organization);
  • sistema di punta, di spicco o di primo piano (Leading system).

La leadershare, all’interno delle organizzazioni complesse, può essere attivata in sei aree:

  1. sul collegio dei docenti, che, superando la centralità del leader, deve essere posizionato alcentro di ogni azione educativa, organizzativa e didattica;
  2. sui gruppi di lavoro, che, come struttura organizzativa, devono essere temporanei e flessibili,superando la gerarchia rigida dell’organizzazione all’interno delle istituzioni scolastiche;
  3. sui processi decisionali distribuiti, superando quelli centralizzati;
  4. sui gruppi operativi responsabilizzati e auto-organizzati, superando le responsabilitàattribuite e assegnate.
  5. sull’informazione trasparente e condivisa, superando quella sui silos di dati fissi in archivio osotto il controllo istituzionale.

  La scuola, come organizzazione complessa, è soggetta a una continua trasformazione; essa, vivendo, perciò, nella complessità, guidarla e svilupparne i presupposti e le funzioni per il successo di tutti e di ciascuno non è semplice o complicato, ma complesso.

   Per comprendere, monitorare e guidare la complessità è, allora, necessario individuare e riconoscere i paradigmi, che la contraddistinguono. Nei gangli della società complessa si possono schematicamente riscontrare:

  • le azioni elettive e aperte;
  • l’istituzionalizzazione del cambiamento;
  • le strategie di direzione;
  • il presente come equilibrio dinamico tra il passato e il futuro;
  • la crisi degli status sociali e dei ruoli;
  • le conoscenze e le competenze per governare il cambiamento;
  • la insufficiente pretesa dell’impostazione galileiana;
  • il metodo scientifico – analitico non permette di giungere alle conoscenze;
  • la “certezza cartesiana” è insufficiente per conoscere;
  • i percorsi “lineari” non fanno pervenire a verità definitive;
  • la complessità come sfida e non come non soluzione;
  • il percorso è aperto e dialogico;
  • l’elemento della complessità è l’incertezza;
  • la ricerca è senza bussola e orizzonte;
  • è impossibile programmare scoperte, conoscenze e azioni;
  • la necessità di imparare a muoversi nell’indefinito, nell’imprevisto, nel verosimile e nell’impensato.

 Governare un’organizzazione complessa, come la scuola, è, per un Dirigente scolastico, un compito estremamente impegnativo ma necessario per garantire ad ogni allievo il successo formativo, come recitano l’articolo 1 del D.P.R. n. 275/1999 e il D. Lgs. n. 165/2001.