La crisi ha fermato anche l’alternanza: sarà più difficile trovare lavoro

da Il Sole 24 Ore

di Maria Piera Ceci

Di solito, a qualche settimana dalla maturità, i ragazzi sono ancora lì, sul ponte del Titanic che danzano felici prima che affondi. Ma quest’anno il Titanic è già affondato, sotto i colpi dell’emergenza coronavirus che ha stravolto tutto. Lo dice sorridendo, ma è un po’ questa la sensazione secondo Valentina Petri, autrice del blog “Portami il diario” e del libro omonimo, appena uscito con Rizzoli. Valentina Petri insegna all’Istituto Professionale Francis Lombardi di Vercelli ed è commissaria delle sue due quinte: una del corso elettricisti e una del corso moda.

Come arrivano insegnanti e ragazzi alla maturità dopo mesi di lockdown e Dad?

Stanchissimi, tutti, ragazzi e professori. Stanchi di parlarci attraverso un computer tra mille problemi di connessioni che saltano, immagini bloccate, audio che vanno e vengono. Stanchi di non poter affrontare in classe gli argomenti, di fare a meno del dibattito, delle mani che si alzano, degli interventi. Il computer rende tutto molto più distante. Il nostro modo di insegnare in questa situazione di emergenza, specie nelle quinte, è stato tutto proteso al fine di far arrivare i ragazzi preparati a una maturità che non sapevamo come fosse. Sembra che la scuola sia un grande laboratorio di sperimentazioni, dove cambiare di continuo le carte in tavola. Quello degli insegnanti e quello dei docenti sono due ruoli che richiedono grande capacità di adattamento e mai come quest’anno ne è stata data prova. I ragazzi invece sono spaesati, mutati e oscurati. Mutati nel senso che spesso mettono il mute al computer e non li sento, ma anche mutati fisicamente: sono partiti in quarantena, un po’ carucci, davanti al computer. Poi lentamente ha preso il sopravvento la mancanza di abitudine a stare insieme, perché la scuola è anche questo, trovarsi la mattina e mettersi carini perché nell’altro incontri il tipo o la tipa che ti piace, oppure perché hai un certo status da mantenere. A scuola si indossa una maschera, adesso io invece li vedo tutti senza maschera, al naturale e spaesati.

Anche per voi insegnanti è un’emozione tornare a scuola, o prevale la paura?

Posso parlare soltanto per me, comprendo i timori e le paure, ma da parte mia c’è una grandissima, forse irragionevole e anche romantica, voglia di tornare, di respirare di nuovo il profumo di gesso (e penso anche di disinfettante a questo punto). Di rivederli, anche se solo una volta e solo uno per volta, perché il pensiero che un percorso lungo cinque anni si sia concluso così, di colpo, in un giorno di febbraio e che io non possa più guardare negli occhi, dal vivo, i miei studenti sarebbe doloroso. E penso che anche per loro, pur con tutti i timori di un esame da sostenere, sia importante chiudere il percorso, rimettere piede a scuola. Già si perderanno lo stare tutti insieme un’ultima volta, l’essere un gruppo classe. Rimettere piede a scuola credo abbia un valore importante, che comprenderanno magari non adesso. L’esame di maturità è qualcosa che resta, a distanza di anni, che si ricorda, è un’esperienza. E sarebbe anche un primo passo verso un ritorno non alla normalità, ma a una nuova normalità a cui dovremo abituarci, ma che spero ci porti presto, di nuovo, a stare a scuola, insieme.

Ormai ci siamo. Cosa le dicono i suoi ragazzi alla vigilia di questa maturità?

Aspettano tutti che sia finita, ma non solo la maturità, anche l’emergenza, perché questi sono ragazzi del Professionale, quindi stanno per affacciarsi al mondo del lavoro e lo fanno nel momento peggiore per la storia d’Italia per trovare lavoro. Sono molto preoccupati, più per questo che per la maturità. Avevano preso contatti con le ditte, in cui molti avevano fatto l’alternanza scuola-lavoro o lo stage. Ora sta cambiando un po’ tutto: molte ditte sono in difficoltà, altre a ranghi ridotti. Questa è la grande sfida di questa generazione: non soltanto l’esame di maturità, ma dimostrare poi la maturità di sapersi inserire in un mondo del lavoro che ci è cambiato tra le dita nel giro di una manciata di mesi.