Nulla sai se non lo fai

Nulla sai se non lo fai

di Umberto Tenuta

Verum et factum convertuntur
(G.B. VICO)

Nulla sai se non lo fai!

Lo disse un grande filosofo, un grande pedagogista. Giambattista Vico, sulla scia di Socrate, il primo grande dimenticato Maestro.

Sai come si beve il latte solo se lo bevi alla tazza, prima che qualcuno ti abbia elencato tutte le operazioni che devi fare: avvicinare la tazza alla bocca, aprire la bocca, poggiare l’orlo della tazza sulle labbra…

Oddio, se te le dico tutte, il latte ti cadrà tutto per terra, e la mamma ti sgriderà.

Puoi imparare a prendere gli oggetti, prendendoli.

Puoi imparare a saltare, saltando!

Puoi imparare a cantare, cantando!

Puoi imparare ad amare amando!

Puoi imparare tutto quel che ti piace, facendolo…

Sì, ma a scuola mica le cose si fanno? Là stanno scritte già sul libro di testo, basta leggere il libro, rileggere, trileggere, quadrileggere, pentaleggere… insomma leggere tante e tante volte.. finché nella memoria tua non le avrai impresse!

Ma non aveva scritto J.S. BRUNER <<Se è vero che l’abituale decorso dello sviluppo íntellettuale procede dalla rappresentazione attiva, attraverso quella iconica, alla rappresentazione simbolica della realtà, è probabile che la migliore progressione possibile seguirà la stessa direzione>>[1].

E, ancora, non aveva scritto Tommaso D’Aquino:

<<Vi è un doppio modo di acquistare la scienza: uno quando la ragione naturale da se stessa giunge alla conoscenza di cose ignote, e questo modo si chiama invenzione; l’altro quando la ragione naturale viene aiutata da qualcuno dall’esterno, e questa maniera si chiama dottrina (insegnamento).

In ciò in vero che viene prodotto dalla natura e dall’arte, l’arte procede allo stesso modo e con gli stessi mezzi che la natura. Come infatti la natura guarirebbe riscaldando chi soffre di frigidezza, così fa pure il medico; per cui si dice che l’arte imita la natura.

Il simile accade anche nell’acquisto della scienza: il docente cioè conduce altri alla scienza di cose ignote allo stesso modo che uno, scoprendo, conduce se stesso alla conoscenza di ciò che ignora>>[2].
Ordunque, riposiamoci, o Docenti!

Riposiamoci, facciamo lavorare gli studenti che ne hanno tanta voglia, se non altro, per non stare seduti, immobili e in assoluto silenzio, nei banchi che li imprigionano impedendo qualsiasi movimento.

Sì, i giovani hanno bisogno di muoversi, di correre, di saltare, come mio nipote sul letto grande, rimbalzando fino al soffitto, cadendo e rimbalzando ancora sul posteriore.

Facciamoli lavorare, facciamoli scoprire, riscoprire, inventare, reinventare, costruire, ricostruire, col sudore della loro fronte, come Adamo ed Eva, scacciati dal Paradiso Terrestre, Paradiso perduto!

Assieme, vicini, intorno ai tavoli a quattro posti, dialogando tra di loro, sottovoce!

Trionfanti, ci mostreranno i risultati delle loro scoperte:

-Maestra, abbiamo dipinto la pietra tutta, sopra, sotto e di lato, su tutte le sue facce belle, su tutta la sua superficie!

È vero, Maestra, si chiama faccia, faccia di sopra, superficie (superfacies).

Ma che bravi, bambini cari! Sapete, io l’ho capito solo quando frequentavo la Scuola Media.

Oh tempi moderni!

E, ancora, Maestra, abbiamo fatto il gioco suo, quando invitava le sue quattro amiche a casa sua.

Lei preparava le sue squisite pizzette al pomodoro e le lasciava nel forno, così le sue amate amiche le avrebbero mangiate calde calde.

E, infatti, arrivano le sue uniche e lei le fa accomodare nel salotto buono, sulle poltrone di velluto rosso.

Come stai? Come state? Come stiamo?

Bene, benissimo, un po’ di sciatica, un po’ di insonnia… ma, tutto sommato, ringraziamo Papa Francesco, bene, sai, poi, alla nostra età, qualcosa cambia!

Bene, amiche care, ora vi farò vedere, no, pardon, guardare, no, assaporare le mie nuove pizzette, quelle al pomodoro fresco col basilico!

E va in cucina, la Maestra, apre il fornello e su un vassoio mette cinque pizzette, una per lei ed una per ciascuna delle sue quattro amiche.

Ritorna nel salotto, si siede e mangiano le cinque pizzette.  Che buone, Agnese, sei proprio brava!

Oh, ma no, ma sì…… la ricetta in fondo non è mia, è di Silvia che me l’ha dettata al cellulare.

Le amiche si leccano le labbra, le amiche ed anche a lei, che  le cinque pizzette s’erano pappate.

Ora, incoraggiata, va un’altra volta in cucina e, come prima, ancora cinque pizzette calde calde mette nel vassoio.

Torna… si ripete la scena per la seconda volta!

E, poi, per la terza volta!

È, poi, per la quarta volta.

Finite sono le pizzette  e contente sono le colleghe, e anche Agnese.

Ma, Agnese, quante pizzette avevi preparato?

Oddio, che sciocche maestre siamo, meno male che non ci sono i nostri alunni: cinque pizzette per ognuno dei quattro viaggi, il conto è presto fatto!

Tavola pitagorica del quattro: cinque per quattro volte fa venti!

Oddio, Agnese cara, ma ti rendi conto che oggi ci hai dato una bella lezione di didattica?

Domani faremo fare ai nostri amati giovani studenti lo stesso gioco, magari con pizzette vere, e così capiranno, scopriranno, impareranno finalmente cosa è la moltiplicazione: tante pizzette per tante, quante volte?

Un gioco, un gioco direbbe Giovanni Pascoli: Al gioco seri al pari di un lavoro!

Lavoro di apprendere, lavoro di comprendere, lavoro di capire, lavoro di scoprire, da soli, da soli, solo con qualche piccolo piccolo piccolo suggerimento della maestra Agnese!

 



[1] BRUNER J.S., Verso una teoria dell’ístruzione, Arnando, Roma, 1967, p. 85.

[2] TOMMASO D’AQUINO (a cura di M. Casotti), De magistro, La Scuola, Brescia, 1957, p 28.