Due quadri e qualche riflessione

Due quadri e qualche riflessione
“La mia bambina con la palla in mano” (scontenta delle prove INVALSI) e altri bambini

di Beatrice Mezzina

 

Primo quadro

Una bambina a me molto cara, sette anni, seconda primaria. Come la figlia di Ernesto Saba, “con la palla in mano, con gli occhi grandi colore del cielo e dell’azzurra vesticciola” paragonata a “cose leggere e vaganti”, mi conquista con la sua esilità, i suoi occhi curiosi, le sue capriole ei suoi salti quasi aerei, imparati in un corso di ginnastica. Inesausta raccontatrice di storie, che scrive anche. Brava a scuola, la maestra le scrive “campionessa” su molti compiti.

La sua leggerezza appannata dall’INVALSI.

Era triste l’altro giorno dopo la prova di Italiano. La maestra le ha detto che ha fatto sette o otto errori. Non vuole parlare a lungo della prova.  Mi dice che lei a scuola fa pochi errori e che per lei sette o otto errori sono troppi.

Eppure la sua scuola, in un quartiere  “bene”, ha lavorato molto per  preparare i bambini: fin da inizio anno i genitori hanno ricevuto  dalle maestre varie mail con le prove INVALSI degli anni scorsi da stampare e consegnare ai figli per le esercitazioni (ormai è così, non vi sono soldi per le fotocopie), sono stati acquistati libretti di esempi di prove che ormai circolano in gran numero.

Le maestre sono brave e hanno saputo calibrare la preparazione alle prove nazionali senza che prevaricassero le altre attività.

Il  caso della bambina non è  isolato.  Altri bambini bravi hanno commesso errori. Anche le maestre sono scontente. Sento altre mamme e colleghe: situazione simile in molte altre scuole.

 

Secondo quadro

Ho seguito in questi anni il bellissimo progetto “Diritti a Scuola” della Regione Puglia che ha investito molto danaro e energie per il miglioramento delle Competenze di base in Italiano e Matematica degli studenti pugliesi dalla primaria al biennio della Secondaria con un geniale e semplice percorso: dare alle scuole alcuni insegnanti aggiunti che hanno il compito di aiutare e supportare gli studenti in difficoltà. Questo progetto ha un protocollo di monitoraggio e valutazione molto attento  per analizzare se insomma il grande investimento produce miglioramento nelle scuole.

I risultati sono davvero notevoli, segno che, quando si investe in formazione e quando alcuni studenti più difficili possono disporre di un insegnante che sta loro vicino, li segue, cerca di comprenderne le difficoltà, la situazione migliora.

E’ l’ennesima conferma che se si investe nella scuola, se in una classe con molti alunni (ormai classi pollaio in molte scuole) un altro insegnante supporta gli studenti, si programma una codocenza efficace, si svolge qualche incontro suppletivo, si lavora sul metodo di studio e sulla motivazione,  i risultati in termini di diminuzione della dispersione, di rafforzamento delle competenze di base, di inclusione,  sono evidenti e sensibili.

Molte scuole pugliesi ne usufruiscono con interessantissime buone pratiche (vedere www.dirittiascuola.it).

Tra queste una scuoletta di un quartiere difficile di una grande città, che ho visitato più volte per il monitoraggio di “Diritti a scuola”.

Maestre bravissime, bambini con difficoltà comprensibili, non seguiti dalle famiglie, con problemi economici, in un ambiente di bassissimo livello socioculturale.

La scuola utilizza bene il Progetto  “Diritti a scuola” che dà loro insegnanti di supporto in Italiano e Matematica, con ottime pratiche. Anche se i processi sono lunghi e complessi, dato il contesto difficilissimo in cui opera la scuola.

Sono depresse le maestre prime delle prove INVALSI. Mi dicono che l’anno scorso è stato uno sfacelo e anche quest’anno pensano sarà così. La maggior parte dei bambini in seconda classe della primaria non legge ancora bene,  moltissimi non reggono a una lettura silenziosa e autonoma.

I risultati in molte scuole del genere si vedono più tardi, con lentezza e tanta pazienza.

 

Prima riflessione

Fin ora, che ha fatto l’INVALSI o il MIUR per le scuole in difficoltà? Si è premurato di evidenziarne le cause dell’insuccesso nelle prove, ha finanziato le scuole perché facciano meglio? Ha messo in atto un sistema di valutazione articolato con strumenti e procedure capaci di evidenziare davvero criticità e punti di forza di tutti i processi del sistema di istruzione, con misure di supporto all’attività di autovalutazione e ai processi di ricerca e azione dedicati ad individuare e realizzare percorsi di miglioramento?

Che anzi, rispunta – mai sopito – l’intento dell’idea gelminiana di rendere pubblici i risultati così che i genitori possano avere elementi di valutazione su quale scuola scegliere per iscrivere i figli.

Così si affosseranno proprio le scuole che hanno bisogno di aiuto.

Riporto una riflessione di Bruno Losito (www.cidi.it). “Sui temi della valutazione e dell’uso dei risultati delle indagini valutative – così come su tutti problemi aperti da affrontare – credo ci sia il bisogno di sviluppare un dibattito ampio e approfondito che coinvolga responsabili politici, esperti e – prima di tutto – scuole, insegnanti, dirigenti. Con l’obiettivo di sostenere le scuole e di migliorarne l’intervento, in una prospettiva di maggiore equità del nostro sistema di istruzione”.

Un corollario: è possibile che alcune scuole superiori considerate “valide”, con iscrizioni eccedenti facciano test di ingresso ad escludendum per accaparrarsi i migliori studenti che si iscrivono al I anno? Propongo contro questo scempio che le “brave” scuole, facciano pure test di ingresso ma accettino le iscrizioni  relative a tre fasce di studenti che si rilevano dai test,  bassa, media, alta, in pari percentuale, per dimostrare che sono buone scuole anche con un’utenza composita.

Se no, che buone scuole sono? E’ facile essere buone scuole solo con studenti bravi.

 

Seconda riflessione

Leggo nella prova di Italiano –  seconda primaria – il racconto “le multe” e le domande proposte.

Testo ironico e simpatico. Difficili le domande e i distrattori rispetto alle risposte esatte sono spesso infidi. Anch’io vado indietro a rileggere il testo per rispondere a domande molto analitiche e che comportano una forte attenzione alla lettura, non so quanto compatibile con i livelli di concentrazione di bambini di sette anni.

Per alcune domande non vi sono risposte univoche: nella B 17 , tanto per un esempio che dimostrerebbe la comprensione profonda del testo, se il bambino risponde che il titolo può essere completato con “Le multe: molto meglio dei castighi” o “le multe: un gioco divertente della mamma” fa molta differenza? E’ proprio un errore? Non sono entrambe accettabili?

In una pratica didattica reale le maestre non avrebbero forse anticipato le domande con una riflessione sul testo, non avrebbero forse sollecitato la discussione dei bambini, prima di porre le domande?

Che rapporto tra i processi di valutazione autentica che si sbandierano nei corsi di formazione e le prove standardizzate?

Non la voglio fare troppo lunga. Per chi voglia, rimando a un intervento interessantissimo della maestra  Adriana Presentini al Convegno di “AmicaSofia: filosofare con bambini e ragazzi”, reperibile in rete cliccando “ I signori Invalsi”, titolo dell’intervento, su un motore di ricerca.

 

Insomma, per finire ed estendere la riflessione oltre il dilemma INVALSI sì/no,

ricordo soprattutto ai giovani una vecchia polemica che si sviluppò sugli indimenticabili Quaderni Piacentini nel 1978 n.67/68, a proposito di un intervento di H.M.Enzensberger sulla lettura come “atto anarchico…sfogliare il libro, saltare passi interi, ricavare dal testo conclusioni che il testo ignora, arrabbiarsi con lui, dimenticarlo… ”, contro il vizio odioso della interpretazione giusta che aveva fatto prendere un brutto voto alla figlia del suo macellaio proprio sull’interpretazione  di una sua poesia non intesa per via delle domande troppo precostruite in una univoca interpretazione.

Mi piace e mi è sempre piaciuta la lettura anarchica (ne sono ancora seguace) contro le logotecnocrazie, tante nelle scuole, per cui raffinati metodi di analisi del testo sono stati propinati impropriamente agli studenti come sinonimo di modernità.

Ma so bene, come allora diceva C.Segre in opposizione alla lettura anarchica, che una lettura colta e anarchica può aversi solo se si siano acquisite le basi per leggere, in una scuola che è lavoro continuo, sperimentazione di metodi, per insegnare a leggere anche alla figlia del macellaio, senza poi torturarla con domande troppo cogenti.

Possiamo trovare un punto d’incontro tra le semplificazioni dell’INVALSI e i complessi processi di lettura e comprensione?

Insomma, insegnare stanca.  E bisogna lavorare nelle scuole, non solo testare.

E forse la scuola e i Signori Invalsi dovrebbero tener conto di tante angolature dell’apprendimento, della leggerezza della mia bambina e degli altri bambini,  senza spegnerli.