Dall’Europa dei popoli all’Europa dei padroni

Dall’Europa dei popoli all’Europa dei padroni
reazione a un articolo di Anna Angelucci

di Maurizio Tiriticco

Cara Anna! Ho letto il tuo “Investire nella scuola per uscire dalla crisi” su MicroMega e concordo con l’analisi che fai e con la necessità di una svolta concreta e produttiva per il nostro sistema di istruzione. E non so come e quando riusciremo a farcela in uno scenario europeo che sembra più proporre problemi che risolverli. In effetti l’Europa che in molti vagheggiammo era quella del Manifesto di Ventotene! Ma le speranze vennero presto deluse! La cortina di ferro si abbatté a dividere l’Est dall’Ovest e ad instaurare in ambedue le regioni due regimi altrettanto violenti… e non è un’iperbole! Ad Est le cosiddette Democrazie popolari, sotto il tallone dell’Urss. Ad Ovest il Piano Marshall – così gli Usa si liberarono dei prodotti in eccesso al fine di trasformare un’economia di guerra in un’economia di pace – e la restaurazione di quel regime capitalista che il compiersi della “Rivoluzione socialista in un Paese solo”, quella di Stalin – la Rivoluzione tradita, secondo Trotsky – aveva lasciato indenne.

Come sai, nel ’57, con i Trattati di Roma. si passò dalla Comunità del carbone e dell’acciaio del ’51 all’istituzione di una vera e propria Comunità Economia Europea (il primo nucleo dell’Europa dei Sei): ma… di quale Europa si poteva parlare? Quella dei popoli auspicata dai Mazzini e dallo stesso Spinelli? Un’Unione di Stati federati, dall’Atlantico agli Urali, con un asse centrale federale unico (politica estera, difesa, moneta unica, ecc.)? Nonostante il neonato Movimento Federalista Europeo vagheggiasse una soluzione utopica di questo tipo, la realtà politica e quella economica erano quelle che erano. Francia e Germania intendevano riassumere il ruolo che da sempre avevano avuto in Europa, o meglio nell’Europa dell’Ovest. E l’Italia, “vinta” dagli alleati, ma “vincitrice” sul nazifascismo, non poteva non essere partecipe dell’iniziativa, anche per l’autorevolezza dei trascorsi di un Mazzini, di un Pisacane, di un Cattaneo, lontani ispiratori del Manifesto di Spinelli, Rossi e Colorni.

Ma i sogni devono sempre fare i conti con la realtà. E la Cee, come sai, non vide mai l’indiscusso favore dei partiti di sinistra, e non solo nel nostro Paese. Il rischio che il capitalismo rafforzasse le sue fila su alcuni Paesi dell’Europa dell’Ovest a difesa più di un sistema economico che delle aspirazioni popolari era molto forte. E così era e fu. Il Patto atlantico e la Nato costituivano il braccio militare – se si può dir così – di alcuni Paesi dell’Ovest del mondo, contro gli altri Paesi dell’Est. In Cina nel ’49 era stata proclamata la Repubblica popolare. Dal 1950 per ben tre anni il Sudest asiatico fu afflitto dalla guerra di Corea, un campo su cui si cimentarono Urss, Usa e Cina.

In quella situazione di estrema precarietà politica – il rischio di una guerra atomica era reale! – era molto difficile vedere nella neonata Cee un presidio di democrazia e di sviluppo pacifico che coinvolgesse veramente tutti i popoli e gli Stati europei.

Poi le cose sono profondamente cambiate, in concorso con i cambiamenti che si avvicendarono sul piano internazionale. Dal 1956, in seguito alla condanna di Stalin e dello stalinismo operata dal XX° congresso del Pcus, tutta la politica estera dei partiti di sinistra dell’Europa dell’Ovest cominciò a cambiare registro. In Italia nel 1975 il Pci nel suo XIV° congresso sancì che l’uscita del nostro Paese dal Patto atlantico e dalla Nato non costituiva più una priorità. Nasce un clima in cui si comincia a guardare alla Cee con un occhio diverso rispetto al passato. Gli anni corsero veloci e, quando nel ’92 si giunse al Trattato di Maastricht e alla nascita dell’Unione europea, una grande ventata di ottimismo pervase tutti noi – me almeno! Nell’89 era caduto il muro di Berlino e la stessa cortina di ferro venne a cadere! E tanti Paesi dell’Est videro nell’ingresso nell’UE un riscatto dal passato e un balzo in avanti nell’avvenire. E nel campo dell’istruzione si dette vita a quella Dimensione Europea nell’Educazione, per cui un gruppo di lavoro a cui mi onorai di appartenere anch’io, dette un notevole contributo in materia di percorsi di insegnamento comuni e di unitarietà di obiettivi da perseguire.

Ma la “festa” è durata molto poco! L’Ue non è riuscita a costruire processi unitari né a darsi una Carta costituzionale e ripiegò sul Trattato di Lisbona nel 2007, che vale assai poco rispetto alle indicazioni di una costituzione a tutto tondo. Così, da un grande slancio verso una politica nuova, quella di un’Europa dei popoli, come emergeva dalla Costituzione approvata a Roma tre anni prima, siamo caduti nell’Europa dei “padroni”! In effetti il Trattato non garantisce nulla se non il più indiscriminato sviluppo degli interessi dei gruppi economici forti a danno dei popoli di ben 28 Paesi membri.

Pertanto oggi ci troviamo nella situazione in cui, come scrive Roberto Sommella, nel suo pamphlet “L’euro è di tutti”. che tu citi, “le regole si scrivono a Bruxelles, i conti li fa Berlino, la massa monetaria la decide Francoforte. In patria si può solo gestire in qualche modo il disagio sociale crescente”. A questa Europa non possiamo assolutamente guardare con simpatia e fiducia. Però giorno dopo giorno ci dobbiamo fare i conti. Riusciranno i nostri eroi del 40,81% ad avviare realmente un cambio di rotta?

Con l’affetto di sempre!