Una “strepitosa” dirigenza scolastica nella Buona Scuola

UNA “STREPITOSA” DIRIGENZA SCOLASTICA NELLA BUONA SCUOLA DI MATTEO RENZI

di Francesco G. Nuzzaci

 

– Speriamo ardentemente che, ad avvenuta pubblicazione, questo non lieve scritto risulti – come suol dirsi – “bruciato”, siccome smentito dal testo ufficiale del disegno di legge sulla “Buona scuola”, reso finalmente di pubblico dominio in anticipo sui tempi da noi stimati. E i nostri quattro lettori, adusi comunque a leggerci perché vocati al martirio e quindi – amiamo presumere – in grado di procedere sino in fondo senza collassare, comprenderanno il perché.

II – Avrebbe dovuto materializzarsi entro un mese dall’insediamento e quale primo atto del suo governo, giusto un anno e spiccioli fa, novella Minerva balzata fuori ed armata di tutto punto dalla dolorante testa di Giove. Madre di tutte le riforme necessarie per far ripartire l’Italia.

Invece di mesi ne sono trascorsi sei abbondanti, prima che la “Buona scuola” di Matteo Renzi  riuscisse a prendere corpo in un documento programmatico di 136 pagine. E altrettanti ne sono occorsi perché, dopo una pseudo consultazione che di certo non si è potuto dire partecipata rispetto all’intera platea nazionale che ha investito, ma che soprattutto è servita a guadagnare altro tempo, venisse emanata una bozza di testo normativo: naturalmente diversa da quella di una settimana prima – da noi non reperita e della quale abbiamo avuto contezza sotto forma di scheda di analisi pubblicata sul sito della UILSCUOLA – e che presumibilmente sarà ancora diversa, a principiare dalla puntuale indicazione delle coperture finanziarie, da quella che si sarebbegià dovuta trasmettere al Parlamento.  

II– Mercé l’irrefrenabile facondia del nostro premier a parlar per metafore e a sunteggiare in slogan anche quel che, di tutta evidenza, non padroneggia, siamo di fronte ad una “Rivoluzione strepitosa”, che pare riverberarsi primariamente sui dirigenti scolastici, che hanno conteso la scena ai docenti precari inseriti nelle GAE e da immettere in ruolo, finendo decisamente col prevalere: grazie sempre a una sequela di metafore.

Dal preside-educatore, libero dalle proliferanti molestie burocratiche, passandosi per il preside-sindaco del sottosegretario Faraone e per il preside-allenatore, “che ora potrà scegliersi la squadra”, coniato dal Presidente del Consiglio in persona, si è infine, e per adesso, approdati all’immagine di più forte impatto mediatico: il preside-sceriffo o preside-autocrate, che può a suo piacimento distribuire premi – agli amici e ai suoi leccapiedi, si lascia intendere e neanche tanto velatamente – e comminare sanzioni a chi – lo si lascia sempre intendere – semplicemente gli sta sulle scatole; attributario di “un’ inaccettabile concentrazione di poteri… che mette a rischio –nientepopodimeno – il principio costituzionale della libertà di insegnamento”, come hanno subito tuonato all’unisono i sindacati generalisti di comparto, parimenti rappresentativi della dirigenza scolastica grazie al suo puro autolesionismo nel rilasciare deleghe a chi la considera – e la tratta – come sua controparte, sino a ieri “datoriale” ed ora “padronale”.

In realtà, delle tante ricorrenti metafore sembra più appropriata quella di preside-commissario, più che di preside-amministratore unico, pure adombrata, dato che non pare neanche esserci un consiglio di amministrazione a cui rispondere.

Un preside-commissario, ma “ad tempus. Almeno fino a quando il testo ufficiale del disegno di legge, non è dato di sapere se rassegnato alla Camera o al Senato, non produca il più volte sperimentato rimescolamento delle carte.

IV – Volendosi procedere secondo criteri di stretta essenzialità e in ragione dell’oggetto circoscritto, pertanto rinunciandosi ad ogni pretesa di completezza, occorre prender le mosse dall’articolo 2, rubricato “Autonomia scolastica e offerta formativa”, laddove, in relazione al precedente art. 1 (“Oggetto e principi”), è dichiarato il fine della “Riforma strepitosa”:  di “dare piena attuazione al processo di realizzazione dell’autonomia e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione”.

Per cui, “nelle more della revisione del quadro normativo di attuazione dell’artico 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, è rafforzata la funzione del Dirigente scolastico per garantire un’immediata e celere gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio, nonché gli elementi comuni dell’intero sistema scolastico pubblico”.

E la prima, fondamentale, risorsa a sua disposizione è – finalmente? – “l’organico dell’autonomia funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche come emergenti dal – neo istituito – Piano triennale”, che dovrà integrarsi con l’attuale Piano dell’offerta formativa.

Il predetto Piano triennale dovrà essere approntato secondo i criteri e azionando le inerenti misure di cui è risalente parola nel menzionato articolo 21 della legge 59/97, ulteriormente dettagliati nel D.P.R. 275/99, Regolamento dell’autonomia, rielencati nel comma 3, lettere  a) – o) dell’articolo 2 in discorso, integranti il raggiungimento dei “nuovi” obiettivi afferenti all’introduzione della metodologia CLIL, al potenziamento delle competenze nella musica, arte, diritto ed economia, discipline motorie, perfezionamento della lingua italiana per alunni stranieri, nonché allo sviluppo delle competenze informatiche, e con l’inserimento degli obiettivi dell’innovazione digitale e della didattica laboratoriale, figuranti nel successivo articolo 5, ma che, in buona sostanza, sono la riedizione delle “ tre I”(Inglese, informatica, Impresa) di berlusconiana-gelminiana memoria.

Il Piano è elaborato dal dirigente scolastico, “sentito il Collegio dei docenti e il Consiglio d’istituto, nonché i principali attori economici, sociali e culturali del territorio, che vanno attivamente coinvolti, sia come utenza nei cui confronti vige l’obbligo, variamente modulato e dunque proceduralizzato, di rendicontazione, sia come “risorsa” in senso lato per la migliore qualificazione della prestazione istituzionale e la piena realizzazione del successo formativo degli alunni -studenti, anche riducendone il numero per classe in deroga ai vigenti vincoli normativi, naturalmente nell’ambito della dotazione organica assegnata e delle risorse, anche logistiche, disponibili.

Definito il Piano, comprensivo di tutte le strumentazioni e delle risorse finanziarie e fisiche ritenute necessarie alla sua realizzazione, sarà sempre il dirigente scolastico a scegliere il personale da assegnare ai posti dell’organico dei docenti, con correlati poteri-doveri, che se non esercitati lo esporranno all’intervento sostitutivo dell’Ufficio scolastico regionale.

I suoi poteri includono l’obbligo di attivare per i docenti – ed estensivamente, si presume, per l’intero personale – sistematici e ricorrenti percorsi di formazione, a loro volta obbligatori, preordinati alla costante innovazione della didattica; che poi vengono ripresi con maggior dettaglio nel susseguente articolo 7, rubricato “Competenze del dirigente scolastico”, il cui incipit reitera lo scopo della sua funzione, di assicurare il buon andamento dell’autonomia dell’istituzione scolastica, a tal fine svolgendo compiti di gestione direzionale, organizzativa e di coordinamento, con responsabilità delle scelte didattiche, formative e della valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti. E, al riguardo, può individuare sino a tre docenti tra quelli di ruolo che lo coadiuvano nell’organizzazione dell’istituzione.

Su quanto testé sottolineato, e su tutto ciò che lo correda e lo supporta, il dirigente scolastico è – o dovrebbe/dovrà – essere valutato. Ma – a quindici anni di distanza dall’originaria, e cogente, previsione normativa e consumatisi inutilmente ben tre contratti, ancorché non trattasi più di materia da regolare ai tavoli negoziali  il disegno di legge opera l’ennesimo rinvio, avendo statuito nel comma 8 del poc’anzi riferito articolo che “Nelle more della revisione del sistema di valutazione dei dirigenti scolastici – oggetto di un futuro decreto delegato, di cui in prosieguo –, per l’effettuazione della stessa si tiene conto della disciplina di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, nonché dei criteri utilizzati per la scelta, valorizzazione e valutazione dei docenti e dei risultati dell’istituzione scolastica, con particolare riguardo alle azioni specifiche messe in campo dal dirigente scolastico per migliorarli.

Senonché, e per intanto, è partito il sistema di valutazione delle scuole, esclusivamente perché le stesse possano evidenziare le loro aree di miglioramento – l’equivalente della valutazione formativa degli alunni o studenti – ma da cui estrapolare  quelle direttamente riconducibili al dirigente scolastico, ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale. Mancano però a tutt’oggi gli indicatori che l’INVALSI avrebbe dovuto definire entro dicembre 2014, da inserire nell’ambito di una proposta organica di valutazione dei dirigenti scolastici, altresì oggetto di confronto con le organizzazioni sindacali e le associazioni professionali. Insomma, dopo tre lustri si resta ancora inchiodati ai blocchi di partenza. 

– Ma, in concreto, qual è la cifra dei rafforzati poteri del dirigente scolastico e, non meno rilevante, il loro grado di effettività?

Le risposte si deducono scorrendo velocemente l’articolato:

1) La proposta del Piano triennale, predisposta entro il mese di ottobre dell’anno scolastico precedente al triennio di riferimento, è inviata all’USR, che ne valuta la compatibilità finanziaria e – con quel che resta della sua esangue struttura burocratica  la coerenza con gli obiettivi dettagliati nel citato comma 3, lettere a) – o), art. 2; poi rimesso al MIUR che ne verifica il rispetto dei propri obiettivi strategici e conferma le risorse destinabili alle infrastrutture materiali e il numero dei posti dell’organico dei docenti effettivamente attivabili, nel limite delle risorse disponibili. Di modo che le istituzioni scolastiche, entro il mese di febbraio, aggiornano conseguentemente il piano, che diviene così efficace ed è in via previa oggetto della massima trasparenza e pubblicità, incluse sue eventuali revisioni, anche al fine di permettere una valutazione comparativa da parte degli studenti e delle famiglie.

2) Definito il Piano triennale, i dirigenti scolastici scelgono il personale da assegnare ai posti dell’organico dei docenti, tratti dai costituendi albi territoriali degli immessi in ruolo, cui si aggiungono i docenti già di ruolo provenienti da altre istituzioni scolastiche in esito alle operazioni di mobilità, e sulla base del loro curriculum-portfolio ritenuto coerente con la progettualità dell’istituzione scolastica, potendosi utilizzare gli uni e gli altri in classi di concorso diverse da quelle per la quale si possiede l’abilitazione, purché si abbia il titolo di studio valido all’insegnamento. Si precisa che i criteri di scelta devono essere pubblici e la proposta motivata.

Restano sottratti al “gradimento” del dirigente i docenti già di ruolo nell’istituzione scolastica e fino a quando vi rimangano per non perdere questa sorta di immunità.

3) E’ possibile utilizzare per l’insegnamento dell’inglese nella primaria docenti madrelingua, o abilitati nelle relative classi di concorso, anche di ruolo in altri gradi di istruzione, o ricorrere ad appositi servizi, purché e sempre nei limiti delle risorse finanziarie o di  organico disponibile. E lo stesso è a dirsi per l’insegnamento della musica e dell’educazione fisica.

4) Il personale docente ed educativo neoassunto è sottoposto ad un periodo di formazione e di prova di durata annuale,  al termine del quale è valutato dal dirigente scolastico sulla base di un’istruttoria del docente con funzioni di tutor, ma soltanto dopo che con decreto del MIUR siano stati individuati gli obiettivi, la valutazione del grado di raggiungimento degli stessi, le attività formative e i criteri di valutazione, anche prevedendo verifiche e ispezioni in classe, in specie se l’esito della valutazione si preannuncia negativo ed ora comportante la dispensa dal servizio con effetto immediato e senza preavviso, disposta dal dirigente scolastico.

Altre forme di valutazione non sono previste, né per il restante personale docente, né per il personale ATA, compreso il DSGA, diretto collaboratore del dirigente scolastico e preposto alla conduzione del servente apparato amministrativo-contabile e dei servizi vari, ora appesantito dalle nuove incombenze, operante con piena autonomia tecnico-professionale nell’ambito delle direttive di massima.

Per il vero l’articolo 10, intestato alla valorizzazione del merito del personale docente, sembrerebbe smentire quanto appena affermato, attribuendo al dirigente scolastico il potere, solo sentito il Consiglio d’istituto, di assegnare annualmente a un numero imprecisato di docenti di ruolo la quota parte del fondo di duecento milioni annui; un potere che però potrà essere esercitato a decorrere dal 2016 e dopo che, anche qui, il Ministero avrà definito i criteri e gli indicatori della valutazione dell’attività didattica in ragione dei risultati ottenuti in termini di qualità dell’insegnamento, di rendimento scolastico degli alunni e studenti, di progettualità nella metodologia didattica utilizzata, di innovatività e di contributo al miglioramento complessivo della scuola: temi che peraltro il disegno di legge rinvia ad un decreto legislativo, che dovrebbe altresì precisare il ruolo del dirigente nel processo di valutazione, insieme a possibili altri decreti legislativi per il complessivo riordino, adeguamento e semplificazione delle disposizioni legislative e contrattuali in materia d’istruzione , di cui al Capo VII, composti di un ridondante e di faticosa lettura articolo 21 (Delega al Governo in materia di sistema Nazionale di Istruzione e Formazione) e dell’articolo 22 (Sessione negoziale per la collocazione e il riordino delle disposizioni contrattuali dei comparti Scuola e Area V). 

Non proveremo in questa sede neanche a sintetizzare la congerie di obiettivi, più di settanta!, elencati  nel primo, che vuol regolare “ab imis fundamentis” quanto già figurante in larga parte nell’inattuato articolo 21 – curiosa coincidenza anche dei numeri! – della legge delega 59/97, con l’aggiunta parossistica di tutte le enfatizzate innovazioni popolanti la “Buona scuola”. Di tal che si alimenta, oggettivamente, la convinzione che tutte le disposizioni del disegno di legge in (parziale) commento, di formale valenza precettiva – praticamente tutti e nove i Capi, escluso il Capo VII –, andando a stringere, restano, prevalentemente, un manifesto politico, non più veicolato da variopinte e accattivanti slide, bensì dalla prosaica aridità del burocratese tecnico-giuridico.

Ma intendendo conservare stretta aderenza al tema che qui ne occupa, oltre alla valutazione dei docenti – con le connesse materie dell’asserita dispotica attribuzione degli incarichi e delle premialità – e all’ennesima riforma del mai nato sistema di valutazione del dirigente scolastico “in relazione al rafforzamento delle sue funzioni”, menzioniamo solo la rivisitazione (“rectius”, la riproposizione: perché anch’essa già prevista nella pluriannotata legge delega 59/97) della governance interna delle istituzioni scolastiche, laddove andrà realizzata, nella distinzione delle inerenti funzioni, la stretta collaborazione tra il Consiglio dell’istituzione scolastica autonoma avente compiti di indirizzo generale, il Collegio dei docenti e sue articolazioni avente compiti di natura didattico-progettuale, il dirigente scolastico che eserciterà le sue “rafforzate funzioni di gestione, impulso e proposta”, continuando a valersi del rivalorizzato Direttore dei servizi generali e amministrativi “quale figura di supporto tecnico-amministrativo a servizio dell’autonomia scolastica”.

Col che il preside-commissario uscirà di scena e l’istituzione scolastica tornerà alla sua “fisiologica” normalità.

Occorrerà però, pure qui, un po’ di pazienza, perché il Governo avrà a disposizione diciotto mesi per onorare la delega conferitagli dalla fonte delegante dal momento in cui essa sarà entrata in vigore. Quindi, a occhio e croce, la decretazione delegata, impregiudicate possibili disposizioni integrative e correttive entro i successivi due anni, dispiegherà la propria effettività non prima dell’inizio dell’anno scolastico 2017-2018.

V– Per intanto il dirigente scolastico, munito delle rafforzate funzioni e gravato delle correlate nuove incombenze, dovrà, a legislazione vigente e a risorse invariate, darsi d’attorno per redigere – si vocifera di qui a due mesi, entro maggio prossimo venturo – un’ipotesi stralcio del Piano dell’offerta formativa, limitata all’anno scolastico 2015-2016, questa volta “di concerto con il Collegio dei docenti”, mentre dovrà solo “sentire” il Consiglio d’istituto.

E dal primo settembre 2015 avrà qualche – più di un – problema. 

Difatti, a decorrere dalla suddetta data, la legge di stabilità 23.12.2014, n. 190, in un mirabile esempio di auto cannibalismo – dragando risorse dalla già anoressica “Cattiva scuola” per riversarle sulla nuova palingenetica “Buona scuola”, tra le altre restrittive misure, ha:

1) reiterato il blocco dei contratti di lavoro sino a tutto il 2015, prefigurandone la durata sino a tutto il 2018;

2) assottigliato ulteriormente il Fondo per l’arricchimento dell’offerta formativa nella misura di trenta milioni di euro annui;

3) disposto la restituzione all’erario di parte delle somme stanziate dal MIUR e non completamente utilizzate per progetti nazionali di istruzione e formazione dalle istituzioni scolastiche;

4) abrogato gli esoneri e i semiesoneri per i collaboratori del dirigente scolastico;

5) ristretto la possibilità di conferire supplenze brevi al personale ATA, vietandole in radice per la sostituzione di assistenti tecnici in organico e disponendo il prioritario utilizzo del Fondo d’istituto per remunerare il personale in servizio nella sostituzione – coatta? – dei colleghi assenti;

6) prescritto il divieto di dar luogo a supplenze del personale docente per il primo giorno di assenza;

7) ridefinito l’organico del personale ATA tagliandolo di oltre duemila posti, per un complessivo risparmio di circa cinquantuno milioni di euro l’anno, fidando sulla duplice compensazione della totale, e velleitaria, digitalizzazione delle procedure inerenti i rispettivi mansionari e dell’allocazione degli adempimenti seriali o “impropri”, sempre più caricati in progresso di tempo sulle singole istituzioni scolastiche, presso imprecisati ambiti territoriali più vasti.

Riguardo ai punti 4) e 6) potrebbe pure rimediarsi con il preannunciato organico funzionale, qui prescindendosi da ogni considerazione sulla sua concreta fattibilità. Ma le previsioni di chi ben conosce i tempi e il funzionamento della macchina amministrativa dicono che, quand’anche si decidesse di stralciare le disposizioni assunzionali dell’ancora misterioso disegno di legge per farle oggetto di un decreto legge, per il primo settembre prossimo il rischio è che si riesca ad assumere molto meno della metà degli aventi diritto, giusto per coprire i posti-cattedra vacanti e disponibili, quelli dei docenti che saranno andati in pensione, perché di più celere e più semplice gestione tecnica.

Quanto alla liberazione delle scuole dai cennati adempimenti seriali e/o impropri, gli articoli 21-24 della bozza di disegno di legge che doveva essere licenziata dal Consiglio dei ministri prima il 27 febbraio, poi rinviata infruttuosamente al 2 marzo, infine evaporata, aveva apprestato delle soluzioni normative adeguate, pur se inducenti qualche perplessità. Nell’ordine:

1) Tutte le competenze in materia di cessazione dal servizio, pratiche pensionistiche, trattamento di quiescenza e di previdenza, progressioni e ricostruzioni di carriera, liquidazione del trattamento di fine rapporto del personale della scuola erano assegnate all’Ufficio scolastico regionale, con facoltà di distribuirle alle sue ramificazioni territoriali, inclusi l’aggiornamento e pubblicazione delle varie graduatorie d’istituto e gestione dell’eventuale contenzioso, in uno con la facoltà di delega da parte del dirigente scolastico – una invero stravagante delega ascendente– delle generali controversie relative ai rapporti di lavoro incardinati nell’istituzione scolastica.

2) Si disponeva, con decreto del Presidente della Repubblica, una modifica del regolamento amministrativo-contabile delle scuole, soprattutto mirata alla semplificazione, informatizzazione e dematerializzazione.

3) Conseguentemente, si potenziava l’amministrazione del MIUR con l’assunzione di 413 unità di personale specializzato di varie qualifiche, con i costi preventivati in venti milioni annui a partire dal 2015.

4) Infine, per le nuove necessità relative alla valutazione, il MIUR era autorizzato ad assumere, tramite selezione, ispettori a tempo determinato, per un triennio, nella misura del 50% dei posti in organico, pari a 191 unità e di cui almeno la metà vacanti. 

Ma di tutto ciò si è persa traccia nell’ultima bozza del disegno di legge, né è stato recuperato alcunché nella parte contenente la delega al Governo, di cui si è discorso.

Abbiamo motivo di supporre – rimarchiamo la sfumatura per non vederci nuovamente minacciati di querela – che ciò non dispiacerà affatto al “più autorevole e relativamente più rappresentativo sindacato della dirigenza scolastica”, che sembra da sempre e tuttora propendere per la piena assimilazione della dirigenza scolastica alla dirigenza amministrativa, nel presupposto – storicamente inconfutabile – che  solo quest’ultima è – e pare debba ancora esserlo – dirigenza  vera, sotto il duplice profilo normativo ed economico.

Noi siamo di diverso avviso, ritenendo che il dirigente scolastico debba essere anzitutto e realmente messo in condizione di esercitare la propria funzione tipicamente manageriale, focalizzata sulla realizzazione della “mission dell’istituzione scolastica cui è preposto in posizione apicale. Nel mentre la scelta che viene prospettata al Legislatore smentisce clamorosamente la solenne promessa campeggiante nel corposo programma sulla “Buona scuola”, lanciato in pompa magna a settembre dello scorso anno, di liberare le scuole – quindi il loro dirigente – dalle “cento molestie burocratiche” per potersi egli dedicare alla sua precipua, rafforzata, funzione, di garantire un immediata e celere gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali, ovvero concentrarsi sui compiti di gestione direzionale, organizzativa e di coordinamento, strumentali alla migliore progettazione, implementazione e controllo – con conseguente prioritaria responsabilità – delle scelte didattiche, formative e della valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti. O, in un linguaggio più confidenziale e risalente, attivare e presidiare l’autonomia funzionale dell’istituzione scolastica, di modo che, come impone la norma, essa si sostanzi nella “progettazione e realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento” (art. 1, comma 2, D.P.R. 275/99, Regolamento dell’autonomia, cit.).

Vorremmo sperare che possa porvi rimedio il testo ufficiale che verrà trasmesso al Parlamento e/o che, nel corso della sua discussione, voglia e possa farlo lo stesso Parlamento, pur se contingentato nei tempi impostigli da un premier la cui filosofia sbrigativa non lascia di certo dormire sonni tranquilli.

Dunque, allo stato degli atti, il potenziato dirigente scolastico dovrà rimanere barricato nel suo ufficio a confezionare vecchie e nuove montagne di carte e a rincorrere le corrispettive scadenze, vivendo quotidianamente l’angoscia che qualcuna possa sempre risultargli scappata. Perché, alla fin fine, solo sulle carte non messe a posto egli sarà – se mai lo sarà – valutato.

In compenso avrà letto, a caratteri cubitali, che, dal 1° settembre 2015,  gli saranno riconosciuti aumenti di quasi quattrocento euro al mese, a fronte della miseria di venticinque euro per i soli docenti “meritevoli”. Lo ha  letto su un autorevole quotidiano nazionale che ogni settimana ospita la rubrica dedicata alla scuola. Lo abbiamo letto anche noi, restando basiti di fronte ad una spaventosa superficialità che si sposa con il pressappochismo dei contenuti e la sciatteria della forma espositiva. Se l’inescusabile frettoloso articolista si fosse peritato di accedere alla fonte diretta, oltre che a potare di un bel po’ la cifra sparata, si sarebbe reso avvertito – e sicuramente avrebbe avvertito i lettori – che quella spacciata per remunerazione delle nuove competenze attribuite al dirigente scolastico in realtà è una doverosa reintegrazione del Fondo unico nazionale per la retribuzione di posizione fissa e variabile e di risultato, che vale solo dal primo di settembre prossimo venturo e non sana le inerenti decurtazioni imposte dal MEF, e subite dal MIUR, per gli anni scolastici 2012-13, 2013-14, 2014-15, pertanto andati in cavalleria: per cui o dovrà restituirsi quanto in parte già percepito oppure – secondo conti già fatti – si  dovrà rinunciare alla retribuzione di risultato per un paio di anniIl che è a dire che si sarebbe reso avvertito – e sicuramente avrebbe avvertito i lettori – che è stata compiuta una tipica operazione da magliari.

Al tirar delle somme, più che un dirigente rinforzato, la “Rivoluzione strepitosa” del nostro Presidente del Consiglio ci consegna, allo stato degli atti, un dirigente intasato.

VI Pur tuttavia è stato comunque – per addizione – ridisegnato, in termini di diritto positivo, il profilo di una dirigenza scolastica per molti versi addirittura superiore – o più complesso, che dir si voglia – di quello della dirigenza generale, che si può leggere nell’articolo 16 del D.Lgs 165/01.

Ne ricaviamo almeno due possibili conseguenze. Possibili, perché dev’essere – e non può che essere – la categoria a farle valere, dismettendo l’illusione di poter esclusivamente contare sulla gratuita benevolenza altrui.

La prima conseguenza è che, ancor più ora, risultano prive  di ogni fondamento giuridico – e anche politico, se e allorquando dovesse riscriversi, nel già citato futuro decreto legislativo l’articolo 25 del D.Lgs 165/01 – le ardite, palesemente ideologiche, e quasi sempre nient’affatto disinteressate, elucubrazioni di chi teorizza un (non)dirigente scolastico, “primus inter pares”, semplice coordinatore della didattica in una conviviale comunità scolastica autoconsistente e, dunque, autoreferenziale, fondata sulla libertà dell’arte e della scienza e sul loro libero insegnamento, sciolta da qualsivoglia vincolo che non sia quello che sovranamente si determini di autoimporsi.

La seconda conseguenza è quella di poter indirizzare un argomento plausibile a un Legislatore che voglia rendersi consapevole – risolvendola – della  propria schizofrenia, nel momento in cui si appresta a licenziare, in un percorso iniziato tempo prima e che ora è destinato a procedere in parallelo, il riordino dell’intera dirigenza pubblica articolata in tre ruoli unici, distinti ma reciprocamente compenetrabili: rispettivamente dello Stato, delle regioni, degli enti locali, ma con l’esclusione della dirigenza scolastica (per l’esattezza, dal ruolo unico della dirigenza statale), che così resterebbe sospesa quale entità definita in negativo, com’era un tempo il personale “non docente”, ora ATA. Che, non essendo inclusa nel ruolo unico – al di fuori del quale non vi è “ipso iure” dirigenza – non potrebbe nemmeno collocarsi in una delle sezioni interne del medesimo, previste dal DDL 1577/14 per le carriere e/o professionalità speciali, vale a dire per quelle figure dirigenziali connotate da intrinseche peculiarità, costituiscano queste o meno un “quid pluris. Ed è il caso della dirigenza scolastica, per il cui accesso, oltre ai requisiti ordinari per accedere ad ogni dirigenza, è imposta la provenienza dalla funzione docente; evidentemente perché lo stesso Legislatore, con libera valutazione, ha ritenuto e ritiene che chi è preposto alla conduzione delle istituzioni scolastiche debba avere confidenza con i processi educativi, affinità di linguaggio con i professionisti dell’educazione-istruzione-formazione che deve coordinare, familiarità con contesti organizzativi contrassegnati da “legami deboli”, in cui l’interpretazione prevale sull’esecuzione, in luogo dei lineari canoni propri delle procedure prevalentemente standardizzate.

Sempre i  quattro lettori ben conoscono la nostra posizione, ma la riproponiamo volendo tentare di catturarne un quinto, e di fargliela possibilmente condividere.

La riproponiamo nel testo che a suo tempo abbiamo sottoscritto nella forma di emendamento all’articolo 10 del menzionato DDL 1577,  già fatto presentare alla  prima Commissione del Senato:

Sono inclusi nel ruolo unico dei dirigenti dello Stato i dirigenti delle istituzioni scolastiche ed educative.

Gli stessi potranno essere collocati, all’interno del predetto ruolo unico, in una delle previste sezioni per le professionalità speciali in ragione della complessa funzione che sono chiamati a svolgere, integrante competenze di ordine gestionale, con diretta ed esclusiva responsabilità, e peculiari competenze di natura tecnico-professionale connesse alla qualifica di provenienza, senza pregiudizio della piena mobilità in uscita e dell’applicabilità degli istituti che connotano l’intera dirigenza pubblica.

Il rapporto di lavoro è regolato dall’unico contratto della dirigenza statale, ovvero in una sezione dello stesso, assicurandosi in ogni caso un trattamento economico complessivo non inferiore a quello delle altre figure dirigenziali.