Il merito, le spiegazioni ed i compiti a casa

Il merito, le spiegazioni ed i compiti a casa

di Francesco Scoppetta

 

Come spiegava ai suoi studenti il prof. John Keating (Robin Williams) nel film che è piaciuto a tanti, “L’attimo fuggente (1989)” di Peter Weir, per capire davvero bisogna saper cambiare il proprio punto di osservazione. Perciò li faceva salire sui banchi.

Ho l’impressione che anche dopo la L. 107/2015 ognuno continuerà a guardare fuori dal suo banco e vorrà (farci) credere che quella è la Realtà Vera. Dalla mia finestra vedevo il problema cruciale che ci pone la didattica tradizionale della lezione frontale, e che in parte i Regolamenti di riordino della scuola superiore di secondo grado (d.P.R. 15 marzo 2010) affrontano attraverso la scuola delle competenze. La didattica disciplinare tradizionale è basata sul seguente schema eterno “Spiegazioni + Assegno a casa + interrogazioni e compiti= voti”. Attraverso di essa si sono affermati i miti, scandagliati da Piero Romei, dello specialista disciplinare, un lavoratore autonomo che in ogni scuola mette i voti che vuole ed è in trincea contro la collegialità e nientedimeno l’organizzazione, valori appartenenti, essi dicono, insieme alle prove Invalsi, alla deriva aziendalista della scuola italiana. La scuola delle competenze deve invece fornire agli studenti saperi, saperi pratici e saperi critici, quelle competenze trasversali delle quali anche il mondo del lavoro ha tanto bisogno e che rappresentano il gap tra domanda e offerta di lavoro. E’ paradossale, il fatto che i giovani non trovino occupazione e le imprese viceversa alcuni profili professionali, non può non interessarci. Occorre convincerci che solo una parte di coloro che frequentano la scuola lo fanno per essere, cioè per apprendere disinteressatamente, in un dimensione umanistica della formazione, che non si propone una immediata utilità pratica di ciò che si è chiamati a studiare. Gli alunni, per capirci, non dovrebbero più sapere (avere 6): italiano, storia, matematica, ed. fisica…ma dovrebbero saper fare (abilità) alcune cose. Nel primo biennio di un istituto tecnico attraverso le Uda, le compresenze e la flessibilità dell’orario, le competenze trasversali da raggiungere sono: la capacità di imparare ad imparare, il problem solving, il team working, saper comunicare efficacemente, saper gestire il tempo. Ci dovrebbero essere solo verifiche intermedie e finali con i CdC, con 5 livelli di competenze. Il livello è fatto per migliorare, il voto ti etichetta. I voti farebbero capolino solo sulle pagelle (la contraddizione tra voti e livelli non è mia ma del sistema: Maurizio Tiriticco ha scritto molto bene su questo aspetto).

Insomma, andrebbero (e molte scuole lo stanno facendo) ripensati tempi e spazi della scuola, per es. attraverso la flessibilità dell’orario (ancora rigido e disciplinare) e la settimana corta. La settimana corta finora è un mezzo per spalmare le 32 ore in 5 giorni. Invece l’apertura pomeridiana per me è un sentiero stretto ma indispensabile per arrivare gradualmente ad una meta. Quale? Alle 32 ore di studio (matto e disperatissimo?). Lo schema tradizionale non funziona più da decenni perché lo studio a casa per fare i compiti riguarda gli studenti bravi, ed i bravi potrebbero finanche non venire a scuola la mattina e studiare da soli. Tutti gli altri, ragazzi normali e svogliati, a casa non studiano più (o pochissimo), a meno che non siano seguiti dalla famiglia. Bene, se questo è vero, la scuola italiana deve proporre un patto agli studenti: voi studiate (Attenzione: studiare…non venire, o stare a scuola) 32 ore settimanali a scuola e fuori di scuola sarete liberi dallo studio. Così a scuola non ci si dovrebbe limitare a spiegare e assegnare i compiti per casa, ma si farebbero insieme gli esercizi, si studierebbe sotto la sorveglianza del docente, si farebbe peer education e cooperative learning. Insomma, si imparerebbe. Nello schema tradizionale, ecco la partita del merito (ha ragione Stefanel, complessa ma non simbolica), il docente spiega e si auto-valuta 10, poi assegna per casa e mette i voti alla quantità di studio a casa. Studio al quale lui non ha assistito, per cui non sa quali difficoltà reali incontra il ragazzo. Lo intuisce un poco attraverso le interrogazioni ed i compiti ma ormai è troppo tardi perché il voto negativo è già stato dato. Per fare quello che si dovrebbe fare normalmente a scuola, e che sarebbe compito del docente di classe, aiutare lo studente a superare le difficoltà, il prof pretende l’attività aggiuntiva di recupero, pagata a parte, ma quando le uova sono già rotte, e il voto negativo è già sul registro. Invece della prevenzione dell’insuccesso si predilige la cura. La questione della Impossibile valutazione del merito andrebbe chiarita perché i sindacati, fateci caso, racchiudono tutta l’attività del professore sulla bontà della Spiegazione. Ed è vero, tutti i professori forse sanno spiegare bene, e comunque, dopo 10, 20 anni quasi tutti sono in grado di ripetere alla classe in maniera adeguata un argomento, ma solo pochi sono in grado e vogliono aiutare lo studente a migliorare le sue prestazioni. A capire i blocchi che incontra, i problemi didattici e di autostima che incontra. L’unica cosa che comunemente si dice per spiegare voti negativi è: Non studia oppure Non studia abbastanza. Le cause dell’insuccesso scolastico in genere al prof non interessano, è compito della famiglia, del docente privato, dello Stato, dello psicologo, indagare. Lui spiega poi interroga e mette il voto. Ecco perché tutti si ritengono bravissimi e non valutabili. E lo sono, i conferenzieri tutti lo fanno davvero bene, e la Mastrocola sicuramente era il massimo. Cambiare significa rimettere lo studente al centro della nostra attenzione. Guardare allo studente e non cantare più sempre la stessa canzone: “Me, myself and I”.

E infine, in futuro, occorrerebbe togliere di mezzo esami di licenza media o di Stato. Gli esami di ammissione andrebbero fatti dal ruolo successivo, scuole superiori e università. Per esempio, studenti che hanno finito la scuola primaria faranno un test di ammissione nella scuola superiore dove intendono iscriversi. Finita la scuola superiore, faranno un test di ammissione alla facoltà della città dove intendono frequentare. Vedremo finalmente la reazione di un genitore se il figlio non riesce ad entrare in una scuola o facoltà di prestigio. Altro che cento regalati e Invalsi boicottato.

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