Impariamo a festeggiare l’apprendimento

Meglio celebrare che premiare:
Impariamo a festeggiare l’apprendimento

di Giovanni Fioravanti

 

Che cattiva idea quella della ministra Giannini di istituire il premio per il miglior professore dell’anno. Una brutta copiatura di ciò che non può essere copiato, perché il Global Teacher Prize è unico per significato e consistenza: un milione di dollari.

E poi le parole contano, in particolare a proposito della scuola. Premiare significa ricompensare, presume una gara e una sua monetizzazione. Come tutte le competizioni divide. Premiare è sempre brutto perché esclude, esclude chi non si piazza, dunque, spiazza tutti gli altri. Quelli che nella graduatoria ci sono, ma non si sono collocati nell’area degli eletti. Neppure più si premiano i bambini e perché allora ripristinare le medaglie al merito per gli insegnanti? L’impressione è che scarseggino le idee.

La professione docente, come tutte le professioni di relazione, richiede d’essere esercitata da tutti al meglio e non si possono fare gare sull’istruzione e la crescita delle persone, come non si possono fare gare sulla loro cura e salute. Quei denari utilizziamoli per idee migliori.

Mi permetto di suggerirne una, che non è mia, ma che ormai si realizza in diverse parti del mondo.

Dovremmo imparare tutti che apprendere è bello, che è bello apprendere per tutta la vita, che apprendere non è noioso, non è una condanna, può essere faticoso ma ne vale la pena. Tutta la nostra vita è fondata sull’apprendimento e molto della sua realizzazione e della sua felicità dipende proprio da quanto tutti siamo impegnati nell’apprendere.

Premiare è una parola che divide, celebrare, invece, unisce, assembla. Perché non celebrare, non festeggiare quanti sono impegnati a studiare, a conoscere, ad apprendere? Dall’infanzia all’età adulta, a scuola, come fuori della scuola, nel lavoro, nel territorio, a casa propria, nell’apprendimento formale, come in quello non formale e informale.

Si chiama apprendimento permanente, apprendimento per tutta la vita e si celebra con il Festival dell’Apprendimento, il Learning Festival, che ormai diverse città nel mondo da Dublino a Sapporo celebrano ogni anno.

La buona scuola mi sembra che prevedesse il pieno coinvolgimento delle persone per la sua piena realizzazione. Cosa c’è di meglio di un Paese che crede nella conoscenza, nella sua massima diffusione, che incita tutti ad apprendere, a sapere, a conoscere, che è vicino ai suoi giovani che sono impegnati a studiare, che dimostra la propria riconoscenza per gli sforzi che compiono, che è interessato a condividere quanto ogni giorno avviene nelle aule delle scuole e delle università, il Festival dell’Apprendimento è l’occasione per condividere e celebrare tutto ciò, per riflettere, confrontarsi, dialogare e migliorare.

Anziché fare della scuola e dell’apprendimento il luogo di tanti individualismi, di docenti e discenti, di singoli istituti contro altri, fare dell’apprendimento una risorsa collettiva, una collettiva condivisione, che non esclude, ma coinvolge tutti. Si tratta di fare crescere una partecipazione e uno spirito nuovo intorno ai temi dell’apprendimento, della conoscenza, dei saperi e certamente realizzare in ogni città il Festival dell’Apprendimento sarebbe un modo per iniziare.

Far scoprire alle città che esse non vivono delle sole risorse economiche e turistiche, ma c’è in ognuna di esse una risorsa fondamentale in capitale umano, che non può restare nascosta, che va messa in mostra, onorata e riconosciuta. È la risorsa dei tanti cittadini, piccoli e grandi, che sono impegnati a studiare, a sapere, a ricercare, dalle scuole alle università, alle biblioteche, ai luoghi dove gli adulti si incontrano per apprendere.

Alleare alle loro città i luoghi dell’apprendimento diffuso, dagli asili alle scuole, alle università, ai centri di istruzione per gli adulti, alle istituzioni che fanno e forniscono cultura e conoscenza. Far emergere una rete di condivisione, mettersi in mostra, uscire dagli edifici che sono le scatole chiuse del sapere, la morte degli apprendimenti, mettersi in piazza e festeggiare. Restituire allegria, piacere all’apprendimento è un modo importante anche per stare vicino ai piccoli e ai giovani, par far sentire loro che non li abbiamo condannati al banco dell’aula, ma che loro e quello che studiano, e i loro risultati e il tempo di vita che impiegano in classe sono importanti per tutta la città, per tutto il Paese, che nutrono attese e aspettative, che sono intorno, non per chiamarsi fuori, ma per aiutare, per condividere, per essere solidali.

È così difficile imboccare questa strada di cultura e di sensibilità, anziché incartarsi nei premi e nelle competizioni?

La buona scuola ha bisogno di polmoni nuovi, in grado di respirare un’aria nuova. Scuola, Università, saperi, conoscenze possono crescere se il Paese dimostra che ha davvero interesse per tutto ciò, se pensa che contano, che sono indispensabili come l’aria che si respira.

Forse anziché premiare il docente migliore, incominciamo a pensare che chiunque studia e si mette in gioco per apprendere a qualunque età è già migliore, e ciò che merita è il sostegno di chi gli sta intorno, il paese, le persone, la città.