E adesso cosa succede?

E adesso cosa succede?
Un punto di vista

di Alessandro Basso

 

Il dibattito sulla buona scuola si è arenato, come giusto che fosse, per lasciar spazio alla dialettica politica di questi giorni. È passata una sola settimana dal referendum costituzionale e sento la necessità di portare un contributo attraverso una riflessione ad alta voce proprio sul tema.
Magari riesco a stimolare anche una considerazione dell’amico Stefano Stefanel anch’egli così silente negli ultimi giorni.
Non siamo digiuni del fatto che la scuola sia tirata in ballo quando occorre, anche negli ambienti politici e di questo sicuramente non ci scandalizziamo, adesso l’importante è che l’intera partita venga gestita in modo razionale perché dobbiamo evitare di “buttare via il bambino con l’acqua sporca”.

Nel mondo della scuola il cambiamento non deve venire adesso a tutti i costi e a qualunque costo perché i principi della legge 107, in qualche modo, vanno portati a termine perché si rischierebbe in caso contrario, di riportare quel caos che con gran fatica abbiamo cercato di governare nei mesi passati dalla base, con grande senso dell’equilibrio e, possiamo dirlo senza timore di smentita, anche con un pizzico di bravura delle tanto vituperate scuole autonome e degli uffici locali.

Tradotto, speriamo non si arrivi a una frettolosa controriforma, solo per sistemare gli animi delle varie correnti, tanto più se gestita senza un seguito accurato da parte dell’apparato tecnico e amministrativo.
Sarebbe fin troppo facile affermare che l’avvio di quest’ anno scolastico è stato disastroso, ma sarebbe altrettanto facile distruggere tutto senza un minimo di raziocinio.
Occorre registrare, forse anche con rammarico, che ciò che non ha funzionato nell’applicazione della buona scuola è stata la mancanza di un presidio e non solo di natura politica, con degli effetti straripanti in varie sedi.
Colpivano, già a suo tempo, le affermazioni di un tal sottosegretario rispetto ad alcuni accordi di secondo livello che andavano nella strada opposta a quella del senso della legge e delle dichiarazioni del Ministro. Stridono alcune parole contenute nel comunicato in accompagnamento all’accordo sindacale per il rinnovo dei contratti. Un accordo che, spero di essere smentito, è stato il più veloce della storia perché è scomparso dal tavolo della trattativa in men che non si dica. Questo accordo prevedeva, almeno livello di principio, la delegificazione di alcune materie da riportare al tavolo della contrattazione, principio contro il quale mi schiero non per la gratuita idiosincrasia che posso avere nei confronti di alcune scelte dei sindacati, ma della mancata assunzione di altri principi che prevedono, al contrario, di riportare all’ambito di legge la sfera decisionale e organizzativa: un passaggio fondamentale per la cementazione dell’autonomia scolastica, guarda caso principio alla base della buona scuola.
La macchina organizzativa della riforma si è scontrata, proprio in fase applicativa, con l’ambito decisionale di secondo livello giacché si è tentato di accontentare un po’ tutti. Forse sembrerà banale come affermazione ma rappresenta, a mio avviso, molto bene la realtà dei fatti.
Questo è quanto è accaduto ad esempio con l’allocazione del personale che è stato assunto con incarico a tempo indeterminato e ha coperto l’organico dell’autonomia ma, contemporaneamente, ha avuto la possibilità di riprendere in mano la valigia nella stessa giornata e di poter legittimamente tornare da dove era venuto (ripeto, legittimamente e comprensibilmente).  Mi sono chiesto diverse volte se fosse stato impossibile fare un accordo per fare in modo che queste persone rimanessero direttamente al loro posto dando la possibilità alle scuole dove si rendevano disponibili i posti di poter assumere altrettanti docenti, così, tanto per far partire la scuola a settembre, termine temporale che per i professionisti non è un vezzo d’altri tempi.

La partita che ci giochiamo su questi principi, in sede locale, è quella della serietà e della continuità del servizio; siamo riusciti in qualche modo a venirne fuori, ma non penso saremo in grado di ripetere questa operazione il prossimo anno scolastico. E questa partita, lo sanno bene i tecnici, andrebbe affrontata subito, sapendo bene che il giorno dopo che si sono chiuse le iscrizioni si avvia la macchina per la costituzione degli organici: così funziona la scuola, così dovrebbero imparare a farla funzionare le figure preposte.

Sarebbe un peccato che si smantellatasse l’intero impianto della chiamata diretta, perché il principio fin dove lo si è potuto applicare, è stato innovativo, sicuramente potrebbe essere perfezionato con un po’ più di coraggio, però si è trattato pur sempre un punto di partenza. Parimenti ho ritenuto di grande pregio il vincolo della permanenza triennale degli insegnanti neoassunti, principio che si è sciolto come il sale nell’acqua e ha prodotto, di fatto, la permanenza di pochissimi insegnanti neo assunti.

In questo momento delicato, sarebbe fin troppo facile dire cancelliamo la buona scuola, ma non penso sia la strada giusta. Prendiamola in mano, sentiamo la base, sentiamo anche i sindacati, ma lasciamo sedimentare alcune innovazioni cercando di capire quali possano essere i miglioramenti assumibili: non è questo il momento di nuovi paradigmi, le idee ci sono, diamo loro gambe per camminare.