Parlare italiano per Tullio De Mauro

Parlare italiano per Tullio De Mauro

di Bijoy M. Trentin

 

Passando in rassegna gli scaffali della biblioteca per rintracciare tutti i libri posseduti di Tullio De Mauro, ritrovo Parlare italiano. Antologia di letture per i bienni della scuola media superiore. Con una storia illustrata della città italiana a cura di Bruno Zevi, edito da Laterza (Bari) nel 1972.

La proposta di De Mauro è ancora attualissima, mira ad affinare la comprensione e la produzione linguistica, che è sempre anche culturale: «sapersi fare capire nel modo migliore e più adatto e, prima ancora, capire senza subire passivamente, ma, al contrario, dominando la molteplicità degli stili e dei linguaggi, è affare di tutti, è un diritto civile primordiale» (p. VI).

Si tratta di un libro tutto-testi (diversamente dalle odierne antologie scolastiche…): in 1191 pagine dedicate prevalentemente agli autori italiani, della cultura italiana, vi sono «più di trecentocinquanta passi, inquadrati e commentati dal punto di vista storico-culturale e dal punto di vista linguistico e stilistico.

Essi sono tratti dal linguaggio e dalle scritture di carattere familiare, privato, informale (registrazioni di testi parlati, testimonianze, lettere e diari personali); dalla prosa tecnica e da quella politica, storica, scientifica, dalla prosa giornalistica, oltre che, naturalmente, dalle forme più alte della letteratura in prosa e in versi» (p. VII).

Nel volume, vi è una marcata pluralità di testi, di registri, di orientamenti (letterari, filosofici, politici ecc.), di lingue (sono inclusi anche alcuni testi dialettali), che mira a un’articolata comprensione del panorama storico italiano non solo linguistico ma anche più ampiamente, ovvero antropologicamente, culturale.

La varietà testuale, e quindi, per i discenti e i docenti, la ricchezza delle possibilità di fare variegate esperienze culturali, è ravvisabile
anche nella coraggiosa scelta complessiva di autori operata: oltre ai più canonici letterati dal Medioevo alla contemporaneità (da Dante a Bembo, da Galilei a Verga, da Gozzano a Calvino), si ritrovano insieme testi di Benedetto Croce e Edoardo Sanguineti, di Giovanni Gentile e Antonio Gramsci, di Benito Mussolini e di sette condannati a morte della Resistenza.

La finalità della proposta è quella di educare non solo la lingua dei discenti (e dei docenti) ma anche il loro pensiero critico e la loro capacità di muoversi in modo autonomo, libero e aperto in più paesaggi culturali: «naturalmente, alla ricerca di testi esemplari per semplicità, per rigore, per autenticità espressiva, ed anche cercando altri testi, quelli esemplari nella negatività, di continuo è accaduto di dover mettere a fuoco personalità, situazioni umane e storiche, problemi di cultura, scelte morali e politiche di grande rilievo nella nostra storia e nella nostra vita sociale contemporanea. Attraverso la storia e l’analisi degli stili dominanti nella nostra società si delineano vicende e problemi di tutt’intera la nostra tradizione e organizzazione civile. Il risultato dell’analisi linguistica e stilistica è anche d’ordine storico e culturale. […] I modelli del passato e del presente vengono qui proposti come oggetto di osservazione, perché attraverso tale osservazione i giovani imparino a meglio costruire i modi inediti e nuovi di dire le cose nuove che la nostra società attende» (pp. VII-VIII).

Rimanendo ai classici, nell’Appendice dedicata agli Scrittori stranieri in italiano, si incontrano anche i più ‘tradizionali’ Shakespeare, Melville e Omero tradotto da Vincenzo Monti (1810-1825) e Saffo tradotta da Salvatore Quasimodo (1940).

Spostandosi, invece, alla contemporaneità, si trova anche la recentissima (18.10.1965) Lettera ai giudici di Lorenzo Milani, uno dei testi più densi e intensi del priore di Barbiana, che si difende dall’accusa di apologia di reato (l’obiezione di coscienza) mossagli da un “gruppo di ex combattenti” sulla base della Lettera aperta ai cappellani militari (11.02.1965): don Milani fu assolto nel 1966, ma condannato nel 1968, un anno e quattro mesi dopo la sua morte; e – a proposito di «cose nuove che la nostra società attende» – non passa inosservato il fatto che il volume che sto sfogliando è stato stampato nel marzo del 1972 e che la legge sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza è del 15 dicembre dello stesso anno (n. 772).