Errori di sistema

Errori di sistema

di Maria Grazia Carnazzola

  1. Introduzione.

Rientro sì, rientro no, rientro forse. E poi rientro come e perché, questo è l’interrogativo vero. Situazione complessa, complicata, confusa.  Sono tante le domande ma, forse, non così tante sono le risposte possibili, per molti motivi. Alcuni riconducibili al ruolo e alla funzione che la scuola ha nell’educazione dei giovani, quindi al suo specifico che viene inteso come insegnamento/apprendimento di conoscenze e del loro utilizzo, di modi di pensare, di sentire e di socialità perché ciascuno possa diventare quello che ancora non è. Altri chiamano in causa la funzione che il sistema scuola svolge all’interno di un contesto più ampio, in termini di educazione formale, per rispondere alle richieste che arrivano dal mondo politico e sociale, dal mondo della produzione e del lavoro. La scuola è chiamata a rispondere a entrambe le istanze, avendo cura preliminarmente di verificare che le richieste esterne siano motivate da esigenze di sviluppo e di crescita dei giovani, per una piena cittadinanza attiva e un personale progetto di vita, con traguardi e obiettivi costruiti da loro e non per loro, pur all’interno del sistema di vincoli esistente. Quale filosofia, quindi, dietro i percorsi di formazione/istruzione? Intendendo per filosofia quello che Dewey intendeva: l’insieme delle idee articolate in modo coerente. Perché per promuovere un pensiero critico, come tutti i documenti programmatici delle scuole di ordine e grado dichiarano, bisogna che chi nella scuola opera possegga una coscienza critica, una consapevolezza del proprio sapere disciplinare, psico-pedagogico e didattico, nonché del proprio ruolo e della propria funzione dentro l’organizzazione del sistema. E sottolineo: del proprio ruolo e della propria funzione, sia per le modifiche di superficie immediatamente attuabili sia per i cambiamenti strutturali che si rendono necessari nella contingenza.

2. Sbagliare è umano e… inevitabile.

Non è infrequente, quando si parla di scuola, così come quando si parla di medicina- i due settori di cura per eccellenza- che la frustrazione derivante da un qualsiasi disservizio si riversi nel rissoso e incontrollabile mondo dei social e che le mancanze, anche quelle riconducibili alla imprevedibilità del caso e della situazione- e quindi non imputabili a negligenza- diventino una gogna per il singolo docente, per il dirigente, per la scuola tutta che viene messa alla berlina. C’è bisogno di un colpevole; se le cose fatte bene sono merito di tutti, per l’errore ci vuole un responsabile. E se anche il colpevole non lo si trova non ci si scompone: l’importante è che si sappia tutto dell’errore, attraverso narrazioni, che sono cosa diversa dalle spiegazioni. La narrazione è una forma di affabulazione che gioca non tanto sulla realtà quanto sulla similitudine e sulla metafora, modalità che permettono di parlare di qualcosa parlando d’altro. Motivo per il quale, probabilmente, sui temi scottanti che riguardano ad esempio la scuola, la medicina, l’economia, la politica, si sentono più gli opinionisti che gli esperti, quelli che con molta probabilità saprebbero spiegare, e non solo narrare, anche gli errori.

E saprebbero spiegare che nelle organizzazioni complesse, come la scuola e la sanità, l’errore è un fattore intrinseco di sistema che deve essere visto come una eventualità ineliminabile e quindi, in quanto ammissibile, non necessariamente riconducibile a imperizia o peggio a colpevoli mancanze. Gli errori “di sistema”, quindi, sono ineliminabili e aumentano nelle situazioni di emergenza in cui la complessità si intreccia con l’urgenza e lo stress. Per esempio, in sala operatoria, nei casi di protesi al ginocchio, le infezioni periprotesiche si attestano intorno a una soglia del 5% sotto la quale a tutt’oggi non si riesce ad andare. 

3. L’errore va riconosciuto.

L’errore va sempre riconosciuto e utilizzato come elemento di miglioramento e di progresso in tutti i settori dell’esperienza, a livello pratico e a livello teoretico. Ma i fattori di rischio possono spiegare l’errore, non giustificarlo o negarlo. Si può sempre parlare di errore di sistema allora? Certamente non quando c’è intenzionalità di nuocere o negligenza perché anche se le azioni non sfociano necessariamente in un danno, viene ostacolato/ritardato un esito positivo, il “meglio possibile” per la comunità e qui è necessario il rimando all’etica e alla deontologia. Vi è, invece, errore quando sono presenti una scelta e la responsabilità relativa a quella scelta. Se guardiamo al mondo della scuola, di scelte ne sono state fatte e se ne stanno facendo molte, magari non tutte nel verso giusto, e la confusione è grande. Si sono scelti l’organizzazione del rientro, il modo di suddividere gli alunni, l’orario delle lezioni, le procedure di sanificazione, il tipo di banco… pur lasciando sullo sfondo il problema, fondamentale, dei trasporti scolastici, delle assunzioni di nuovo personale, dei nuovi concorsi, della formazione dei docenti.  Non si è scelto, ad esempio, di promuovere una urgente e approfondita riflessione sui cambi di paradigma che l’uso delle tecniche e degli strumenti del digitale producono sui processi di insegnamento/apprendimento e sulla loro valutazione. Anche non scegliere è una scelta. Se la scuola non è semplicemente un posto dove si va, ma anche qualcosa che si fa, che cosa vanno a fare i ragazzi a scuola? Per sanificare le mani, tenere le distanze, stare seduti…; anche, ma potrebbero farlo ovunque. Ci vanno per acquisire conoscenze relative alle discipline, a sé stessi, alla realtà che attraversano ed imparare ad orientarsi e ad agire consapevolmente. Ma se i vecchi paradigmi interpretativi e le regole per connotare i fatti della vita non funzionano più, come pare in questo particolare momento, bisogna che la scuola proponga un pensiero forte e critico per un impegno civile e politico. Non può, come direbbe Watzlawick, “fare ancora di più la stessa cosa”. Poniamo lo scontro in atto nel mondo della scienza tra chi sostiene che il virus Corona non c’è più e chi, basandosi sulle evidenze dei dati, sostiene che è più virulento di prima. A chi credere? Di quali “esperti” ci si può fidare? Sappiamo che la disinformazione viaggia nella rete veicolando notizie fasulle e pseudoscientifiche, propagandate da sedicenti esperti magari in malafede. Se dietro all’informazione non c’è un solido pensiero scientifico fondato su valori etici e di democrazia, se dietro ci sono interessi di parte   i valori diventano slogan. Vale la pena di ricordare che, in origine, slogan stava a significare “grido di guerra di un clan”.  La disinformazione non rientra tra gli errori di sistema. Questo la scuola lo deve insegnare.

4. Conclusioni.

Personalmente fatico ad accettare che, anche da parte di chi è in questo momento al governo, è difficile riscontrare quei comportamenti che rimandano alle categorie ideologico-filosofiche su cui dovrebbe fondarsi la gestione politico-amministrativa, mentre si individuano comportamenti che richiamano, piuttosto, quella che oggi viene definita identità emotiva: sono scomparsi i discorsi politici che riguardano la scuola e le sue finalità, la figura dell’insegnante e la sua formazione. Ma è difficile anche trovare il programma politico di governo che indichi con chiarezza la rotta generale, pur curvata sugli ambiti- sanità, industria, giustizia, scuola…- a cui ricondurre, per una giusta comprensione, le eventuali necessarie variazioni in relazione alle contingenze, riconoscendo sempre la linea generale o i discostamenti.  Si è al governo, e si è pagati, è per fare gli interessi della Nazione, non i propri. La mancanza di una visione generale diventa oggi crisi della politica che non riesce più a convincere né a giustificare né tanto meno a governare con coerenza. Questa idea che chiunque possa governare, scegliere e decidere per gli altri senza competenze specifiche, veicola la convinzione che la formazione non serva. E se la formazione non serve ai politici, perché mai dovrebbe servire ai docenti o ai ragazzi? Messe così le cose, hanno senso gli esami di maturità come sono stati fatti. E ha senso anche che la politica non pensi per la scuola un chiaro progetto teoretico, per esempio indicando piste di lavoro che declinino i goals dell’Agenda 2030 correlandoli alle competenze trasversali e disciplinari, con finalità esplicitate e obiettivi chiari e verificabili concretamente. E trovano un significato anche gli insulti tra i politici per i copiosi rispettivi strafalcioni e ignoranze: il bue continua a dare del cornuto all’asino.  Come si fa a spiegare ai ragazzi che comprendere il pensiero degli altri e far comprendere il proprio è fondamentale per una comunità; che la competenza lessicale non è un vezzo, perché dietro le parole ci sono i concetti che rappresentano culturalmente la realtà e che l’incongruenza tra i fatti e la loro rappresentazione può essere fonte di errore; che parlare e scrivere male vuol dire pensare male. Ci sono errori, dicevo, che non dipendono dalle scelte, errori che non possono essere evitati e che sarebbe ingiusto e ingeneroso imputare alle persone. Ma che vanno riconosciuti e considerati perché sarebbe debolezza di pensiero e mancanza di onore negarli. Ce ne sono altri, invece, frutto di scelte sbagliate e incompetenti per i quali bisognerebbe chiedere che si risponda e si paghi, almeno in termini di credibilità e di reputazione, perché quando la scelta sbagliata danneggia la comunità intera nel presente e nel futuro, non basta riavviare il sistema. Come si farebbe con il computer.

BIBLIOGRAFIA

G. Antonelli, Volgare eloquenza, Laterza e figli SPA, Bari 2017;

J. Dewey, Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1955;

M. Dorato, Disinformazione scientifica e democrazia, Cortina Editore, Milano 2019;

G. Giorello – P. Donghi, Errore, Il Mulino, Bologna 2019;

C. Sini, Lo spazio del segno, Jaca Book, Milano 2017;

P. Watzlawick, Guardarsi dentro rende ciechi, Salani Editore, Milano 2018.