L’apprendimento permanente si manifesta (o non) già a 15 anni

da Il Sole 24 Ore

di Giuliana Licini

L’atteggiamento verso lo studio degli adolescenti è un buon indicatore su quello che faranno in futuro, inclusa la scelta di andare all’università o la professione a cui ambire. Gli studenti che a 15 anni hanno sviluppato alti livelli di motivazione e di fiducia nelle proprie capacità più probabilmente cercheranno opportunità di apprendimento nelle fasi successive del loro iter e le coltiveranno nell’età adulta, ben oltre il percorso scolastico. È già da adolescenti, insomma, che si intravvede il profilo del ‘lifelong learner’, ovvero chi per tutto l’arco della vita mantiene la voglia di imparare, di ampliare le proprie competenze o acquisirne di nuove, una disposizione cruciale per stare poi al passo con le rapide trasformazioni del mercato del lavoro. Nell’immediato, nella crisi provocata dal Covid-19 con aule chiuse e lezioni a distanza, un atteggiamento positivo verso l’apprendimento è vitale per restare ‘connessi’ alla scuola. E al proprio futuro.

L’attitudine degli adolescenti
Come sottolinea lo studio ‘Skills Outlook’ dell’Ocse, dedicato alle competenze, diventare un ‘discente a vita’ è un processo cumulativo, che inizia dall’infanzia e in cui gli insegnanti e i genitori hanno un ruolo cruciale. Analizzare l’atteggiamento verso l’apprendimento degli adolescenti è, d’altro canto, importante, perché si tratta di un’attitudine che si sviluppa fino a 20 anni e quindi a 15 anni si può ancora intervenire per aiutare a correggere la rotta. In generale, sono gli studenti svantaggiati, quelli con un background di immigrati oppure, quanto al genere, i ragazzi ad avere sviluppato un atteggiamento considerevolmente meno positivo verso lo studio a 15 anni. A parte migliori risultati scolastici in generale, alcuni specifici indicatori fanno da corollario alla propensione all’apprendimento continuo. Tra questi il principale è il piacere della lettura, che è un importante presupposto per diventare un discente efficace, porta a maggiori abilità di scrittura e complessivamente a maggiori conoscenze.

Il piacere della lettura
Sulla base dei test Ocse/Pisa, paragonando studenti con uguale status socio-economico, genere, età e stato di immigrazione, come pure tipologia e indirizzo della scuola, i voti nei test di comprensione dei testi degli studenti con i livelli più alti di piacere nella lettura sono di 66 punti più elevati di quelli degli studenti che amano poco leggere. L’Italia risulta in media superiore all’indice Ocse e lo fa soprattutto grazie alle ragazze, che amano leggere molto più dei loro compagni di classe, come avviene del resto nell’intera Ocse, dove in media le 15enni mostrano un piacere a immergersi nei libri del 60% superiori ai loro coetanei. Le adolescenti, per contro, hanno livelli inferiori di auto-efficacia, che è la percezione che abbiamo di noi stessi, la fiducia o meno in quello che siamo in grado di fare, esprimere o diventare. E’ un altro degli indicatori della ‘learning attitude’ e risulta maggiore tra gli studenti che hanno almeno un genitore laureato ed è, per contro, inferiore tra gli studenti immigrati.

Il ruolo dei docenti
Tra i fattori che determinano la formazione di un atteggiamento positivo verso l’apprendimento permanente, gli insegnanti e i loro metodi hanno un peso particolarmente rilevante. Gli studenti che percepiscono che i loro insegnanti sono più incoraggianti rispetto al loro apprendimento, sviluppano una maggiore voglia di imparare di chi non riceve tale sostegno. L’entusiasmo dei prof per la materia che insegnano, le loro interazioni con gli studenti e la loro capacità di stimolarne le abilità critiche possono aiutare a raggiungere gli obiettivi dello studio, rafforzare la motivazione, l’auto-efficacia e il piacere nella lettura degli studenti. In generale, riferisce il rapporto, gli insegnanti più entusiasti sono quelli delle scuole con composizione socio-economica avvantaggiata e quelli degli istituti privati. L’Italia non fa eccezione, avendo per altro livelli di entusiasmo degli insegnanti inferiori alla media Ocse. La capacità dei docenti di influire sull’attitudine degli studenti verso lo studio – sottolinea il rapporto – è legata al sostegno che loro stessi ricevono dalla scuola e più ampiamente dal sistema di istruzione e fornire loro opportunità continue di formazione o sviluppo professionale, soprattutto se integrate nella loro giornata lavorativa, può promuovere metodi di insegnamento efficaci.

La condizione familiare
Tra gli aspetti determinanti nel favorire una mentalità positiva verso lo studio, vi è l’atteggiamento e lo status delle famiglie. Quando i genitori forniscono un supporto emotivo ai figli, si sentono coinvolti nella loro vita scolastica e danno sostegno ai loro sforzi, aumentando la loro fiducia, questi bambini/ragazzi hanno maggiori probabilità di interiorizzare una forte attitudine all’apprendimento continuo. Anche gli studenti i cui genitori amano discutere di temi sociali e politici e ne parlano con loro, tendono a sviluppare una maggiore propensione in questo senso. Una discriminante sono, al solito, le condizioni socio-economiche o lo status di immigrato: i genitori che rientrano in questi ambiti hanno più difficoltà nel dare sostegno emotivo ai figli sui temi scolastici, sono meno coinvolti per mancanza di preparazione, informazioni o semplicemente di tempo e questo riduce la propensione al ‘longlife learning’ dei figli. Del resto, la provenienza socio-economica degli studenti incide molto sulle loro aspettative e quindi sui loro obiettivi. Il 77% degli studenti con almeno un genitore laureato prevede di completare l’università contro il 57% degli studenti con genitori meno istruiti e l’84% degli studenti con genitori in professioni di status elevato, prevedono di essere occupati a loro volta in professioni altamente qualificate quando avranno 30 anni, mentre ad avere la stessa ambizione è solo una netta minoranza degli studenti svantaggiati.

L’impatto della pandemia
In questo contesto, già complesso, ha fatto irruzione il Covid-19. Le soluzioni come la Dad sono opzioni opportune se paragonate all’interruzione completa delle lezioni, ma probabilmente – indica lo studio – rallentano progressi di apprendimento e ampliano le disparità sociali rispetto allo scenario normale. Stando alle prime evidenze, le lezioni a distanza hanno portato a perdite nel processo di apprendimento soprattutto tra gli studenti più giovani e tra quanti hanno un background svantaggiato. Oltre ai problemi infrastrutturali, quali le connessioni internet o la disponibilità di un pc a casa, altri problemi hanno influito negativamente. Molti insegnanti e studenti (e le loro famiglie) erano impreparati ad affrontare bruscamente le lezioni online. Gli studenti meno esperti nell’uso delle tecnologie ne hanno risentito maggiormente e tra gli insegnanti sono emerse grandi differenze non solo nell’esperienza con gli strumenti digitali, ma anche nella motivazione ad insegnare in spazi digitali.

I rischi a breve e medio periodo
L’assenza di una supervisione diretta da parte di un insegnante e la mancanza dell’effetto ‘compagni di classe’ può avere indotto i più giovani e vulnerabili a fare meno attenzione alle lezioni e meno sforzi nell’apprendimento, se non addirittura a ‘staccare la spina’. Con la Dad gli studenti hanno dovuto fare maggiormente leva sulle proprie personali motivazioni ad apprendere, sull’auto-regolamentazione, così come sul sostegno e sui controlli dei genitori. Chi era già in difficolta su questi fronti, ha trovato nella scuola online un ostacolo ancora maggiore. Nel breve termine, la pandemia potrebbe portare a un aumento degli abbandoni scolastici. Nel medio e lungo termine potrebbe causare un minore coinvolgimento nell’apprendimento continuo, proprio nel momento in cui tutti sono chiamati ad assicurare un maggiore impegno nel ‘lifelong learning’ per fare fronte ai cambiamenti strutturali causati dalla pandemia.