N. D’Onghia, Siamo relazione

Nicola D’Onghia, Siamo relazione. Neuroscienze e Teologia: un incontro possibile, Cittadella, 2020

LA RELAZIONE: L’ONTOLOGIA COSTITUTIVA DELL’ESSERE DELL’UOMO

di CARLO DE NITTI

Il rapporto tra l’anima ed il corpo (cartesianamente res cogitans e res extensa) scienza/ragione e la fede/teologia, tra il “materiale” e l’”immateriale”, è antichissimo, rimonta al mondo classico (Platone docet), attraversando tutta la storia della filosofia fino ai giorni nostri. Nel XXI secolo, la nuova frontiera di questo rapporto è collocata tra le neuroscienze e la filosofia/teologia, che non sono due mondi irrelati, ma scienze che insistono sul medesimo argomento l’uomo e la sua vita.

Di questo si occupa l’ultimo lavoro bibliografico di Nicola D’Onghia, Siamo relazioni. Neuroscienze e Teologia: un incontro possibile, edito da Cittadella nel dicembre 2020, non a caso prefato da Francesco Bellino, bioeticista, che è stato, nell’Università degli Studi di Bari, il Direttore del primo corso post lauream in Bioetica organizzato in un’università pubblica italiana (di cui chi scrive ha avuto l’onore di essere allievo), nonchè fondatore dell’omonimo Dipartimento universitario, nel lontano anno accademico 1987-88. <<Le neuroscienze costringono a ripensare le nozioni di coscienza, libero arbitrio, persona, felicità, male>> (p. 5).

Di questo è tanto altro occupa il volume di Nicola D’Onghia, sacerdote diocesano, direttore e docente dell’Istituto di Scienze Religiose Metropolitano “San Sabino” di Bari e docente dell’Istituto Teologico “Santa Fara” di Bari, che ha al suo attivo già altre monografie sull’argomento, sviluppate negli ultimi dieci anni, Il concetto di anima tra neuroscienze e teologia (2011) e Neuroscienze ed interconnessione dei saperi. La persona relazione di anima e corpo (2015).

La relazione come realtà ontologicamente costitutiva dell’essere dell’uomo è sottolineata dal predicato nominale che dà il titolo al volume: il predicato nominale “siamo relazione” è un unicum con il soggetto sottinteso “noi”. Non già, quindi, un “io” ma un “io”, un “tu” ed un “voi” che, insieme, costituiscono un “noi”.

La relazionalità, come dimensione originaria dell’essere umano, è un concetto acquisito sin dall’aristotelico “animale politico” e che corre lungo tutta la storia del pensiero occidentale, anche nel pensiero “laico”: basti pensare, nel Novecento, anche limitandosi all’ Italia, all’evoluzione del pensiero di Enzo Paci (1911 – 1976) o alle argomentazioni sull’originarietà della relazione nell’ambito della comunità umana di Giuseppe Semerari (1922 – 1996).

A chi scrive – antico studente barese, ma anche “lettore semplice” dei due autori testé citati, – pare che l’interessante volume di Nicola D’Onghia apra al lettore una diversa prospettiva nel medesimo campo di ricerca: la prospettiva di chi considera che l’altro da sé è soprattutto l’Altro da cui tutto trae origine.

L’essenza dell’essere umano è la relazionalità con gli altri e con l’Altro: egli nasce ‘plurale’. L’io con la sua onnipotenza ha messo in crisi le istituzioni sociali plurali – la famiglia, i sindacati, i partiti politici  – e, quindi, l’intera società, nonché creato la massima disparità tra ricchi e poveri sull’intero pianeta, mettendo in crisi l’humanitas come finora è stata conosciuta e praticata.

Il denso volume qui recensito si articola in un’Introduzione (pp. 9 – 15), una Premessa (pp. 17 – 25), quattro capitoli – Il sistema nervoso centrale un network di network (pp. 27 pip – 42), La persona tra dualismo, monismo e complessità (pp. 43 – 70), Un’identità complessa (pp. 71 – 84), Neuroscienze e teologia: un incontro possibile (pp. 82 – 162) – una Conclusione (pp. 163 – 166) ed è corredato da un’amplissima bibliografia (pp. 167 – 181). Il fulcro dell’argomentazione dell’Autore è collocato, com’è di tutta evidenza, nel capitolo quarto che, non casualmente, fornisce il titolo all’intero volume.

Nel nostro tempo, rapidamente trasformatosi in “postmoderno” (Jean – François Lyotard, 1924 – 1998) prima, e “complesso” poi (Edgar Morin, 1921) ed, infine, “liquido” (Zygmut Bauman, 1925 – 2017), l’epistemologia non è più quella “dualistica” concepita nel XVII secolo da René Descartes (1596 – 1650), ma quella “complessa” (dal latino cum – plexus, tessuto insieme), che consente di superare il dualismo della tradizione occidentale che ha caratterizzato l’età moderna (al netto dell’escamotage cartesiano della ghiandola pineale) e generato lo scetticismo humeano, fino all’ich denke, l’io penso, l’appercezione trascendentale pura, teorizzato da Immanuel Kant (1724 – 1804).

Oggi, superato il riduzionismo della scienza alla sua sola sintassi interna e valorizzato il suo télos, la sua intenzionalità umana rispetto ai fini dell’uomo – come affermato da Edmund Husserl (1857 – 1938) – è stato compreso che <<la psiche umana si costruisce e si consolida grazie a una circolazione intersoggettiva tra sé e l’altro>> (p. 85).

Tanto anche grazie alla scoperta, negli anni ‘90 del secolo scorso, dei neuroni specchio, <<dotati della particolare e sorprendente proprietà di attivarsi non soltanto quando si compie direttamente un’azione, ma anche quando si osserva la stessa azione compiuta da un altro, si pone come evidenza della predisposizione neurobiologica dell’essere umano all’intersoggettività. Questa capacità neuronale di rispecchiamento non riguarda solo la sfera motoria, ma anche quello percettiva ed emozionale e ha implicazioni importanti per i processi di identificazione e dell’empatia. Si comprende l’azione e l’emozione dell’altro, solo imitando e riproducendo nel proprio corpo l’azione e l’emozione di chi è di fronte>> (p. 86).

E’ la svolta relazionale che fa incontrare per agire su di un terreno comune le neuroscienze e la teologia: basti pensare a Martin Buber (1878 – 1965) per il quale il soggetto e l’intersoggettività sono sincronicamente complementari: “La relazione, così, non è soltanto la forma dell’inizio ma è l’inizio stesso, il suo stesso darsi come inizio. L’inizio in se stesso si mostra come apertura e, quindi, si rivela come relazione, come relazione che permette la possibilità dell’accadere dell’altro” (p. 87). In questo senso la mente umana cerca di superare le ambivalenze e le dicotomie per accedere ad una dimensione empatica dell’attività psichica, tanto come amore quanto come odio (cfr. p. 99).

Tutti gli studi teologici provocano quelli neuroscientifici ad un confronto che deve risultare, ovviamente, arricchente per entrambe le prospettive: il volume rende conto di questo avvicinamento (pp. 115 – 128). Illustri teologi come Alexandre Ganoczy, Jurgen Moltmann, Joseph Ratzinger, Jean Galot, Jean Paul Lieggi, Giulio Meiattini, Maurizio Chiodi, ma anche Piero Barcellona hanno lungamente – e da prospettive diverse – affermato l’ontologia della persona nella relazione. E’ possibile concludere con N. D’Onghia che “l’io non si autocostruisce ma diventa tale nella relazione, in una mediazione sociale che non è possibile evitare” (p. 128).

Il rapporto tra la teologia e le neuroscienze supera il paradigma cartesiano di razionalità fondata sulla dicotomia res cogitans / res extensa: <<una scienza relazionale, invece, riconosce come la comprensione dell’umano non può essere completamente rinchiusa nelle categorie oggettivanti astratte del pensiero e né può coincidere perfettamente con esse, ma è sempre oltre le possibilità stesse del pensiero […] la riflessione teologica può contribuire al dialogo tra le diverse scienze a partire dal riconoscere come l’oggetto conosciuto non è interno al pensiero ma relazionalmente distinto da esso>> (p.131).

La relazione è il luogo in cui si struttura il dialogo tra le neuroscienze la teologia nella prospettiva della fede Cristiana fondata sull’incontro con Gesù di Nazareth: <<l’immagine di Gesù si forma nella trama delle relazioni, a partire dalla relazione singolare con il Padre>> (p. 133).

Nella prospettiva teoretica di Nicola D’Onghia, il fondamento della relazione è nel Verbum Incarnandum, nel Gesù che si fa carne, muore e risorge. Il mistero trinitario si configura come la relazione archetipa: “la Scrittura, pertanto, non intende per materia quella realtà negativa, pensiero elaborato dall’idealismo, che ha posto in contrapposizione con lo spirito, e non condivide nulla con il dualismo, che considera la materia come male e tenebra, così come distante dalla visione del materialismo, che guarda alla materia come l’elemento solido, concreto e razionale, relegando lo spirito a visioni fantastiche della filosofia” (p.153).

La riflessione teologica non può non considerare anima e corpo nella loro unità, “nel contesto della creazione di Dio e, quindi, nella relazione fondamentale con Dio” (p.159).
Le argomentazioni di D’Onghia, che in questa sede, si è cercato di sunteggiare coeriscono tutte nella conclusione del volume: <<la persona è portatrice di una ricchezza tale, da poter essere compresa grazie all’integrazione delle diverse forme di razionalità e attraverso la collaborazione tra gli ambiti scientifici quegli umanistici e quelli teologici. Gli esiti delle neuroscienze, infatti, ricollocano la corporeità, la relazione, le emozioni e il sentire al centro dei processi dell’organizzazione psichica […] la riflessione teologica è pienamente coinvolta in questa lettura più complessa dell’uomo e della realtà>> (p.164).

E’ questa la nuova frontiera affinché le neuroscienze non si riducano ad un approccio parziale della conoscenza del reale (meccanicistico/riduzionistico) e la teologia possa dialogare, in quanto scienza dell’uomo, con esse perché abbiano – come voleva nel 1935 Edmund Husserl (1857 – 1938) – un loro telos: il bene dell’umanità.

Di tutto ciò, il volume Siamo relazione di Nicola D’Onghia rende ampiamente ragione, da un punto di vista storiografico, dello stato dell’arte, ed offre contestualmente un’avvincente, nuova, prospettiva teoretica, che si caratterizza come un efficace philosophari in theologia, perché, com’è ampiamente noto, “ohne Philosophie, keine Theologie”, sosteneva  Hans Urs von Balthasar (1905 – 1988).