Istituzioni scolastiche provvisoriamente ri-dimensionate

Istituzioni scolastiche provvisoriamente ri-dimensionate
Un appello inutile?

Francesco G. Nuzzaci

1. Abbiamo letto (in TECNICA DELLA SCUOLA del 10.05.2022, Ridimensionamento reti scolastiche: cresce la protesta di dirigenti e di DSGA) l’accorato, e ben motivato, appello di un nutrito gruppo dei primi e di un certo numero dei secondi rivolto al ministro dell’istruzione Bianchi, al ministro dell’Economia e delle Finanze Franco, alla vice-capo di Gabinetto Capasso e al direttore generale del personale Serra.

Chiedono loro che non venga ri-vanificata la misura contenuta nell’articolo 1, comma 343 della legge n. 234 del 31.12.2021, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024”.

Essa riprende la precedente previsione di cui ai commi 978 e 979, articolo 1 della legge 178/2020 e, oltre il primigenio anno scolastico 2021-2022, dispone anche per i due successivi 2022-2023 e 2023-2024 l’assegnazione di un loro dirigente e di un loro direttore dei servizi generali e amministrativi alle istituzioni scolastiche aventi minimo 500 alunni, ridotti a 300 nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche. E reintegra le rispettive risorse finanziarie in 40,84-45,83-37,20 milioni di euro.

I destinatari della missiva sono quattro. Però il ministro Franco ha già fatto qui la propria parte; la dottoressa Capasso è indubbiamente dotata di competenze tecniche, ma è istituzionalmente priva di potere decisionale; il dottor Serra lo si dice rigidamente ancorato, come in precedenza, a un’interpretazione abrogatrice di una legge dello Stato. E sembra che l’ultima parola dovrebbe essere ancora la sua.

Il vero interlocutore è allora il signor ministro dell’Istruzione: un accademico di tutto rispetto, che scrive anche di cose di scuola, ma che non dà mostra di essere adeguatamente assistito dalla propria tecnostruttura, se ha firmato a suo tempo – e potrebbe dirsi, forse a sua insaputa? – l’annuale decreto sull’organico dei dirigenti scolastici per il 2021-2022 non assegnando alle 372 scuola ri-dimensionate dalla citata legge 178/2020 un dirigente e un DSGA in via esclusiva, così condannandole alla doppia reggenza, esattamente come le – residuali – istituzioni  scolastiche rimaste sotto i parametri minimi di 500/300 alunni, dunque non rispettando la volontà del Legislatore. E nel frattempo, per il prossimo anno scolastico, da 372 le sedi sono lievitate a 469, attinte dal medesimo deteriore destino.

2. La questione, insomma, si pone negli stessi termini di un anno fa. E come allora l’appiglio è fornito dalla riprodotta formula figurante nella relazione di accompagnamento alla legge 234/2021 (così come lo era stato per la precedente legge di bilancio 178/2020): “La disposizione non prevede l’incremento delle facoltà assunzionali e non dispone l’autorizzazione ad assumere a tempo indeterminato”.

Pertanto riproponiamo quella che a noi pare la soluzione prospettata un anno fa.

Essa muove da elementari canoni interpretativi delle disposizioni normative, e della loro applicazione, una volta inserite nell’ordinamento giuridico. Sicché nessun pregio può ascriversi a passaggi contenuti in relazioni tecniche richiamate dall’Amministrazione come ostacolo insormontabile, nel punto in cui è scritto che non viene dispostol’incremento delle facoltà assunzionali e non viene disposta l’autorizzazione ad assumere a tempo indeterminato; laddove è semplicemente reso per esplicito ciò che già è implicito nella legge (recte, nelle due leggi): che non intendono affatto incrementare strutturalmente gli organici dei dirigenti scolastici e dei DSGA, con conseguenti assunzioni in ruolo. Quel che invece vogliono è accrescere provvisoriamente, e ora per un ulteriore lasso temporale, il numero di istituzioni scolastiche che non restino acefale nel complicato e persistente periodo pandemico, dopo che al Covid-19 si è aggiunta una guerra in prossimità dei nostri confini e il cui primo immediato effetto è la non facile accoglienza di profughi ucraini nelle nostre scuole.

Viene poi replicato il secondo mantra dell’articolo 19, comma 2 del D. Lgs. 165/2001, dellala durata massima di un quinquennio e minima di un triennio dell’incarico dirigenziale, con la sola eccezione per coloro che non possono assicurare neanche quest’ultima poiché raggiungono medio tempore il limite d’età dell’obbligato collocamento a riposo.

Senonché sulla norma generale del predetto articolo 19 hanno ora inciso le nuove disposizioni delle leggi 178/2020 e 234/2021: non solo successive e di pari grado nella gerarchia delle fonti, dunque di per sé prevalenti secondo il criterio cronologico, ma da ritenersi altresì di natura speciale, anzi di ancor più urgente eccezionalità proprio in ragione della loro circoscritta durata connessa all’emergenza (non più solo) pandemica e per meglio farvi fronte.

Ne riviene la legittimità di una seconda, limitata e contingente, sopraggiunta eccezione alla normale durata minima triennale degl’incarichi dirigenziali, accanto a quella, permanente, del limite di età per il collocamento a riposo.

Si dovrebbero allora affidare in via esclusiva le 469 istituzioni scolastiche in discorso a dirigenti nell’ordine individuati dall’ancora capiente graduatoria nazionale dell’ultimo concorso, con la stipula di un contratto biennale ad tempus, che potrà convertirsi in un contratto a tempo indeterminato non appena si liberano le sedi consolidate in organico per collocamento in quiescenza dei titolari e il cui numero nel biennio 2022/2032 e 2023/2024 sarà – secondo la serie storica – abbondantemente superiore a 469. E allo stesso modo si dovrebbe procedere per i DSGA presenti nelle graduatorie concorsuali regionali, dove queste vi fossero e/o non risultassero esaurite, altrimenti ricorrendosi al conferimento di supplenza annuali e con diritto di conferma, secondo i consueti meccanismi.

Una variante potrebbe essere la stipula di un contratto triennale, ma sempre precario, sottoposto a condizione risolutiva.

Se poi – ma è un’ipotesi di scuola – nei due, o tre, anni scolastici non si dovesse procedere in assunzioni in ruolo, i soggetti tratti dalle graduatorie concorsuali ritornerebbero nelle rispettive posizioni.

A normativa vigente e alla luce di criteri di ordine logico – ispirati ai principi di non contraddizione, di utilità semantica, di coerenza sistematica – non sembra esserci altra soluzione che non sia quella d’ignorare, per una seconda volta, una legge votata dal Parlamento della Repubblica.

Va poi da sé che queste sedi sarebbero disponibili, accettandone le relative condizioni, per la mobilità territoriale nella regione e tra regioni.,

La terza obiezione – sempre della tecnostruttura ministeriale – è che la Corte dei conti non registrerebbe questi contratti. Ma non è dato di comprendere perché non dovrebbe farlo, dal momento che risultano stanziate le relative risorse finanziarie e, beninteso, entro il loro limite. Se tuttavia ciò dovesse avvenire, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Istruzione, potrà ordinare la registrazione con riserva, della quale la Corte darà notizia al Parlamento per un suo (eventuale) sindacato (solo) politico.

3. Ritorniamo così a quanto accennato in premessa: il vero interlocutore dei firmatari della lettera è il ministro Bianchi. Sarà quindi sua responsabilità politica se anche questa volta non se ne farà nulla. E dovrà stimare il grado di coerenza di un suo chiaro fallimento con i reiterati altisonanti propositi – già espressi nel libro Nello specchio della scuola – di voler ridisegnare ab imis fundamentis il sistema scolastico, in grado di promuovere una cittadinanza attiva e nel contempo fattore di sviluppo equo e solidale, nel quadro di una sostenibilità ecologica che preservi la qualità della vita e non comprometta il futuro delle nuove generazioni. Perché sarebbe davvero improbo giustificare come abbia nuovamente rifiutato l’offerta del Legislatore di dotare, sia pure temporaneamente, ora quasi 500 istituzioni scolastiche di un dirigente e di un direttore dei servizi generali e amministrativi in via esclusiva, che pure avrebbero contribuito al “rilancio delle norme sull’autonomia”.

In tal caso non avrebbe più senso che si domandi se i comportamenti dei suoi diretti collaboratori e dei dirigenti dei competenti uffici siano conformi all’obbligo imposto a ogni pubblico dipendente, ancor più se riveste posizioni di vertice e/o di notevole rilevanza, di servire la Repubblica con impegno e responsabilità, di rispettare la legge e i principi di buon andamento dell’attività amministrativa, di perseguire gli obiettivi di qualità dei servizi e di miglioramento dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche, e tali essendo anche quelle incomprensibilmente depotenziate, anziché essere sostenute.