Sentenza Consiglio di Stato 4 maggio 2007, n. 3601

Consiglio di Stato
Sezione VI
Decisione 25 giugno 2007, n. 3601
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione VI
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2954/2007, proposto dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Istituto Comprensivo di ————- – Roma, in persona del Dirigente scolastico pro tempore, e per il Ministero della Pubblica Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono legalmente domiciliati in Roma, ——————-;
CONTRO
R. M., rappresentata e difesa dall’Avv. ————, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in Roma, ——————;
per l’annullamentodella sentenza del Tribunale Amministrativo per il Lazio, Roma, Sezione III bis, n. 1189/2007 depositata in data 13 febbraio 2007, resa inter partes;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte intimata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del 4 maggio 2007, il Consigliere ————–, uditi altresì l’avvocato dello Stato ———– e l’avvocato ————;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Nel mese di gennaio 2006 la prof.ssa R. richiedeva al Dirigente Scolastico il fascicolo dei rapporti informativi resi da studenti minorenni, genitori e docenti relativi a fatti accaduti nell’a.s. 2003/2004 a seguito dei quali vi era stata un’ispezione del Ministero dell’Istruzione nei suoi confronti.
Il Dirigente, presa visione del pertinente fascicolo, constatava che, pur non essendovi informazioni relative a religione, salute e inclinazioni sessuali sui soggetti coinvolti, vi erano i nomi degli alunni minorenni, dei genitori e dei colleghi che avevano esposto i fatti descritti nel ricorso in esame.
Con lettera dell’8.2.2006 (pervenuta all’Istituto scolastico il 13.2.2006), la R. insisteva nella richiesta di ottenere copia integrale degli atti relativi al periodo 3.3.2004 – 31.5.2004. Il Dirigente scolastico dapprima (nota n. 1276 del 16.3.2006) rispondeva interlocutoriamente – in attesa di un parere legale – ritenendo trattarsi di documenti inaccessibili, per motivi di riservatezza di terzi, e poi denegava l’astensione integrale (con nota n. 1451 del 27.3.2006) una volta ottenuto il parere.
Contro tale provvedimento di diniego la Prof.ssa R. ha proposto ricorso ex art. 25 legge n. 241/1990, al T.a.r. del Lazio, il quale, con la sentenza n. 1189/2007 ha ordinato all’Amministrazione l’ostensione della documentazione integrale da lei richiesta, ivi compresi, quindi, i nomi degli autori delle dichiarazioni.
2. Avverso tale decisione hanno proposto appello, chiedendone in via cautelare la sospensione, il Ministero della Pubblica Istruzione e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Istituto Comprensivo di via Orrea, n. 23.
A sostegno dell’appello, l’Amministrazione deduce:
1) in via pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso di primo grado perché non notificato ad almeno uno dei controinteressati;
2) nel merito, l’infondatezza del ricorso, non avendo la ricorrente titolo, sotto diversi profili, a conoscere i nomi degli autori delle dichiarazioni rese a suo carico, anche in considerazione del fatto i contestati “omissis” non impedirebbero comunque alla Prof.ssa R. di agire in giudizio a tutela dei propri interessi.
Si è costituita in giudizio la Prof.ssa R. chiedendo il rigetto dell’appello principale e proponendo, altresì, appello incidentale al fine di ottenere la riforma della sentenza del T.a.r. Lazio n. 1189/2007, nella parte in cui tale decisione, dopo aver affermato in motivazione che le spese avrebbero seguito la soccombenza, ha omesso in dispositivo la statuizione sulla condanna alle spese di giudizio.
Alla camera di consiglio fissata per la sospensiva, le parti hanno rinunciato alla domanda cautelare, chiedendo l’immediata decisione nel merito.
3. L’appello principale è infondato.
4. Il Collegio ritiene, anzitutto, che gli autori degli esposti informativi (i cui nomi sono oggetto dell’istanza di accesso presentata dalla ricorrente) non possano essere qualificati controinteressati in senso tecnico.
Ai sensi dell’art. 22 lett. c) legge n. 241/1990, in materia di accesso, per “controinteressati” si intendono “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.
In base alla definizione legislativa appena riportata, quindi, sono controinteressati non tutti coloro che, a qualsiasi titolo sono nominati o coinvolti nel documento oggetto dall’istanza ostensiva, ma solo coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza.
Ebbene, pur non potendosi sottovalutare l’ampliamento e la progressiva importanza assunta dal diritto alla riservatezza, il Collegio ritiene, tuttavia, che tale situazione giuridica concerna solo quelle vicende collegate in modo apprezzabile alla sfera privata del soggetto, e non anche quelle destinate ad assumere una dimensione di carattere pubblico.
4.1. Il diritto alla riservatezza non può allora certamente essere invocato quando la richiesta di accesso ha ad oggetto, come nella presente fattispecie, il nome di coloro che hanno reso denunce o rapporti informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo (in questi termini, Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 1998, n. 923).
La denuncia o l’esposto, invero, non può considerarsi un fatto circoscritto al solo autore e all’Amministrazione competente al suo esame ed all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti “denunciati”, i quali ne risultano comunque incisi. Ciò vale a maggior ragione quando tali denunce hanno sviluppi così penetranti come quelli che hanno coinvolto, nel caso di specie, la sfera personale e professionale della Prof.ssa R., che, per i fatti oggetto di quegli esposti, è stata sottoposta a procedimento ispettivo-disciplinare e a procedimento penale (all’esito dei quali, peraltro, è risultata estranea agli addebiti mossi).
Nell’ordinamento delineato dalla L. n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l’avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza, foss’anche per coprire o difendere il denunciante da eventuali reazioni da parte del denunciato, le quali, comunque, non sfuggirebbero al controllo dell’autorità giudiziaria.
4.2. La tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico. Emblematico, in tal senso, è l’art. 111 Cost. che, nel sancire (come elemento essenziale del giusto processo) il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono
dichiarazioni a suo carico, inevitabilmente presuppone che l’accusato abbia anche il diritto di conoscere il nome dell’autore di tali dichiarazioni.
Tale sfavore verso le denunce e le dichiarazioni anonime emerge poi, a più riprese, dal codice di procedura penale: si pensi, ad esempio, all’art. 240 c.p.p. in forza del quale i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano il corpo del reato o provengano comunque dall’imputato; all’art. 195, comma 7, c.p.p. che sancisce l’inutilizzabilità della testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame; all’art. 203 c.p.p. che pure prevede l’inutilizzabilità delle informazioni rese dagli informatori alla polizia giudiziaria quando il nome di tali informatori non venga svelato.
4.3. Da questa cornice emerge chiaramente che al diritto alla riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non può certo riconoscersi ampiezza tale da includere il “diritto all’anonimato” di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi nell’ambito di un procedimento ispettivo o sanzionatorio.
L’anonimato sulle denunce o sulle dichiarazioni accusatorie è, al contrario, come si è visto, guardato con particolare sospetto dall’ordinamento: da qui l’evanescenza e l’infondatezza di ogni tentativo volto a qualificare tale inesistente diritto all’anonimato come una prerogativa del diritto alla riservatezza.
4.4. Applicando tali coordinate ricostruttive alla fattispecie in esame, ne deriva che il motivo di appello con cui si fa valere l’inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati è certamente infondato.
Ed invero, a prescindere dalle conseguenze processuali derivanti, in materia di accesso, dalla mancata notifica del ricorso ad almeno un controinteressato (questione per la risoluzione della quale sarebbe rilevante, anche dopo le decisioni dell’Adunanza Plenaria n. 6 e 7 del 2006, stabilire se il diritto di accesso sia un diritto soggettivo o un interesse legittimo del diritto di accesso), nel caso di specie si deve ritenere che, a fronte della richiesta di accesso della Prof.ssa R., non vi fosse alcun controinteressato in senso tecnico.
Altrimenti opinando, del resto, l’onere di coinvolgere tali presunti controinteressati sarebbe gravato, prima di tutti, proprio sull’Amministrazione scolastica. Va ricordato, invero, che ai sensi dell’art. 3 D.P.R. n. 184/2006 (“Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi”), “la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua controinteressati è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione”.
Non risulta, tuttavia, che tale comunicazione sia mai stata inviata agli autori delle dichiarazioni il che dimostra che anche l’Amministrazione ha ritenuto (almeno fino alla costituzione in giudizio davanti al T.a.r.) che la richiesta dalla R. con fosse tale da investire il diritto alla riservatezza di nessun soggetto terzo.
4.5. Dalle considerazioni svolte emerge anche l’infondatezza del motivo con cui l’Avvocatura dello Stato sostiene che il nome dei dichiaranti non doveva comunque essere fornito.
Come si è visto, infatti, il nostro ordinamento non tollera le denunce segrete, ma, al contrario, il diritto dell’accusato di conoscere il nome dell’accusatore ha ormai anche un solido addentellato costituzionale (art. 111 Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999).
Non può allora dubitarsi che colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo abbia un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti.
Certo, non si può escludere che l’immediata comunicazione del nominativo del denunciante potrebbe riflettersi negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria. Ma ciò può, a tutto concedere, giustificare un breve differimento del diritto di accesso. Non consente, invece, il diniego del diritto
alla conoscenza degli atti quando ormai (come accade nella fattispecie) il procedimento ispettivo-disciplinare si è definitivamente concluso.
L’appello principale deve, pertanto, essere rigettato.
5. Occorre, a questo punto, esaminare l’appello incidentale con il quale la Prof.ssa R. contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui, dopo aver “preannunciato” in motivazione che le spese avrebbero seguito la soccombenza, ha omesso, nel dispostivo qualsiasi statuizione in ordine alle spese medesime.
L’appello incidentale è fondato.
Alla soccombenza in giudizio segue, infatti, la condanna alle spese, salvo che vi siano giustificati motivi per disporre la compensazione delle stesse. Nel caso in esame, il Giudice di primo grado ha richiamato la regola della soccombenza, ma ha omesso di liquidare le spese di giudizio.
A tale liquidazione deve, pertanto, provvedere il Giudice di appello, specificamente investito della questione dall’appello incidentale. Le spese del giudizio di primo grado, pertanto, già poste a carico delle Amministrazioni odierne appellanti dal giudice di primo grado, sono liquidate in complessi € 2.000 oltre IVA e CPA.
6. Le spese del giudizio di appello seguono, a loro volta la soccombenza, e sono liquidate in complessivi € 3.000 oltre IVA e CPA.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
respinge l’appello principale;
accoglie l’appello incidentale.
Condanna, in solido, le Amministrazioni appellanti principali a rimborsare alla parte appellata le spese del doppio grado di giudizio che si liquidano in complessivi € 5.000 (cinquemila/00), oltre IVA e CPA.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 4 maggio 2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
——————— Presidente
——————— Consigliere
——————— Consigliere
——————— Consigliere
——————— Consigliere Est.
———————-Presidente
———————-Consigliere Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 25/06/2007