Nuovi corsi, contatti con le aziende Come cambierà un giorno di scuola

da Corriere della sera

Nuovi corsi, contatti con le aziende Come cambierà un giorno di scuola

Senza i decreti attuativi la nuova scuola non sarà davvero realtà
Primo settembre 2015, suona la campanella della «Buona Scuola», la riforma targata Renzi che è appena stata approvata dal Parlamento e che — tranne sorprese dell’ultimo momento sulla promulgazione da parte del capo dello Stato — è di fatto già legge.
Presidi, professori e studenti saranno chiamati a una nuova organizzazione della vita scolastica, all’insegna dell’autonomia, della flessibilità e della modernizzazione. Ma cosa cambierà davvero nella loro vita? Quali saranno i nuovi compiti che potrebbero trovarsi davanti, le incombenze, le potenzialità? Proviamo a capirlo. Con una premessa d’obbligo: «Senza i decreti attuativi la nuova scuola non sarà davvero realtà — spiega il presidente dell’associazione nazionale presidi del Lazio Mario Rusconi — e prima che vengano completati tutti potrebbero anche volerci due-tre anni».
Dal lato degli studenti
A parte le ore di alternanza scuola-lavoro, che potenzialmente saranno 400 per gli istituti tecnici e 200 per i licei, a settembre la riforma cambierà poco la vita degli studenti. Storia dell’arte, musica, programmazione informatica, educazione fisica, insegnamento di una materia curricolare in lingua straniera (Clil): le materie da potenziare sono tutte elencate, ma sarà solo la pratica a metterle in atto. E il curriculum flessibile, per ora, è solo un’opzione le cui modalità restano non definite con chiarezza.
L’apertura pomeridiana
Le scuole aperte tutto il giorno non sono un’invenzione di Renzi o della Giannini, ma una possibilità prevista da una legge, la 515 del 1977. Legge rimasta per lo più inapplicata perché la trafila per l’apertura era così lunga e laboriosa da scoraggiare chiunque. La «Buona Scuola» dovrebbe sbloccare e snellire. Lo stesso dovrebbe valere per l’orario delle lezioni. «È nello spirito della “Buona Scuola” che un docente sia stimolato a proporre e organizzare le attività didattiche anche in maniera flessibile — sottolinea Simona Flavia Malpezzi, deputata Pd —. Orari modulati sulle esigenze degli alunni, collaborazioni con altre classi, progetti integrativi : tutto può diventare realtà se c’è un professore volenteroso e che partecipa attivamente alla vita scolastica».
I poteri del dirigente
Forse non è vero che gli saranno attribuiti poteri da supereroe, come contestano i sindacati, ma per poter svolgere tutti i compiti che lo aspettano gli serviranno nervi saldi. È nelle sue mani gran parte dell’operatività della riforma. Appena metterà piede in istituto, dovrà convocare un collegio dei docenti, possibilmente avendo predisposto già dal 15 agosto una serie di incontri con i docenti per spiegare loro la nuova organizzazione. Non potendo contare sul supporto dei sindacati, che annunciano le barricate, al preside toccherà costituire dei gruppi di lavoro per approfondire gli aspetti operativi della riforma. Assieme al collegio dei docenti, dovrà affrontare una serie di questioni spinose: dovrà istituire i dipartimenti disciplinari in modo da scrivere il piano dell’offerta formativa (Pof) per il 2015-2016, ma soprattutto quello triennale per il 2017-2020, che dovrà considerare il potenziamento di alcune materie, l’aggiornamento professionale, la chiamata diretta degli insegnanti dell’organico funzionale.
Il merito
Insegnanti che toccherà sempre al dirigente scegliere — dall’anno prossimo —, anche se accompagnato dal parere del comitato di valutazione, composto oltre che da lui da un membro esterno, tre docenti, uno studente e un genitore, almeno nelle scuole superiori.
Sempre al preside toccherà, insieme al comitato, decidere i criteri con cui distribuire quei 70-80 euro che andranno nelle buste paga dei prof più meritevoli. Un’altra delle prime pratiche da sbrigare sarà quella di scegliersi i collaboratori stretti e segnalare le necessità strutturali della scuola. Senza dimenticare di dare un’occhiata alle potenziali aziende e associazioni per offrire scelte valide agli studenti nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro.
Le «armi» dei docenti
Sono tante e il paradosso è che non usandole i professori rischiano di lasciare troppo spazio ai presidi-manager. Partecipare al consiglio dei docenti o promuovere l’elezione di una persona fidata nel comitato di valutazione (per decidere i criteri con cui premiare i colleghi): sono delle priorità per gli insegnanti. Il consiglio di istituto è il vero organo di governo della scuola, che potrà decidere — se le linee guida della riforma saranno confermate nei decreti — le aperture pomeridiane, le attività integrative, le collaborazioni.
L’organico funzionale
Questo discorso vale anche per gli insegnanti senza cattedra, quelli dell’organico funzionale che entreranno nelle scuole solo in seconda battuta. Per i detrattori della riforma saranno degli «insegnanti di serie B» e a loro spetterà il compito di tappare i buchi. Secondo i sostenitori entreranno negli istituti con compiti precisi, anche in questo primo anno, che è di sperimentazione. A chiamarli non saranno i presidi ma gli uffici scolastici regionali.
Il rischio è che una scuola con 200 studenti si ritrovi con 6-7 insegnanti funzionali a cui non sa che compiti assegnare. «Che cosa gli facciamo fare? Sarà il piano dell’offerta formativa a definirlo, ma da subito a ogni docente potrà essere assegnato un ruolo in base alle proprie caratteristiche professionali secondo le esigenze di quella scuola», assicura Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi. Ad esempio: a un liceo scientifico vengono dati tre insegnanti funzionali, uno di educazione fisica, uno di matematica, uno di italiano. Al primo si possono assegnare gli studenti con problemi di mobilità, organizzando un corso pomeridiano. Il secondo può essere funzionale al recupero di una classe debole in matematica. Il prof di italiano potrà essere utile per rafforzare le conoscenze degli studenti stranieri. Ma siamo nel campo delle possibilità. La campanella che segna l’inizio delle lezioni, per ora, resta l’unica certezza della «Buona Scuola» che verrà.
Valentina Santarpia